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Scrivo queste righe per chi è andato via

Il diario di guerra della drammaturga serba più dura contro il regime, ma che non ha voluto lasciare la sua città. Di Biljana Srbljanovic.

Ogni giorno sul quotidiano La Repubblica, dal 28 Aprile 1999. Ripreso da Allarme Scientology, pagine a cura di Martini.

© Der Spiegel - La Repubblica.

BELGRADO (11 MAGGIO) - Le mie giornate si rassomigliano tutte terribilmente, eppure ogni sera sono felice che la mia giornata sia trascorsa in pace. Tutte le mie notti sono lunghe, lunghissime, non finiscono mai, eppure, ogni mattina, sono felice che la notte sia passata senza pericolo. Le mie giornate si susseguono, e sembrano tutte uguali, tutte vuote, giornate nelle quali non succede proprio niente. A volte mi sembra che tutto questo non finirà mai, e temo che la mia vita si possa trasformare in una lunga giornata senza senso, in una lunga notte pericolosa e insonne, per un tempo infinito. 

L'unica attività che ha ancora senso durante la mia giornata è la scrittura di questo mio diario, che ogni giorno che passa diventa più importante per me. Nonostante le bombe e nonostante l'isolamento, attraverso il diario mi sembra di rimanere in contatto con il mondo civile. Grazie a questo diario, quello che sta veramente succedendo da noi risulterà in qualche modo più chiaro a tutti gli amici che sono andati via e che oggi vivono sparsi per il mondo. In un paese dove sembra che nessuno dia importanza all'attività intellettuale, un paese dove le parole sono cose senza nessun significato, il fatto di scrivere mi rende la vita più facile perché so che qualcuno leggerà le mie parole, e terrà a mente qualcosa di quello che scrivo, per lo meno fino al pomeriggio, o al massimo fino alle prime notizie sulle manipolazioni politiche che avvengono da queste parti. 

Perciò, la prossima volta, prima di scrollare le spalle quando gli aerei carichi di bombe passano sopra di voi, diretti verso le nostre parti, immaginate che anche qui c' è gente che soffre, vergognandosi della propria sofferenza. Ma da dove viene questo pudore di parlare della mia depressione, del sentimento di essere abbandonata, di essere intrappolata, quando so che qui, proprio accanto a me, ci sono tante altre persone che stanno molto peggio di me? 

Chi ci dà il diritto di pensare a noi stessi, ai nostri sentimenti, alla nostra serenità, noi che ci troviamo nelle retrovie della guerra, quando c'è gente che viene uccisa e perde il futuro, quando altrove la sofferenza è così grande e così di massa? Eppure, proprio per questo motivo potrei sentirmi anche peggio, in questa gabbia di città dove mi trovo, una gabbia che ogni giorno diventa più stretta. Darei tutto quello che possiedo per un piccolo intervallo, un "time out" dalla guerra, un piccolo riposo per tutti, una tregua durante la quale poter respirare un po' d'aria di libertà, andare dove ci pare, dire quello che ci piace, urlare se ci andasse, solo per sentirci un po' meglio. 

Desidero dedicare a tutti i miei amici che hanno lasciato questa città, la pagina odierna di questo diario vuoto, vuoto come la mia giornata. Agli amici con i quali il diario è l'unico modo di intrattenere un contatto, amici che so che ogni giorno cercano di leggere queste rige, facendo fatica a capirle, a capire tutti noi, a capire perché stiamo ancora qui, e a capire perché loro stanno peggio di noi da quando sono partiti. 

Queste righe dedico ai miei amici, nuovi e vecchi, e a tutta la gente che si preoccupa di me, di noi, del mio paese, della gente che amo, senza la quale, mi sembra, non saprei vivere, e che adesso si trova a Roma, Sorrento, Napoli, Panama, New York, Amburgo, Colonia, Berlino, Budapest, Atene, Zurigo, Amsterdam, Londra... 

Mi mancate terribilmente! 

 
 
 
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