In ottemperanza al provvedimento 08/05/2014 Garante per la protezione dei dati personali, si avvisa il lettore che questo sito potrebbe utilizzare cookie per fornire servizi e per effettuare analisi statistiche anonime. Proseguendo con la navigazione si accetta l'uso dei cookie.
Al concerto di regime sola sotto la pioggia

Il diario di guerra della drammaturga serba più dura contro il regime, ma che non ha voluto lasciare la sua città. Di Biljana Srbljanovic.

Ogni giorno sul quotidiano La Repubblica, dal 28 Aprile 1999. Ripreso da Allarme Scientology, pagine a cura di Martini.

© Der Spiegel - La Repubblica.

BELGRADO (16 MAGGIO) - Una volta da un grande scrittore ho imparato una cosa: la gente dovrebbe essere portata a vedere il palco dei comizi da dietro, prima di permetterle di adunarsi davanti. Nessuno regge a una demistificazione come questa, nessuno, se vede la tribuna da dietro, può essere colpito dalla gente che ci sta sopra. Il nostro leader ha conquistato il potere così: per anni saliva sulle varie tribune, gridando idee che si reggevano con difficoltà, e con qualche mantra nazionalista sembra aver narcotizzato il popolo, che adesso gli lascia governare il paese. Non ho mai visto nessuno dei suoi comizi, né di fronte, né da dietro. Ciò nonostante, lui governa anche me. Perciò oggi ho deciso di visitare la sua ultima tribuna.

In piazza della Repubblica, al centro della città, dall'inizio della guerra si svolgono adunate pubbliche-concerto. Ogni giorno il pubblico diminuisce, e in proporzione inversa con l' interesse del pubblico aumentano i decibel dagli altoparlanti. Le annunciatrici urlano anche di più, per attirare l'attenzione dei passanti. Come disperate gridano il nome del nostro paese per cento volte, sputando sul microfono, sudando per lo sforzo e storcendo le facce: "Viva la Serbia!", "Que viva la Serbia!", "Evviva la nostra Serbia!", ed anche "La Serbia vivrà!". "Qualcuno penserà che qualcosa non va in Serbia, per colpa di questi che gridano così tanto", ha detto la mia mamma l'ultima volta che è passata nella piazza, aggiungendo: "Da questo momento non uscirò di casa finché la guerra non finisce. Meglio che mi colpisca una bomba, piuttosto che cedere alla tentazione di picchiare questi che urlano. Sono una signora in età avanzata, sarebbe una vergogna per me picchiarli!"

Sicura che questa sia l'ultima tribuna per Milosevic, l'ultimo pulpito dal quale, con i suoi emissari, si rivolge al popolo, sono andata a vederlo. Piovigginava, faceva freddo, la giornata era umida e grigia, ma il programma si svolgeva lo stesso, anche se non c'era nessuno del pubblico. Nessuno, tranne me. "Non fa niente se sono l'unica", pensavo, "anch'io sono il popolo. Dicono che tutto questo succede per il popolo, dunque per me: devono rappresentare tutto il programma per me, o farò ricorso!", gridavo, mentre mi si avvicinava un poliziotto. "Sta parlando con me?" ha chiesto, "Niente", ho detto, "è una manifestazione magnifica". E lui alzava le spalle, pensando che sono pazza, fumando, e continuando a camminare.

Ma io, perdio, non mi sono mossa: aspettavo il mio presidente. Lui, naturalmente, non si è presentato di persona, ma le sue idee viaggiano, la sua presenza è onnipotente e non fisica, gli emissari trasmettono le sue idee con certezza. Però oggi vanno di fretta, suonano due o tre brani, un valzer ...e basta! Hanno freddo, non vogliono bagnarsi: è domenica, nessuna persona normale è in strada. Lui sicuramente no, lui è nei villaggi e nei boschi del Kosovo, tramite i giovani di leva e i volontari-bestie. Lui combatte così. Manda prima una squadra di paramilitari che fa un massacro, poi spedisce i soldati perché ricevano il contrattacco della Nato, impone alle annunciatrici tv di spiegare tutto al popolo, e intanto se ne sta tranquillo nel suo fortino, caldo, asciutto, forse un po' buio, ma sicuro, aspettando una nuova giornata.

Dopo il concerto sono andata dietro la tribuna. Volevo seguire il suggerimento dello scrittore, vedere il leader dall' altra parte. Mi aspettava una sorpresa. Il retroscena non esisteva. O meglio: esisteva, ma sembrava la stessa cosa che davanti. Stessa dimensione, stessa disposizione delle guardie, stesso ordine e stesso clima. Come allo specchio: il palco davanti e quello dietro, totalmente uguali. Questo può significare solo due cose: o il rovescio non esiste, oppure in questo paese, sfortunatamente, il rovescio è diventato il davanti.

 
 
 
INDIETRO   INDICE   AVANTI