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Quell'urlo al telefono: "Abbiamo firmato!"

Il diario di guerra della drammaturga serba più dura contro il regime, ma che non ha voluto lasciare la sua città. Di Biljana Srbljanovic.

Ogni giorno sul quotidiano La Repubblica, dal 28 Aprile 1999. Ripreso da Allarme Scientology, pagine a cura di Martini.

© Der Spiegel - La Repubblica.

SPAZIO AEREO EUROPEO (10 GIUGNO) - In un aereo passeggeri, nello spazio aereo europeo, sorvolo le nuvole, volo in alto, sempre più in alto, al ritmo di un valzer di Strauss che odio: sto tornando a casa mia. Mai con maggior brivido e tanta gioia repressa sono ritornata da un viaggio. Partendo, pregavo Dio di farmi trovare una situazione migliore o anche peggiore delle mie aspettative, ma non quel ristagno che uccide.

Il mio desiderio si è avverato e con la variante migliore. Sono partita da un paese in guerra, vi sto tornando con l'auspicio di una pace promessa. La notizia della firma del trattato militare mi ha colto vicino alla frontiera tra Germania e Olanda. Il secondo paese che volevo simbolicamente visitare dista solo 40 km dall'albergo in cui alloggiavo. Ho impiegato più tempo a trovare la linea esatta di demarcazione, che ad arrivare in macchina alla frontiera. Io e i miei amici abbiamo cercato il confine camminando a piedi, prima lungo un canale che costeggia la strada, poi attraverso un boschetto vicino e infine in prossimità di una stazione di servizio. Per puro caso l'abbiamo individuato nel piazzale di un parcheggio abbandonato, segnalato soltanto da una bandiera nazionale ormai scolorita.

Guardando attraverso le finestre di un edificio, abbiamo visto le strutture della vecchia dogana e abbiamo pensato al nostro rientro a casa (con l'aereo fino a Budapest, poi in autobus fino a Belgrado). Il telefonino del mio amico ha squillato: "Abbiamo firmato!!!" ha gridato qualcuno dall'altra parte della linea, così forte che quanti ci stavano attorno hanno sentito. Ho imprecato, un ragazzo mi ha porto la mano, una compagna ha poggiato la testa sulla mia spalla, tutti i cuori battevano più forte. Sembrava che la nostra avventura fosse finita, e così la guerra. Ma si trattava di riflessi condizionati. Nessuna gioia autentica, solo una risposta fisica involontaria: un leggero brivido, un senso di compressione alla testa.

Il viaggio di ritorno all'albergo è avvenuto nel più totale silenzio. Con difficoltà ho contattato telefonicamente mia madre. Mi sono congratulata con lei per la firma del trattato e lei si è congratulata con me per la vittoria della Nato. Neppure un accenno ai 15.000 morti. La mamma si è lamentata soltanto che la notte, a Belgrado, è diventata più pericolosa che mai. Dei pazzoidi hanno montato sulle terrazze delle case le loro "armi antiaeree" e sparano come matti per festeggiare la sconfitta più vergognosa della storia del nostro paese. La nostra televisione annuncia che questa è stata "una grandissima vittoria della politica di PACE del Presidente" e a questo titolo si sparano nel vuoto ancora migliaia di proiettili, solo perché si possa in qualche modo sapere che i Serbi hanno vinto.

Sto sognando il momento in cui anche la frontiera della mia terra sarà una linea invisibile e intanto volo in alto, sorvolo l'Europa, volo alta sopra le nuvole, volo in fretta... fretta di tornare a casa. In questo momento non mi va proprio di pensare a ciò che mi aspetterà laggiù.

(traduzione a cura del Gruppo Logos)

 
 
 
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