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L'organizzazione di Scientology ed i suoi fini

L'illustre giurista Francesco Finocchiaro commenta la sentenza del Tribunale di Milano del 2 luglio 1991.

Tratto da: Il diritto ecclesiastico, 1991, Parte II, pagg. 459-462.

Ricerca e trascrizione a cura di Floridi L., note a cura di Martini.

 
La sentenza sopra riportata (1) presenta l'originalità di essere stata redatta da tutto il collegio, fra i cui componenti è stata suddivisa la stesura del lungo testo, che, nell'originale dattiloscritto, occupa complessivamente 406 pagine. Né era possibile fare diversamente, volendo rispettare tempi brevi per il deposito, avvenuto il 26 luglio 1991, ventiquattro giorni dopo la pronuncia.

La sentenza ha deciso, in primo grado, un processo che ha visto coinvolti settantaquattro tra rappresentanti e operatori dell'organizzazione di Scientology per quarantacinque capi di imputazione.

In proposito, cfr. la requisitoria Trib. Milano (Proc. della Repubblica), 13 luglio 1988, Segalla e altri impp., in questa Rivista, 1988, II, 590 e segg. (2), la quale aveva richiesto il rinvio a giudizio del consistente gruppo non solo per i singoli reati ascritti agli imputati, ma anche per il delitto di associazione per delinquere.

La sentenza annotata non manca di destare dubbi e perplessità.

Essa, nelle considerazioni generali, che precedono l'esame dei vari capi di imputazione, ha ritenuto di dover prendere posizione su alcune questioni di fondo. In particolare, sull'uso di un apparecchio denominato E-Meter, sui sistemi di proselitismo adottati dall'organizzazione e sul concorso dei rappresentanti di essa nei reati imputati agli operatori.

Il tribunale ha ritenuto che l'uso dell'E-Meter rientrerebbe fra i principi ideologici di Scientology, come tale insindacabile in sede giurisdizionale, che i sistemi di proselitismo adottati dall'organizzazione sarebbero censurabili solo sotto il profilo morale, e che i reati in questione sarebbero degenerazioni, di cui i capi dell'associazione potrebbero rispondere solo se avessero concorso materialmente o moralmente alla commissione di essi, laddove, semmai, sarebbero stati solo conniventi.

Ma, collegando quest'ultima posizione, espressa dalla terza massima, all'accertamento risultante dalla seconda, il criterio seguito dal tribunale induce alle perplessità cui abbiamo accennato.

Infatti, quando i "sistemi" praticati da un'organizzazione per raccogliere adesioni sono quelli descritti nella seconda massima; quando una delle regole dell'azione è quella di "lucrare il più possibile e a ogni costo" è difficile pensare che i dirigenti e i rappresentanti dell'associazione non rispondano degli atti compiuti dagli operatori. Se costoro agiscono in un determinato modo, l'azione non deriva da un'iniziativa esclusivamente personale, ma è il frutto di una cooperazione, degli operatori con i dirigenti, in quanto i primi agiscono applicando i "sistemi" imposti dai secondi, il cui concorso morale con l'attività dei singoli adepti non può essere escluso. La "degenerazione" dell'agire degli adepti, infatti, è inevitabile, nel quadro di un'organizzazione che ha il fine, sopra accennato, secondo il quale occorre massimizzare i profitti "a ogni costo". Ossia anche a costo di commettere reati, confidando nell'impunità.

La sentenza, perciò, quanto all'assoluzione di presidenti e vicepresidenti, sembra travagliata da una contraddizione logica.

Riguardo al delitto di associazione a delinquere, contestato a tutti gli imputati nel 42° capo d'accusa, la sentenza ha ritenuto di doverlo escludere, considerando che essi avevano commesso singoli reati, che andavano dall'estorsione alla circonvenzione di incapace, dalla truffa ai maltrattamenti in famiglia, ma non v'era la prova di un previo accordo per commettere più delitti.

È noto che la giurisprudenza è guardinga nel riconoscere la sussistenza del reato de qua, occorrendo la prova della volontà dell'agente di entrare a far parte dell'organizzazione, per apportare il suo contributo alla realizzazione di un comune scopo criminoso diretto alla commissione di più reati (cfr. Cass. pen. 13 giugno 1989, in Riv. pen., 1990, 768). Ma è anche vero che l'associazione per delinquere sussiste anche quando sia stata costituita successivamente alla commissione di singoli reati in semplice concorso, al fine di rendere durevole un'attività dimostratasi agevole e proficua (cfr. Cass. pen. 17 marzo 1989, in Riv. pen., 1990, 281).

Nella specie, l'imputazione riguardante il reato associativo era frutto di una considerazione ex post; del fatto che a una settantina di persone, tutte facenti parte della stessa organizzazione, erano stati contestati una quarantina di delitti contro il patrimonio, contro la famiglia e contro la pubblica amministrazione, commessi in vari luoghi. Un complesso di comportamenti devianti, risultante dai fatti denunciati, attribuito a un numero notevole di persone identificate e ad altre rimaste ignote. Dato l'alto numero dei reati conosciuti e degli imputati, il complesso dei fatti devianti all'accusa non sembrava casuale, bensì come l'attuazione di una qualche volontà programmatica, riguardante una serie indeterminata di comportamenti di tale tipo. Certo non era facile dimostrare che ognuno degli imputati, pur commettendo uno o più reati, condividesse un programma criminoso, ma quanto ai dirigenti dell'organizzazione, una qualche volontà programmatica potevano ben averla, laddove, secondo la sentenza, sarebbero stati, oltre che abulici nei confronti della commissione dei singoli reati, sordi, ciechi e muti, come le tre famose scimmiette, nei confronti dell'attività riprensibile materialmente svolta dagli operatori.

In verità, al tribunale è sfuggito che l'organizzazione di Scientology, come altre, lungi dal poter essere qualificata una "Chiesa", giacché non ha un fine di religione o di culto, bensì quello di far conseguire agli aderenti uno stato di benessere psico-fisico, in base a tariffe, talora parecchio care, è, in definitiva, una macchina per far soldi. Si tratta di una realtà affiorata anche in inchieste giornalistiche e messa ben in risalto nelle ricerche sulle c.d. nuove religioni.

In proposito, cfr., per es., l'ampio servizio di R. Behar, The Thriving Cult of Greed and Power, in Time, n. 18 del 1991, 52 e segg. (3). Sul fondatore di Scientology, cfr. R. MIller, Bare faced Messiah. The true story of L.R. Hubard, New York, 1987 (4). Arricchirsi, secondo una morale di tipo calvinista, può sembrare un segno della benevolenza divina, ma quando l'arricchimento avviene "a ogni costo", quando importa anche la violazione della legge penale, il giudice non può dire che i sistemi diretti a conseguire il fine sono criticabili solo sotto il profilo etico. Sono, invece, sistemi che importano la responsabilità penale di quei dirigenti i quali esigono il conseguimento del fine anche a rischio della commissione di reati.

Si tratterà, come sosteneva il p.m., di responsabilità a titolo di dolo eventuale, ma la responsabilità dei dirigenti non può essere esclusa dalle considerazioni formulate dalla sentenza annotata.

Nel caso in esame, non sembra che vi sia stata connivenza - non punibile - fra dirigenti e operatori, ma concorso morale - punibile -, perché il comportamento diretto a ottenere l'anzidetta massimizzazione dei profitti ha certamente rafforzato il proposito degli adepti di conseguire il fine con ogni mezzo e, perciò, anche violando l'ordine giuridico. Inoltre, il mancato rimborso di quanto le persone offese chiedevano in restituzione sembra confermare a posteriori che l'organizzazione, non avendo remore nel far propri i proventi illecitamente ottenuti, abbia programmaticamente condiviso l'atteggiamento antigiuridico dei suoi operatori.

La qualifica di confessione religiosa all'organizzazione di Scientology è stata negata in Spagna dal Tribunale Supremo, sez. I, 25 giugno 1990, n. 11208, in questa Rivista, 1990, II, 288 e segg., con mia nota di commento.

Quanto al fatto che, in numerosi casi, i "nuovi culti" sono vere e proprie "money-making operations", cfr. T.W. KEISER-J.L. KEISER, The Anatomy of Illusion. Religious Cults and Destructive Persuasion, Springfield, 1987, 92 e segg., i quali, nel caso di Scientology, ricordano che, attraverso tali "operazioni", L. R. Hubbard poteva avere in banca un conto personale di cento milioni di dollari e l'organizzazione poteva disporre di un patrimonio di oltre cento milioni di dollari.

Ma, secondo la sentenza, l'organizzazione di Scientology, ai fini tributari, sarebbe "ente non commerciale", perseguendo fini quanto meno culturali, consistenti nella vendita dei libri del fondatore e nella prestazione di servizi (auditing e purification) agli associati. La legge, infatti, esclude che la cessione di beni o di servizi ai soci di un ente religioso o culturale sia soggetta a imposizione fiscale (art. 20, 1° comma, d.P.R. n. 598 del 1973, modificato dall'art. 2 del d.P.R. n. 954 del 1982 per l'IRPEG; art. 4, 4° e 5° comma, d.P.R.n. 633 del 1972, integrato dall'art. 1 del d.P.R. n. 954 del 1972 per l'IVA), ma uno dei modi evasivi per rientrare in tale previsione di legge è quello di far passare per associato chiunque acquisti libri o diventi utente dei servizi, un sistema che l'organizzazione scientologica non avrà mancato di usare. Francesco Finocchiaro


Note:

1. Si veda: Tribunale di Milano - Sentenza del 2 luglio 1991 (estratti) - prima parte e seconda parte.

2. Si veda: Chiesto il rinvio a giudizio: la requisitoria del Pubblico Ministero (prima parte) e seconda parte.

3. Si veda l'articolo tradotto in italiano: Scientology: la florida setta dell'avidità e del potere .

4. Il libro è stato da me interamente tradotto in italiano, ed è consultabile qui: Il Volto Nudo del Messia: La Vera Storia di L. Ron Hubbard.

 
 
 
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