Il diario di guerra della drammaturga serba più dura contro il regime, ma che non ha voluto lasciare la sua città. Di Biljana Srbljanovic. Ogni giorno sul quotidiano La Repubblica, dal 28 Aprile 1999. Ripreso da Allarme Scientology, pagine a cura di Martini. © Der Spiegel - La Repubblica.
BELGRADO (14 GIUGNO) - È iniziata la ricostruzione del dopoguerra! Con
l'apertura del cantiere di un nuovo ponte, da costruire al posto di uno distrutto, davanti ad un centinaio di cittadini radunati
"spontaneamente", di fronte alle sue fotografie e ai cartelloni con il suo nome, il nostro Capo ha iniziato la ricostruzione
del Paese. Non si è rimboccato le maniche personalmente solo perché è già troppo impegnato a
sgombrare le rovine del suo regno. Ma il Capo mantiene ancora saldamente il timone di questo nostro titanico, gigantesco
Paese ed afferma che non ci servono affatto salvagente. Perché, dice, l'acqua nella quale stiamo affogando non è
fredda, e comunque tutti sappiamo nuotare. Ma anche se non dovessimo saper nuotare usciremo dall'acqua in qualche modo. E
anche se non ne uscissimo mai più, non sarebbe neppure così grave.
Perché, lui si troverà ancora
alla superficie. E di noi... chi se ne frega. Così ci ha detto il nostro Capo sublime sulle macerie del ponte distrutto. Non proprio
con queste parole ma con frasi secche, burocratiche, e con qualche dettaglio surrealista tipo: "La ricostruzione del ponte
sarà completata in quaranta giorni". Un messaggio chiaro: non c'è niente da temere, il paese sarà
rinnovato in una notte, le conseguenze quasi non le sentiremo più, diventeremo la Svizzera. Nello stesso tempo, in
qualche città vicino a questo cantiere, l'immondizia si porterà via con un carro a cavalli, perché non c'è
più benzina per il camion della nettezza urbana.
Oggi, più che mai, è necessario buttare la polvere negli occhi
dei cittadini, per distogliere l' attenzione dalle cose più importanti. Per esempio che il governo si trova sull'orlo del collasso,
i topi che appartengono alla destra stanno fuggendo dal Parlamento. Questo, naturalmente, non c'è sui giornali: i negoziati si
svolgono nel segreto, e pubblicamente si aprono i cantieri. Il nostro Capo aveva l'abitudine di aprire i cantieri prima delle elezioni,
sempre sullo stesso tratto della autostrada che ci collega con l'Ungheria. In dieci anni del suo regno, almeno cinque volte si è
celebrata la costruzione di un nuovo chilometro della autostrada. Adesso questa strada non si può più usare grazie
alla politica geniale del Capo che ha chiesto alle bombe di caderci sopra.
Oggi mi ricordo la vigilia delle ultime elezioni quando il
Capo inaugurava il pozzo di petrolio, proprio in Kosovo. A quei tempi era più vicino a Saddam che mai, offrendo il petrolio
come la soluzione di tutti i problemi futuri, solo se lui (naturalmente) fosse rimasto al potere. Per fortuna da quelle parti il petrolio non
è mai stato trovato.
Per farsi sempre più importante, il nostro Capo oggi ci ha pure confessato un segreto: per
tutto il tempo della guerra i nostri ingegneri hanno ricostruito di nascosto i pezzi dei ponti in qualche posto segreto e adesso devono
solo metterli insieme e così il paese si ricongiungerà come in un puzzle. Questo veramente era troppo. Chi è
così matto da credere una cosa come questa? Forse, a dire il vero, tutti noi lo siamo. Anche io credo, non ho altra scelta. La
stupidità umana è l'unica cosa oggi che ci permette la speranza. E senza la speranza, anche se fondata su cose
stupide, è sempre più difficile resistere su questo nostro Titanic.
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