Di © Robert Voughn Young, 22 febbraio 2000. Proposta di un nuovo modello che, al di là del "lavaggio del cervello", spieghi il comportamento dei membri di "sette".
Traduzione e note a cura di Martini
Faccio questo lungo intervento su ARS [1] perché sto lasciando questo tipo di attività e vorrei mettere le mie osservazioni nelle mani di chi studia l'argomento o se ne interessa. Non so chi raccoglierà i miei punti di vista. Sono semplicemente mie opinioni e prospettive e certamente possono sollecitare il dibattito così come le grida di orrore delle sette. Vorrei semplicemente che questi punti di vista fossero presi in seria considerazione dai professionisti che trattano la materia. Sarebbe necessario intervistare altre persone sull'argomento, sviluppare e testare il modello. Non credo si tratti dell'unico modello possibile, quanto piuttosto che possa essere d'aiuto a chi non è stato possibile aiutare in precedenza. Chiedo che una copia di questo saggio venga distribuita a chiunque potrebbe essere interessato all'argomento, cioè al tipo di controllo esercitato dalle sette. Ho lasciato Scientology nel 1989 dopo 21 anni di appartenenza. La domanda più dura che mi viene rivolta è perché sono restato tanto a lungo se ero consapevole che si trattava di un sistema così abusivo. Non avevo una risposta che soddisfacesse me o chiunque altro. Ora credo di avere trovato sia la risposta che il modello. Essi almeno soddisfano me. Anche il mio background e i miei interessi fondamentali richiedevano una risposta a quella domanda. Sono laureato in filosofia (presso ciò che all'epoca era conosciuto come San Francisco State College), e avevo scelto quella materia per il mio profondo interesse in quanto viene definita filosofia del comportamento/mente/psicologia (la scelta dipende spesso dalla scuola, così come l'enfasi nell'ambito del campo di studi). In seguito venni accettato nel corso di dottorato (PhD) alla University of California di Davis. Scelsi quell'istituto perché forniva un programma molto approfondito in un campo di studi nuovo e in crescita (venti anni dopo ho scoperto che erano sorte alcune facoltà di “scienza cognitiva” e certe università rilasciano dottorati specifici. La Scienza Cognitiva è una miscela di filosofia, psicologia e scienza informatica, vale a dire l'ambito della AI, o intelligenza artificiale, cioè esattamente quello che all'epoca andavo cercando. La AI poneva nuovi problemi di carattere filosofico, ma alla fine degli anni '60 le facoltà non l'avevano ancora integrata come materia a sé stante). Fu quel mio particolare interesse a spingermi a leggere Hubbard. Ero incuriosito da alcuni elementi della sua filosofia, per la precisione da alcune presentazioni epistemiologiche e cosmologiche. Il Dip.20/RTC di Scientology e i suoi legali (in particolare la mia deposizione a Tampa, un paio di settimane fa) non riescono a capirlo. Quando mi chiedono perché sono entrato in Scientology fanno ogni tipo di ipotesi, dal mio “miglioramento personale” al desiderio di entrare in una religione. No, dico io, cercando di spiegare, ma non riescono a capire. Per quanto dicano di essere una “filosofia religiosa applicata” non hanno la più pallida idea di che cosa significhi “filosofia”, per non parlare di “filosofia religiosa” (pensano che una “filosofia religiosa” sia una religione!). E neppure Hubbard lo capiva, come alla fine mi sono reso conto. Il che ci riporta al tema del perché sono rimasto. Nel 1988 avvenne un episodio che ritenni una prova alla cartina tornasole. Se fossi riuscito a capire quel particolare episodio avrei capito tutto. Mi trovavo sul programma Rehabilitation Project Force (RPF) [2] ai "Golden Era Studios" di Gilman Hot Springs, California (per amore di brevità lasciamo perdere il motivo per cui mi ci trovavo, il modo in cui il RPF opera e andiamo al punto. Tra l'altro è irrilevante per quanto sto dicendo e in precedenza ho già scritto sull'argomento). La mia situazione sul programma RPF era deteriorata al punto da temere che sarei impazzito o morto, così una notte fuggii. Gli scientologisti mi ritrovarono in un hotel nella vicina Hemet, e volevano parlarmi. Accettai. La cosa successiva di cui ho conoscenza è che accettai di tornare sul “programma” e finire il RPF. Così feci, e ci rimasi per altri 5-6 mesi (totale 16 mesi) prima di “diplomarmi”. Ecco il mio test al tornasole. Più che la domanda: «perché rimasi?» mi interessa sapere: «perché tornai se pensavo che fosse tanto abusivo da fuggirne?». Il punto è: mi fecero tornare con le PAROLE. Non mi misero le mani addosso. Semplicemente mi parlarono, e con le parole mi persuasero a rinunciare a ciò che avevo progettato per settimane, e poi eseguito. Mi convinsero a tornare a quella precisa situazione che temevo mi avrebbe ucciso. Perché lo feci? Se guardo indietro (11 anni dopo essermene andato) vedo che avevo ragione a fuggire dal RPF, e torto a tornarci. Allora perché tornai e vi rimasi? Ecco il punto su cui i sostenitori del “controllo mentale” dovrebbero discutere. Dopo tutto il controllo mentale non è proprio questo? Come è stato possibile “controllarmi” al punto da farmi fare qualcosa che era profondamente contro la mia volontà? La scuola del “"lavaggio del cervello" potrebbe dare una spiegazione dal suo punto di vista. Potrebbe sostenere che dopo 21 anni nella setta ero “condizionato” e come un “Manchurian Candidate”, o uno dei cani di Pavlov, qualcuno ha semplicemente suonato un campanello o ha spinto un bottone, e io ho obbedito. Non ho mai accettato questi modelli. Nella mia necessità di capire ho letto alcuni saggi di “esperti” di “controllo settario”, ma semplicemente non mi si adattano. È come indossare un cappotto molto costoso ma troppo grande, con le maniche che mi coprono le mani e mi si drappeggia addosso come un doppiopetto. Sì, è un “cappotto”, e la “firma” è impressionante, ma…Mi chiedo se sono io. Forse mi sento offeso all'idea di essere stato “plagiato” o che ci fosse “controllo mentale”, così quelle teorie non mi piacciono. Mi ritrovo nella divertente situazione in cui sono d'accordo con la setta che quei modelli non funzionano, ma QUALCOSA esiste, qualche punto di controllo. Perché le parole riuscirono a farmi tornare ad una situazione che detestavo? E a cui anni dopo avrei riguardato dicendo sì, stava succedendo qualcosa? C'era una qualche forma di “controllo”, ma… “controllo mentale”? No, non va. Fu solo dopo la mia prima visita a Wellspring [3] che trovai il modello che poteva andare bene per me. Lo trovai in alcuni libri trovati sugli scaffali che leggevo nel tempo libero. Mi fecero capire il modello che poteva essere calzante per il mio caso: la donna picchiata o maltrattata. L'idea all'epoca non si sviluppò appieno. Dovetti leggere altro materiale (compresi alcuni articoli sul Web) e necessitati di altro tempo per mettere insieme l'idea. Diversi esperti discutono sull'esistenza di “controllo mentale” o "lavaggio del cervello", o se si stia semplicemente parlando di forme di influenza che si ritrovano dappertutto, dalla pubblicità alla conversazione. Ma non possono discutere il fatto che esistono donne picchiate/maltrattate che continuano a rimanere in situazioni abusive, che esistono donne che scappano e quando il marito le ritrova le convince a PAROLE a tornare alla stessa identica relazione da cui avevano cercato di fuggire, e il tutto si ripete. Addirittura fino a pochi anni fa la nostra società non AMMETTEVA neppure l'esistenza di queste donne, figuriamoci se poteva cercare di aiutarle o di comprendere il fenomeno. Essendo la nostra società dominata dal maschio in molti stati era addirittura legale che un marito picchiasse la moglie, e potrebbe esserlo ancora. Se una donna si recava alla polizia questi semplicemente telefonavano al marito. Ma ora le donne stanno facendo passi avanti e non è facile. È come essere vittime di uno stupro, e poi denunciare. Ci vuole coraggio, e ci sono volute donne che hanno spinto a forza questo argomento nella nostra società (americana) a dominazione maschile, e l'hanno RESO argomento. Ecco perché è un argomento nuovo. Non è che non sia mai esistito. Indubbiamente esiste da quando esistono uomini e donne ma – come i diritti civili ed altre tematiche - ci sono volute “vittime” per COSTRINGERLO a diventare argomento di discussione prima che addirittura se ne ammettesse che esisteva. La prima volta che ho visto il parallelo tra le mie esperienze nella setta di Scientology e le donne maltrattate è stato nel leggere Captive Hearts, Captive Minds, [Cuori in trappola, Menti in trappola], libro eccellente [4]. Nell'introduzione, o forse nel primo capitolo, veniva citata la cantante Tina Turner che ha vissuto una relazione abusiva per 10 o 15 anni. Veniva fatto notare che vivere con Ike Turner era come vivere in una piccola setta. L'osservazione mi colpì moltissimo. Considerando il successo di Tina Turner non si è propensi a dire che si tratta di una stupida, ma eccola in un matrimonio in cui veniva costantemente picchiata. Ma restava. Quando alla fine fuggì, come racconta nella sua storia, fu a seguito di un pugno le aveva gonfiato la testa al punto da non riuscire a infilarsi la parrucca. Si avvolse il capo in una sciarpa e scappò senza prendere soldi o altro, e alla fine lasciò Ike Turner. Ci si chiede quanto spesso, da allora, le abbiano domandato «Tina, sei una donna piena di talento, come hai potuto stare per 10 o 15 anni con un uomo che ti picchiava?» Forse nella sua autobiografia dà una risposta. Non lo so. È tra i libri che vorrò leggere. Ma so che quella domanda le è stata fatta. Ogni donna che fugge da un uomo che la picchia si sente fare quella domanda, e forse è la più difficile a cui dare risposta. Dopo tutto, non è che non sei consapevole di essere picchiata. E non è che sia successo solo una volta. O solo due volte. Succede settimana dopo settimana, mese dopo mese, anno dopo anno. E queste donne non vengono tenute rinchiuse. Il marito esce per andare al lavoro, ad esempio, e loro possiedono un'automobile. Prendono la macchina e vanno al supermercato, fanno la spesa e la portano a casa, nel luogo in cui vengono malmenate, e preparano la cena. Non è che montano in macchina e se ne vanno. Tornano indietro. Per che cosa? Ulteriori maltrattamenti. Esistono poi moltissimi casi di donne che, quando alla fine hanno trovato il coraggio, sono davvero fuggite. Forse hanno portato con sé anche i bambini, ma l'uomo è riuscito a trovarle. Poi, senza maltrattamento fisico, le ha convinte a parole a tornare. E i maltrattamenti sono ricominciati. Alcune se ne vanno, ma altre restano. Quando ho iniziato a vedere paralleli tra la mia personale esperienza e queste donne, mi sono riletto i circa 10 punti considerati da Lifton per il suo modello [di "lavaggio del cervello"] e mi sono reso conto che i suoi studi erano basati sui prigionieri di guerra. Non è certamente un segreto, ma quando sono stati impostati i modelli di “controllo mentale” o "lavaggio del cervello" o - come lo volete chiamare - le donne maltrattate non erano considerate soggetto di studio il che, per me, è una differenza importante. Dopo tutto, qual è il prigioniero di guerra che dice di voler tornare indietro? Quale prigioniero di guerra è stato lasciato fuori dalla sua cella, ha avuto il permesso di andare in città a rilassarsi e poi è tornato nella prigione dove veniva maltrattato e torturato? Qui, secondo me, è dove il modello fallisce e dove il modello della donna picchiata o maltrattata ha il sopravvento. Ancora prima di rendermi conto di come la penosa situazione delle donne maltrattate fosse paragonabile alla mia situazione, mi chiedevo spesso perché chi viveva nella Germania Orientale riuscisse ad andare a Berlino a fare acquisti e poi tornasse indietro. Se le condizioni di Berlino Est erano così cattive come ci dicevano all'ovest, come potevano venire di qua, vedere la differenza, comprare le cose che da loro non c'erano e poi tornare indietro? Non faccio questa citazione come un esatto parallelo, ma esistono similitudini. Perché una persona torna ad una condizione peggiore? Non credo che il “controllo mentale” o il "lavaggio del cervello" si adattino a questa situazione più di quanto si adattano alla donna maltrattata, o a me. Un giorno, mentre parlavo di questa idea che avevo avuto, citai il parallelo con la Germania orientale e mi fecero un'eccellente osservazione: «la Germania orientale è la loro casa» mi dissero. «Non si abbandona la propria casa a meno di avere qualche posto migliore dove andare». Questo per me è stato quasi mettere insieme le due cose, e si adattava alla mia situazione. Dove mai può andare una donna maltrattata? Può semplicemente andarsene verso il nulla? Non so. So che quando fuggii dal RPF non avevo nessun posto dove ANDARE, ed è il motivo per cui andai in un motel (c'è un'altra ragione ma è irrilevante per questa riflessione). Nel 1989 quando Stacy [5] ed io riuscimmo a fuggire eravamo nella stessa situazione. Non avevamo un posto dove ANDARE. Sapevamo che la setta aveva nomi, indirizzi e numeri di telefono di ogni singolo nostro familiare o amico. Inoltre la nostra posta era stata controllata e letta per anni, e non ho dubbi sul fatto che l'elenco già esistente si fosse allungato a seguito di quei controlli (la scusa addotta per aprire e leggere tutta la corrispondenza che arriva allo staff delle org è la ricerca di conti fatturati all'org. Sono direttive di Hubbard. Gli staff vengono poi convocati e interrogati sulla posta considerata sospetta). Essendo a conoscenza di questo elenco sapevamo che non potevamo rivolgerci a quelle persone, così semplicemente partimmo e continuammo a guidare. Già una volta ero stato convinto una volta a tornare. Sapevo di doverlo evitare. Dovevo avere tempo e spazio a sufficienza per rimettere insieme le mie facoltà mentali e parare un altro tentativo, se fossero riusciti a trovarci. Questo è anche il motivo per cui credo che i membri di setta siano costretti a fuggire in segreto: temono di poter essere convinti a tornare, o restare. So che cosa significa. Dopo aver iniziato ad applicare il modello della donna picchiata o abusata alla mia situazione ebbi l'involontaria opportunità di testarlo, e non dimenticherò mai quell'esperienza. Nel 1999 ero di nuovo a Vashon Island dove avevo vissuto in precedenza (per chi non lo sapesse, Vashon è un'isola nello stretto di Puget). Vashon è una comunità incredibilmente unica. Quando vivi lì sei un “isolano”, il che ti concede diversi privilegi non detti. Ho impiegato molto tempo per rendermi conto che cosa mi ricordava. È quel che il Vecchio West (degli Stati Uniti) era un tempo. Una persona veniva accettata per ciò che era e diceva, a meno di provare il contrario. Si rispondeva ai locali, non agli estranei. Ecco come vivono gli isolani di Vashon. Sull'isola ci sono due bar, uno di fronte all'altro. Il primo è dove si intrattengono i “ragazzi” e gli estranei, c'è un biliardo e un grande schermo TV per le partite. L'altro è tranquillo, posato, un posto per i “veterani” che si conoscono e sanno tutto quel che accade sull'isola. Anche se sei nuovo del posto appena entri sanno chi sei e molto più di quanto puoi immaginare. È il tipo di posto in cui ti puoi sedere, bere una birra e aggiornarti sui pettegolezzi locali. Qualsiasi visitatore dell'isola che cercasse un posto dove intrattenersi metterebbe dentro la testa e se ne andrebbe per scegliere il bar sull'altro lato della strada, lasciandoci ai nostri ritmi. È anche un posto in cui puoi sedere e, se vuoi essere lasciato in pace, essere lasciato in pace. È un posto così. Andai lì una sera, i soliti “ciao” e cenni con la testa, e forse uno scambio di pacche sulle spalle. «Hei! Dove sei stato?» mi chiese qualcuno. «Oh, un po' in giro» risposi. Una risposta del genere era sufficiente. Se avessi voluto dire di più l'avrei fatto. Nessuno si sarebbe impicciato. Mi accomodai su uno sgabello, ordinai una birra e mi misi a guardare la ESPN. Era l'unica stazione accettabile perché la si poteva guardare senza audio e veniva tenuta senza audio, così chi voleva poteva suonare il juke box. Mi stavo rilassando da circa un quarto d'ora quando una donna mi si sedette accanto. Più per riflesso che per altro mi girai, la guardai e feci un cenno con la testa. Lei fece altrettanto. Poi tornai a guardare la TV. Il barista la salutò in un modo che significava che era del posto. Dopo un paio di minuti disse «Sei quello a cui hanno fatto i picchetti davanti casa, vero?». Mi girai. Stava sorbendo la sua birra. Era sui 45 anni ed era vestita da isolana (nove volte su dieci puoi individuare un isolano dal suo abbigliamento). Era chiaramente del posto, nonostante non l'avessi riconosciuta, cosa abbastanza frequente su quell'isola. «Sì» risposi. «E come va? Lo fanno ancora?» No, risposi, recentemente sono stati tranquilli. Mi disse che pensava fosse terribile il modo in cui erano venuti sull'isola. Non è il modo in cui si comportano gli isolani, aggiunse. Risposi con un'alzata di spalle. Semplicemente non ci arrivano. «Ti ho visto nel programma 'Dateline'» mi disse. Annuii mentre faceva altre osservazioni. Alla fine mi pose la domanda «E allora, quanto tempo sei stato in Scientology?» «Circa 21 anni» risposi. «Accidenti!» era davvero sorpresa. «Se davvero era così brutto come ho sentito dire, come hai potuto restarci tanto?» Eccoci qui, la stessa domanda. Ma stavolta avevo una nuova risposta. «Credo sia come chiedere ad una donna maltrattata perché ha sopportato tanto a lungo quella relazione quando…» Improvvisamente si voltò verso di me e sollevò le mani, uno di quei movimenti che significano “fermo lì” e disse «Non aggiungere altro! Sono appena uscita da un matrimonio abusivo durato 12 anni. So esattamente di che cosa stai parlando» e in quel momento diventammo amici. Avevamo qualcosa in comune. Scambiammo qualche altra parola su com'è che si torna alla ragione e lasciammo perdere l'argomento. A nessuno dei due interessava. Ci eravamo capiti al volo e passammo l'ora seguente a parlare dell'isola, dei Mariners e di altre piacevolezze della vita, finché non pagò la sua birra, scese dallo sgabello, ci stringemmo la mano, mi augurò buona fortuna e mi disse che avrebbe raccontato di noi agli amici. Dopo averla salutata, e nell'anno seguente, ho pensato spesso a quella conversazione e di come avesse immediatamente riconosciuto il problema. Non mi aveva detto da quanto tempo era finito il suo matrimonio, ma doveva essere stato un tempo sufficiente per essersi fatta la stessa domanda che fece a me. Fu un incredibile colpo di fortuna che la prima persona a cui espressi la mia idea fosse una donna fuggita da una relazione abusiva. Avrebbe potuto essere qualcuno che mi interrompeva per dire "Sai? Non ho mai capito nemmeno quello" ma non è stato così. È stata invece una donna che mi ha detto non aggiungere altro, so esattamente di che cosa stai parlando. Le nostre situazioni erano assolutamente diverse, ma erano le stesse. Mi sono poi accorto che per la prima volta avevo un modello che potevo usare nelle situazioni più difficili, e la comprensione si sarebbe basata sul far afferrare all'interlocutore la situazione della donna maltrattata. Con questo modello/analogia potrei andare al programma di “Oprah” e lei capirebbe immediatamente, così come milioni di altre donne che guardano lo show. Non ci sarebbero discussioni su “controllo mentale” o "lavaggio del cervello" e se esistono davvero. Le donne maltrattate esistono, e qualsiasi cosa le trattenga o le riporti indietro semplicemente succede. Il fatto non può essere negato. Ora che ho espresso il mio punto di vista permettetemi di elaborarlo meglio. Credo che questo modello/analogia si estenda molto oltre il controllo di una setta. Penso che lo si possa ritrovare in impieghi in cui ci si sente intrappolati, ma che non si riesce ad abbandonare. La differenza potrebbe essere che il “boss” non cercherà di convincervi a tornare, ma credo che questo modello/analogia vada oltre le semplici sette o le donne abusate. Ma spetta ad altri proseguire questa ricerca. Il mio punto è che non ho in mente la sola Scientology. Il modello ha funzionato per me, nella mia situazione, e credo potrebbe aiutare altri che hanno avuto difficoltà a capire il “controllo” che avvertivano. Per me è stato di aiuto perché ha eliminato “controllo mentale” e "lavaggio del cervello" e mi ha detto che non era qualcosa di mera pertinenza delle sette. E ho compreso – o almeno solidarizzato – con i tormenti delle donne maltrattate. Non mi sono più chiesto perché rimangono, o tornano. Non avevo la risposta, ma la confusione era cessata. Nella mia ultima deposizione di Tampa [6] c'è stato un punto che ha sollevato la questione, non ricordo a che proposito, ma a un certo punto mi è stata fatta una domanda che mi ha spinto a dire di ritenere che la sindrome della donna maltrattata fosse un buon modello per ciò che avevo vissuto. Naturalmente gli scientologisti e i loro legali sono scoppiati a ridere e hanno strenuamente negato. Ma è comprensibile da parte di chi maltratta, no? Nessun marito che maltratta la moglie lo ammette così come non lo ammette nessuna setta abusiva, per le medesime ragioni. Prima di concludere lasciatemi portare un altro paio di paralleli. Nessuna relazione abusiva inizia in quel modo. Infatti se il tizio schiaffeggiasse la donna al primo appuntamento non ve ne sarebbe un secondo. No, la relazione abusiva inizia con dolcezza. Quando leggevo racconti di relazioni abusive questa situazione usciva di continuo, come il tizio fosse così dolce e gentile. No, l'abuso è graduale. Comincia con alcune critiche e quando la donna le accetta allora ne arrivano altre. Quando lei accetta pure quelle, allora l'uomo continua e inizia ad introdurre il controllo. Se lei protesta lui fa un passo indietro finché non è in grado di ristabilire il controllo. Viene chiamato gradiente (ironia del caso, gli scientologisti hanno familiarità con questa parola). La donna arriva ad accettare critiche sempre maggiori e si convince che sta facendo qualcosa di sbagliato. Con l'aumentare di questa convinzione la dolcezza diminuisce fino ad essere sventolata come una carota. In qualche momento durante il procedimento iniziano i maltrattamenti fisici. Se lei è troppo risoluta lui diventa dolce e la conforta e forse addirittura si scusa, riportandola sotto il suo controllo. È questa la chiave. Il CONTROLLO (un'altra parola che gli scientologisti conoscono bene. Hubbard addirittura aveva la sua personale definizione e un procedimento rivolto al controllo). Poi un bel giorno le botte diventano regolari e lei perde auto-stima e dignità. Lasciatemi tracciare un altro parallelo con la mia situazione. In uno dei miei precedenti interventi su ARS [1] ho citato la donna che mi aveva chiesto se c'era qualcosa che, se dettomi mentre ero in Scientology, avrebbe potuto farmi cambiare idea. Nessuno me l'aveva mai chiesto e mi sono accorto che no, non c'era niente che mi avrebbero potuto dire. La stessa cosa accade con le donne maltrattate. Leggo di come poi parlano dei consigli degli amici che insistevano nel dire che il marito/fidanzato le maltrattava e che avrebbero dovuto lasciarlo. Non ricordo nessuna che abbia detto «certo, hai ragione! Adesso lo lascio». No. Al contrario giustificavano i maltrattamenti. Dicevano – di fatto credendoci, fino alla fine – che lui era davvero un tipo a posto, che non era compreso, che ci stava provando, che avrebbero risolto insieme la cosa ecc. ecc. ecc. Sapete chi, alla fine, fa cambiare idea alla donna? Chi abusa di lei. Quelle che fuggono – come Tina Turner – semplicemente un giorno dicono basta, ne ho avuto abbastanza e se ne vanno. Alcune lo fanno prima, altre dopo. Ma fino a quel momento razionalizzano la situazione. Amici e familiari possono forse intervenire, ma non arriveranno al cuore delle situazioni più dure. In quei casi chi abusa è l'unico che può far cambiare idea. Fino a quel momento anche denaro e risorse sono fattori importanti: si continuano a vivere situazioni abusive perché non si hanno soldi e nessun posto dove andare. Forse se la donna maltrattata avesse 100.000 dollari in banca manderebbe a quel paese il marito molto prima. Ma qual è il marito abusivo che permetterebbe alla moglie di tenere una tale cifra tutta per lei? (Non ho ancora sentito di un membro della Sea Org [7] che sia fuggito con ampie risorse personali. Il denaro che si ha quando si entra nell'Organizzazione del Mare – ammesso che esista – viene presto scoperto e si viene convinti a spenderlo tutto nella setta, spazzando via di fatto ogni risorsa). Questi sono i punti su cui bisogna fare ricerca per comprendere il fenomeno e offrire aiuto. Nel frattempo potreste forse chiedervi: ma come è possibile razionalizzare maltrattamenti e percosse? Bella domanda davvero. Se lo studio dei patimenti delle donne maltrattate fosse in fase più avanzata riusciremmo forse a capire meglio. Ogni donna avrà una sua risposta, ma finché non ne avremo maggior comprensione rimane solo il fatto che la cosa esiste, ed esistono inquietanti paralleli tra le donne abusate e i membri di setta. All'inizio io non sono stato “abusato”. Si trattava dello stesso tipo di “love bombing” riscontrabile nelle altre sette. Tutto è meraviglioso e il futuro è luminoso, e questo è il posto giusto dove stare. Poi un giorno c'è una piccola “correzione”. Se si è recalcitranti si viene convinti con parole gentili finché non si capisce e si accetta spontaneamente. La volta successiva si fa riferimento alla precedente («Ricordi come abbiamo fatto bene l'altra volta, quando sei riuscito a capire e hai avuto una grossa vittoria?»), e via di seguito, finché ti ritrovi a lavorare duramente per dodici ore al giorno, guardato a vista, sette giorni la settimana, incapace di parlare con amici e famiglia, il fisico dolorante e sottoposto a costanti interrogatori per confessare i tuoi “crimini”, e tu accetti tutto come passo necessario alla tua “riabilitazione”. E se cerchi di fuggire e ti prendono potranno convincerti con le parole a tornare alla medesima situazione, e ti convincerai che è giusto così, che è giusto trascinare un carico di pietre con 45°C di calore, col sole a picco, per 5 dollari la settimana. Fa tutto parte della tua “riabilitazione”. No, quando mi viene posta la domanda: come sei potuto rimanere per tanto tempo quando sapevi che era abusivo? si tratta di una domanda caricata. Non lo sapevo, non più di quanto non lo sappia una donna maltrattata. Continuavo a dire a me stesso che loro erano davvero a posto, che doveva essere colpa mia, che tutto aveva lo scopo di aiutarmi e che le cose sarebbero migliorate. Tenni quell'atteggiamento anche all'interno del RPF finché un bel giorno scoppiai e decisi di fuggire. Poi a parole mi convinsero a tornare, e io mi convinsi che le cose sarebbero migliorate. Di fatto fecero semplicemente un piccolo passo indietro nel gradiente fino al punto in cui potevo accettare il controllo. C'è un altro punto in cui credo che i modelli di “controllo mentale/lavaggio del cervello" falliscano. Nel controllo settario è cruciale che la persona si senta controllata, e di fatto È “sotto controllo”. E sceglie sempre di restare. E in questo stadio diventa “consenziente”. Ma quanto “consenziente” è la donna maltrattata? Solo perché ha la libertà di guidare fino al supermarket e nessuno la tiene in catene significa che “acconsente” alla sua situazione? Il marito potrebbe certo contestare che non la sta “controllando”, visto che ha quelle libertà. E allora, che COS'È il “consenso”? Potrebbe essere una domanda imbarazzante sia a livello legale che psicologico, ma non credo che siamo pronti a liquidare la donna picchiata dicendo che “acconsente”, vero? Grazie alle videocamere possiamo assistere a programmi come Cops e vedere l'arrivo della polizia in situazioni reali di “disturbo domestico”. Se avete guardato questo programma avrete visto la scena, molto nota, in cui una donna dal naso sanguinante e chiaramente appena malmenata (la polizia è stata chiamata dai vicini che hanno sentito il litigio) se ne sta lì a spiegare e a insistere che la polizia non faccia nulla. Tutto bene, dice, sto bene non è successo nulla. Quando gli agenti le fanno domande sul naso sanguinante o sugli occhi neri lei dirà tutto fuorché la verità, cioè che il marito la stava picchiando. Abbiamo bisogno di ulteriori prove? Ecco lì presente chi – la polizia – potrebbe prendere il marito violento e portarlo dritto in prigione, ponendo fine all'abuso se solo lei parlasse, ma lei rifiuta mentre si sfrega il naso sanguinante o risistema sulle spalle i vestiti strappati, e dice che va tutto bene. Naturalmente la polizia non può intervenire legalmente a meno che lei non sporga denuncia, ma non lo fa. Ora lasciatemi fare un'ammissione straziante. Se il giorno in cui mi trovavo in quel motel cercando di fuggire, quando le guardie di sicurezza erano parcheggiate fuori per assicurarsi che non scomparissi, ci fosse stata la polizia, e se gli agenti mi avessero chiesto se andava tutto bene o se avevo bisogno di aiuto, sapete che cosa avrei detto e fatto? La stessa cosa di quella donna. No è tutto a posto, avrei detto. Mi arrangio. Certo sono sorpreso nel pensarlo e addirittura nel dirlo, ma è la verità. È esattamente ciò che avrei fatto. E volete sapere perché? Perché non volevo mettermi nei guai con la setta. Se riuscite a figurarvi questa situazione, allora passatela agli esperti. Questo è il motivo per cui le persone che sono scappate da una setta – anche se sono nelle mani delle autorità – possono essere convinte a tornare. Non riescono più a dire «aiutatemi», non più di quanto possa dirlo alla polizia la donna che se ne sta lì con il naso sanguinante. Date loro qualche giorno di riposo e il tempo sufficiente per riordinare le idee e forse potranno farlo. Ecco perché quelle prime ore o giorni sono di importanza cruciale. Più le persone stanno lontane da chi le sta opprimendo, più possono riprendersi il loro senso del sé. Questo, naturalmente, fa infuriare chi abusa, che poi rinuncerà e cercherà la prossima vittima. E non pensate che tutte le donne maltrattate siano maltrattate solo fisicamente. L'abuso potrebbe essere meramente verbale con forme di controllo tipo denaro a disposizione, tempo concesso per il riposo, abbigliamento, amici, credenze, tempo libero ecc. (Accidenti, vi suona familiare?). Ora, se a qualcuno interessasse studiare la “sindrome della donna maltrattata” chi studierebbe? Potrebbe sembrare una domanda davvero ridicola, ma tocca l'argomento delle sette. Prima di tutto si dovrebbe decidere se queste donne esistono (potrebbe sembrare una contraddizione, ma portate pazienza). Come si fa a decidere? La risposta ovvia sembrerebbe essere quella di ascoltare i loro racconti. Ma possiamo dar loro credito? Forse si stanno inventando tutto. Quindi ignoriamole, per il momento, e concentriamoci su matrimoni/relazioni chiedendo alle donne: siete abusate? Poi chiediamo agli uomini: state abusando di questa donna? Che tipo di risposta avrete? Procedendo in questo modo si può definitivamente “provare” che non esistono donne abusate perché tutte le donne – comprese quelle con il naso sanguinante – lo negheranno, e così faranno gli uomini. Caso chiuso. Non esistono donne abusate. E questo è esattamente il modo in cui procede Scientology. Dice che chi se ne è andato dichiarando di aver subito abusi è un “apostata” (uno che ha abbandonato la credenza o la causa) e non può essere creduto (Scientology ha addirittura pagato “esperti” per arrivare a questa “conclusione”). Ciò che dovete fare, consigliano, è chiedere agli scientologisti se si sentono abusati. Di fatto potrete addirittura andare a chiedere nel RPF e vi sentirete dire che nessuno si sente abusato (a meno che non troviate qualcuno molto tosto, che verrà prontamente nascosto da qualche parte). Caso chiuso, nessuno è abusato. In altre parole, non possiamo credere a chi ha abbandonato una credenza o una causa (dal matrimonio alla “religione”). E questo è uno dei motivi per cui fino a pochi anni fa non si dava credito alle donne maltrattate. Pensateci. Le donne sono maltrattate da migliaia di anni, ma solo da poco tempo si è finalmente ammesso che avviene e che si dovrebbe fare qualcosa. Quante donne sono andate alla polizia e sono state mandate via, o sono state uccise o distrutte prima che qualcuno iniziasse a dar loro credito? Quante sono semplicemente fuggite e scomparse e hanno ancora troppa vergogna per parlare, preferendo vivere una vita tranquilla in cui possono scegliersi gli amici, avere il loro conto corrente, mangiare ciò che vogliono, scegliersi i vestiti, tenere diari privati e non dover rispondere o cercare nuovamente di giustificarsi? Riuscite a immaginare la gioia di una persona la cui vita era controllata al punto da non poter decidere che cosa dire o credere, in cui anche pensieri e opinioni venivano tenuti sotto controllo, e adesso è tutto finito? Quante donne così esistono? Ora pensate a quante si rivolgono alle autorità o sostengono la causa delle donne maltrattate, sollevando il problema sui media e in tribunale. QUANTE sono? Tre? Cinque? Dieci? E dovremmo credere a queste “apostate”? Quanti ex membri di setta ci sono? Quanti di loro hanno parlato a voce alta? Tre? Cinque? Dieci? Dobbiamo credere a questi “apostati”? Penso che esistano moltissime ragioni per tracciare paralleli tra i due gruppi, non solo per quanto riguarda la loro situazione ma anche a proposito di chi denuncia, e spero che si riesca a sollevare interesse in ambito professionale. Io non sono più “esperto” di paralleli sociologici di quanto lo sia una donna con il naso sanguinante, ma entrambi abbiamo raggiunto un certo livello di comprensione. Altri saggi dell'autore possono essere reperiti presso http://www.freedomofmind.com/groups/scientology/scientology.htm. Note
1. alt.religion.scientology, il newsgroup in lingua inglese dove vengono discusse tematiche relative all'organizzazione.
2. Per approfondimenti si veda: Il sistema interno di "rieducazione" di Scientology, Le mie nove vite in Scientology,
Scientology e la disciplina: l'R. P. F., Il "gulag" di Scientology .
3. Wellspring è un centro di accoglienza che fornisce programmi personalizzati di assistenza, informazione, recupero e rilassamento dopo esperienze traumatiche vissute in situazioni abusive (gruppi settari, traumi psicologici, violenze domestiche, abusi sessuali). Il suo staff, composto da professionisti, aiuta l'individuo a riflettere sulle sue esperienze, a capire come opera l'ambiente abusivo, ad affrontare i disagi emotivi e spirituali derivanti dall'esperienza e a progredire verso vie alternative per una vita soddisfacente e produttiva.
4. Il libro Captive hearts, captive minds: Freedom and recovery from cults and abusive relationships, non disponibile in italiano, è stato scritto da Medeline Landau Tobias e Jania Lalich nel 1994, Alameda, Calif.: Hunter House.
5. Stacy Brooks, ex moglie dell'autore dell'articolo. Scientologista per 15 anni, ha ricoperto incarichi di grande responsabilità in alcune branche della Chiesa di Scientology tra cui Guardian's Office, Author Service Inc. (ASI) - come responsabile della pubblicazione di diverse riviste del gruppo – e Ufficio degli Affari Speciali (OSA), maturando una perfetta conoscenza del modus operandi della dirigenza. Ha lavorato alla Golden Base di Hemet, a diretto contatto con l'attuale dirigente di Scientology, David Miscavige. Attualmente si occupa, tra le altre cose, di collaborazione con assistenti d'uscita. Per approfondimenti si veda: “Scientology, deprogrammazione e propaganda nera”.
6. L'autore si riferisce ad uno dei procedimenti legali in corso in Florida per il caso di Lisa Mc Pherson, la scientologista morta nel 1995 dopo aver passato i suoi ultimi 17 giorni di vita in cura presso “La Mecca della Tecnologia di Scientology. Per approfondimenti si veda il capitolo
"Suicidi e decessi" .
7. Elite di Scientology. I membri della Sea Org, struttura paramilitare, firmano contratti da un miliardo di anni e generalmente vivono all'interno di comunità del gruppo, lontani dalla famiglia e da amici non scientologisti. Credo siano le maggiori vittime dell'organizzazione.
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