Tratto da: Il diritto ecclesiastico, 1991, Parte II, pagg. 419 e ss.. Se vuoi avere la versione integrale del documento (file Acrobat, 800 kb. ca.), scrivimi.
Ricerca e trascrizione a cura di Floridi L.
Gli imputati sono chiamati a rispondere del reato di circonvenzione di incapace in danno di Z.B.. Sulla parte lesa non è stata eseguita alcuna perizia psichiatrica per accertare le sue condizioni psichiche. L'ipotesi accusatoria individua la causa dello stato di deficienza psichica in «un forte esaurimento psico-fisico in stato di gravidanza ... e stato di dipendenza terapeutica». Per quanto riguarda la presunta dipendenza terapeutica della Z. si è già detto nel paragrafo dedicato alle «Considerazioni generali» che non può essere considerato causa di deficienza psichica. Ma nel caso in esame addirittura non sussiste, perché la Z. ha compiuto l'atto di disposizione patrimoniale del versamento di L. 5.000.000 all'inizio del rapporto con l'organizzazione e l'atto di rinuncia al rimborso della somma stessa, alla fine del rapporto (durato circa un anno), ma durante il quale non aveva frequentato alcun corso, perché ogni volta che si presentava per l'inizio di un corso non veniva ammessa, in quanto ammetteva di assumere medicinali, che gli operatori consideravano incompatibili con i corsi stessi. Ne consegue che al momento del fatto la Z. non poteva trovarsi in stato di «dipendenza terapeutica». Per quanto riguarda il presunto stato di «esaurimento psico-fisico dovuto alla gravidanza» si osserva che la Z. ha solo riferito di un «momento molto problematico nella sua vita familiare e personale»; e che il Ti. ha spiegato che la stessa «viveva una crisi matrimoniale«, ma continuava ad insegnare presso una scuola ed appariva una persona del tutto normale. Non vi sono, pertanto, elementi per ritenere una deficienza psichica della Z.. Conseguentemente, manca un elemento necessario per la configurazione del delitto di circonvenzione di incapace. Passando ad esaminare se il fatto in esame possa essere qualificato come truffa, il Tribunale osserva che tra le condotte contestate agli imputati unicamente quella di non avere detto preventivamente alla parte lesa la necessità che ella sospendesse l'assunzione di qualsiasi medicinale prima di dare inizio alle sedute terapeutiche può essere considerata un artifizio o raggiro. Ma tale condotta è ascritta soltanto ad «operatori non identificati». Pertanto gli imputati devono essere assolti dal reato di truffa, così modificata l'originaria imputazione, per non avere commesso il fatto.
Gli imputati sono chiamati a rispondere, nella loro rispettiva qualità di presidente o vicepresidente dell'organizzazione denominata Hubbard Dianetics Institute di Torino e della c.d. Chiesa di Scientology di Milano, del delitto di circonvenzione di incapace in danno di U.P.F., in concorso con operatori non identificati. Sulla parte lesa non è stata eseguita alcuna perizia psichiatrica per accertare le sue condizioni psichiche. Tuttavia, delle dichiarazioni rese dalla U.P. al G.I. il 26 maggio 1986 risulta che la stessa è stata in «analisi» per circa sei anni e che dallo stesso test praticato presso la sede di Dianetica di Torino era emersa, una «situazione psicologia piuttosto problematica». La stessa facilità con cui la parte lesa versava all'organizzazione somme cospicue per corsi e servizi, senza un preciso programma, induce a ritenere che la stessa fosse affetta da deficienza psichica e facilmente circonvenibile. Nel caso concreto l'opera di circonvenzione è stata posta in essere da operatori non identificati, così come contestato nel capo d'imputazione. Essendo gli attuali imputati chiamati a rispondere di tali fatti soltanto nella loro qualità di presidenti o vicepresidenti e richiamate le argomentazioni svolte nel paragrafo dedicato alle «Considerazioni generali», gli stessi devono essere assolti per non avere commesso il fatto.
Gli imputati sono chiamati a rispondere del delitto di circonvenzione di incapace in danno al P.U., minore degli anni 18. Il Tribunale ritiene che tale reato non sussista, dato che il P. è nato (omissis) ed ha avuto i primi contatti con «Dianetica» (della quale faceva già parte il fratello D.) nel novembre del 1984, come risulta dall'esposto di P.M. datato 15 dicembre 1986 e dalla deposizione di P.A. resa in dibattimento il 10 ottobre 1989. Pertanto, al momento dei fatti mancava solamente, un mese al raggiungimento della maggiore età della parte lesa, la quale (in assenza di prova contraria) deve essere ritenuta sufficientemente matura. D'altra parte delle deposizioni rese dal P.A. al G.I. il 13 marzo 1987 ed in dibattimento non è emersa alcuna anomalia psichica della parte lesa. Né la malattia mentale della madre o il carattere autoritario del padre possono far ritenere una deficienza psichica del figlio. Pertanto, gli imputati devono essere assolti perché il fatto non sussiste.
Gli imputati sono chiamati a rispondere del reato di circonvenzione di incapace in danno di M.R.. Sulla parte lesa non è stata eseguita alcuna perizia psichiatrica per accertare le sue condizioni psichiche. Tuttavia, dalla certificazione medica rilasciata dal Prof. (omissis) (che aveva in cura il M. dal 1983) e dalla deposizione dallo stesso resa il 26 febbraio 1988, al G.I. ed il 21 novembre 1989 in dibattimento risulta che il M. era affetto da «sindrome dissociativa ciclica e recidivante ... All'epoca M. appariva con una marcata riduzione dei poteri critici, perdita del contatto con la realtà». Tale diagnosi si riferiva al dicembre 1986. Dalle deposizioni resa il 19 maggio 1987 al G.I. ed il 10 ottobre 1989 davanti a questo Tribunale da M.G., fratello della parte lesa, risulta che quest'ultima aveva parlato con i fratelli Cr. della sua infermità psichica, anche se uno dei due Cr. viene erroneamente indicato come (omissis) anziché (omissis). Ma non vi può essere dubbio che si tratti di Cr.Gi., dato che lo stesso ha ammesso di avere avuto contatti con M.R. nell'ambito della Chiesa di Scientology. Dalla denuncia presentata da M.G. il 20 gennaio 1987 risultava che i fratelli Cr., con la lusinghiera promessa che avrebbe trovato le cure idonee ai disturbi depressivi che lo affliggevano e avrebbe conseguito la completa guarigione, hanno indotto M.R. a versare la somma di L. 8.466.000 per un ciclo di sedute terapeutiche (c.d. Training Processing + Pacco Speciale). Ciò avveniva nel settembre 1986, epoca di poco precedente a quella a cui si riferisce la sopra citata certificazione medica, dalla quale si deduce che lo stato di deficienza psichica del M. era manifesto. In tal modo i Cr. hanno abusato dell'infermità psichica della parte lesa, rendendosi responsabili del reato oggetto dell'imputazione in esame, limitatamente alla somma di L. 8.466.000, in quanto la maggiore somma di L. 74.000.000 è stata carpita a M.R. da altri operatori di Scientology non identificati presso le sedi di Milano e Cormano, dove il M. si era recato per sottoporsi ad «auditing» dietro indicazione dei Cr.; e non vi è prova certa che i due imputati abbiano indotto il M. ad effettuare tali ulteriori versamenti. Né si può ritenere che i Cr. potessero essere in buona fede, non essendo possibile ritenere che gli imputati fossero certi della guarigione del M.. Pertanto, i due Cr. devono essere ritenuti responsabili del delitto in esame, limitatamente alla somma sopra indicata. Per quanto riguarda il Fa., il Tribunale osserva che lo stesso è chiamato a rispondere del reato soltanto nella sua qualità di responsabile della c.d. Chiesa di Scientology di Bergamo; e, quindi, richiamate le argomentazioni svolte nel paragrafo dedicato alle «Considerazioni generali», egli deve essere assolto per non avere commesso il fatto. Poiché il delitto è stato commesso dai due fratelli Cr. senza il concorso di altri operatori, deve essere logicamente esclusa la circostanza aggravante di cui all'art. 112, n. l, c.p.. Inoltre, deve essere esclusa la circostanza aggravante di cui all'art. 112, n. 3 c.p., perché i Cr. non avevano alcuna autorità, direzione o vigilanza su altre persone, e comunque non hanno determinato alcun'altra persona a commettere il reato. Anche la circostanza aggravante di cui all'art. 61, n. 7, c.p. deve essere esclusa, perché un danno di L. 8.466.000 non può essere ritenuto «di rilevante gravità». Non può essere ritenuta sussistente neppure la circostanza aggravante di cui all'art. 61, n. 8, c.p. in relazione ad un preteso peggioramento delle condizioni di salute fisica e psichica della parte lesa, perché tale peggioramento non ha nulla a che fare con le conseguenze del reato di circonvenzione di incapace e potrebbe eventualmente integrare gli estremi di autonomo reato di lesioni personali, che non è stato contestato e non può formare oggetto del giudizio di questo Tribunale. Non ricorre neppure la circostanza aggravante di cui all'art. 61, n. 1, c.p., perché gli imputati non hanno commesso il fatto con abuso di relazione di prestazione d'opera, dato che al momento del fatto non sussisteva un tale rapporto tra gli imputati e la parte lesa.
Sulla parte lesa non è stata eseguita alcuna perizia psichiatrica per accertare le sue condizioni psichiche. Tuttavia, lo stesso soggetto passivo del reato ha dichiarato che i medici gli avevano diagnosticato una «sindrome dissociativa» e che era stato per tale infermità ricoverato più volte presso la «Nuova Astanteria Martini di Torino», dal 1979 in poi (vedi denuncia 21 maggio 1986 e dep. resa al G.I. il 9 ottobre 1986). Ma non vi è prova che gli imputati abbiano abusato di tale stato d'infermità psichica del M., per indurlo ad acquistare ore di «auditing». Infatti, la parte lesa conosceva già l'associazione, avendo già frequentato «Dianetica», dove si era iscritto ad un corso di «purification» nel 1981; e spontaneamente era ritornata in Dianetica nel 1985, «essendomi rimasta l'impressione che facesse al caso mio» (vedi dep. resa al G.I. il 9 ottobre 1986). Pertanto, gli imputati non hanno svolto alcuna attività diretta a convincere la parte lesa all'acquisto di ore di «auditing»; e quindi non si può ritenere che essi abbiano in qualche modo abusato dell'infermità psichica della stessa per indurla a compiere atti dannosi, che altrimenti non avrebbe compiuto. Ne consegue che tutti gli imputati devono essere assolti, perché il fatto non sussiste.
Originariamente il fatto illecito ascritto agli imputati era stato configurato come circonvenzione di incapace, ma a seguito della perizia psichiatrica eseguita sulla parte lesa D.A. - che aveva escluso la deficienza psichica del soggetto -, il G.I., con l'ordinanza di rinvio a giudizio, ha modificato la qualificazione del reato, contestando il delitto di truffa aggravata. I primi tre imputati sono chiamati a rispondere nella loro qualità di responsabili della Chiesa di Scientology di Bergamo e di Milano: per loro, pertanto, valgono le considerazioni generali più volte richiamate. Anche in relazione alle condotte specifiche addebitate ad ignoti operatori (induzioni del D. a credere che i corsi e le sedute praticati presso l'organizzazione avrebbero migliorato le sue condizioni di salute) vengono richiamiate le argomentazioni trattate nella parte generale riguardo alla esclusione della valenza artificiosa o di raggiro di siffatte condotte ed alla astratta impossibilità di escludere che i metodi ed i trattamenti utilizzati della Chiesa di Scientology fossero oggettivamente inidonee a conseguire gli scopi dichiarati. Quanto alla condotta contestata allo Sm. (induzione della parte lesa a comunicare tutto all'auditor) il Tribunale ritiene che non possa essere considerata né artifizio né raggiro, dato che ciò rientra nel normale svolgimento dell'auditing. Quanto alla condotta contestata al Pa. di avere indotto il D. a credere che l'associazione disponesse «di una macchina con la quale prevedere eventuali malattie future» non è chiaro di quale macchina il Pa. abbia parlato, anche perché in nessun altro caso risulta che sia stata menzionata una macchina del genere; sicché non si può escludere che il D. abbia frainteso affermazioni relative all'E-Meter. Inoltre, non risulta quale rilievo abbia avuto nella determinazione del D. di chiedere un prestito di L. 27.000.000 ai propri genitori la prospettazione del possesso di detta macchina da parte dell'associazione. Infine, si deve rilevare che il D. ha dichiarato ai periti di essere stato soddisfatto dai trattamenti ricevuti presso Scientology; ciò fa escludere che la parte lesa sia rimasta delusa nelle sue aspettative. Pertanto, tutti gli imputati devono essere assolti dall'imputazione in esame perché il fatto non sussiste.
La Be. è chiamata a rispondere nella sua qualità di responsabile della c.d. Chiesa di Scientology di Modena del delitto di circonvenzione di incapace in danno di M.G.. Sulla parte lesa non è stata espletata alcuna perizia psichiatrica. Dalla deposizione del Dott. (omissis) resa al G.I. il 16 febbraio 1988 e dalla relazione in data 8 aprile 1988 dallo stesso invitata al G.I. risulta che il M. soffriva di psicosi paranoide con delirio persecutorio. Tuttavia, né da tali prove né delle deposizioni della parte lesa e dello zio, M. R., risulta se tale stato di deficienza psichica fosse riconoscibile «ictu oculi». Mancando la riconoscibilità dell'infermità psichica della parte lesa, non è configurabile il delitto di circonvenzione di incapace; e, quindi l'imputata deve essere assolta perché il fatto non sussiste.
La Be. è chiamata a rispondere nella sua qualità di responsabile della c.d. Chiesa di Scientology di Modena del delitto di circonvenzione di incapace in danno di G.L. Sulla parte lesa non è stata espletata alcuna perizia psichiatrica. I disturbi alla tiroide lamentati dalla parte lesa non possono essere ritenuti una infermità psichica e neppure possono dar luogo ad una deficienza psichica. Ne consegue che non è configurabile il delitto di circonvenzione di incapace. D'altra parte non è possibile ravvisare nei fatti in esame il delitto di truffa, dato che non è stato contestato agli imputati alcun artifizio o raggiro. Pertanto, l'imputata deve essere assolta perché il fatto non sussiste.
Gli imputati sono chiamati a rispondere nella loro qualità di responsabili della c.d. Chiesa di Scientology di Brescia dei delitti di circonvenzione di incapace e di violenza privata in danno di G.A.. La perizia psichiatrica espletata sulla parte lesa ha accertato che la stessa era «sofferente di infermità psichica tale da renderla circonvenibile..... L'infermità era riconoscibile dalle persone incaricate dei trattamenti». Tuttavia, nei fatti contestati agli imputati non può ravvisarsi alcun abuso dell'infermità della G., anche perché la stessa non ha affermato con sicurezza di essere stata indotta a firmare un foglio in bianco e, comunque, non è stato rinvenuto in sede di perquisizione e sequestro alcun foglio firmato in bianco dalla G., né risulta che alcun foglio firmato in bianco dalla G. sia mai stato utilizzato dagli imputati o da altri per loro. Per quanto riguarda il delitto di violenza privata risulta provato, dalle deposizioni rese dalla G. al G.I. il 2 aprile 1987 e davanti a questo Tribunale il 6 settembre 1989, che la stessa fu costretta mediante violenza fisica (trascinata per le braccia) contro la sua volontà a sostenere un esame conclusivo di un corso. Ma la G. non ha saputo indicare la persona autrice di tale azione. Pertanto tutti gli imputati devono essere assolti dall'imputazione di circonvenzione di incapace perché il fatto non sussiste e da quella di violenza privata per non aver commesso il fatto.
Gli imputati devono rispondere di circonvenzione di incapace in danno di F.R.P. e di truffa in danno di F.M., padre di R.P.. Dalla perizia psichiatrica espletata sulla persona di F.R.P. risulta che lo stesso era affetto «certamente da deficienza psichica, tale da renderlo circonvenibile. ... Il quadro psicopatologico era riconoscibile da coloro che lo hanno avuto in trattamento». Dalla denuncia presentata il 9 dicembre 1986 e dalla deposizione resa il 14 aprile 1987 al G.I. ed il 3 aprile 1991 davanti a questo Tribunale risulta che il Pa. esercitò insistenti pressioni su F. per indurlo a versare la somma di L. 45.275.000 al fine di partecipare ad una serie di corsi e di L. 5.200.000 per l'acquisto dell'E-Meter. L'avere ottenuto tali versamenti in seguitò a prolungate pressioni compiute su persona affetta da deficienza psichica integra gli estremi dell'abuso previsto dall'art. 643 c.p.. Né si può ritenere che il Pa. fosse di buona fede, dato che non ha esitato a mettere all'incasso l'assegno consegnatogli da F.R.P. nonostante l'accordo di «trattenerlo presso di sé». Pertanto il Pa. deve essere ritenuto colpevole del delitto di circonvenzione di incapace in danno di F.R.P.. Passando all'esame delle circostanze aggravanti, il Tribunale osserva che quella prevista dall'art. 112, n. 3, c.p. è stata contestata soltanto al Da. e alla Pa. e non anche al Pa., che è l'unico ritenuto colpevole. Ricorre certamente la circostanza aggravante di cui all'art. 61, n. 7, c.p., perché un danno di L. 50.475.000 deve essere ritenuto di rilevante gravità. Ricorre, inoltre, la circostanza aggravante di cui all'art. 61, n. 11, c.p., perché il Pa. ha commesso il reato abusando del rapporto di fiducia sorto tra lui e la parte lesa, che frequentava dei corsi presso la sede di Scientology di cui il Pa. era un operatore addetto alle vendite. Per quanto, invece, riguarda il delitto di truffa in danno di F. M., il Tribunale osserva che le condotte contestate al Pa. (prospettazione di miglioramenti delle condizioni psicofisiche del figlio e del pericolo che, in caso di mancato pagamento, il Pa. sarebbe stato espulso dall'organizzazione) non integrano alcun artifizio o raggiro; e, quindi, manca un elemento costitutivo, del delitto di truffa. Pertanto, il Pa. deve essere assolto da tale imputazione perché il fatto non sussiste. Gli imputati Da. e Pa., chiamati a rispondere del reato solo per la loro qualità di responsabili della c.d. Chiesa di Scientology, devono essere assolti dall'imputazione di circonvenzione di incapace, per non avere commesso il fatto in considerazione delle argomentazioni svolte nel paragrafo dedicato alle «Considerazioni generali»; e dall'imputazione di truffa, perché il fatto non sussiste.
Gli imputati devono rispondere di circonvenzione di incapace in danno di B.M.. Sulla parte lesa non è stata espletata alcuna perizia psichiatrica per accertare le sue condizioni psichiche. Dalla documentazione medica in atti ed in particolare dalla cartella clinica relativa al ricovero ospedaliero risalente all'epoca in cui la parte lesa aveva 14 anni risulta che la stessa era affetta da sindrome epilettica. Ma, da tale sindrome non può essere desunta alcuna deficienza psichica del soggetto in mancanza di altri elementi che possano giustificare tale conclusione. Non essendo provata la deficienza psichica della parte lesa non è configurabile il delitto di circonvenzione di incapace. Si deve ora esaminare se nei fatti oggetto dell'imputazione in esame possano essere ravvisati gli estremi del delitto di truffa. Dalle deposizioni rese da B.M. al G.I. il 18 febbraio 1988 ed a questo Tribunale il 12 ottobre 1989 risulta che Pa.Ma., insistendo per molte ore (dalle ore 19 alle ore 2,30) ha indotto il B. a versare la somma di L. 34.000.000 per l'acquisto di «un pacco di 20 intensivi di auditing», anche con la prospettazione della probabile individuazione delle cause dell'epilessia che affliggeva la parte lesa. Tale prospettazione (espressamente menzionata nel capo d'imputazione) costituisce artifizio ai sensi dell'art. 640 c.p., data l'assoluta impossibilità della sua realizzazione. Pertanto, il Pa. deve essere ritenuto responsabile di tale reato. Detto reato rientra tra quelli per i quali è stata concessa amnistia con D.P.R. 12 aprile 1990, n. 75 ai sensi dell'art. 151 c.p., l'amnistia estingue il reato; e, quindi, deve essere dichiarato non doversi procedere nei confronti del Pa., perché il reato si estinto per intervenuta amnistia. Invece, gli imputati Da. e Pa., tenuto conto delle considerazioni svolte nel paragrafo dedicato alle «Considerazioni generali», devono essere assolti dall'imputazione di truffa, così modificata l'originaria imputazione, per non avere commesso il fatto.
Gli imputati devono rispondere di circonvenzione di incapace in danno di S.F.. Dalla perizia psichiatrica espletata sulla persona della parte lesa risulta che all'epoca dei fatti la stessa era affetta «da deficienza psichica tale da renderlo circonvenibile. ... La deficienza psichica poteva essere percepita dalle persone incaricate dei trattamenti». Nei confronti della parte lesa sono state poste in essere condotte quali il sottoporlo a martellamento psicologico, sia con ripetute telefonate sia di persona con insistenti proposte protratte per varie ore, durante le quali veniva impedito al S. di allontanarsi (vedi dep. resa al G.I. il 25 maggio 1987 ed a questo Tribunale 1'11 dicembre 1989). Tuttavia, la parte lesa non ha saputo precisare quali persone abbiano posto in essere tali condotte. Per le argomentazioni svolte nel paragrafo dedicato alle «Considerazioni generali» i presidenti e i vicepresidenti della c.d. Chiesa di Scientology non possono essere ritenuti responsabili delle condotte poste in essere dagli operatori della chiesa. E, pertanto, gli imputati Da. e Pa., chiamati a rispondere dei fatti oggetto dell'imputazione solamente nella detta qualità, devono essere assolti, per non avere commesso il fatto.
Dalla denuncia presentata da N.R. il 14 luglio 1984 ed il 14 novembre 1984 e dalle deposizioni rese dalla stessa al G.I. il 3 giugno 1986 e davanti a questo Tribunale 1'11 dicembre 1989, risulta che Po.Ce. e Gu.Ch., avendo ospitato F.M. a Carenno nella casa del Po.; per oltre una settimana, lo avevano sottoposto a maltrattamenti, percuotendolo ripetutamente e gettandogli secchi d'acqua addosso con il pretesto che questo fosse l'unico modo per «vincere la sua natura», e coinvolgendo in tale condotta anche il padre, F.L.. Risulta, inoltre, che in epoca immediatamente successiva, dopo che F.M. era scappato da Carenno, gli imputati si sono «installati» presso l'abitazione dei genitori di F.M. (il Po. solo di giorno ed il Gu. anche di notte), inducendo gli stessi a respingere il loro figlio (che pur voleva ritornare a casa dei genitori), asserendo che questo era un comportamento necessario nei confronti di un soggetto «antisociale e pericoloso». Tale comportamento degli imputati si è protratto per circa due anni. Quanto sopra può ritenersi provato, essendo stato più volte ribadito con precisione e coerenza dalla madre di F.M.. In tale condotta complessiva il Tribunale ravvisa gli estremi del reato di cui all'art. 572 c.p.. La ripetitività dei maltrattamenti fisici e morali (allontanamento da casa) integrano sul piano oggettivo l'abitualità necessaria per la configurazione del reato in esame; e rendono evidente sul piano soggettivo l'esistenza del dolo del reato di maltrattamenti. Inoltre, dalla perizia psichiatrica espletata su F.M. risulta che lo stesso «all'epoca dei fatti era affetto da infermità di mente tale da renderlo circonvenibile» e «versava in stato di minorata difesa». L'infermità era riconoscibile. L'avere allontanato dall'abitazione dei genitori una persona che versava nello stato di incapacità descritto dalla perizia integra il reato di cui all'art. 591 c.p.. Di entrambi tali reati gli imputati devono rispondere ai sensi dell'art. 48 c.p. per avere determinato i genitori di F.M. a tenere le condotte sopra descritte e per avere essi stessi materialmente contribuito a commettere i reati. Poiché gli imputati sono due, deve essere logicamente esclusa la circostanza aggravante di cui all'art. 112, n. 1, c.p.. Deve pure essere esclusa la circostanza aggravante di cui all'art. 61, n. 4, c.p., dato che nel caso in esame non sono state inflitte alla persona offesa dal reato sofferenze particolarmente gravi rispetto alla normale condotta integratrice del reato. Inoltre, deve essere esclusa la circostanza aggravante di cui all'art. 61, n. 5, c.p., perché l'infermità psichica della parte lesa non ha reso più facile la consumazione del reato di cui all'art. 572 c.p. Invece, ricorre la circostanza aggravante prevista dall'art. 591, ultimo comma, c.p., dato che gli imputati hanno concorso con i genitori di F.M. a commettere il reato in danno di quest'ultimo. Pertanto, il Po. deve essere ritenuto colpevole del reato continuato di cui agli artt. 81, cpv., 572 e 591, comma 1° e 2°, c.p.. Invece, per quanto riguarda il Gu., il Tribunale osserva che dal certificato rilasciato dal Comune di Bressanone il 12 aprile 1990 ed acquisito all'udienza del 30 maggio 1990, risulta che lo stesso è deceduto il 9 giugno 1989, nel comune di Arquata Scrivia (AL); e, quindi, deve essere dichiarato non doversi procedere, perché il reato continuato si è estinto per morte dell'imputato.
Dalle denunce e dalle deposizioni testimoniali delle parti lese Z.G., S.P., A.G., A.V.,D'A.F.F., J.F., M.E., Di S.M. e S. M. risulta che gli stessi, in cerca di lavoro, erano stati indirizzati a Copenaghen da operatori della Chiesa di Scientology non identificati; e, giunti a Copenaghen, erano stati assoggettati a ritmi di lavoro e di studio intensi, con retribuzione irrisoria, cibo scarso e sistemati in alloggi disagiati. Le parti lese hanno descritto la loro vita presso la sede di Scientology di Copenaghen con dovizia di particolari, descrivendo una situazione che può essere ritenuta integrare gli estremi del reato previsto dall'art. 572 c.p. Tuttavia, dalle denunce e dalle deposizioni delle parti lese risulta che autori di tale reato sono operatori della sede di Copenaghen della Chiesa di Scientology. Peraltro, anche le persone che in Italia hanno indirizzato a Copenaghen le attuali parti lese non sono gli attuali imputati, ma operatori non identificati della Chiesa di Scientology. Gli attuali imputati sono chiamati a rispondere del reato solamente nella loro qualità di presidenti o vicepresidenti della Chiesa di Scientology di Milano. Già si è detto nel paragrafo dedicato alle «Considerazioni generali» che non può ravvisarsi una responsabilità penale a titolo di concorso dei Presidenti e dei Vicepresidenti per eventuali condotte penalmente illecite poste in essere da altri facenti parte dell'organizzazione, qualora non vi sia la prova che essi abbiano materialmente partecipato a tali illeciti o in qualche modo abbiano concorso moralmente alla loro commissione. Tale considerazione è sufficiente per assolvere gli imputati per non avere commesso il fatto. Si deve, inoltre, aggiungere che non vi è alcuna prova che gli ignoti operatori (e tanto mento gli attuali imputati) che hanno indirizzato a Copenaghen le parti lese conoscessero il trattamento al quale, ivi sarebbero state sottoposte. E, quindi, anche sotto tale profilo gli imputati devono essere assolti.
Il Tribunale osserva, anzitutto, che solamente gli imputati Ce. e No. hanno avuto rapporti diretti con la parte lesa D'A.U.. Dalla deposizione resa dalla parte lesa al G.I. l'11 dicembre 1985 e davanti a questo Tribunale il 17 ottobre 1989 risulta che il Ce. è intervenuto solamente nella fase iniziale della vendita dei corsi; che il D'A. era già intenzionato ad iscriversi all'Organizzazione ed a frequentare i corsi di «auditing e purification»; che il Ce. ha richiesto il pagamento anticipato dei detti corsi; e che il No. ha ricevuto il pagamento dei corsi. In tale condotta non si ravvisano gli estremi della truffa, non essendo stato posto in essere alcun artifizio o raggiro, e non essendo stata la parte lesa indotta in errore. Potrebbe essere considerata condotta truffaldina quella di negare che il D'A. avesse conseguito lo stato di «clear» al fine di indurlo ad acquistare ulteriori corsi e poi riconoscere che lo stesso aveva già conseguito tale stato, prima di effettuare i nuovi corsi. Ma dalle deposizioni della parte lesa sopra citate risulta che la denunciata condotta non era stata tenuta dagli attuali imputati, ma da operatori non identificati. Già si è detto nel paragrafo dedicato alle «Considerazioni generali» che non può ravvisarsi una responsabilità penale a titolo di concorso dei Presidenti e dei Vicepresidenti per eventuali condotte penalmente illecite poste in essere da altri facenti parte dell'organizzazione, qualora non vi sia la prova che essi abbiano materialmente partecipato a tali illeciti o in qualche modo abbiano concorso moralmente alla loro commissione. Ne consegue che tutti gli imputati devono essere assolti dal reato in esame per non avere commesso il fatto.
Capo 31° . - Imputati: Ci.Co., Tr.Gr., Ma.Lu., Av.Ma., Ba.Mo., Tu.Be., Da.Ma., Pa.Is., Pa.Pi., Pa.Ma., Ri.Ni., Ca.Fl. e Sm.Re. (31). Nelle condotte specificamente contestate ai vari operatori (Pa.Pi., Pa.Ma., Ri.Ni., Ca.Fl. e Sm.Re.) non si ravvisano gli estremi del delitto di truffa. Infatti, è vero che D.F.D. ha versato somme consistenti di danaro alla Chiesa di Scientology come corrispettivo di numerose ore di «auditing» al fine di «rimettere a posto il figlio» F., che presentava problemi psicologici (vedi dep. resa dal D.F. al G.I. il 24 maggio 1986 e davanti a questo Tribunale il 3 aprile 1991); ma è anche vero che il D.F. si è determinato liberamente ad effettuare tali versamenti, senza essere indotto in errore con artifizi e raggiri dagli operatori della Chiesa di Scientology. Infatti, l'assicurare e ribadire la bontà delle tecniche praticate dall'Istituto di Dianetica non costituisce artifizio, come già è stato chiarito nel paragrafo dedicato alle «Considerazioni generali». L'unica condotta specificamente contestata come artifizio è quella di aver falsamente fatto credere al D.F. che le spese del viaggio del figlio a Copenaghen sarebbero state assunte dall'organizzazione, mentre le dette spese venivano sostenute con le somme spettanti al D.F. a titolo di provvigioni e, quindi, di fatto venivano a gravare sullo stesso. Risulta, però, dalla deposizione resa al G.I. dalla parte lesa il 24 maggio 1986, che in realtà gli operatori della Chiesa di Scientology avevano chiaramente spiegato al D.F. che le spese del viaggio a Copenaghen sarebbero state sostenute con le somme a lui spettanti a titolo di provvigioni. Comunque, il Tribunale rileva che la spesa del viaggio appare irrisoria rispetto al contenuto economico del contratto per il quale il D.F. ha pagato complessivamente circa 160.000.000. Conseguentemente, non è stato posto in essere alcun artifizio o raggiro; ed il D.F. non è stato indotto in errore. Pertanto, tutti gli imputati devono essere assolti, perché il fatto non sussiste.
Già si è detto nel paragrafo dedicato alle «Considerazioni generali» che l'attività dei Centri Narconon non può essere ritenuta illecita in via generale. Ne consegue che gli imputati Za.Gi., Ca.Fe., Ca.Al., Me.Ca. e Fi.Me. non possono essere ritenuti responsabili del reato di truffa per il solo fatto di aver svolto un qualunque ruolo nell'ambito della «Lega Nazionale per la Civiltà Libera dalla Droga» e della «Futura» S.r.l. o per essersi lo Za. adoperato «per trovare un posto libero presso una qualche comunità Narconon» al figlio del M., dopo avere convinto quest'ultimo a sborsare 1.400.000 lire mensili per sei mesi. Né si può ravvisare una condotta truffaldina nel fatto, che tale Us. ed altri operatori non identificati abbiano fatto acquistare al M. un corso di accademia per L. 13.000.000, dopo due mesi dall'inizio del programma Narconon, perché il soggetto agente non ha posto in essere alcun artifizio o raggiro per indurre in errore il M. e convincerlo all'acquisto. Quanto alle condotte ascritte agli esponenti della Chiesa di Scientology il Tribunale osserva che il comportamento attribuito al No. di aver promesso a M.P. che uno «staff» avrebbe costantemente assistito il figlio durante il periodo di permanenza a Milano per la frequentazione di un corso di «auditing» (senza poi mantenere tale promessa) potrebbe essere ritenuto un artifizio posto in essere per indurre M.P. a prestare il suo consenso. Tuttavia, dalle dichiarazioni del M. non risulta l'esatto tenore delle promesse formulategli dal No., sicché resta spazio per la tesi difensiva del No., che sostiene di avere assicurato assistenza al figlio del M. soltanto in relazione ai momenti in cui il ragazzo si fosse trovato all'interno dell'organizzazione; tanto più che M.P. ben sapeva che il figlio, durante la permanenza a Milano, avrebbe alloggiato presso un albergo. Quanto al comportamento ascritto al Ri.. di avere artificiosamente dichiarato «clear» il figlio del M., il Tribunale osserva che dalle deposizioni del M. non risulta che sia stato il Ri. a dichiarare «clear» il figlio. E, comunque, il M. ha dichiarato che il figlio era stato dichiarato «clear» dopo che egli aveva effettuato il pagamento del corso di «auditing»; e, quindi, tale dichiarazione di «clear» non può essere considerata un artifizio per indurre il M. ad iscrivere il figlio a tale ulteriore corso. Pertanto, tutti gli imputati devono essere assolti, perché il fatto non sussiste.
Nelle, condotte addebitate agli imputati non si ravvisa alcun artifizio o raggiro, né la parte lesa B.A. (madre del tossicodipendente G.M.) è stata indotta in alcun modo in errore. Infatti, l'avete assicurato alla B. elevate (70%) possibilità di recupero del figlio tossicodipendente non può essere considerato un artifizio, tanto più che era stato fatto presente che le possibilità del successo del programma Narconon dipendevano «anche da come il ragazzo avrebbe reagito». Invece, l'avere garantito che, con i metodi applicati presso la Chiesa di Scientology di Milano, il figlio «avrebbe certamente superato ogni problema» può essere considerato un artifizio idoneo a far credere alla parte lesa che la partecipazione del figlio ai corsi di Scientology avrebbe avuto un esito sicuramente favorevole. Ma tale ultima condotta è addebitata ad operatori non identificati della Chiesa di Scientology. Per le argomentazioni già svolte nel paragrafo dedicato alle «Considerazioni generali» di tali condotte non possono essere chiamati a rispondere i responsabili della «lega Nazionale per la Civiltà Libera dalla Droga» e della «Futura S.r.l.» ed i presidenti e vicepresidenti della Chiesa di Scientology, che, conseguentemente, devono essere assolti dall'imputazione in esame, per non aver commesso il fatto.
Gli imputati sono chiamati a rispondere del delitto di truffa in danno di M.D.. Quest'ultimo nella denuncia del 27 maggio 1986 e nelle deposizioni rese al G.I. l'8 ottobre 1986 e davanti a questo Tribunale il 17 ottobre 1989 ha riferito che il Ri. ed il Co., agli inizi del mese di marzo 1984, si erano recati a casa sua, su suo invito, e gli avevano proposto l'acquisto di 200 ore di «auditing», per la figlia M.T. al prezzo di. L. 23.000.000, assicurandogli che la ragazza, affetta da infermità mentale (depressione reattiva: vedi perizia psichiatrici) e già in cura da due anni da mio psicologo, sarebbe completamente guarita grazie a quei corsi; e che in caso di insuccesso il danaro sarebbe stato restituito, come previsto in una clausola stampata sul retro della quietanza. Il Tribunale ritiene che la promessa di sicura guarigione costituisca un artifizio, tenuto conto che tutti gli imputati hanno concordemente sostenuto che Scientology è una religione, le cui pratiche non possono avere finalità terapeutiche. Un ulteriore artifizio è costituito dalla clausola che prevedeva il rimborso in caso di insuccesso, tanto più che tale clausola era scritta solamente sulla copia della quietanza rimasta in possesso del Ri. e non anche su quella consegnata al M.. Pertanto, il Ri. deve essere ritenuto colpevole del delitto in esame. Per quanto, invece, riguarda il Co., il Tribunale ritiene che manchi l'elemento soggettivo del reato (dolo), dato che egli sembra essersi occupato di questo caso, in buona fede e solamente a titolo di amicizia nei confronti di un parente della parte lesa, non faceva parte dello staff e non svolgeva opera di proselitismo. L'ulteriore condotta a lui attribuita di avere consigliato al M. di ritirare la denuncia contro l'associazione con l'artificio di affermare che era pronto l'assegno di L. 38.000.000 a titolo di restituzione non può essere ritenuta condotta truffaldina, dato che il Co. si è limitato a riferire al M. quanto gli era stato detto da Scientology; e, comunque, l'affermazione relativa all'assegno di L. 38.000.000 fu poi effettivamente consegnato al M.. Pertanto, il Co. deve essere assolto dall'imputazione in esame, perché il fatto non costituisce reato. Per quanto riguarda gli imputati No. e Sm., il Tribunale osserva che nelle condotte agli stessi ascritte, non può essere ravvisato alcun artifizio o raggiro. Per quanto, infine riguarda gli imputati Av., Tr., Ba. e Tu., chiamati a rispondere del reato nella loro qualità di presidenti o vicepresidenti, si richiamano le argomentazione svolte nel paragrafo dedicato alle «Considerazioni generali». E, quindi, gli imputati No., Sm., Av., Tr., Ba. e Tu. devono essere assolti dall'imputazione in esame, per non avere commesso il fatto. Per quanto riguarda il reato di truffa di cui il Ri. viene riconosciuto colpevole, il Tribunale osserva che rientra tra quelli per i quali è stata concessa amnistia con D.P.R. 12 aprile 1990, n. 75. Ai sensi dell'art. 151 c.p., l'amnistia estingue il reato; e, quindi, deve essere dichiarato non doversi procedere nei confronti dell'imputato, perché il reato si è estinto per intervenuta amnistia.
Gli imputati sono chiamati a rispondere dei delitti di truffa ed estorsione in danno di B.L., B.L. e B.E.. Dalle deposizioni rese al G.I. il 10 aprile 1986 e a questo Tribunale il 6 dicembre 1989 da B.L. ed il 9 gennaio 1991 da B.E. che Ri. e No. si erano recati presso l'abitazione di B.E. ed avevano garantito che il fratello di quest'ultima, B.M., tossicodipendente, in tre mesi di partecipazione ai corsi della Chiesa di Scientology «non solo sarebbe uscito dalla droga ma avrebbe potuto addirittura mandare avanti l'azienda» paterna; avevano pure garantito che, ove il figlio non si fosse recato puntualmente presso la sede dell'organizzazione a seguire le sedute terapeutiche, essi avrebbero immediatamente avvertito la famiglia ed iniziarono ricerche anche a mezzo della polizia; ed avevano precisato che il costo dell'intera cura della durata di tre mesi sarebbe stato di L. 21.000.000. Dopo il versamento di tale somma (avvenuto il 22 maggio 1984), trascorsi tre o quattro giorni dall'inizio dei corsi gli stessi Ri. e No. si erano recati presso il negozio dei B. ed avevano convinto la sorella e la madre di B.M. a versare l'ulteriore somma di L. 12.000.000 al fine di fare frequentare al ragazzo anche un corso di accademia «teso ad insegnargli a curare a sua volta altre persone per fare loro del bene». Tali condotte possono essere considerate come artifici idonei ad indurre in errore i B., prospettando come certa una guarigione che era obiettivamente da ritenere improbabile. Inoltre, proporre, dopo soli tre o quattro giorni, l'utilità di frequentare un corso «teso ad insegnargli a curare a sua volta altre persone per fare loro del bene» appare un ulteriore artificio diretto ad indurre in errore i familiari di B.M., dovendosi ritenere impossibile che un giovane, che già incontrava difficoltà ad uscire dalla tossicodipendenza, potesse subito iniziare un corso avente la finalità di fare del bene agli altri. Pertanto, gli imputati Ri. e No. devono essere ritenuti responsabili del reato di truffa. Mentre Ba. e Tr. devono essere assolti, per non avere commesso il fatto. Tale reato rientra tra quelli per i quali è stata concessa amnistia con D.P.R. 12 aprile 1990, n. 75. Ai sensi dell'art. 151 c.p., l'amnistia estingue il reato; e, quindi, deve essere dichiarato non doversi procedere nei confronti dei detti imputati, perché il reato si è estinto per intervenuta amnistia. Per quanto riguarda il reato di estorsione ascritto al Ri. e ad operatori non identificati, il Tribunale osserva che dalle deposizioni sopra citate risulta che la relativa condotta è stata posta in essere soltanto da operatori non identificati, in quanto il Ri. si è limitato a presentare la B. a tale Nadia per il ritiro dei moduli di richiesta del rimborso delle somme versate per dei corsi che B.M. non aveva potuto frequentare, perché deceduto in seguito ad un incidente stradale. Pertanto, il Ri. deve essere assolto da tale imputazione, per non avere commesso il fatto. Con la stessa formula devono essere assolti gli altri imputati per i motivi già indicati nel paragrafo dedicato alle «Considerazioni generali».
Gli imputati sono chiamati a rispondere del delitto di truffa in danno di D.M.G. Dalla deposizione resa dalla parte lesa il 18 maggio 1987 al G.I. ed a questo Tribunale il 9 gennaio 1991 risulta che tale An.Se. (non meglio identificato) ed altro ignoto operatore avevano assicurato al D.M. che con i corsi praticati presso la Chiesa di Scientology il figlio L. (tossicodipendente) «certamente ... avrebbe potuto recuperarsi in soli due o quattro mesi al massimo» senza neppure bisogno di recarsi al Narconon di Castelmadama. Tali condotte possono essere considerate come artifici idonei ad indurre in errore il D.M., prospettando come certo un recupero, che era obiettivamente da ritenere improbabile; e, quindi, ricorrono gli estremi del reato di truffa. Tuttavia di tali condotte non possono essere ritenuti responsabili gli attuali imputati, che non risulta che abbiano contribuito in alcun modo alla commissione del reato. Conseguentemente tutti gli imputati devono essere assolti, per non avere commesso il fatto.
Gli imputati sono chiamati a rispondere del delitto di truffa in danno di T.L. e B.E., rispettivamente madre e sorella di B.E., all'epoca dei fatti tossicodipendente. Dalle deposizioni rese dalle parti lese (la T. il 26 maggio 1987 al G.I. e di cui è stata data lettura all'udienza 18 dicembre 1990; la B. al G.I. il 26 maggio 1987 ed al Tribunale il 17 ottobre 1989) risulta che No.Ma., dopo che B.E. aveva già svolto un programma di recupero dalla tossicodipendenza presso il centro Narconon di Ronago, aveva convinto la T. ad acquistare un corso di auditing del costo di L. 20.000.000, assicurando al cento per cento che, grazie a questo servizio, il B. «avrebbe risolto per sempre i suoi problemi di droga». Stante tale prospettazione, sia la madre sia la sorella del B. si erano indotte ad assumersi l'onere dei costi, versando alla Chiesa di Scientology la somma di L. 20.000.000. Lo stesso No. ha ammesso di aver formulato una simile assicurazione (int. al G.I. 17 giugno 1988 e confermato in Tribunale). Tale condotta (contestata nel capo di imputazione unitamente ad altre, nelle quali, invece, non è ravvisabile un estremo di raggiro capace di determinare in maniera non aderente alla realtà la volontà delle parti lese) può essere considerata come artificio idoneo ad indurre in errore le parti lese, garantendo come certo un recupero, che era obiettivamente da ritenere improbabile, e la cui possibilità di realizzazione, dipendendo da motivazioni soggettive e personali; era molto variabile da caso a caso e non doveva, comunque, essere promessa in termini assoluti. L'assolutezza e la non plausibilità di tale garanzia escludono la buona fede del No.. Ricorrono, quindi, gli estremi del reato di truffa; tale reato rientra tra quelli per i quali è stata concessa amnistia con D.P.R. 12 aprile 1990, n. 75. Ai sensi dell'art. 151 c.p., l'amnistia estingue il reato; e, quindi, deve essere dichiarato non doversi procedere nei confronti del No., perché il reato si è estinto per intervenuta amnistia. Quanto agli altri imputati, a cui il reato è addebitato nella loro qualità di presidenti o responsabili della Chiesa di Scientology, della Lega Nazionale per la Civiltà Libera dalla Droga e Futura s.r.l. o dei Centri Narconon, valendo le argomentazioni esposte nel paragrafo delle «Considerazioni generali», gli stessi vengono assolti per non aver commesso il fatto.
Gli imputati sono chiamati a rispondere del delitto di truffa in danno di C.P. e C.G. Dalla deposizione resa dalla parte lesa C.P. il 14 ottobre 1987 al G.I. ed a questo Tribunale il 27 novembre 1989 risulta che, in epoca imprecisata, un gruppo di ragazzi di un Centro Narconon si era recato presso la casa dei C. ed aveva spiegato che il loro figlio R., da tempo tossicodipendente, «sarebbe certamente uscito dalla droga ed inoltre avrebbe potuto anche studiare» se avesse svolto il programma proposta dal detto Centro. Alla luce di tale assicurazione i coniugi C. acconsentivano a pagare L. 1.400.000 al mese per la permanenza del figlio presso il Centro Narconon di Civitella di Romagna. Tali condotte possono essere considerate come artifici idonei ad indurre in errore i C., prospettando come certo un recupero, che era obiettivamente da ritenere improbabile; e, quindi, ricorrono gli estremi del reato di truffa. Tuttavia di tali condotte non possono essere ritenuti responsabili gli attuali imputati. Infatti, è vero che la C. ha indicato tra i vari ragazzi che si erano recati a casa sua per vendere il programma Narconon in particolare Pa.Ma.; tuttavia, da un lato la sua deposizione è piuttosto imprecisa per quanto riguarda la collocazione temporale del fatto in esame ed il ruolo svolto nell'episodio dal Pa.; dall'altro lato, il Pa. ha affermato (al G.I. il 17 giugno 1988 ed in dibattimento) di essersi limitato a vendere a C.R. solamente dei corsi da lui espressamente richiesti, dopo che lo stesso aveva già seguito tutto il programma Narconon ed aveva già fatto sedute di «auditing». Inoltre, il Pa. ha espressamente escluso di essersi mai recato presso l'abitazione dei C.. Non è, perciò possibile affermare con certezza, che il Pa. abbia collaborato all'opera di convinzione dei coniugi C. per indurIi a ricoverare il loro figlio presso il Centro Narconon. Per quanto riguarda gli altri imputati, ai quali non sono stati addebitati fatti specifici, valgono le argomentazioni già svolte nel paragrafo dedicato alle «considerazioni generali», anche in relazione alle ulteriori condotte contestate nel capo d'imputazione ad altri operatori non identificati, che pur realizzano, ad avviso del Tribunale, il reato di truffa (in particolare l'avere affermato che la frequenza degli ulteriori corsi presso la Chiesa di Scientology avrebbe consentito a C.R. l'acquisizione di cultura e possibilità pari a quelle di una persona laureata, tanto da potere anche giungere a forti guadagni). Conseguentemente tutti gli imputati devono essere assolti, per non avere commesso il fatto.
Gli imputati sono chiamati a rispondere del delitto di truffa aggravata in danno di familiari di tossicodipendenti ricoverati presso i vari Centri Narconon, solamente nella loro qualità di «persone ricoprenti ruoli di responsabilità in una o più delle seguenti organizzazioni: Lega Nazionale per la Civiltà Libera dalla Droga; Società Futura S.r.l.; Centri Narconon di Ronago, Castelnuovo Bormida, Prazzo, Villafranca d'Asti, Pallare, Conco, Ghirano di Prata, Scarlino, Castelmadama, Raviscanina». Ai detti imputati non è stata contestata alcuna condotta specifica, ma solamente quella di avere impartito direttive circa i metodi da utilizzare per l'attuazione dei programmi di Ron Hubbard per il recupero dei tossicodipendenti, con le medesime modalità descritte nelle parti comuni dei capi d'imputazione di truffa relativi ai Centri Narconon. Nel paragrafo dedicato alle «Considerazioni generali» si è già detto che non è provato che alcuni dei comportamenti descritti nei capi d'imputazione come metodi di attuazione, dei programmi di Hubbard fossero in realtà uniformemente adottati e fossero, quindi, frutto delle direttive impartite dai responsabili (la creazione di un rapporto di dipendenza psicologica nel tossicodipendente, l'assenza di controlli per prevenire l'assunzione di sostanze stupefacenti, la garanzia e la promessa di un sicuro recupero, ecc.). Così pure si è evidenziato che alcuni comportamenti ascritti agli imputati non rivestono le caratteristiche del delitto di truffa perché non sono artifici o raggiri idonei a determinare in modo erroneo la volontà delle parti lese (avere presentato le strutture Narconon, Lega, e Futura come enti senza fine di lucro). Ora si deve aggiungere che un artificio idoneo a configurare il delitto di truffa si potrebbe ravvisare nella condotta, contestata agli imputati, di aver dato direttive agli operatori affinché garantissero la certezza o l'elevata probabilità di un totale recupero del tossicodipendente. Tuttavia, diversi testimoni e parti lese hanno escluso che al momento dell'ingresso del loro familiare od amico tossicodipendente in un Centro Narconon fosse stato loro garantito un sicuro recupero (G.B., P.D., P.A., S.G., C.R., C.A., R.R. e R.A.). Ciò dimostra che, anche se qualche volta è accaduto che siano state date assicurazioni in tal senso da parte di un operatore, ciò è avvenuto per iniziativa individuale dello stesso operatore e non perché trattavasi di una condotta generalizzata e suggerita da disposizioni impartite dai responsabili dei Centri Narconon. Pertanto, gli imputati devono essere assolti dall'imputazione in esame, perché il fatto non sussiste. (Omissis).
Il presente capo d'imputazione si riferisce ai reati previsti dall'art. 1, comma l°, 2° e 4° e dall'art. 4, n. 7, della legge n. 516/82. Preliminare ad ogni altra indagine è stabilire se gli enti di cui gli imputati erano legali rappresentanti fossero soggetti passivi delle imposte sul reddito delle persone giuridiche e sul valore aggiunto. L'art. 2 del D.P.R. n. 598/73 indica i soggetti passivi dell'IRPEG ed in particolare alla lettera c) individua la categoria degli «enti pubblici e privati ... non aventi per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali». L'ultimo comma dell'art. 2 del citato D.P.R, stabilisce che «si considerano commerciali le attività indicate nell'art. 51 del D.P.R. n. 597/73» (e cioè l'attività di cui all'art. 2195 del c.c.) e che «l'oggetto esclusivo o principale dell'ente è determinato in base all'atto costitutivo, se esistente in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata, e in mancanza in base all'attività effettivamente esercitata». Nel caso di specie lo statuto - così come modificato con deliberazione assembleare del 1 luglio 1982 formalizzata con atto pubblico davanti al Notaio - dell'Hubbard Dianetics Institute - prevede che «L'Associazione ha come scopo di sostenere e propagandare i principi filosofici di Scientology intesa come l'organizzazione di assiomi e tecnologie funzionali, nella tradizione, delle scienze esatte, per la soluzione dei problemi fondamentali dell'esistenza e del pensiero e per il conseguimento della libertà dello spirito umano ... La tecnologia di Scientology è un insieme di verità e di metodi di applicazione sviluppati da L. Ron Hubbard dalle sue osservazioni e ricerche, e quando correttamente applicate sono in grado di rilevare la natura spirituale dell'uomo, di renderlo consapevole della sua conoscenza dell'Essere Supremo e di rendere conosciuto ciò che di Dio è conoscibile ... L'Associazione si fonda inoltre sui seguenti scopi generali: A) l'organizzazione di un'entità o congregazione religiosa per promuovere, proteggere, amministrare ed incoraggiare lo sviluppo della religione di Scientology ed i suoi scopi. B) La pubblicazione e distribuzione di opere letterarie religiose ed altri mezzi che siano utili per diffondere e promuovere Scientology, anche fra non soci. C) La formazione di centri culturali religiosi. D) La cura delle esigenze spirituali dei fedeli e dei membri dell'associazione attraverso riti individuali e collettivi. L'Associazione, inoltre, riconoscendo come guida il seguente Credo, ha come oggetto di renderlo conosciuto ed applicato a tutta l'Umanità... " (art. 3). Osserva il Tribunale che l'oggetto principale dell'ente in esame non può, quindi, qualificarsi come attività rientrante tra quelle elencate nell'art. 2195 c.c.: l'ente deve, pertanto, qualificarsi come «ente non commerciale». Per tale categoria di enti, il titolo In del decreto in materia di IRPEG prevede un'apposita disciplina impositiva. In particolare, l'art. 20, 1° comma, del citato D.P.R. come modificato dall'art. 2 del D.P.R. n. 954/82, stabilisce che i proventi derivanti da attività commerciale, pur se svolta da enti non commerciali, costituiscono componenti positive del reddito imponibile. Tuttavia il 2° comma precisa che non si considerano svolte nell'esercizio di un'attività commerciale le cessioni di beni e le prestazioni di servizi ai soci, associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici o di contributi supplementari ... «effettuate in conformità alle finalità istituzionali da associazioni ... religiose, assistenziali, culturali o sportive». La stessa disciplina è prevista in materia di IVA al 4° e 5° comma dell'art. 4 del D.P.R. n. 633/72, come integrato dall'art. 1 del D.P.R. n. 954/82. Nel caso di specie, il Dianetics Institute e la Chiesa di Scientology, in base allo statuto sopra parzialmente riportato, possono essere qualificati come associazioni se non religiose, quanto meno culturali; l'attività posta in essere dai predetti consisteva essenzialmente nella: cessione di libri al pubblico, cessione di pubblicazioni di Ron Hubbard e prestazioni di servizi (auditing e purification) ad associati e partecipanti. Queste attività appaiono volte alla realizzazione delle finalità istituzionali dichiarate nello statuto dell'ente, tendendo alla diffusione ed applicazione del pensiero di Hubbard: come tali esse non contribuiscono a formare il reddito imponibile dell'associazione. Per quanto riguarda in particolare la vendita di libri al pubblico, osserva il Tribunale che il 3° comma dell'art. 20 D.P.R. n. 598/73 ed il 5° comma dell'art. 4 D.P.R. n. 633/72 escludono che la cessione di pubblicazioni delle associazioni politiche, religiose, assistenziali, culturali (e le altre specificamente elencate) effettuate «prevalentemente ai propri associati» costituisca attività commerciale. Dalle emergenze processuali è risultato che la vendita dei libri di Hubbard era prevalentemente rivolta agli associati e non al pubblico: conseguentemente anche i proventi di tale attività sono esenti da imposizione fiscale. Per tutte le considerazioni sopra esposte, non essendo i proventi dell'attività posta in essere dai due istituti soggetti ad imposizione fiscale e non essendovi, quindi, operazioni imponibili da dichiarare, gli imputati vengono assolti dal reato continuato loro contestato perché il fatto non sussiste.
L'imputato è chiamato a rispondere del reato in esame, per avere, nella sua qualità di presidente della Chiesa di Scientology di Milano, utilizzato, annotandola nel registro previsto dall'art. 25 del D.P.R. n. 633/72, la fattura n. 1741 del 10 ottobre 1986, emessa dalla Chiesa di Scientology di Bergamo per un ammontare complessivo di L. 100.000.000, che l'accusa ha ritenuta relativa ad una operazione commerciale inesistente. Gli imputati ed i difensori hanno sostenuto che la detta fattura aveva per oggetto una vendita effettiva di libri da parte della Chiesa di Scientology di Bergamo a favore di quella di Milano. A riguardo il Tribunale osserva che, come si è detto trattando del capo d'imputazione n. 40, il III comma dell'art. 20 del D.P.R. n. 498/73 ed il V comma dell'art. 4 del D.P.R. n. 633/72 escludono che la cessione di pubblicazioni delle associazioni politiche, religiose, assistenziali, culturali (e le altre specificamente elencate) effettuate «prevalentemente ai propri associati» costituisca attività commerciale. Si è anche detto che, i proventi dell'attività posta in essere dalla Chiesa di Scientology non sono soggetti ad imposizione fiscale. Ne consegue che, nel caso in esame, non è neppure astrattamente configurabile l'utilizzazione di fatture relative ad operazioni inesistenti al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto. Pertanto, l'imputato deve essere assolto dall'imputazione in esame, perché il fatto non sussiste.
Osserva anzitutto il Tribunale che sono chiamati a rispondere di tale reato solamente le persone che hanno in concreto posto in essere attività ritenute delittuose dal P.M. e dal G.I. e le persone che si sono trovate a ricoprire cariche difettive nella Chiesa di Scientology o nei Centri Narconon nei periodi in cui sono state poste in essere le dette attività delittuose. Invece, non figurano tra gli imputati gli altri operatori della Chiesa di Scientology o dei Narconon e tanto meno i semplici adepti della Chiesa. Ne consegue che, nella tesi accusatoria, l'associazione per delinquere non va individuata nell'organizzazione della Chiesa di Scientology o dei Centri Narconon, bensì in una nuova organizzazione distinta dalla due sopra indicate, anche se composta da persone alle stesse appartenenti. Quindi, anche secondo l'accusa non è illecita l'attuazione delle direttive di Hubbard bensì le deviazioni che talvolta si sono verificate in concreto. Per la configurazione di un'associazione per delinquere è necessario che tre o più persone si associno per commettere più delitti. Nel caso in esame non vi è alcun elemento che possa far ritenere l'esistenza di un accordo tra gli imputati per commettere più delitti, dato che dall'esame dei singoli reati fin qui fatto risulta evidente che non vi è stato mai alcun accordo per commettere delitti, ma si è trattato di singoli casi di deviazione dalla condotta prevista nelle direttive di Hubbard, ad opera di singoli operatori della Chiesa di Scientology o dei Centri Narconon, che, agendo in tal modo, si ponevano in contrasto non soltanto con la legge penale, ma addirittura con le stesse direttive di Hubbard. Già si è detto nel paragrafo dedicato alle «Considerazioni generali» che non può essere ravvisata una responsabilità dei presidenti o vicepresidenti a titolo di dolo eventuale per avere accettato il rischio che i singoli operatori nell'attuare le direttive di Hubbard potessero spingersi fino a violare la legge penale. Infatti, è evidente che i presidenti ed i vicepresidenti ed in genere i responsabili di un'associazione non possono essere ritenuti responsabili della degenerazione della condotta delle persone che operano per l'associazione stessa, degenerazione che come tale è frutto dell'iniziativa individuale. A maggior ragione non può essere ravvisata tale forma di responsabilità nel delitto di associazione per delinquere, nel quale è necessario un preciso accordo avente per oggetto la commissione di una serie di delitti; accordo che è cosa ben diversa dall'accettazione del rischio che altri, nell'esecuzione di un'attività normalmente lecita, possano commettere reati. Pertanto, tutti gli imputati devono essere assolti dall'imputazione in esame, perché il fatto non sussiste. (Omissis).
Gli imputati sono chiamati a rispondere del reato di cui all'art. 348 c.p. per l'esercizio abusivo della professione medica e di farmacista. La condotta loro ascritta attiene a giudizi diagnostici e prognostici che avrebbero rilasciato, a prescrizioni di terapie, a effettuazione di sedute di natura terapeutica ed alla cessione di prodotti farmaceutici: attività svolte nell'ambito della Chiesa di Scientology e dei Centri Narconon. La contestazione non comprende l'esercizio abusivo della professione di psicologo (sulla cui liceità si sono soffermati nella discussione vari difensori degli imputati), dato che all'epoca dei fatti non era prevista alcuna speciale abilitazione dello Stato richiesta soltanto dalla legge 18 febbraio 1989, n. 56 (c.d. legge Ossicini). Il Tribunale ritiene che non ci sia stato alcun atto di esercizio di professione medica, dato che non c'è mai stata attività diagnostica o prognostica. Infatti, i corsi di «purification», che prevedevano l'effettuazione di saune e la somministrazione di vitamine, non erano presentati come terapie, anche perché erano praticati su persone che non lamentavano patologie organiche; e, comunque, prima di effettuare le saune, le dette persone dovevano munirsi del certificato medico rilasciato o dal proprio medico o da quello di fiducia della Chiesa di Scientology o dei Centri Narconon regolarmente abilitati all'esercizio della professione medica (vedi dep. dei medici C.P., B.K., P.G. e C.G.; e dei testi P.P., G.R., G.A., B.G., C.W., B.S., Z.G., M.V., B.A., B.W., R.G. e L.L.). Tutti i testi sopra citati hanno anche dichiarato che le vitamine venivano somministrate in base a prescrizione medica. Peraltro, i corsi e le saune venivano considerati come rituali aventi lo scopo di elevazione spirituale e di purificazione del corpo, mediante l'eliminazione delle tossine; rituali che avevano un effetto assai spesso soltanto soggettivo assimilabile al «placebo». Comunque, è da tenere presente che le vitamine non sono farmaci per i quali sia prevista la necessità della prescrizione medica, trattandosi di sostanze che non risultano dannose neppure se somministrate in dosi elevate. Infatti, è noto che vi sono molte patologie dovute a carenze vitaminiche, mentre non si conoscono patologie da ipervitaminosi. Pertanto, tutti gli imputati devono essere assolti dall'imputazione in esame, perché il fatto non sussiste.
Al De.Lu. sono state contestate una serie di condotte che possono integrare l'elemento oggettivo del delitto di sequestro di persona: l'avere disposto il piantonamento notturno del P.; l'averlo fatto accompagnare in ospedale, dopo che il P. si era tagliato i polsi, mantenendolo sempre sotto controllo; l'averlo poi fatto riaccompagnare direttamente al Centro Narconon di Castelmadama; e l'averlo fatto inseguire da alcuni collaboratori, dopo che il P. aveva tentato di allontanarsi dallo stesso. Tali condotte sono risultate provate dalle deposizioni testimoniali del P. rese al G.I. il 18 settembre 1987 ed a questo Tribunale il 27 febbraio 1991; dalle deposizioni dei testi S. e B.; e dalle ammissioni dello stesso imputato (interr. reso al G.I. il 5 maggio 1988). Tuttavia, il Tribunale ritiene che l'imputato non sia punibile in quanto ha agito per esservi stato costretto dalla necessità di salvare il P. stesso dal pericolo attuale di un danno grave, quale quello di ritornare ad assumere sostanze stupefacenti, essendo ancora in crisi di astinenza. Tanto che gli stessi familiari del P., residenti in Sardegna, all'invito dell'operatore B. di venire a riprendere il ragazzo, lo avevano pregato di non rimandarlo indietro «perché avrebbe potuto uccidersi con la droga». Conseguentemente, l'imputato deve essere dichiarato non punibile, ai sensi dell'art. 54 c.p.
L'imputata è chiamata a rispondere del delitto di cui all'art. 76, comma 4, della legge 22 dicembre 1975, n. 685. Nella discussione finale il difensore ha eccepito la nullità assoluta dell'ordinanza di rinvio a giudizio dell'imputata, perché il G.I. ha disposto il rinvio a giudizio per tale reato, mentre il P.M. aveva promosso l'azione penale per il reato previsto dall'art. 73 della stessa legge. L'eccezione è infondata, dato che l'azione penale è stata regolarmente promossa dal P.M. con la nota in data 10 giugno 1987 (vedi VoI. 95) per una serie di reati tra i quali quelli di cui agli artt. 348 e 416 c.p. e 73 della legge 22 dicembre 1975, n. 685. Il fatto che poi il G.I. abbia rinviato a giudizio la Lu. per il reato di cui all'art. 76, comma 4°, della stessa legge non comporta alcuna nullità. Infatti, l'art. 374 c.p.p. non pone alcun limite alla qualificazione giuridica dei fatti, fermo l'obbligo della preventiva contestazione dei fatti previsti dall'art. 376 c.p.p.. Il presente capo d'imputazione trae origine dalle dichiarazione di S.M. e I. (dep. rese al G.I. il 4 giugno 1987, delle quali è stata data lettura il 18 dicembre 1990) dalle quali risulta che il primo era entrato nel Narconon di Castelnuovo Bormida nel settembre 1985 per seguite il programma di recupero, essendo tossicodipendente; che nel febbraio 1986 aveva ultimato il detto programma, poi era stato arrestato per espiare una pena ed, avendo ottenuto l'affidamento in prova al servizio sociale, era tornato al Narconon come «staff», nel settembre-ottobre 1986, con il compito di controllare i ragazzi in crisi di astinenza. Tra i ragazzi che doveva controllare ve ne erano due che erano entrati spontaneamente, ma «erano abbastanza irremovibili sul fatto che volevano prima assumere tutta la roba che avevano con sé, altrimenti se ne sarebbero andati». Del fatto aveva messo al corrente i suoi superiori e cioè Lu.Iv. e la direttrice Bo.Ma.; le quali avevano risposto che spettava a lui risolvere il problema, essendo addetto alle crisi di astinenza. E alla fine, «la Lu. lanciò la proposta di mandarmi fuori ad accompagnar i due, perché si bucassero». Lo S. aveva accompagnato fuori i due ragazzi e, come lo stesso ha dichiarato: «l'andare in giro a cercare la siringa, ed il ripetere un rituale a me noto finirono per indurmi a ribucarmi». Essendo stato scoperto che lo S. era tornato a «bucarsi», era stato sottoposto ad un «ciclo di etica». Per tale fatto è stato contestato alla Lu. il reato di cui all'art. 76, comma 4°, della legge 22 dicembre 1975, n. 685, per aver favorito l'uso di sostanze stupefacenti da parte dello S. e degli altri due ragazzi non identificati. Per la configurazione di tale reato è necessaria una condotta positiva ed attiva diretta ad aiutare ed agevolare altri ad assumere sostanze stupefacenti. Nel caso in esame, dalle prove sopra esposte non è emersa alcune attività dell'imputata che abbia favorito, agevolato o in qualunque altro modo reso più facile l'uso di sostanze stupefacenti da parte dei due ragazzi non identificati o dello stesso S. Infatti, i due ragazzi non identificati sono stati favoriti nell'uso di sostanze stupefacenti dallo S. (e non dall'imputata); mentre quest'ultimo non è stato in alcun modo favorito o agevolato, essendo stato, invece, incaricato di accompagnare fuori i due ragazzi non identificati. Poiché l'imputata non ha posto in essere alcuna attività di favoreggiamento, deve essere assolta dall'imputazione in esame, perché il fatto non sussiste. 15. Si veda il capo di imputazione integrale.
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