Il diario di guerra della drammaturga serba più dura contro il regime, ma che non ha voluto lasciare la sua città. Di Biljana Srbljanovic. Ogni giorno sul quotidiano La Repubblica, dal 28 Aprile 1999. Ripreso da Allarme Scientology, pagine a cura di Martini. © Der Spiegel - La Repubblica.
BELGRADO (17 MAGGIO) - Oggi sono andata a salutare un'amica in partenza per l'estero. Portava con sé soltanto
le cose più preziose: il biglietto di andata e la figlia. Il marito, l'appartamento, e gli amici, invece li ha affidati a me. Quando
è partita, ci siamo salutate, scusandoci l'una con l'altra. Io pensavo di dovermi scusare perché resto. Lei, piangendo,
si scusava perché se ne va.
"Non lo faccio per me - mi diceva - io potevo ancora resistere. Ma è mia figlia
che è invecchiata". Proprio così. Invecchiata. La figlia ha appena due anni. Ma qui sembra che si sia ormai
instaurato un nuovo sistema per misurare il tempo. La gente perde colore e impallidisce, come sulle vecchie fotografie. Non
invecchia, ma proprio sparisce lentamente davanti ai mei occhi.
I bambini, invece, invecchiano.
Saltano di un colpo l' infanzia e la gioventù, per colpa della paura giornaliera, le notti passate nei rifugi, il futuro incerto.
I bambini semplicemente invecchiano. Mentre giocano giochi di guerra, imitando le sirene
dell'allarme, saltando i pasti, i bambini saltano una parte importante della loro esistenza, ed entrano nell'autunno della vita.
"Almeno hanno un tetto sopra le testa, almeno nessuno li perseguita, almeno la polizia
violenta non li uccide", così ci consoliamo io e i mei concittadini. Ma sono sempre di più quelli che rimangono
senza casa, perché sempre più sono le case distrutte dai bombardieri. E li perseguita, terribilmente, l'ombra di questo
regime che sta rubando loro il futuro. E muoiono anche tanti bambini nei disastri provocati dai missili che sbagliano mira. E il tempo
passa sempre più lentamente e questo orrore non sembra finire più.
Il tempo
si comporta proprio in uno strano modo. Le notti sembrano almeno due volte piu lunghe dei giorni. Quando suonano le sirene
dell'allarme poi, le lancette dell'orologio girano molto più lentamente, e un secondo dura due secondi, un minuto venti minuti,
una notte duecento notti. Al contrario, invece, le giornate si snodano a grandissima
velocità. Nessuno fa niente, nessuno inizia qualche cosa di importante e di complicato di mattina, perché
sembra sempre che da un momento all'altro potremmo essere raggiunti dal buio della notte. E così via, ormai da
cinquantacinque giorni.
Quando iniziava tutto questo, chi poteva credere che saremmo mai arrivati fin quasi alla fine
di maggio in queste condizioni. Oggi che i generali della Nato annunciano già le nuove azioni per l'estate, sembra che nessuno
potrà resistere e aspettare sino alla fine. Ma d'altra parte è solo questione di qualche mese, un periodo che si potrebbe
sopportare in qualunque condizione. Naturalmente quando si riesce a sapere o almeno a immaginare cosa succederà dopo.
Sembra comunque che l'incertezza di ogni notte che incombe sia la cosa più difficile
da sopportare per tutti. In quale paese e in quale stato fisico e mentale saremo quando ci raggiungerà la mattinata? E come
potrà un uomo accorgersi se per caso ha i nervi rovinati, o se è addirittura impazzito? Come un uomo potrà
sapere se è morto o no, se nessuno glielo dice?
"Abbiamo vissuto tutto il decennio in questo orrore, sopravviveremo - mi consolo - ancora
un paio di settimane, un paio di mesi, forse qualche anno, che significa tutto questo di fronte all'eternità?".
Oggi sono particolarmente felice di non avere figli. Non é che non li desiderassi. Il fatto
é che la responsabilità di creare una nuova vita in un mondo dove le vite non valgono niente, non sono ancora pronta
ad assumermela. In una antica cronaca russa ho trovato una nota interessante. Nell'occasione del trentesimo assalto dei barbari
che seminavano morte e orrori, il cronista scriveva: "Questa condizione insopportabile è durata più di
quattrocento anni". Ecco la conferma che per noi slavi il tempo rappresenta solo un concetto relativo.
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