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Come è difficile vivere senza bombe

Il diario di guerra della drammaturga serba più dura contro il regime, ma che non ha voluto lasciare la sua città. Di Biljana Srbljanovic.

Ogni giorno sul quotidiano La Repubblica, dal 28 Aprile 1999. Ripreso da Allarme Scientology, pagine a cura di Martini.

© Der Spiegel - La Repubblica.

BELGRADO (10 MAGGIO) - Oggi i Belgradesi si sono svegliati più preoccupati del solito. Come sempre, mezzo addormentati, avevano trascorso la notte ascoltando continuamente le notizie per seguire l'evolversi della situazione. Ma non c'era niente da sentire e niente da seguire. La notte è trascorsa senza esplosioni, senza oscuramento, senza scomparsa della luce elettrica, e senza, cosa straordinaria, sirene d'allarme. Dopo sette settimane di bombardamenti a Belgrado, la notte scorsa è stata la prima senza l'allarme della contraerea. E ciò è accaduto proprio adesso che ci siamo abituati alla guerra! Questa mattina, si sono tutti chiesti che cosa è successo, stupiti e preoccupati per il destino dei cacciabombardieri della Nato. C'era incredulità anche per ciò che accadeva da noi: che cosa è successo al nostro dittatore? E se si fosse improvvisamente addolcito, nello spazio di una notte? Se fosse fuggito? E se avesse firmato la pace? Tremavamo tutti di ansia, per le novità che portava questa nuova giornata. 

E ciò avviene proprio adesso, adesso che ci siamo abituati a chiudere le finestre e le persiane appena arriva il buio. Proprio adesso che nessuno esce più di casa, a meno che non gliene importi tanto della vita. Proprio adesso che, posso confessarlo, ci siamo abituati a vivere senza corrente elettrica e acqua corrente, semplici privilegi della nostra civiltà, e di cui non sentiamo più la mancanza. Proprio adesso che l'inquietudine di quello che poteva succedere nel nostro futuro è stata scacciata via per sempre dalle bombe. Adesso che tutti sappiamo con certezza che cosa ci aspetta: un disastro sicuro. Proprio adesso devono fermarsi? Quando dico "loro", penso naturalmente a quelli che ci bombardano, ma anche a quelli che hanno causato questo bombardamento, ai tiranni di entrambe le parti, a quelli che pensano di cambiare il mondo con le armi. A quella gente in cui abbiamo investito la nostra grande speranza, in cui per giorni abbiamo creduto, credendo nelle loro azioni irrazionali (che cos'altro potevamo fare?). 

Da giorni stiamo aspettando che i nemici giurati si uniscano, e che noi, loro ostaggi, veniamo travolti nella loro marcia trionfale, terminando finalmente questa buffonata di vita, che viviamo nostro malgrado. 

Appena mi sono ripresa dallo choc provocato dalla calma della notte scorsa, sono caduta in catalessi, sfinita. I canali della tivù di stato hanno trasmesso la notizia che Milosevic ha deciso di iniziare il ritiro dell'esercito dal Kosovo, che ha deciso di accettare la trattativa di pace. 

Prima che mi perdessi nel flusso di questa felicità inaspettata, la Nato mi ha subito riportata alla realtà, dando la sua risposta, già scontata e chiara: il bombardamento continuerà ugualmente. E io che avevo paura che fosse tutto finito. Ci mancava solo la pace che nessuno voleva. Ho avuto paura che finisse la sofferenza dei civili, che finisse l'esodo dei profughi dal Kosovo, che finisse la guerra e che arrivasse una pace di cui nessuno sapesse cosa farsene. Nonostante queste difficoltà, ho ripreso fiato, ricordandomi che in Bosnia la trattativa di pace fu stabilita una quarantina di volte, e che nel frattempo migliaia di persone innocenti continuavano a soffrire. A che cosa serve la pace, quando la vita è bella anche così? Viviamo in un paese distrutto, dal quale più di un milione di abitanti sono stati espulsi, migliaia di persone uccise, le case e le terre bruciate, i bambini per sempre traumatizzati, eppure noi adulti stiamo bene, viviamo perché non sappiamo fare altro. 

A che cosa serve la pace, quando la forza regola il mondo? A che cosa serve la vita quando non la possiamo controllare da soli? E a che cosa serve il giorno, quando il buio può durare per sempre?

 
 
 
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