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Snapping: l'epidemia americana di cambiamenti improvvisi di personalità -
Capitolo Sesto: Illuminazione Nera

Snapping: America's Epidemic of Sudden Personality Change © di Flo Conway & Jim Siegelman, Seconda Edizione, 1995. Stillpoint Press, ISBN 0-9647650-0-4.

Traduzione a cura di Allarme Scientology, 2007.

 

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6. Illuminazione Nera

Al mondo non esiste niente di così impenetrabile come una mente umana rinchiusa nella sua beatitudine. Nessun appello alla ragione, nessun appello all'emotività può penetrare quell'armatura di gioia autoproclamata.

Abbiamo parlato con decine di persone che si trovavano in questo stato mentale: membri di culti, diplomati di terapie di gruppo, cristiani rinati, alcuni medidatori trascendentali. Dopo un po' somigliava molto ad una danza al ritmo di un disco rotto. Ponevamo una domanda e l'individuo ruotava sempre attorno al suo cerchio di dogma. Se cercavamo di interromperlo riprendeva semplicemente dallo stesso punto, oppure tornava all'inizio e ricominciava.

Ben presto abbiamo cominciato a renderci conto che ciò che stavamo osservando andava molto più in profondità. Non solo quelle persone erano incapaci a portare avanti una conversazione genuina, erano semplicemente impantanate nel loro stato di non pensiero, non emozione e non comprensione. Che fossero rinchiusi in culti o stessero attraversando ciecamente il mondo, erano impermeabili al dolore di genitori, coniugi, amici, amanti. Come poter raggiungere tali persone? È possibile riportarle alla ragione e al sentimento? Esiste un modo per farle ricongiungere con la loro personalità precedente e con il mondo che le circonda?

Un uomo chiamato Ted Patrick sviluppò il primo rimedio. Figura controversa ribattezzata Illuminazione Nera dal mondo settario, Patrick fu il primo a sottolineare pubblicamente ciò che i culti stavano facendo alla gioventù americana. Indagò gli stratagemmi con cui molti convertiti venivano adescati e travolti dai metodi che molti culti utilizzano per manipolare la mente.

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Fu anche il primo ad entrare in azione. Ai primi anni '70 Patrick cominciò una campagna solitaria contro i culti. La sua lotta iniziò nella California meridionale, sulle spiagge del Pacifico dove, all'inizio, organizzazioni come gli Hare Krishna e i Bambini di Dio reclutavano tra i ragazzi in vacanza e gli spensierati villeggianti che d'estate si riversavano verso il mare, o tra le vivaci comunità che per tutto l'anno affollavano la costa. Fu proprio lì che un giorno i Bambini di Dio avvicinarono il figlio di Patrick e riuscirono quasi a catturarlo. Patrick investigò, rimase profondamente turbato dalle sue scoperte e stabilì immediatamente una serie di azioni dirette. Le sue esperienze di prima mano con le tecniche settarie e i loro effetti lo portarono a sviluppare un antidoto che battezzò "deprogrammazione", un procedimento decisamente semplice e - quando usato in modo proprio - quasi infallibile per aiutare i membri di culto a riconquistare la loro libertà di pensiero.

In breve tempo Patrick si mise in azione in tutto il paese per conto di genitori disperati. Nel corso degli anni Settanta i suoi spregiudicati rapimenti alla luce del sole di membri di culto della Ivy League gli fecero guadagnare titoli di prima pagina sulla tutta la costa Orientale. Sulla costa nordoccidentale del Pacifico si conquistò servizi di telegiornale con i suoi inseguimenti per sfuggire sia ai leader di culto che agli agenti della stradale. E alla fine fece la storia legale americana. Nella sua estrema difesa della Costituzione degli Stati Uniti, Patrick sfidò la confusione sui diritti del Primo Emendamento che abbracciava la controversia sui culti e tracciò un'importante distinzione tra le libertà nazionali americane garantite quali la libertà di parola e religione, e il diritto umano più fondamentale di libertà di pensiero. In alcuni casi i tribunali americani confermarono l'argomentazione di Patrick secondo cui, con mezzi "astuti e ingannevoli", i nuovi culti stavano in realtà derubando le persone della loro capacità naturale di pensare e scegliere. Fino ad allora non era mai stato considerato possibile che un essere umano potesse essere spogliato di questa dote fondamentale.

Tuttavia diversi tribunali diedero torto a Ted Patrick che accumulò condanne per rapimento e sequestro di persona. Nel vano tentativo di liberare i membri di culto dalle loro prigioni invisibili, Patrick fu gettato in vere prigioni a New York, California e Colorado. Nel luglio del 1976, mentre gli americani stavano celebrando il loro duecentesimo anniversario di libertà, Patrick fu condannato a un anno di prigione per un rapimento settario che in realtà non aveva commesso.

Facemmo visita per la prima volta a Ted Patrick ai primi del 1977 alla Theo Lacy Facility della prigione della contea di Orange. Volevamo saperne di più sulla deprogrammazione proprio da colui che aveva coniato il termine. Quando arrivammo era buio e ci dovemmo far largo tra i pregiudicati in arrivo per chiedere al banco dell'accettazione di vedere un prigioniero oltre l'orario di visita. La Theo Lacy, ci dissero, era molto migliore di altri posti in cui Patrick era stato richiuso.

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Dopo aver mostrato le nostra credenziali venimmo accompagnati in uno stanzino soffocante, sotto luci fluorescenti e sorveglianza continua. Pochi minuti dopo fummo raggiunti da Patrick.

Robusto, faccia tonda, pelle e capelli corti scurissimi, il suo aspetto fisico trasmetteva davvero poco della sua famosa reputazione. Indossava grandi occhiali dalla montatura scura, una semplice camicia bianca e calzoni sformati da prigioniero. Ma anche in quell'ambiente spersonalizzante proiettava una presenza inconfondibile. Emanava un'aria di autorevolezza e anche il suo sorriso guardingo trasmetteva un certo fascino.

Quando gli raccontammo la natura della nostra inchiesta Patrick sembrò illuminarsi. Ci spiegò in poche parole gli stress emotivi e fisici che costituiscono, a suo modo di vedere, le tecniche fondamentali dei culti. «Utilizzano paura, senso di colpa, odio, dieta povera e fatica fisica», ci disse. Gli rispondemmo che lo avevamo sentito dire da diverse persone. Ciò che ci aveva portati da lui era il desiderio di conoscere la sua opinione sul modo in cui quelle tecniche possono influenzare la mente. Improvvisamente il nostro colloqui si ravvivò.

«I culti distruggono completamente la mente» disse senza esitazione. «Distruggono la tua capacità di mettere in dubbio le cose e nel distruggere la tua abilità a pensare distruggono anche la tua capacità di provare sentimenti. Non hai più desideri, più emozioni. Non provi dolore, gioia, niente».

Nel descrivere i metodi di controllo utilizzati da molti culti, iniziando dal momento in cui il reclutatore aggancia il suo pubblico, Patrick confermò il nostro punto di vista.

«Hanno l'abilità di avvicinarti e di parlare di qualsiasi cosa ritengano ti interessi, qualsiasi» ci spiegò. «La loro tecnica è attirare prima la tua attenzione e poi la tua fiducia. Nel momento in cui si sono conquistati la tua fiducia, in un batter d'occhio possono attrarti dentro il culto».

Era il classico abboccamento del venditore professionista, ma usato in modo talmente sottile da diventare ciò che Patrick definiva "ipnosi su due piedi". Poi, disse, una volta che il potenziale membro è agganciato, il culto erige una solida barriera di indottrinamento fino a che la conversione non è completa.

«Quando programmano una persona» continuò Patrick «usano la ripetizione. Ripetono la stessa cosa di continuo, un giorno dopo l'altro. Ti ripetono 24 ore al giorno che tutto quel che c'è fuori dalla porta è Satana, che il mondo finirà nel giro di sette anni e che se non apparterrai alla loro famiglia brucerai all'inferno. E alla fine, quando si cede, il desiderio di uscire in quel brutto mondo malvagio fa sentire colpevoli. Si è terrorizzati da ciò che potrebbe accadere là fuori».

Patrick si interruppe. La sua versione era praticamente identica alle esperienze raccontate da Lawrence e Cathy Gordon,

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sebbene e due ragazzi non fossero stati deprogrammati da Patrick ma da uno dei suoi ex clienti. Ted si protese verso di noi, poggiando le braccia possenti sul tavolo e continuò.

«La mente umana può assorbire molto. Puoi stare sveglio a lungo senza dormire. Puoi ascoltare la stessa cosa infinite volte, ma alla fine cedi. Io stesso mi avvicinai a uno di questi culti con l'intenzione di restarci una settimana. Rimasi quattro giorni e tre notti e se fossi rimasto altre sei ore mi avrebbero agganciato. Non ne sarei più uscito».

Nel 1971 Patrick si infiltrò tra i Bambini di Dio, il culto che un Quattro di Luglio aveva cercato di reclutare suo figlio Michael sulla Mission Beach di San Diego. All'inizio la sua preoccupazione per i culti era stata solo personale, ma permaneva un lato pubblico. Genitori preoccupati si erano già rivolti a lui, in quanto capo delle relazioni comunitarie delle contee californiane di San Diego e Imperial, per cercare aiuto. Patrick si era trasferito in quella zona alcuni anni prima e si era attivato sulla scena politica locale lavorando contro la discriminazione sul lavoro. Durante le rivolte di Los Angeles del 1965 aveva collaborato a sedare i fermenti razziali di San Diego. Il suo servizio pubblico aveva attirato l'attenzione di Ronald Reagan, governatore Repubblicano della California, che aveva assegnato a Patrick, fervente Democratico, l'incarico di mantenere i rapporti con la comunità.

Sebbene consapevole delle tattiche settarie, il breve incontro con i Bambini di Dio gli aveva fatto scoprire di non essere immune ai loro effetti.

«Li senti arrivare» spiegò. «Cominci a dubitare di te stesso. Cominci a mettere in dubbio tutto quello in cui credi. Poi ti ritrovi a dire e fare le stesse cose che fanno loro. Ti senti come se stessi sprofondando nella sabbia, come se stessi affogando - a volte ti gira la testa».

E quello, secondo Patrick, era il momento in cui l'individuo cede per la prima volta, il momento in cui sperimenta la travolgente liberazione emotiva dello snapping. Da quel momento in poi al nuovo membro vengono insegnati i rituali quotidiani della salmodiazione e della meditazione che gli impediscono in modo efficace di riprendere il controllo sulla propria mente, o anche solo di desiderarlo.

«Pensare, per un membro di setta, è come essere pugnalati al cuore con uno stiletto» continuò. «È molto penoso perché gli è stato detto che la mente è Satana e che pensare è un meccanismo del Diavolo».

Le intuizioni personali sul modo in cui quel meccanismo può essere fermato portarono Patrick a sviluppare la sua controversa procedura di deprogrammazione, essenza della quale, ci spiegò, era semplicemente indurre l'individuo a pensare di nuovo.

«Quando deprogrammi la gente» enfatizzò, «la costringi a pensare. La sola cosa che faccio è travolgerla di domande impegnative.

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Li colpisco con domande a cui non sono stati programmati a rispondere. So ciò che i culti fanno e come lo fanno, perciò faccio le domande giuste e quando non riescono a rispondere si sentono frustrati. Pensano di avere la risposta, sono stati imboccati a rispondere a tutto. Ma io li mantengo fuori equilibrio e ciò li costringe a cominciare a dubitare, ad aprire la propria mente. E quando la mente arriva a un certo punto riescono a vedere oltre tutte le bugie a cui sono stati programmati a credere. Si rendono conto di essere stati abbindolati e ne vengono fuori. La mente ricomincia di nuovo a lavorare».

Ed è in questo, secondo Patrick, che consiste la deprogrammazione. Ma da quando Patrick ha cominciato a deprogrammare i membri di culto, all'occhio dell'opinione pubblica sia l'uomo che il suo procedimento hanno assunto proporzioni mostruose. I leggendari rapimenti di Patrick, tattica utilizzata unicamente come ultima risorsa, lo portavano spesso allo scontro fisico con membri indotti a credere che l'Illuminazione Nera fosse in realtà un agente di Satana che li avrebbe sottoposti a torture inimmaginabili affinché rinunciassero alle loro convinzioni. I membri di culto che, prima di essere deprogrammati riuscivano a sfuggire ai genitori e a Patrick, correvano spesso dai media rilasciando racconti dell'orrore sul procedimento. Una ragazza dichiarò a una televisione nazionale che Patrick le aveva strappato i vestiti di dosso e l'aveva inseguita nuda attraverso i prati dei vicini. Altri membri attivi di culto sostennero di essere stati brutalmente picchiati da Patrick, ma mai nessun genitore, ex membro o altro testimone attendibile con cui abbiamo parlato ha mai convalidato tali accuse. In verità, ci ha detto Patrick - e altri in seguito lo hanno confermato -, molte delle storture diffuse in tema di deprogrammazione erano parte di una campagna coordinata tra diversi culti per screditare i suoi metodi. Alla fine, ci disse, la propaganda lavorò unicamente a suo vantaggio.

«I culti raccontano che violento le donne e le picchio. Dicono che li rinchiudo nello sgabuzzino e gli ficco ossa in gola» rise Patrick. «Ciò che non sanno è che mi stanno semplificando il lavoro. Loro arrivano qui terrorizzati e poi, proprio grazie alle storiacce che si sono sentiti raccontare sul mio conto, posso sedermi, guardarli in faccia, chiacchierarci un po' e deprogrammarli. Loro pensano "E adesso che accidenti farà?". Si aspettano che li schiaffeggi o li picchi, e già in quel momento la loro mente comincia a lavorare di nuovo».

Patrick ammise che all'inizio il suo metodo fu sviluppato con prove ed errori nel tentativo di ragionare con ogni membro di culto, e apprese ogni rituale e credenza settaria fino a che non decifrò il codice. Raffinando il suo procedimento ad ogni nuovo caso, arrivò a comprendere esattamente ciò che serviva per minare lo scudo mentale settario. Con le sue domande, come una punta di diamante sondava la superficie grezza del linguaggio e del comportamento fino a che non

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scopriva il punto chiave al centro di ogni convinzione radicata del membro di culto. Una volta trovatolo, Patrick martellava fino a che l'intero stato mentale programmato cedeva, rivelando l'identità originale del membro e la vera personalità intrappolata al suo interno.

Mentre Patrick si rilassava, lo spirito e la fiducia che lo animavano presero a sgorgare più liberamente. Gli chiedemmo di descrivere dall'inizio una deprogrammazione tipo, e poi di spiegarsi il modo in cui riusciva a capire quando l'individuo era stato deprogrammato, cioè quando poteva dire per certo di avere completato il lavoro.

«La prima volta che metto gli occhi su una persona» ci disse fissandoci con intensità, «riesco a capire se la sua mente sta funzionando oppure no. Poi, quando comincio a farle domande, posso determinare esattamente in che modo è stato programmato. Da quel punto in poi è tutta questione di linguaggio. Si tratta di parlare, e di sapere di che cosa parlare. Comincio a contestare qualsiasi affermazione la persona faccia. Comincio a mettere in moto la sua mente, lentamente, incalzandola con le domande e osservo qualsiasi mossa faccia la sua mente. So in che direzione andrà e quando colpisco il punto chiave so che ho fatto centro, e continuo a spingere. Resto sulla domanda - si tratti di Dio, del diavolo o del fatto che quella persona ha interrotto i rapporti con i genitori. Continuo a spingere. Non le permetto di cambiare argomento e di concentrarsi sulle bugie che le sono state raccontate. Poi c'è un momento, c'è un istante in cui la sua mente schiocca, quando si rende conto che il culto le ha mentito ed è come se si risvegliasse. È come accendere la luce in una stanza buia. Queste persone sono come in uno stato mentale di quasi incoscienza, poi accendo la mente dall'incoscienza alla coscienza ed essa schiocca, così, snap ».

Senza che noi avessimo detto nulla fu Patrick stesso a usare quel termine - snap - per descrivere ciò che accade nella deprogrammazione. E, secondo Patrick, in quasi ogni caso esso arrivava all'improvviso. Quando si è raggiunto il momento, l'aspetto del membro dil culto subisce un cambiamento drastico e acuto. Esce dal suo stato di simil trance e la sua capacità a pensare in modo autonomo viene recuperata.

«È come vedere qualcuno che si trasforma da lupo mannaro in uomo» disse Patrick. «È una cosa bellissima. Cambia l'intera personalità, gli occhi, la voce. Laddove c'erano odio e un'espressione vuota puoi vedere di nuovo i sentimenti».

Lo snapping, un termine che Patrick usò spesso, è un fenomeno che sembra avere momenti estremi sia in un senso che nell'altro. Quando la persona entra nel culto, durante le lezioni, i rituali o le prove fisiche, può verificarsi un momento di improvviso, intenso cambiamento. Con uguale se non maggiore subitaneità un altro cambiamento simile può avvenire quando il soggetto è deprogrammato e ricondotto di nuovo alla capacità di pensare.

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Una volta ottenuta questa svolta, però, l'individuo non è schioccato fuori del tutto, libero e a casa. Per neutralizzare la condizione temporanea che Patrick definisce di "galleggiamento", la deprogrammazione richiede sempre un periodo di riabilitazione. Per assicurarsi che i membri di culto non ritornino al loro stato mentale settario, ci disse, Patrick raccomandava che il soggetto vivesse per un certo periodo di tempo con un deprogrammato completamente riabilitato. Riteneva che il modo migliore per evitare che la persona "ci ricadesse", come lui lo chiamava, fosse farlo tornare il prima possibile alla vita quotidiana e alle normali relazioni sociali. In quell'ambiente il soggetto deve poi attivarsi per ricostruire le capacità fondamentali di pensiero e di provare sentimenti che gli erano state sistematicamente distrutte.

«La deprogrammazione è come tirar fuori dal garage un'auto ferma da un anno» continuò. «La batteria è scarica e per farla partire devi usare i cavi. Riesci così a metterla in moto, ma se poi la spegni subito sarai punto e a capo. Devi far girare il motore fino a che la batteria non si sia ricaricata. È in questo che consiste la riabilitazione. Una volta che la mente ha ripreso a funzionare dobbiamo farla funzionare il tempo sufficiente affinché la persona riprenda l'abitudine a pensare e a prendere decisioni».

La deprogrammazione aggiungeva una dimensione interamente nuova al già complesso mistero dello snapping. In un certo senso la deprogrammazione conferma che nel corso dell'esperienza del membro di culto avvengono alcuni cambiamenti drastici nel funzionamento della mente, poiché solo attraverso la deprogrammazione diventa evidente a tutti, membro compreso, che le sue azioni, espressioni e addirittura l'apparenza fisica non erano sotto il suo controllo. In un senso diverso la deprogrammazione è essa stessa una forma di cambiamento improvviso della personalità. Poiché sembra essere un cambiamento personale di genuino ampliamento ed espansione, essa pare avere una stretta somiglianza con un vero momento di illuminazione, con il naturale processo di crescita personale e di consapevolezza e comprensione piuttosto che con i cambiamenti limitativi provocati dai rituali del culto e dai cimenti artificialmente indotti all'interno del gruppo.

Che cosa significa sperimentare l'improvviso schiocco di una deprogrammazione? Il risultato degli sforzi di Patrick e di altri è che ora esistono migliaia di risposte a questa domanda. Patrick sostiene di avere personalmente deprogrammato oltre duemila membri di culto; altre migliaia sono stati deprogrammati da deprogrammatori o "assistenti di uscita" professionisti che da allora sono entrati in questo nuovo campo. Nel nostro primo giro di viaggi continentali parlammo con decine di ex membri di culto, molti dei quali erano stati deprogrammati da Patrick. Per quanto abbiamo potuto vedere i suoi clienti non mostravano di avere conservato cicatrici, né fisiche né mentali, in seguitoall'esperienza di deprogrammazione.

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Quasi tutti sembravano essere in piena salute, felici, completamente riabilitati e completamente liberi dagli effetti della vita settaria.

A differenza dei molti racconti di conversione al culto che abbiamo ascoltato, che dopo un po' cominciano a suonare praticamente identici, ogni racconto delle deprogrammazioni di Patrick era una avventura unica e avvincente, ricca di intrighi e pianificata fin nel minimo dettaglio. Il primo passo da compiersi era quasi sempre quello di allontanare il membro dal suo gruppo, e lo si poteva fare con un rapimento, con la custodia legale o, come Patrick sembrava preferire, semplicemente con un astuto sotterfugio. Uno degli esempi della sua tattica più ricchi di suspense ci fu raccontato da una ragazza che chiameremo Lynn Marshall, ex membro della Chiesa di Armagheddon, conosciuta anche come "Ama Israele", uno dei primi culti cristiani del Nordovest. Ci descrisse il piano messo a punto dalla sua famiglia e da Patrick.

«Fui rapita su incoraggiamento dei miei genitori» ci raccontò. «Mia madre mi invitò a pranzo, ma in "Ama Israele" non sei autorizzato ad andare da solo da nessuna parte - in particolare non con qualcuno del mondo esterno - perciò mi accompagnò un tizio, quello che tutti chiamavamo "Logic", che nella vita reale era figlio di Steve Allen, quello della TV. Andammo a pranzo con mia madre che a sua volta era accompagnata da un uomo che si presentò come un amico di famiglia. Avevano preso un'auto a noleggio e dissero che ci avrebbero riaccompagnati; nel salire in macchina mi fecero sedere dietro, con mia madre, mentre Logic prese posto davanti a fianco dell'amico di mamma. A un certo punto imboccammo la strada sbagliata e Logic disse: "Stiamo andando nella direzione sbagliata", ma l'amico di mia madre rispose: "Beh, devo incontrare un amico". Imboccò quindi l'autostrada e si fermò per caricare questo tizio che faceva l'autostop. Tra me pensai: "Ma questo tira su un autostoppista con mia madre in macchina?" Dissero che volevano che l'autostoppista sedesse nel mezzo quindi fecero scendere Logic. E non appena fu sceso chiusero lo sportello e lo lasciarono lì. Pensai che mia madre fosse impazzita ma mentre il suo amico accelerava lei mi disse "Ti stiamo riportando a casa". L'autostoppista era Ted Patrick».

Non tutti i leggendari rapimenti di Patrick funzionarono come un orologio svizzero. Un altro ex membro con cui parlammo, l'ex "devoto" Hare Krishna Tom Koppelman (pseudonimo), ricordò il suo rapimento e ci descrisse poi il processo di deprogrammazione vero e proprio.

«In Krishna non si parlava molto di deprogrammazione» ci disse, «ma ricordo una volta in cui un devoto stava per uscire con i genitori e questo tizio gli disse "devi stare attento perché alcuni genitori ingaggiano dei deprogrammatori e questi loschi figuri ti malmenano, ti fanno mangiare carne e ti fanno sfilare davanti delle prostitute, e ti infilano del ghiaccio nel colletto della camicia per tenerti sveglio" ».

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Vittima di queste paure, oltre agli altri classici timori del mondo esterno, Koppelman non cedette facilmente alla sua deprogrammazione, studiata in modo decisamente complicato alcuni mesi dopo.

«Mio padre ebbe l'idea di dire ai Krishna che mi avrebbero portato dal dentista per un controllo» ricordò il ragazzo. «Mi venne a prendere mia madre e andai da solo perché il leader aveva detto che potevo farlo. Mentre ci stavamo dirigendo verso lo studio medico mia madre parcheggiò improvvisamente dietro un'auto ferma. Le chiesi "Perché ti fermi?", alzai lo sguardo e vidi questi due grossi tizi uscire dalla Pontiac. Mi sollevarono letteralmente di peso e mi depositarono sul sedile posteriore. Ero spaventato a morte. Ero sicuro che mi avrebbero portato in un motel e pestato a sangue. Così cominciai a scalciare e a urlare, e a scandire Hare Krishna Hare Krishna ».

Quando un membro di culto si rende conto che sta per affrontare una deprogrammazione può avere spesso delle reazioni estreme, può salmodiare o pregare fino a che non realizza l'inutilità dei suoi sforzi, o può sembrare cooperativo senza essere in realtà uscito dal suo stato mentale settario. La reazione di Koppelman fu tipica di tante altri racconti che ci sono stati fatti.

«Quando mi dissero che non mi avrebbero fatto del male smisi di urlare» ci raccontò. «Volevano solo parlarmi, tutto lì. Allora mi rilassai completamente. Dissi a me stesso Hey, è la mia possibilità. Convertirò questa gente. Ricordo anche che pensai sicuramente quanto tornerò al tempio avrò una storia incredibile da raccontare.

Il processo di deprogrammazione era già in corso. All'inizio Koppelman difese fedelmente la sua setta, ma il semplice ascolto delle parole del deprogrammatore e l'osservare gli altri nel mondo esterno fece sì che cominciasse a percepire la stranezza e l'alienazione del suo stato mentale settario. E quello fu il primo sentore di dubbio dopo mesi di incrollabile devozione.

«All'inizio mi sentivo molto forte» ha ricordato, «Poi mi portarono a casa e cominciai a sentirmi molto piccolo, come se mi stessi ritraendo». Per deprogrammare questo ascetico seguace di Krishna, un dio Indù, Patrick utilizzò sorprendentemente lo stesso strumento che avrebbe potuto usare con un Moonie o un fanatico di Gesù: la Bibbia.

«Patrick ne sapeva davvero tanto sulla religione» disse Koppelman. «Cominciò a declamare versi biblici uno dopo l'altro, versi che potevano veramente fare a fette il movimento Krishna. Credo che l'ultimo sia stato 1 Timoteo 4, che sostanzialmente dice: Vi sarà chi si allontana dalla fede, e con coscienza come ustionato da ferro incandescente comanderà di non sposarsi e proibirà il consumo della carne - che Dio ha messo su questa terra per essere mangiata il Giorno del Ringraziamento - qualcosa del genere. E quello mi colpì davvero molto.

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Fece saltare tutto il fondamento della faccenda vegetariana».

Come ci aveva detto in precedenza, nel caso di Koppelman Patrick aveva stabilito fin dalle prime domande che il nucleo centrale del legame del ragazzo con Krishna erano le argomentazioni del culto contro l'uccisione degli animali e il consumo delle loro carni, credenza mantenuta universalmente dagli Indù e, in anni recenti, da un numero sempre crescente di occidentali di svariate fedi. Nel caso di Koppelman la convinzione era legata in modo intricato alle dottrine del culto a proposito di auto-negazione e reincarnazione, e alle prolungate pratiche di rituali meditativi che nel gruppo servivano da tecnica primaria di controllo mentale. Patrick insistette sull'argomento fino a che non riuscì a fare breccia nella principale linea difensiva di Koppelman.

«Poi nella mia testa scattò qualcosa» ha ricordato il ragazzo. «Ero seduto lì e fu come se davanti a me vi fosse questo tremendo baratro che sprofondava all'infinito. Sembrava davvero senza fine. Io ero sull'orlo del baratro e sapevo di non essere sul lato giusto. Nel cervello mi si affollavano tutte queste cose. A quel punto ero ancora dalla parte di Krishna, ma sentivo come se stessi correndo verso quel baratro e che l'avrei attraversato. Ero terrorizzato. Volevo veramente dire Bene, e adesso chi seguo?. Ma improvvisamente bang, ero dall'altra parte. Nella mia testa riuscivo davvero a vedermi balzare oltre il crepaccio. Era una sensazione molto vivida. C'era come una nebbia scura e questo baratro profondissimo. Mi ci avvicinavo, esitavo sul bordo e poi fu come se l'avessi attraversato. È come in un sogno, quando salti ed è tutto al rallentatore e poi d'improvviso ti svegli. Schioccai fuori del tutto e immediatamente riprovai la sensazione di essere di nuovo umano. All'istante. Tombola!».

Per Patrick si trattava di un momento di conferma molto familiare. Notò immediatamente il cambiamento del ragazzo, così come lo notarono i suoi genitori che presenziarono all'intera deprogrammazione. Per tutti gli altri la prova finale arrivò dopo qualche secondo.

«La prima cosa che dissi fu: "Dove sono le prostitute? Sono deluso". Quella fu la prima volta dopo molti mesi in cui riuscii a fare una battuta di spirito».

Mentre ascoltavamo la storia di Koppelman ci fu chiaro che durante tutti quei mesi di affiliazione al culto non era rimasto né addormentato né incosciente. Ma il suo stato mentale era un profondo "baratro", distaccato dalla nozione comune di consapevolezza e coscienza. Koppelman era restato cosciente per tutto il tempo, ma non "pensante": come disse Patrick, il ragazzo era stato derubato della sua libertà di pensiero. Immerso in un mondo di fantasia, Koppelman era tagliato fuori da quella qualità vitale che filosofi e teologi occidentali sono soliti definire "libera volontà". Senza di essa era una persona completamente diversa, vacua e priva di senso dell'umorismo, fino a che la procedura di deprogrammazione non riuscì a frantumare il guscio di quella sua esistenza non completamente umana.

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Bill Garber, come lo chiameremo qui, è un ex membro della Missione della Luce Divina, un altro culto indù fondato ai primi anni Settanta da un paffuto guru adolescente chiamato Maharaj Ji. Graber ci ha dipinto un quadro leggermente diverso del processo di deprogrammazione.

«Con tutta la sua serie di domande Ted mi portò veramente al limite» ci ha raccontato, «e mi ritrovai a chiedermi che cosa stesse succedendo, visto che dovevo essere io quello che deteneva il monopolio della verità e dell'amore, non lui. E non era davvero concepibile che qualcuno potesse convincermi a rinunciare alla mia fede. Le domande di Ted riguardavano gente in altri gruppi. Mi chiese che cosa mi spingeva a pensare di possedere l'unica verità, quando anche tutti gli altri erano convinti della stessa cosa. Sapevo che non sarei riuscito a gestire quell'argomento così cominciai a meditare in attesa che il guru mi inviasse la risposta. Poi Ted mi disse "la meditazione va bene, ma non quando qualcuno la usa per controllare la tua mente. Sei stato plagiato senza che te ne rendessi conto e senza il tuo consenso". Smisi di meditare e nella mente cominciarono a esplodermi delle idee, come dei pop-corn. Cominciai a pensare alle interrelazioni tra tecniche di vendita e plagio. Ted non lo sapeva, ma anni prima avevo fatto il venditore di enciclopedie».

Garber ci descrisse lo snapping come un qualcosa di astratto piuttosto che di totale irrealtà. E anche per lui, come per Tom Koppelman, la sua subitaneità era stata indimenticabile.

«L'effetto fu qualcosa di simile all'incolonnamento di schede IBM» ha ricordato facendo il paragone con i primi giorni dell'era informatica. «Un paio di idee si combinarono assieme con una specie di zap. Fu il primo pensiero fantasioso da moltissimo tempo. Mi arrivò addosso così all'improvviso che nemmeno Ted si rese conto di ciò che aveva fatto».

E per Garber il momento in cui la sua mente si riaccese fu accompagnato da sensazioni fisiche straordinarie.

«Ero seduto lì con quest'espressione stordita in viso» ci ha raccontato. «Ero scosso, come sotto shock, e vi fu una momentanea distorsione visiva, come la sensazione di avere uno zoom dentro gli occhi. All'improvviso il volto di Ted fece zip-zip. Non mi era mai successo prima, e non mi è mai più successo dopo».

Un enigma dello snapping messo in risalto dal processo di deprogrammazione è la grande quantità di attività mentale che ha luogo in quello stato di insensibilità e "non pensiero" in cui molti membri di culto vengono attirati. Ironicamente, quasi tutte le persone con cui abbiamo parlato avevano lottato disperatamente per preservare il loro stato di beatitudine ed estraniamento sebbene spesso fosse saturo di paura, senso di colpa, odio e spossatezza. All'inizio sembrava esservi una inquietante contraddizione: come era possibile che un individuo la cui mente era stata apparentemente scollegata, che era stato derubato della sua libertà di pensiero, mostrasse tale astuzia e iniziativa? Ciò che il processo di

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deprogrammazione dimostrò è che i membri di culto non schioccano semplicemente fuori da un normale stato di coscienza per cadere in uno stato di completa incoscienza (e viceversa durante la deprogrammazione). Al contrario, quasi tutti passano da una struttura di consapevolezza cosciente a una seconda struttura, completamente separata, in cui possono ugualmente essere attivi e percettivi.

Abbiamo parlato con un ex membro della Chiesa di Scientology, uno dei culti più vecchi e riservati d'America, che durante la deprogrammazione prese contromisure per conservare la sua struttura mentale settaria fino a quando le capacità comunicative esperte di Patrick colpirono la sua attenzione e schioccò fuori.

«Cercavo di fingere di stare ascoltando» ci raccontò questo ex scientologist, «ma cercavo anche di mantenermi assente e di non prestare veramente attenzione. A volte però era come se dentro mi esplodesse qualcosa, e allora mi ritrovavo improvvisamente ad ascoltarlo. La sensazione era provocata principalmente dal suo continuo parlare e dal suo cambiamento di velocità. Aveva questo suo ritmo e passava continuamente dai toni acuti a quelli più bassi, era molto piacevole. Con questo suo modo di parlare mi fece semplicemente schioccare fuori dallo stato di assenza in cui mi trovavo. Del tutto improvvisamente mi sentii come agitato, eccitato. Arrossii. Riuscivo a sentire il sangue che mi affluiva al viso».

Per approfondire la comprensione della deprogrammazione e del suo controverso inventore indagammo sul background di Patrick e, nel corso del nostro colloquio, gli facemmo domande sulla sua infanzia scoprendo esperienze molto profonde che ci fornirono indizi sulle sue intuizioni a proposito delle tattiche utilizzate dai culti. Nato e cresciuto a Chattanooga, Tennessee, il giovane Theodore Roosevelt Patrick aveva dovuto vincere moltissimi handicap sociali, oltre all'essere povero e nero. L'uomo che arrivò a fare meraviglie con il solo uso della parola era nato con problemi di linguaggio che lo avevano avvicinato, fin dalla tenera età, a molte forme dubbie di religione.

«Mia madre mi portava da ogni indovino, guaritore, Holy Roller, falso dio e falso profeta, vudù e hudù - da chiunque passasse in città; ma ancora avreste fatto molta fatica a capire ciò che dicevo» ci raccontò Patrick. «Mia sorella mi doveva fare da interprete. Poi mi arrivò improvvisamente addosso questa cosa. Stai forse chiedendo a Dio di fare qualcosa che tu non vuoi fare da solo, per te stesso? Ci hai provato?. E sapevo di non averlo fatto».

E Patrick guarì se stesso.

«Avevo sempre avuto paura delle parole» confessò. «Non riuscivo a pronunciare tante parole perché temevo che uscissero sbagliate. Così cominciai a correggermi di continuo, a voce alta. Anche quando ero in chiesa, la mia mente si correggeva di continuo. Ecco come sono arrivato al punto di riuscire a parlare».

Dopo quella prima vittoria sui suoi problemi, durante i dieci anni di scuola pubblica Patrick continuò a fare progressi poi

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lasciò le superiori per iniziare la carriera di attivista sociale in difesa dei diritti delle minoranze. In seguito, quando cominciò la sua battaglia contro i culti, a molti deve essere sembrato ironico che si impegnasse così appassionatamente in ciò che, superficialmente, sembrava essere una lotta contro i diritti degli individui e delle minoranze. Quando cominciò a deprogrammare Patrick era ben conscio che stava tecnicamente violando le libertà sancite dal Primo Emendamento dei membri di culto che rapiva. Considerate le circostanze, però, e i cambiamenti osservabili sperimentati dai membri di culto, Patrick fu spinto a tracciare la sua sottile distinzione, ferocemente dibattuta, tra libertà costituzionali e umane.

«Quando nasci vieni al mondo secondo le leggi della natura» affermò Patrick. «Solo in seguito vieni introdotto alle leggi del paese. Ogni volta che qualcuno distrugge la tua libera volontà, quando ti viene portata via la mente e la tua capacità naturale di pensare, allora viene distrutta la persona. E fintanto che rimani in quella condizione non hai più diritti costituzionali da violare».

Fin dall'inizio Patrick parlò coraggiosamente in difesa della libertà di pensiero, sapendo che la sua nuova procedura gli sarebbe costata il lavoro e anche la sua stessa libertà. Sebbene da anni stesse deprogrammando a tempo pieno membri di culto, Patrick rimaneva un uomo profondamente etico e religioso. Ciononostante nelle sue deprogrammazioni faceva molta attenzione a non imporre mai agli altri o ai giovani che stava assistendo la sua fede religiosa.

«Quando deprogrammo» sottolineò, non accenno mai a una chiesa o al fatto che io stesso creda o no in Dio. Quello non c'entra. La mia intenzione è fare in modo che la loro mente ricominci a funzionare, che tornino in questo mondo. Conosco la Bibbia a memoria, potrei declamarla all'incontrario, ma ho cominciato a capirla veramente soltanto quando ho lasciato la scuola e ho cominciato a battere le strade, a studiare la gente. È quello l'unico modo per usare la Bibbia: devi metterla in relazione con la vita quotidiana. Quando il ventiquattresimo capitolo di Matteo dice Saranno molti ad arricchirsi sul mio nome, dicendo che sono Cristo; e imbroglieranno l'eletto, allora si dovrebbe mettere in relazione questo passo con i falsi dei di oggi».

Vi furono segnali che alcuni stavano cominciando a capire. Per la fine degli anni Settanta, mentre altri deprogrammatori iniziavano a lavorate in tutto il paese, per lo più ex clienti o imitatori dichiarati dello stile di Patrick, in tanti trassero beneficio dagli incredibili sforzi suoi e di Sondra Sacks, la madre di un giovane Hare Krishna che Patrick aveva deprogrammato e che per tutti gli anni Settanta lavorò a stretto contatto con lui. Quella sera, mentre ci apprestavamo a lasciare l'affollata stanzetta della Prigione di Contea di Orange, Patrick ci informò del suo progetto di scrivere un manuale

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di deprogrammazione, un libro che avrebbe chiarito alcune delle confusioni pubbliche e professionali che circondavano la sua tecnica, e che l'avrebbero collocata in un ambito più vasto che poteva avere il suo valore per il trattamento di altri disordini mentali ed emotivi. Nel parlare delle implicazioni del suo lavoro, Patrick si fece filosofico.

«Un sacco di gente rinchiusa in ospedali psichiatrici non ha nulla che non va» ci disse. «Semplicemente non sa accettare la vita per ciò che è, e non per ciò che vorrebbe che fosse. Come qui, ad esempio, che mi devo adattare a questa prigione. Mi piace stare in prigione perché mi ci ritrovo». Mentre parlava, i suoi carismatici occhi scuri si fecero ancora più brillanti. «Sto organizzando le cose, qui» ci confidò. «La settimana scorsa centocinque prigionieri hanno firmato una petizione per richiedere un'indagine del gran giurì sul mio caso».

Sembrava proprio che, dopo otto mesi di prigione, l'Illuminazione Nera fosse di nuovo in azione.

Tre giorni dopo il nostro colloquio Patrick fu rilasciato.

Nei due decenni di battaglie legali e ripetuti periodi di detenzione e libertà sulla parola ben pochi si sono levati in difesa di Ted Patrick o del lavoro pionieristico che, in definitiva, stava svolgendo a sua spese, sia personali che economiche. Nessuna organizzazione convenzionale di salute mentale o istituzione sociale riconosciuta ha ancora preso posizione sul suo concetto di libertà di pensiero. Parte del problema, soprattutto in quei primi anni, è da ascrivere alla modalità di azione di Patrick. Risolutamente concentrato sulla liberazione dei membri di culto, parlava poco e non sprecava tempo in frivolezze sociali. La conseguenza fu che irritò e si alienò quei genitori, clinici e rappresentanti delle forze dell'ordine che sarebbero altrimenti potuti diventare suoi alleati naturali.

Ma, indipendentemente dal suo stile, le serie domande che Patrick ostentatamente portò all'attenzione pubblica non sono domande che possiamo scegliere di farci o meno piacere - e nemmeno smetteranno di angustiarci se decidiamo di ignorarle. Un individuo è libero di rinunciare alla sua libertà di pensiero? Una religione, una terapia popolare, un movimento politico o qualsiasi altra iniziativa può attaccare sistematicamente pensiero e sensibilità umana in nome di Dio, della ricerca della felicità, della crescita personale o della realizzazione spirituale?

Si tratta di domane che gli americani, forse più di chiunque altro, non sono preparati ad affrontare, poiché esse sfidano principi costituzionali e assunti culturali di lunga data sulla natura della mente, della personalità e della stessa libertà umana.

Nei mesi successivi alla visita alla prigione di contea di Orange parlammo di Ted Patrick con molte persone: genitori, ex membri di culto, avvocati, professionisti di salute mentale ed altri che, all'epoca, erano solo vagamente consapevoli della crescente controversia su alcune delle presunte forme religiose americane.

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Alcuni lo condannavano come scellerato e fascista, altri lo salutavano come un eroe popolare e profeta nero di ciò che l'America doveva attendersi. Ma lui, Patrick, mostrava poco interesse per i titoli o le immagini che di lui davano i media. Lo incontrammo di nuovo nell'estate del 1977 in Colorado, dove si era recato volontariamente per scontare le ultime poche settimane di una precedente condanna per rapimento. Ci accolse con calore in una saletta del carcere di Denver, mani e camicia sporche di vernice per i lavori che stava terminando nel laboratorio della prigione. La nostra conversazione si spostò sulla controversia settaria e sulla sua situazione legale e finanziaria che stava peggiorando per la valanga di cause intentategli da diversi culti grandi e ricchi. Con un'affermazione che all'epoca fu più preveggente di quanto potessimo noi stessi immaginare, Patrick si fece serio, preoccupato da quella che considerava essere una apatia crescente dell'opinione pubblica dinanzi all'aumento crescente di potere, ricchezza e legittimazione sociale del mondo settario.

«Il movimento settario rappresenta il pericolo e la minaccia maggiore che questo paese abbia mai dovuto affrontare», disse con estrema serietà. «Ma la gente non si sveglierà, il governo, il Congresso, il Dipartimento di Giustizia non si sveglieranno fino a che non succederà qualcosa di brutto».

In riferimento al suo lavoro disse che provava più urgenza che mai e stava già riunendo le forze per riprendere la battaglia una volta rilasciato. Nel futuro avrebbe cercato di mantenersi quanto più possibile nei limiti della legalità, ma se si trattava di oltrepassare quei limiti per salvare la mente prigioniera di un membro di culto non aveva dubbi su quale sarebbe stata la sua priorità. Patrick ci assicurò che avrebbe continuato a lanciare appelli al governo e ai professionisti di salute mentale per chiedere il loro aiuto, anche se nutriva poche speranze.

«Prima o poi dovranno riconoscere la deprogrammazione come una professione» ci disse. «Saranno costretti a farlo. Ma in questo momento non credono che finire in una setta sia qualcosa che può succedere a tutti. Tutti sono vulnerabili. Voglio che la gente se ne renda conto».

Negli anni che seguirono incrociammo le nostre strade diverse altre volte. Lo intervistammo per Playboy appena pochi giorni prima del massacro di Jonestown e dividemmo con lui e altri investigatori di culti il podio a un'udienza congiunta del Senato e della Camera statunitensi convocata a Washington nel 1979 per dibattere il fenomeno settario. Nel 1980 fu condannato per un altro rapimento e alla metà degli anni Ottanta trascorse un anno in due carceri californiane per aver violato la libertà condizionata per quella condanna. Sopravvisse a un'altra imputazione penale nello stato di Washington e resistette a una ventina di cause civili con richieste di risarcimenti che ammontavano a oltre 100 milioni di dollari.

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Per tutti gli anni Ottanta l'Illuminazione Nera restò un tizzone ardente, l'obiettivo di contro attacchi e aggressive campagne di disinformazione scatenate contro la deprogrammazione da grandi culti e da sette fondamentaliste cristiane più tradizionali. Alla metà degli anni Novanta, ritenuto ormai a riposo, Patrick era ancora attivo e lavorava prevalentemente alle deprogrammazioni volontarie e alla consulenza di riabilitazione. Nel frattempo, con il cambiamento del clima religioso, politico e sociale, i tribunali di tutto il paese si erano raffreddati nei confronti della deprogrammazione. Un altro pioniere del settore, il consulente di materie settarie e investigatore privato di New York Galen Kelly, fu perseguito penalmente per due diversi casi nella stessa corte federale della Virginia. Kelly vinse il primo caso ma fu condannato per il secondo e trascorse oltre un anno in carcere prima che la corte d'appello ribaltasse la sentenza.

Quelli ed altri casi portarono il gelo totale nell'ambiente. In quel nuovo clima i giudici rimanevano sordi agli appelli di genitori e familiari di membri di culto e la precaria professione del deprogrammatore fu ampiamente messa in ombra da una nuova generazione di "consulenti di uscita" dalle sette.

I consulenti di uscita con cui abbiamo parlato, molti dei quali essi stessi ex membri di setta che avevano studiato e si erano specializzati con formazione e credenziali cliniche, stavano sperimentando con più o meno successo un'ampia gamma di approcci eclettici. Molti erano generalisti e offrivano consulenze su tutto il territorio nazionale e, sempre più spesso, anche all'estero. Alcuni si specializzarono nella consulenza per ex Moonie, per membri di culti orientali o di gruppi carismatici a forte controllo, e per sette fondamentaliste estreme.

Molti di essi confermarono un modello che anche noi avevamo notato: i nuovi metodi di deprogrammazione volontaria e di consulenza all'uscita, sebbene molto meno controversi e decisamente più sicuri dal punto di vista legale, spingevano un numero molto minore di membri di culto a sperimentare lo snapping, l'uscita improvvisa dal loro stato mentale controllato. Al contrario molti vivevano un processo di riemersione più lento o, come lo ha definito Rick Ross, consulente di uscita dell'Arizona, una graduale "schiusa" dagli stati alterati radicati dal culto. In seguito molti ex membri necessitavano di ulteriore consulenza, di riabilitazione specialistica e, in alcuni casi, di parecchia psicoterapia per ripristinare la personalità precedente e riacquistare il pieno controllo delle facoltà mentali.

Al Wellspring Center dell'Ohio meridionale, uno dei pochi centri organizzati di riabilitazione post-settaria, Paul Martin, PhD, egli stesso ex membro di una setta cristiana estrema che ha poi continuato gli studi fino a laurearsi in psicologia e a specializzarsi in assistenza, è diventato il primo consulente di uscita a sviluppare test diagnostici sugli effetti settari e metodi sistematici per aiutare gli ex membri ad attraversare i difficili stadi dell'emersione e tornare a pieno titolo nella società. Martin e altri consulenti di uscita hanno collaborato fattivamente con media e professionisti clinici per portare

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il crescente fenomeno del controllo settario a livelli più alti di preoccupazione pubblica e professionale.

Ma, due decenni dopo, sia la comprensione pubblica che il sostegno professionale sono ancora estremamente carenti.

 
 
 
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