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Riunione al mercato per sfidare il regime

Il diario di guerra della drammaturga serba più dura contro il regime, ma che non ha voluto lasciare la sua città. Di Biljana Srbljanovic.

Ogni giorno sul quotidiano La Repubblica, dal 28 Aprile 1999. Ripreso da Allarme Scientology, pagine a cura di Martini.

© Der Spiegel - La Repubblica.

BELGRADO (20 GIUGNO) - Nel giorno in cui il governo della Jugoslavia ha rimandato per l'ennesima volta la proclamazione della fine dello stato di guerra, noi abbiamo capito che non potevamo più aspettare. Abbiamo perso la pazienza e abbiamo deciso di riunirci per dimostrare che ancora esistiamo.

L'azione è stata organizzata in modo clandestino, attraverso conversazioni telefoniche cifrate ed e-mail che nessuno sapeva interpretare. Avevamo paura che all'appuntamento venissero più poliziotti che manifestanti.

Nonostante tutto abbiamo capito la cosa più importante: oggi, domenica, al mercato di Belgrado si raduneranno con il coraggio che gli è rimasto i cittadini di libero arbitrio. Ci riconosceremo perché ognuno di noi porterà con sé le ceste per la verdura e la testa alta, ci riconosceremo perché ci conosciamo, perché stavamo tutti "insieme" durante la guerra, perché abbiamo parlato sinceramente con tutti quelli che ci chiedevano qualcosa, e anche quando non ci domandavano, perché tutti abbiamo un'illusione non sfiorita della possibile creazione di una società libera, democratica e aperta.

All'ora stabilita, al posto stabilito, la gente si è radunata. Non rallegratevi tanto, perché eravamo pochi. Punto primo, la difficoltà delle comunicazioni ha impedito di informare per tempo tutti quelli sui cui si poteva contare. Punto secondo, la gente è ancora spaventata, perché la paura è una cosa che si guadagna con facilità, ma si perde con difficoltà. Secondo la legge non abbiamo il diritto di essere qui, non abbiamo alcun diritto di camminare per strada, e di dire quello che vogliamo. Questo paese si è trasformato già da tanto tempo in uno Stato poliziesco, tanto che anche tra di noi ci sono quelli che lavorano per il regime.

E poi c'è la delusione. La gente ha perso la fiducia nel futuro, nella possibilità di cambiare, e soprattutto ha perso la fiducia in se stessa, nelle sue idee, visto che il mondo è governato dalla lingua del potere. Dopo quelle ampie e così disilludenti dimostrazioni dell'inverno 1996-'97, sono rimasti in pochi quelli che ancora credono nel potere dei raduni pubblici. Privatamente, la gente come noi è divisa più che mai. Non ci sono più le organizzazioni intorno alle quali ci riunivamo, sciolte subito dopo l'inizio degli attacchi Nato. Non ci sono mezzi di comunicazione indipendenti che potrebbero informare su una cosa come questa. Non ci sono i tanti espatriati, i tanti non ancora rientrati dall'esilio. E poi tanti altri hanno situazioni familiari difficili: la donna che mi ha informata di questa riunione doveva partire da Belgrado per vedere il figlio per la prima volta dopo tre mesi, era soldato in Kosovo, da tempo non aveva più dato notizie.

Nonostante tutto, però, ci siamo riuniti. È ridicolo dire quanto eravamo pochi, abbiamo riso noi stessi, però eravamo felici di esserci. Se radunarsi pubblicamente è proibito, nessuno ci può proibire la spesa settimanale di melanzane, zucchine, ciliegie e radicchio. Così abbiamo fatto: abbiamo comprato le verdure per questa settimana, abbiamo trattato sul prezzo dei lamponi e parlato a voce alta. Per essere un inizio è stato un incontro incoraggiante. Oggi eravamo una trentina, domani forse saremo mille volte di più. Trenta persone che in queste condizioni non hanno paura di farsi vedere a una riunione "anti-regime" - con la polizia in borghese che sicuramente era presente - non è una cosa insignificante.

Non è neanche molto importante, lo so, non ho nessuna illusione su questo. Però trenta persone di cui puoi vedere le facce, trenta persone di cui conosci i nomi, trenta persone che sei felice di conoscere, bastano per avere qualche speranza. Ci siamo, dunque esistiamo. Un giorno o l'altro, non vi sorprendete se saremo tanti, molti di più. Ci vorranno dieci giorni, o dieci mesi, o anche dieci anni, ma alla fine verrà la fine di questa gigantesca macchina statale che trita carne umana.

(Traduzione di Aleksandra Jovicevic)

 
 
 
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