In ottemperanza al provvedimento 08/05/2014 Garante per la protezione dei dati personali, si avvisa il lettore che questo sito potrebbe utilizzare cookie per fornire servizi e per effettuare analisi statistiche anonime. Proseguendo con la navigazione si accetta l'uso dei cookie.
Snapping: l'epidemia americana di cambiamenti improvvisi di personalità -
Capitolo Settimo: La crisi della Salute Mentale

Snapping: America's Epidemic of Sudden Personality Change © di Flo Conway & Jim Siegelman, Seconda Edizione, 1995. Stillpoint Press, ISBN 0-9647650-0-4.

Traduzione a cura di Allarme Scientology, 2007.

 

- pag. 74 -

7. La crisi della Salute Mentale

L'attuale crisi della psicologia (che comunque sta durando ormai da 30 anni) può essere riassunta come la lenta erosione del modello robotico di uomo.
- Ludwig von Bertalanffy
Teoria dei Sistemi Generali (1968)


All'inizio della sua attività Ted Patrick fece ripetuti appelli alla comunità della salute mentale. I professionisti, però, ignorarono quasi completamente le sue intuizioni su tecniche ed effetti settari, e rifiutarono seccamente di farsi coinvolgere nella controversia pubblica sulla deprogrammazione. Ma Ted Patrick non fu il solo a essere messo da parte. Una figura di gran lunga meno controversa, William Rambur di Chula Vista, California, fu preso altrettanto poco sul serio nei suoi tentativi di portare all'attenzione degli specialisti di salute mentale la nuova minaccia alla personalità rappresentata dai culti.

Wanted: aiuto professionale. William Rambur si mise in cerca di quei genitori di membri di culto americani perplessi, imbarazzati, arrabbiati e a pezzi; persone che erano state legalmente ammanettate nel tentativo di salvare figli e figlie. Nel 1973 contribuì all'organizzazione della Citizen's Freedom Foundation e ne divenne il primo presidente. Il gruppo, successivamente ribattezzato Cult Awarness Network, raggruppò ben presto migliaia di membri attivi e divenne l'ombrello protettivo nazionale per decine di genitori, ex membri e gruppi di cittadini preoccupati che combattevano i culti distruttivi. Fin dalla sua fondazione, il piccolo staff del CAN e i suoi molti volontari hanno aiutato a localizzare e recuperare membri di culto scomparsi dalle loro scuole, famiglie e città [1]. Hanno pubblicato notiziari, tenuto convegni e lavorato attivamente con i media locali in programmi di informazione pubblica. E si sono recati ripetutamente a Washington per richiedere indagini governative e azioni legali per verificare presunti abusi settari.

- pag. 75 -

Nel nostro giro iniziale attraverso la California meridionale ci fermammo al primo ufficio del gruppo a Chula Vista, nei pressi di San Diego, dove trascorremmo un pomeriggio molto emozionante, poi protrattosi nella serata, con William e Betty Rambur. Da loro ascoltammo una delle storie più spaventose della nostra inchiesta.

Come era successo a Ted Patrick e a molti altri che avevano preso posizione pubblica contro sette, terapie e culti distruttivi, l'attivismo dei Rambur era nato da una dolorosa esperienza personale. Nel luglio del 1971 la figlia Kay, infermiera professionale, era infatti scomparsa improvvisamente dal posto di lavoro. Poco tempo dopo William e Betty Rambur avevano ricevuto una sua lettera in cui li informava che si era unita a un gruppo chiamato Bambini di Dio e aveva deciso di dedicare la vita al servizio di Gesù Cristo. Kay era sempre stata una ragazza religiosa, ma in assenza di ulteriori spiegazioni i Rambur erano rimasti sconcertati dalla sua decisione. Dopo ripetuti tentativi di trovarla, alla fine la individuarono in una fattoria dei Bambini di Dio in Texas, e rimasero sconvolti dal verificare personalmente tutti i segnali dello stato settario. Seduti nel piccolo ufficio, circondati da grandi contenitori di corrispondenza arrivati al sempre più noto network di aiuto, il fermo ma mite William Rambur, insegnante di scuola superiore, ci raccontò che cosa aveva provato nel vedere la figlia in quelle condizioni.

«Voi sapete com'è quando si guarda qualcuno» ci disse. «Lo guardate negli occhi e avete la sensazione che ricambi il vostro sguardo. Nel caso dei membri di culto li guardate negli occhi ma loro non guardano voi. È una cosa strana, soprattutto quando si tratta di vostra figlia. La guardate negli occhi e ricordate com'era l'ultima volta che l'avete vista e adesso niente, non c'è niente, non è rimasta emozione, niente. C'è come un vuoto. E guardate negli occhi le altre persone che sono in quei culti e vedete la stessa cosa. Fa paura».

Nella fattoria dei BDD, ci raccontò William, passeggiò con la figlia e la persuase a tornare a casa a Chula Vista. Mentre se ne stavano andando, diversi membri dei BDD li rincorsero su un'altra auto e li bloccarono, impedendo loro di andarsene. Senza una parola Kay aprì la portiera e tornò indietro con i compagni. Diversi mesi dopo Rambur riuscì finalmente a convincere Kay a tornare a casa per un fine settimana. Una volta libera dal ristretto ambiente settario, disse Rambur, lui e la moglie riuscirono a dialogare con Kay e a ragionare con lei fino a che non misero in atto una specie di grezza deprogrammazione.

«Alla fine ne uscì» ricordò Rambur. «Sembrava di nuovo quella di prima. Era felice. Disse che, per quanto riguardava i Bambini di Dio, potevano anche andarsene al diavolo, lei ne era fuori».

Quando Kay schioccò fuori dal suo stato alterato diede al padre alcune istruzioni molto specifiche.

- pag. 76 -

«Mi disse "Papà, tutta quella gente ha davvero bisogno di aiuto. Ma dobbiamo aiutarla dall'esterno, perché nessuno può aiutare se stesso dall'interno". Mi disse: "Papà, non smettere mai di lottare perché se smetti di farlo non riusciranno mai ad uscirne da soli"».

Ma la deprogrammazione domestica di Kay Rambur non era di certo completa. Nei giorni successivi si trascinò in quel precario stato di "galleggiamento", uno stato di penombra e incertezza, di vulnerabilità alla suggestione. In quel periodo Kay e il padre cercarono di liberare Robert, un altro membro del culto che era stato legato in matrimonio a Kay dai leader, e che Rambur interpretò come un tentativo di togliere la ragazza dalla giurisdizione legale del padre. Rambur e la figlia telefonarono a Robert per invitarlo a trascorrere qualche giorno con loro. William disse a Robert che era il benvenuto, e sentì la figlia dirgli «Robert, è bellissimo, devi davvero venire». Poi lui e la moglie uscirono dalla stanza e lasciarono che la figlia chiacchierasse da sola con Robert.

«E quello fu il nostro errore» commentò tristemente Rambur, «ma ancora non lo sapevamo».

Mentre Robert e Kay parlavano, Betty Rambur sollevò il ricevitore secondario per dare il benvenuto al ragazzo. Lo sentì dire a Kay: «Se abbandoni i Bambini di Dio sarai responsabile delle morti che ne seguiranno. Avrai le mani lorde di sangue».

Sbalordita da ciò che aveva appena sentito Betty Rambur disse a Robert che era sicuramente il benvenuto nella loro casa, ma che non avrebbe tollerato quel tipo di discorsi. Poi abbassò il ricevitore e dopo qualche minuto fu raggiunta da Kay, visibilmente trasformata.

«Quando Kay uscì dalla stanza sul retro era semplicemente una persona diversa» disse Rambur. «Era stata al telefono per pochi minuti, ma quando uscì assomigliava di nuovo a una zombie».

L'incubo che seguì fu tanto incomprensibile quando orribile. Rambur raccontò che, poco dopo il colloquio tra Kay e Robert, due suoi vicini ricevettero telefonate anonime di avvertimento: se non avessero smesso di frequentare i Rambur sarebbero stati uccisi, «e non sarebbero rimaste ossa a sufficienza da seppellire». Membri dei Bambini di Dio si disposero lungo la strada dei Rambur con auto e furgoni, e Kay uscì di casa correndo e urlando che l'edificio era abitato dal Diavolo. Quando Rambur e il figlio riportarono dentro la ragazza cercando di calmarla, lei atterrò il fratello e cominciò a soffocarlo. Colpì al collo uno dei vicini accorsi in aiuto, e assestò a un altro un calcio all'inguine. Alla fine i Rambur chiamarono la polizia che arrivò subito, ristabilì l'ordine e raccomandò che Kay fosse ricoverata. A quel punto Rambur ebbe il suo primo scontro con la professione della salute mentale.

- pag. 77 -

«Quando arrivammo all'ospedale trovammo una dottoressa che, come venimmo a sapere in seguito, era già stata contattata dai Bambini di Dio» ci disse. «Quando avevano scoperto dove la stavamo portando, avevano telefonato all'ospedale dicendo che un padre sconvolto stava cercando di fare internare la figlia. Quando entrammo la prima cosa che la dottoressa disse a Kay fu "Tu non sei pazza, vero?" e rifiutò di ricoverarla. Disse "In lei non c'è niente che non va. Credo che il problema sia il padre. È lui che ha bisogno di aiuto"».

Rambur non riusciva a credere alle proprie orecchie. Replicò: «Guardi, se pensi che sia così, ricoveri anche me. Ci ricoveri entrambi» ma la dottoressa rifiutò.

«Non sapevamo davvero che fare» continuò Rambur rivivendo la scena. «Quella storia era durata ormai quasi una settimana e in quel periodo non avevamo praticamente dormito, eravamo veramente a pezzi. Eravamo giunti al capolinea così dissi a mia figlia "Pensi sinceramente che io ti stia perseguitando? Non lo sto facendo. Non cercherò più di sapere dove sei, ma voglio che ti ricordi che se mai avrai bisogno di me io ci sarò" ».

I Rambur salirono in macchina e la lasciarono lì, tornarono a casa e andarono a dormire. Dopo circa un'ora, però, William e Betty si svegliarono e si chiesero a vicenda: «Perché facciamo così? Come abbiamo potuto abbandonarla?». Disperati chiamarono l'ospedale e parlarono con il capo del personale, il quale riferì che uno psichiatra aveva visitato Kay e non avendo trovato nulla che non andasse l'aveva dimessa.

«Questa cosa è successa sei anni fa» ci disse Rambur lanciando uno sguardo alla moglie. Poi di nuovo rivolto a noi: «e da allora nessuno l'ha più vista».

Negli anni successivi la polizia di ventisette paesi non fu in grado di rintracciare gli spostamenti di Kay. William Rambur, però, non aveva dimenticato la supplica della figlia e viaggiò per tutti gli Stati Uniti per aiutare altri genitori a trovare i loro figli e a liberarli dal controllo settario. Rambur aveva lanciato continui appelli alla comunità della salute mentale, ma quello strano, nuovo disordine portato alla loro attenzione poneva un peculiare dilemma alla loro competenza.

«Telefonai a moltissimi psicologi e psichiatri chiedendo il loro aiuto; se fossimo riusciti a portargli un giovane, sarebbero stati in grado di darci qualche ragguaglio in merito alla sua situazione?» ricordò Rambur. «Diversi dissero che ci avrebbero provato. E una volta portatogli il giovane lo psichiatra mi chiamava dicendomi "Guardi, stiamo perdendo tempo. È la persona che deve ammettere di avere un problema" - il ché è qualcosa che pochissimi membri di culto sono pronti ad ammettere».

In seguito Rambur rivolse la sua richiesta ad altri professionisti, solo per scontrarsi con uguale mancanza di comprensione. «Parlai ad un gruppo di sociologi e spiegai loro quanto stava avvenendo» ci disse esasperato.

- pag. 78 -

«Riuscivano a seguirmi solo fino a un certo punto; poi si arrivava a questa soglia e non riuscivo a farli proseguire oltre. Non credevano che fosse un fenomeno nuovo che necessitava di uno studio specifico. Dicevano "Ma perché voi genitori non ve ne tornate a casa e non vi rilassate? Dopo un po' i vostri figli torneranno e tutto si sistemerà". Non riuscivano nemmeno a prendere in considerazione l'idea che stesse succedendo qualcosa di molto diverso».

Rambur comunque non respinse le risposte tradizionali di clinici e accademici. In quanto insegnante era tra i primi ad ammettere che, spesso, ambiente familiare e pressioni sociali erano fattori importanti della conversione settaria. Ma riteneva che queste spiegazioni semplicistiche richiedessero un'analisi più ampia e immediata relativa alle tecniche settarie di conversione.

«Psicologi e psichiatri che non siano informati su ciò che avviene cercheranno di basare le loro opinioni sul comportamento precedente», disse Rambur «perdendo di vista il fatto che siamo in presenza di un nuovo elemento di cui non sanno niente».

Rambur ci chiese di trasmettere un messaggio ai professionisti.

«Siamo arrivati alla soglia di qualcosa di nuovo e di diverso» ci ripeté. «Ora dobbiamo riassumere ciò che già sappiamo e andare oltre, verso una nuova area di studi della mente».

Parlava con eloquenza ma, come Ted Patrick, sapeva che senza credenziali adeguate nessuno lo avrebbe ascoltato. Dopo sei anni la voce dell'esperienza di William Rambur si era fatta roca.

«Hanno studiato i casi sui loro manuali» ci disse con una certa rassegnazione, «ma io ho studiato la cosa vera, la cosa reale. Psichiatri e psicologi dovrebbero sedersi intorno a un tavolo con me e parlarmi».

Frustrati al pari di quei genitori che non sono stati in grado di fornire aiuto ai figli sono anche molti ex membri di culto che hanno cercato aiuto professionale, e la loro situazione non è meno gravosa. Abbiamo parlato con un giovanotto che chiameremo Paul Davis, figura rara tra la neonata confraternita degli "ex cult" d'America. Dopo aver trascorso, a metà degli anni Settanta, quasi due anni nella Chiesa dell'Unificazione, Davis aveva lasciato i Moonies per conto suo. Inizialmente aveva deciso di andare a far visita ai genitori per un fine settimana, poi semplicemente non era più tornato alla vita della setta. Davis non si sottopose mai alla deprogrammazione e non visse mai il momento dello snapping dallo stato mentale settario. Per tre mesi, dopo aver lasciato il gruppo, visse momenti durissimi, sia a livello mentale che emotivo. Il suo incontro con uno psichiatra fu tipico della qualità di aiuto professionale ricevuto dal crescente numero di vittime di nuovi culti e terapie.

«Avevo nella testa una sensazione di disagio» ricordò Davis il giorno del nostro incontro, la voce ancora rotta.

- pag. 79 -

«Non riuscivo a concentrare la coscienza sui pensieri. Non riuscivo a discernere tra ciò che era vero e ciò che non lo era. Era una cosa fortemente emotiva. Ero quasi in stato di shock. Non riuscivo a rilassarmi, ero sempre fuori di testa. Le pupille dilatate, non riuscivo a concentrarmi su niente e neanche a parlare in modo normale con gli altri. Così andai da uno psichiatra e gli dissi che ero proprio nei casini. Ma lui non riusciva a capire. Disse che qualcuno mi aveva inculcato nella testa delle cose inconsce».

Cose inconsce. Catalogammo molte interpretazioni della "sindrome settaria" così come ci furono trasmesse in quei primi anni da genitori ed ex membri di culto. Secondo l'establishment americano della salute mentale, gli improvvisi cambiamenti di personalità sperimentati da chi si avvicinava ai culti erano provocati da "gravi fallimenti nella vita familiare", "ansia sottostante" e "insicurezza da sensi di colpa repressi". Essi erano il prodotto di "conflitti dell'ego", "reazioni masochistiche" e "immaturità emotiva". Potevano essere fatti risalire a "fattori ambientali", "condizioni antecedenti" e "bisogni subconsci annidati nel profondo".

Due decenni più tardi il nostro catalogo si stava ancora allungando con ulteriori interpretazioni. Nonostante moltissime testimonianze pubbliche del fenomeno, e la sempre maggior quantità di evidenza clinica dello stato settario alterato e dei suoi effetti persistenti, gli ex membri di culto di solito riferivano che stimati professionisti avevano fatto loro diagnosi di "schizofrenia paranoide", "disordine bipolare maniaco-depressivo" e addirittura di "epilessia temporo-limbica". Le nuove diagnosi attribuivano quel vecchio disordine neurologico a giovani e ad adulti moderni i cui discorsi o comportamento mostravano una "preoccupazione eccessiva per la religione".

Fortunatamente quei verdetti non erano unanimi. A partire dalla fine degli anni Settanta un piccolo numero di clinici di tutto il paese cominciò a studiare in proprio qualche forma di assistenza settaria. In alcuni casi il loro background clinico si mostrò di aiuto e furono in grado di formare assistenti con chiavi efficaci per far scattare la serratura delle menti prigioniere. Ma in molti casi i loro concetti professionali e il loro gergo servì unicamente ad oscurare l'obiettivo principale: quello cioè di aiutare i membri di culto a riappropriarsi della capacità di pensare in modo autonomo. In molti dei casi riferitici furono prescritti potenti psicofarmaci non ancora testati, o i cui effetti di potenziale valore o svantaggio su persone sofferenti dei postumi di un'esperienza settaria traumatica non erano ancora stati studiati in modo scientifico.

In realtà, con l'aumentare della preoccupazione pubblica sui dilemmi visibili del fenomeno settario e con il crescente numero di persone cadute vittima di terapie fortemente commercializzate e di movimenti settari estremi, i professionisti americani di salute mentale e i loro colleghi nelle discipline correlate hanno contribuito in minima parte alla comprensione

- pag. 80 -

pubblica o professionale del problema. I loro vecchi modelli non riescono a stare al passo con i fatti nuovi; le loro analisi si basano su concetti di epoche che hanno pochissimo in comune con l'America odierna o con qualsiasi altra società avanzata della fine del ventesimo secolo. Ma, soprattutto, mentre i familiari e le vittime stesse delle sette invocano aiuto, la comunità americana della salute mentale ha mostrato pochi segnali di volersi assumere quel ruolo da protagonista che si direbbe essere di loro competenza in tali questioni.

Nel 1984 l'ufficio nazionale del Cult Awarness Network aveva ricevuto oltre 5000 richieste da singoli e famiglie colpiti da culti distruttivi, sette e terapie di auto aiuto. Nel 1994 quel numero era salito a oltre 22.000 telefonate e lettere l'anno - più di settanta richieste di aiuto per ogni singola giornata lavorativa.

Staccare la spina al Modello Robot. L'epidemia americana di cambiamenti improvvisi di personalità è in sé sintomo di una crisi più profonda della salute mentale e della cultura come insieme. Tale crisi, che da lungo tempo continuava a crescere sotto la superficie, divenne evidente per la prima volta durante l'esplosione della coscienza degli anni Sessanta ed ebbe un profondo impatto sulla pratica della salute mentale in tutto il paese, oltre che sulla vita di molti professionisti di salute mentale.

Fino all'inizio degli anni Sessanta il pensiero psicologico occidentale si scindeva nettamente in due linee teoretiche: quella freudiana, o psicoanalitica, e quella comportamentale, definita spesso scuola skinneriana o positivista. La scuola psicoanalitica separava la personalità umana in una serie di sottodivisioni chiamate ego, id e superego, che si credeva fossero governate in larga parte dal "inconscio". La scuola comportamentale si occupava unicamente del comportamento osservabile, insistendo che l'attività mentale e gli "stati interiori" avevano poco significato negli affari umani, poiché non potevano essere osservati o riprodotti sperimentalmente.

Le due scuole psicoanalitica e comportamentale vengono ancora generalmente considerate in contrapposizione, sia nella teoria che nella terapia. La prima osserva la psiche per scoprire i processi mentali inconsci; la seconda se ne tiene alla larga, e convalida solo il prodotto osservabile del comportamento. Ma entrambi i modelli condividono un assunto comune in riferimento agli esseri umani: cioè che l'esperienza cosciente del mondo che ci circonda è, nella migliore delle ipotesi, di importanza secondaria per lo sviluppo della personalità e per la determinazione del comportamento. Nella tradizione freudiana l'inconscio inconoscibile e inarrivabile governa la personalità. Nella teoria comportamentale un numero indeterminato di forze ambientali condizionano automaticamente le reazioni dell'individuo. Tale assunto comune riunisce nella cultura contemporanea le forze tradizionali della psicologia; entrambe relegano il potere individuale su pensiero, emozioni e azioni a qualche forma di controllo nascosto, interno o esterno, che va oltre la portata della coscienza quotidiana.

- pag. 81 -

Prese assieme le due tradizioni, una interiore e una esterna, compongono il "modello robotico" dell'uomo, la base teoretica della psicologia su cui si è evoluta la nostra società tecnologica.

In questo secolo l'applicazione del modello del robot è diventata un pensiero assillante per la società in generale, e per il sistema della libera impresa in particolare. Il mondo imprenditoriale ha sviluppato forse la fusione più sofisticata delle due scuole. Le sue strategie pubblicitarie e di mass marketing prendono di mira bisogni, necessità, desideri fondamentali e insicurezze personali per creare e soddisfare con prevedibilità scientifica le richieste del consumatore. Da un capo all'altro della nostra società il controllo cosciente di esseri umani inconsapevoli resta il punto centrale di istituzioni potenti. È dato per scontato da molti, sia nella politica che nella religione, che nei mass media. È sottoposto a continue sperimentazioni in uffici, fabbriche ed altri ambienti lavorativi. La stessa mentalità ha prosperato commercialmente in una grande quantità di best-seller che consigliano i lettori su come sfruttare le tattiche del "linguaggio corporeo", della "determinazione", del "potere", del "vincere attraverso l'intimidazione" e innumerevoli altri metodi per volgere a proprio vantaggio l'inconsapevolezza altrui.

Ma per quanto predominante il modello robotico sia stato e continui ad essere nella vita moderna, nella psicologia è sempre esistita una forza alternativa e anch'essa, in anni recenti, ha guadagnato forza e popolarità. Negli anni Cinquanta gruppi scissionisti dei corpi principali della teoria freudiana e comportamentale cominciarono a fondersi in una scuola di pensiero sulla natura umana. Questa cosiddetta "Terza Forza" della psicologia era costituita da molti dei primi discepoli di Freud e in seguito suoi rivali, tra cui Alfred Adler, Otto Rank e Carl Jung, il protetto di Freud. A queste importanti figure si unirono psicologi esistenzialisti e umanistici emergenti come Gordon Allport, Gardner Murphy, Rob May, Carl Rogers e Abraham Maslow, e dinamici psicologi sociali come Kurt Lewin. Nei primi anni Sessanta, dopo che molti dei suoi fondatori erano morti, questa Terza Forza divenne psicologia umanistica, la nuova disciplina che avrebbe aperto la strada all'esplorazione delle capacità umane. Nel riconoscere le illimitate potenzialità creative della mente, la nuova forza staccò la spina al modello del robot e assegnò la supremazia alla consapevolezza umana e alla forza modellatrice dell'esperienza umana.

Le nuove terapie umanistiche offrirono dimostrazioni impressionanti di quella forza. Utilizzavano come strumento l'esperienza stessa, non semplicemente per aiutare l'individuo a modificare modelli di comportamento ma anche il suo stato di consapevolezza, addirittura la sua intera personalità. Quasi nel giro di una notte la nuova psicologia e la sua derivazione, il movimento del potenziale umano, trasformarono radicalmente l'atteggiamento popolare verso la salute

- pag. 82 -

mentale, prima sulla Costa Occidentale poi diffondendosi rapidamente verso est. Improvvisamente si ridussero drasticamente le partecipazioni a psicanalisi, psicoterapia e terapia di gruppo tradizionale - piccoli gruppi che settimanalmente si incontravano e discutevano secondo le linee tradizionali, diretti da uno psichiatra o uno psicologo. Si incominciarono invece a frequentare gruppi di incontro della durata di un fine settimana, lunghe maratone e terapie più radicali che utilizzavano esperienze fisiche ed emotive molto intense tra cui la lotta libera, il massaggio, gli attacchi verbali e la reclusione prolungata per produrre quei picchi di esperienza e momenti di svolta ora familiari.

All'inizio i nuovi metodi umanistici ricevettero il freddo saluto dei clinici più tradizionali. Le terapie dei gruppi di incontro contraddicevano quasi ogni singola regola della pratica di salute mentale tradizionale. Incoraggiando lo scontro personale e, a volte, il contatto fisico tra il leader del gruppo e i membri, venivano calpestati gli accordi sacri del rapporto medico-paziente e si ribaltavano i canoni inviolabili del distacco professionale. Ma i primi risultati ottenuti da queste nuove tecniche non potevano essere ignorati. Spesso la gente tornava alle sedute di terapia tradizionale magnificando il divertimento sperimentato nel gruppo di incontro, e sostenendo di avere ottenuto di più in un fine settimana di quanto non avesse fatto in anni di analisi privata. Con il decollare dell'esplosione della coscienza, e nonostante il loro scetticismo, molti professionisti furono costretti a prestare attenzione a quelle testimonianze personali.

Tuttavia non si dovette attendere molto prima che il nuovo clima sperimentale si lasciasse andare alla disattenzione, e che molti searcher si ritrovassero arenati in una "terra di nessuno" della consapevolezza. Sempre più persone si ritrovarono a mollare gli ormeggi mentali, alla deriva, arenate - e cominciarono a reagire di conseguenza. In tutto il paese vi furono esempi di "schiocco" visibile, gente che "flippava" e impazziva, innescando comportamenti violenti e auto distruttivi. Altri "schioccarono" più quietamente, "flipparono" interiormente precipitando in stati di fantasia, illusione [2] e disorientamento che, in quei primi tempi, erano imprevisti e completamente inspiegabili.

Prevedibilmente il peso del trattamento delle nuove vittime dell'esplosione della coscienza ricadde sulle spalle della professione psichiatrica, sui medici che prestavano servizio al pronto soccorso, nelle unità di crisi e nelle guardie psichiatriche, e che furono i primi a vedere quanto quelle persone avessero urgente bisogno di aiuto professionale. Tuttavia la psichiatria non era ancora preparata a trattare questi nuovi mostri della "esperienza", né era in grado di curare gli insoliti disordini di personalità che essa stava sfornando. Negli anni Sessanta, quando i clinici cominciarono ad identificare questa nuova categoria di disturbi mentali ed emotivi non provocati da disfunzioni neurologiche note, né da traumi infantili o da fattori mentali ambientali riconosciuti, scoprirono di non essere grado di diagnosticarli come malattia

- pag. 83 -

mentale basata sulla medicina, né sul tradizionale malessere psicologico. Molti la descrissero semplicemente come "reazione situazionale critica", una crisi ingenerata da qualche esperienza nuova e intensa quali le droghe psichedeliche, i gruppi di incontro, le pratiche rituali orientali - o da problemi sociali quotidiani di origine indefinita.

Gli strumenti tradizionali della psichiatria si dimostrarono inefficaci per la diagnosi e il trattamento, e lentamente i vecchi approcci iniziarono a lasciare il posto a nuovi sistemi interpretativi. Per la prima volta gli psichiatri iniziarono a guardare oltre l'aspetto clinico, il lettino e il laboratorio. Nei modelli e nelle pratiche esistenti furono incorporate le nuove intuizioni della psicologia umanistica. Per la fine degli anni Sessanta approcci rivoluzionari alla salute mentale, come la terapia familiare e l'assistenza comunitaria, cominciavano a venire applicati ai nuovi problemi che affliggevano gli individui coinvolti in ogni tipo di gruppo e situazione di vita quotidiana. Assieme a psichiatri e psicologi altre figure professionali - come gli assistenti sociali clinici e gli assistenti di riabilitazione - cominciarono a operare in posizioni di prima linea e a giocare nuovi ruoli di supporto per aiutare a fronteggiare il crescente numero di adulti, adolescenti e addirittura bambini che da una costa all'altra avevano iniziato ad usufruire di servizi di assistenza, di strutture di disintossicazione dalle droghe e di centri di crisi. Ma non tutti i cambiamenti in atto nel campo della salute mentale erano confinati ai quesiti sul trattamento adeguato da fornire ai pazienti. Per la fine degli anni Sessanta i professionisti in prima linea della psichiatria e della psicologia americane erano a loro volta immersi nella sperimentazione, esploravano personalmente le nuove tecniche in cerca di modalità alternative di intuizione e comprensione. Ma, come chiunque altro, nemmeno loro erano immuni agli effetti di quelle nuove tecniche. Molti professionisti con formazione tradizionale si ritrovarono poco equipaggiati nel fronteggiare le nuove nozioni umanistiche di creatività, gioco e spontaneità, e impreparati alle esperienze estreme e alle alterazioni di coscienza in cui si imbattevano.

Per la metà degli anni Settanta i tradizionalisti sopravvissuti tra le file della psichiatria continuarono a badare ai propri affari mentre gli altri si ritrovarono sovraccarichi ed esausti. Molti giovani membri della comunità psichiatrica abbandonarono il campo per carriere alternative. La professione ignorò le sue responsabilità sociali in merito ad avvisi, avvertimenti, linee guida o altri criteri che potessero aiutare i milioni di persone alla ricerca indiscriminata di qualche non meglio definita svolta personale o spirituale. Alla fine del decennio l'establishment della salute mentale si era ormai quasi completamente ritirato dall'ondata di sperimentazione che stava ancora impazzando a livello culturale. Nel tentativo di riaffermarsi come campo di indagine scientifica e pratica clinica, la psichiatria si ritrasse e arroccò sulle sue basi mediche.

- pag. 84 -

Gli psichiatri fecero sempre maggior ricorso a trattamenti farmacologici per la cura dei disordini mentali ed emotivi. In molte aree i professionisti abbandonarono semplicemente il proprio impegno clinico e le attività di servizio pubblico. Durante la transizione, decine di migliaia di pazienti istituzionalizzati si videro prescrivere dosi farmacologiche di mantenimento e furono rimandati per strada a provvedere da soli a se stessi. Importanti istituzioni psichiatriche, oltre che altri servizi vitali di assistenza, riabilitazione e pratica clinica, vennero drasticamente ridotte in dimensione o si videro tagliare i fondi, spingendo il pubblico a cercare versioni alternative - religiose o commerciali - di quei servizi di cui avvertiva forte il bisogno.

Lasciato senza leadership, il resto della comunità di salute mentale restò in silenzio mentre le nuove tecniche di gruppo, le terapie radicali e altri strumenti per alterare coscienza e personalità umane scivolavano nelle mani di leader settari, edificatori di imperi spirituali e imprenditori dell'auto aiuto.


Note del traduttore:

1. Il CAN è stato definitivamente smantellato a fine anni '90 a seguito dello sforzo concertato di decine di scientologist. Da allora si chiama "Nuovo CAN" ed è in mano ai gruppi che prima combatteva. Si veda "Come Scientology si è impossessata del CAN". .

2. "Delusion" nel testo. In inglese significa illusione, fissazione, ossessione, mania. Non va confuso con il nostro concetto di "illusione", cioè una convinzione errata a cui si perviene tramite i sensi e che può essere condivisa da più persone (es. un'illusione ottica). "Delusion" indica una convinzione errata più personale e soggettiva (es. credere di essere Napoleone).

 
 
 
INDIETRO INDICE AVANTI
 
 

Copyright © Allarme Scientology. L'utilizzo anche parziale dei materiali di questo sito - testi, traduzioni, grafica, immagini, digitalizzazione e impaginazione - con qualsiasi mezzo e su qualsiasi supporto, non è consentita senza il preventivo consenso scritto del gestore del sito. Per richieste e chiarimenti contattare: allarmescientology@email.it