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Paranoie di guerra al bar degli albanesi

Il diario di guerra della drammaturga serba più dura contro il regime, ma che non ha voluto lasciare la sua città. Di Biljana Srbljanovic.

Ogni giorno sul quotidiano La Repubblica, dal 28 Aprile 1999. Ripreso da Allarme Scientology, pagine a cura di Martini.

© Der Spiegel - La Repubblica.

MULHEIM (9 GIUGNO) - In questa guerra, anche il bar-caffetteria gioca un ruolo significativo. Sapete bene che dopo un bicchiere o due incominciano le discussioni: chi ha dato inizio per primo alle ostilità, chi, in passato, ci ha ingannato, ecc. Grazie ai film di Kusturica, ora tutto il mondo sa come finiscono i colloqui nei nostri bar, sempre in una zuffa. Anche qui, in questo paese membro della Nato, dove trascorro il mio ultimo giorno prima del ritorno a casa, il caffè svolge un ruolo importante per chi, osservando la "guerra da dietro le quinte", volesse rendersi conto della paranoia che colpisce i civili.

Due amiche del gruppo teatrale, oggi, hanno deciso di trascorrere il loro pomeriggio libero consumando un vero pranzo all'italiana in città, in un ristorante del centro. I camerieri parlavano tedesco, ma l'ambiente sembrava proprio italiano, spaghetti, vino, caffè... Hanno cominciato a scherzare, a ridere e a parlare ad alta voce pur avvertendo che nell'aria c'era qualcosa di strano. I sette camerieri presenti nel ristorante se ne stavano dietro il bancone. Nessuno di loro lavorava, tutti si limitavano a guardare le nostre ragazze. Una di loro ha detto all'altra: "Guarda, sembra che vogliano abbordarci", l'altra risponde: "Ma come sono carini". La prima ha scoperto un dettaglio dell'abbigliamento: tutti gli uomini indossavano un completo rosso-nero. Sono i colori nazionali dell'Albania. All'improvviso tutto è diventato chiaro e la seconda ragazza ha bisbigliato: "Guarda che quelli sono proprio albanesi". Sono seguiti lunghi momenti di disagio. Infine si sono guardate intorno per osservare le decorazioni del locale dove c'erano vari segni nazionalistici del "nemico", ma neppure gli uomini sembravano molto felici di vederle. Uno di loro ha digrignato i denti verso le ragazze e ciò è stato sufficiente a far sì che abbandonassero il pranzo subito dopo l'antipasto, rifugiandosi in albergo. Il panico suscitato, per poco non provocava un incidente diplomatico.

Le ragazze pensavano addirittura di essere state avvelenate: i malvagi albanesi, nel paese dei nemici tedeschi, avevano messo del veleno nel cibo. Una si è provocata il vomito, l'altra ha ingerito a fatica un farmaco che induce la diarrea e il tutto è precipitato ad un livello umiliante: prima la paura, poi la loro reazione fisiologica. Non contente, ci hanno riunito per esprimere le loro ultime volontà, i loro segreti, quasi stessero per morire (io sono l'erede di abiti, cappelli...). E davvero si aspettavano di morire.

A nulla sono valse le nostre rassicurazioni che questo è un paese civile, che ci sono medici e polizia, che quegli uomini probabilmente volevano soltanto stabilire un contatto con delle belle ragazze. Una delle due ha temuto di entrare in coma, mentre l'altra pareva decisa a togliersi la vita ed evitare così le sofferenze. Ho cominciato a ridere di cuore. Ben presto tutti abbiamo capito di che cosa si trattava e ci siamo messi a ridere fragorosamente di fronte a quelle povere creature. La prima si è alzata ed ha ammesso di sentirsi bene, l'altra ha scherzato dicendo di aver fame perché aveva appena vomitato l'intero pranzo.

La situazione si è normalizzata: io ho perso l'eredità, ma in compenso la paranoia che i nostri capi ci hanno impresso nel cervello è stata superata. Senza timore, oggi, mi reco in quel ristorante. Non m'importa la nazionalità di nessuno, so soltanto che lì si mangia bene e che un sorriso e un buon piatto di spaghetti possono bastare per dare inizio ad una ripresa dei contatti con i nemici.

(traduzione a cura del Gruppo Logos)

 
 
 
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