Il diario di guerra della drammaturga serba più dura contro il regime, ma che non ha voluto lasciare la sua città. Di Biljana Srbljanovic. Ogni giorno sul quotidiano La Repubblica, dal 28 Aprile 1999. Ripreso da Allarme Scientology, pagine a cura di Martini. © Der Spiegel - La Repubblica.
BELGRADO (6 MAGGIO) - A giudicare da chi
lo dirige, questo paese sta perdendo contatto con la realtà. Oggi
sono passata per piazza della Repubblica, dove ormai da 40 giorni si svolgono
i famosi concerti "Target" durante i quali i cittadini di Belgrado, come
dice la tv di Stato, protestano in massa contro l'aggressione della Nato.
Dall'enorme palco, attrezzato alla grande (consuma più elettricità
di un ospedale medio) arrivava quella tremenda musica neo-turbo- folk,
interpretata da una delle tante cantanti con capelli rosso fuoco. Ho allungato
il passo per paura che qualcuno mi riconoscesse pensando magari che ero
andata fino a lì per assistere al concerto, e alle mie spalle ho
sentito il presentatore dello show che urlava al pubblico: "Questa è
un'altra grande giornata di protesta, spontanea e di massa, contro i fascisti
della Nato!". Mi sono fermata di colpo.
C'era qualcosa che non mi tornava. Mi sono
girata e ho visto che il pubblico, composto, non superava le cinquanta
persone. Cento metri più in là, ecco una bella fila dal tabaccaio:
più di cento persone scalmanate, che protestavano urlando per cercare
di coprire la voce della cantante. Cinquanta persone al concerto, e il
presentatore dice che ci sono migliaia di persone. Forse non sa contare
bene. Ma anche se fosse così, basterebbe dare un'occhiata alla fila
per le sigarette per scoprire che c'è più gente che allo
show: uno show troppo poco frequentato per un simile consumo di energia,
tralasciando le capacità vocali della cantante.
Arrivata a casa, ho avuto dal telegiornale
la conferma dei miei dubbi: qui nessuno ormai distingue più la verità
dalle bugie. Lo speaker diceva che il concerto era grandioso, mentre andavano
in onda immagini di una folla registrata. Un montaggio sfacciato. E lo
scopo di tutta questa messinscena è aumentare il morale dei cittadini
disperati, come se si potesse smettere di essere disperati su ordine della
tv. Per evitare di restare ipnotizzata, cambio canale. Mi aspetta una nuova
sorpresa: la televisione della figlia di Milosevic, Maria, che non trasmetteva
dal bombardamento della sua sede nel famoso palazzo del partito comunista,
è tornata in onda in grande stile. Al posto del tradizionale programma
di intrattenimento popolare, ora si può assistere a trasmissioni
cinesi via satellite. In cinese, senza traduzione. Si dice che fare dispetti
sia una delle più tipiche caratteristiche dei serbi, ma questo dispetto
è proprio molto bizzarro. Immagino che qualcuno molto in alto nella
scala del potere abbia pensato di fare un dispetto al mondo, mandando un
programma in cinese e affermando con questo che il comunismo non è
ancora morto. Ma guardando meglio mi accorgo che non è questa la
spiegazione.
Il programma cinese somiglia a tutti gli
altri: mezzobusti distinti, annunci, pubblicità... Dalla pubblicità
ci si può fare un'idea del livello economico della Cina, e di quanto
il loro comunismo sia lontano da noi. Anche se capissi il cinese, non mi
piacerebbe stare a sentire cosa dicono. Così fisso gli occhi spalancati
sullo schermo, e immagino come sarà ridotto adesso l'interno di
quel palazzo bombardato che una volta era il centro di potere di Milosevic.
Che ne sarà del grande busto di Lenin che era piazzato all'entrata?
L'avranno spostato in tempo per farlo diventare un futuro oggetto da museo?
E che ne sarà degli uffici, degli studi tv, delle foto di Milosevic
appese al muro, dell'atmosfera stagionata che caratterizzava il palazzo?
Alcuni amici hanno deciso di girare un
cortometraggio come segno d'amore verso Belgrado. Tutti quelli che sono
stati invitati a partecipare devono semplicemente piazzarsi davanti a uno
dei palazzi che amano di più e spiegare cosa li lega a Belgrado
e perché non la vogliono lasciare. Stiamo tutti pensando a quale
palazzo scegliere. C'è chi ha pensato alla clinica ostetrica dov'è
nato, chi alla casa di famiglia salvata dai genitori dalla nazionalizzazione
del precedente regime, chi alla scuola dove è cresciuto e dove ora
vanno i suoi bambini. Cinicamente, in sintonia con la situazione, io scelgo
le rovine del comitato centrale. Aspetto la rovina di questo regime. Ecco
perché sono ancora qui.
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