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Quei ricatti sussurrati dai nipotini di Goebbels

Il diario di guerra della drammaturga serba più dura contro il regime, ma che non ha voluto lasciare la sua città. Di Biljana Srbljanovic.

Ogni giorno sul quotidiano La Repubblica, dal 28 Aprile 1999. Ripreso da Allarme Scientology, pagine a cura di Martini.

© Der Spiegel - La Repubblica.

BELGRADO (19 GIUGNO) - Oggi ho sentito una storia commovente da alcuni ex giornalisti indipendenti. Nella guerra appena finita, il vero eroe nascosto era l'infame ministro dell'Informazione. L'uomo che ha applicato regole draconiane contro la libertà di stampa, che nei mesi prima della guerra, dall'ombra, faceva pagare salato ai media indipendenti i problemi finanziari, nell'interpretazione di alcuni "sopravvissuti" giornalisti indipendenti è diventato un eroe.

Secondo le testimonianze di alcuni di loro, con le sue telefonate il ministro ha salvato dal tribunale militare e dalla prigione tanta gente, che poteva finirci se si fosse azzardata a comunicare liberamente. Come li aiutava? Aveva l'abitudine di chiamare giornalisti e editori con tono da cospiratore, e avvertirli che «se avessero pubblicato "questo o quello" sarebbero finiti in prigione».

Così i censori avevano poco lavoro, perché le persone beneficate da questi avvertimenti si autocensuravano. In altre parole, l'"eroe" non risparmiava scatti telefonici per spaventare quelli che volevano informare il pubblico con obiettività, e spiegava che li avrebbe fatti arrestare, se si fossero permessi espressioni libere.

Resta una domanda: come faceva il ministro a conoscere sempre le intenzioni dei giornalisti di pubblicare "questo o quello"? Se non erano poteri extrasensoriali, posso immaginare che queste stesse persone lo chiamassero al telefono, confessando le intenzioni segrete, e chiedendogli un segno. Il pollice all'insù significava che quell'intenzione non era pericolosa per il regime, il pollice all'ingiù significava che era meglio abbandonare l'idea, magari perché giusta e morale.

"Per salvare capra e cavoli", come recita lo spirito popolare serbo, con cui spesso si giustificano i compromessi vergognosi ai quali la gente è costretta nella vita. "Per salvare i giornalisti e lasciare il pubblico non informato": così in questo caso si potrebbe tradurre questa storia della capra e dei cavoli. I cavoli infatti sono i lettori, spettatori e ascoltatori, che hanno il diritto inalienabile di essere informati su chi sta giocando con le loro vite, in che modo e perché.

Questo metodo, non troppo intelligente, ma neanche perfido, non mi stupisce, perché proviene dai modesti eredi di Goebbels, ministri squallidi di ministeri squallidi di un paese ancora più squallido. Però la credulità con cui gente dotata di intelletto seguiva questo gioco rivela qualcos'altro. Chi durante la guerra si spaventava della propria ombra (spesso con ragione) ha bisogno di discolparsi in qualche modo, perché non ha avuto il coraggio di andarsene. Quando la paura ha sottratto loro la capacità di scelta, perché non si sono ritirati dal lavoro che esercitavano con onore e coraggio?

Tutti sono stati in pericolo, ed è ancora così: per chiunque lotti per la verità, per chi in vari modi collabora con i media esteri, per tutti quelli che, nonostante tutto, hanno qualche dubbio su questa gloriosa vittoria del più grande leader serbo, sapete già chi, ma questa è questione di libera scelta. Nessuno può forzare gli altri a cercare nella nebbia i contorni della verità. Ma se una volta per tutte si decide per questo impegno, nessuna minaccia da un piccolo ministro (perché questa è una minaccia e non un "avvertimento bonario") può giustificare l'abbandono di questa scelta. È più onorevole tirarsi fuori e non dire niente, perché la paura è cosa umana, e tutti la sentiamo, piuttosto che inchinarsi agli autocrati e intanto cercare in essi un granello di umanità che giustificherà il tradimento degli ideali.

(Traduzione di Aleksandra Jovicevic)

 
 
 
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