Il diario di guerra della drammaturga serba più dura contro il regime, ma che non ha voluto lasciare la sua città. Di Biljana Srbljanovic. Ogni giorno sul quotidiano La Repubblica, dal 28 Aprile 1999. Ripreso da Allarme Scientology, pagine a cura di Martini. © Der Spiegel - La Repubblica.
COLONIA (6 GIUGNO)
- Per la terza volta negli ultimi dieci giorni, preparo le mie valigie
per andare via da Colonia. Oggi finalmente parto sul serio, per incontrare
i miei amici e colleghi, il mio Teatro di Belgrado è arrivato in
Germania e stasera presentiamo il nostro speciale spettacolo Anti-guerra.
Anche se devo abbandonare i miei cari amici di Colonia, sono veramente
felice di poter rivedere tra poco i miei concittadini, mi manca la mia
lingua, i belgradesi, la mia città. Negli ultimi giorni ho pensato
molto a come sarebbe stata la mia vita se, nei momenti di disperazione,
avessi deciso di trasferirmi all'estero.
In questi giorni sono stata avvicinata
da molta gente che mi faceva delle domande con molta attenzione e compassione
nonché con grande curiosità. A volte queste domande mi causavano
una specie di malessere. Le domande erano sempre le stesse e mostravano
chiaramente la loro partecipazione emotiva per il nostro destino, ma allo
stesso tempo mi sentivo guardata come un animale esotico. Anche ieri ho
dovuto rispondere alle domande di gente sconosciuta. La reazione era quella
di sempre, alcuni minuti di sincera compassione e poi, non appena si esaurivano
gli argomenti sulla guerra, arrivava il silenzio, quel silenzio in cui
nessuno trova altro da dire.
Ho seguito alla tv anche gli speciali dedicati
al decennio del massacro degli studenti nella piazza Tienanmen. Tantissimi
giornalisti hanno scelto di indagare sulla vita odierna degli ex-oppositori
della dittatura cinese. Per lo più oggi sono studenti ad Harvard,
uomini d'affari, capifamiglia e non hanno più niente a che vedere
con ciò che è successo solo dieci anni fa. Hanno deciso di
riprendere la vita normale dimenticando gli ideali di allora, inserendosi
come meglio possono nella società. Alle domande sul passato rispondono
con ritegno e un lieve sorriso, e nelle risposte si sente quasi una vergogna
di se stessi e dei ricordi di quelle giornate burrascose.
Allora ho fatto la stessa riflessione su
di me, poiché era stata cancellata un'intervista in tv: la trasmissione
è stata sospesa per l'avvicinarsi dalla pace. Non potevo non essere
delusa: avevo alfine accettato di partecipare e solo perché mi avevano
promesso che avremmo parlato del mio lavoro, il teatro. Adesso che ero
pronta, il fatto che il mio paese abbia diminuito le sue sofferenze, mi
ha reso poco interessante per una trasmissione di cultura estera.
Sembra che questa guerra, per alcuni, rappresenti
una specie di safari televisivo nel quale loro, dalle loro comode poltrone
e dalle loro case sicure, ci osservano come se guardassero un documentario
sugli animali, per poi cambiare canale ai primi sintomi di noia.
Perciò oggi sono felice di non essere
un'emigrata, di non essere diventata un "articolo di moda" per gli abitanti
"civili" dell'Europa, da gettare via a stagione finita. Per loro rappresentiamo
la moda della stagione appena finita e rimarremo nel loro ricordo come
"collezione primavera-estate '99", per poi guardarci con disprezzo come
tutte le "fashion victims", un qualcosa di reale, ma che è del tutto
sorpassato. Non intendo rivolgere a nessuno quel "lieve sorriso", non mi
vergognerò e non accuserò in nessun modo quelli che ci guardano
così. So che ognuno di noi deve risolvere da solo i propri problemi
esistenziali, e io ho già avuto la fortuna di non dover provare
l'infelicità dell'esilio sulla mia pelle per sapere come ci si sente.
In questo modo ho avuto la conferma di quell'antico proverbio che dice
che l'uomo può essere libero solo nel proprio paese, per quanto
possa essere vero, anche se fino a ora nutrivo qualche dubbio.
(traduzione a cura del Gruppo Logos)
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