Il diario di guerra della drammaturga serba più dura contro il regime, ma che non ha voluto lasciare la sua città. Di Biljana Srbljanovic. Ogni giorno sul quotidiano La Repubblica, dal 28 Aprile 1999. Ripreso da Allarme Scientology, pagine a cura di Martini. © Der Spiegel - La Repubblica.
BELGRADO (13 GIUGNO)- Questa mattina ero in preda a un buonumore incontrollabile.
Pioveva a dirotto e io pulivo le finestre, ed era la prima volta dall'inizio della guerra. Finora non avevo mai pensato alla pulizia dei vetri:
perché ogni notte poteva verificarsi un'esplosione in una zona vicina, e dopo l'esplosione le finestre potevano non rimanere
intatte. Però adesso è arrivato il tempo del cambiamento e io vi contribuisco in questo modo.
Per la prima volta dall'inizio della guerra la televisione trasmette una hit-parade di musica
straniera. Alzo il volume al massimo, e canto anch'io sulle note della canzone pop inglese che rimbomba, mentre lavo le finestre
sotto la pioggia contaminata. E mi tornano alla mente i vecchi film sui partigiani, quelli in cui le donne, in maniera del tutto
irragionevole, come me in questo momento, accompagnate dalle canzoni russe, cominciano a pulire e a "rinnovare" tutto dopo la guerra. Non fa niente: anche se è stupido, a me piace.
Oggi ho parlato per telefono con i miei amici all'estero. Tanti annunciano il loro ritorno, o per meglio dire non vedono l'ora di ritornare. La città si riempie lentamente di persone, davanti alle case qui attorno arrivano continuamente automobili cariche di bagagli e pacchi. La gente parla anche delle vacanze estive, conservando un po' di pudore nella voce: per quelli che non hanno soldi per le vacanze si aprono le piscine comunali. Il mio ottimismo sarebbe oggi quasi sconfinato, se non fosse per quanto accaduto quando sono uscita con un'amica per fare due passi. Appena abbiamo iniziato a dire che andrà tutto bene, a discutere su come acquisteremo le stufe a legno, a progettare di trasferirci in un solo appartamento (per superare senza problemi l'inverno senza riscaldamento), e in generale, appena ci è tornata in mente l'atmosfera di quei film dei partigiani, abbiamo visto una macchina piena di mobili e di effetti personali. Dentro, una famiglia, gente disperata, in lacrime, che girava per la città. Abbiamo guardato la targa e abbiamo visto che la macchina proveniva da una città del Kosovo. Tutte e due abbiamo aspettato un attimo, poi abbiamo capito: la mia amica si è messa a correre dietro di loro. Li ha raggiunti al primo semaforo e ha chiesto chi erano e da dove venivano. Erano serbi arrivati dal Kosovo, è arrivato il loro turno di lasciare le proprie case. Li ho raggiunti anch'io e gli ho chiesto senza fiato perché stanno fuggendo, adesso che tutto è finito. Gli occupanti della macchina ci hanno guardato con un misto di tristezza e rabbia, non hanno risposto nulla, e hanno pigiato l'acceleratore. La nostra passeggiata è finita lì, siamo tornate a casa restando in silenzio. Strada facendo, abbiamo visto una decina di automobili simili.
Di sera, guardando la tv, al telegiornale è quasi una sfilata di serbi felici. Serbi del Kosovo. Tutti "passanti intervistati a caso", per strada. Una bella indagine per la propaganda della tv di stato. Tutti ripetono la canzone imparata a memoria: "Rimarremo nel Kosovo. Nessuno di noi ha mai pensato di andarsene!". Cercano disperatamente di convincere i telespettatori a credere in quello in cui non credono loro stessi: significa che la gente se ne sta andando in massa dal Kosovo. Peraltro, mi sono convinta da sola che le cose stanno andando così, guardando con i miei occhi.
Eppure, adesso che il mondo intero annuncia la rinascita del Kosovo, e lascia il resto della Serbia senza aiuti finché questo regime è al potere, a noi qui sembra che sarebbe meglio aspettare il prossimo inverno proprio lì, in Kosovo. "Nella zona francese si vivrà al livello di vita francese, in quella italiana all'italiana..." dico io, e penso già a dove preferirei andare. La mia amica, depressa per quello che ha visto oggi, risponde: "Con la fortuna che abbiamo avuto finora, finiremo nella zona con i duecento russi".
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