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Chi ci farà impazzire: il dittatore o i raid?

Il diario di guerra della drammaturga serba più dura contro il regime, ma che non ha voluto lasciare la sua città. Di Biljana Srbljanovic.

Ogni giorno sul quotidiano La Repubblica, dal 28 Aprile 1999. Ripreso da Allarme Scientology, pagine a cura di Martini.

© Der Spiegel - La Repubblica.

BELGRADO (4 MAGGIO) - La mia vita somiglia ormai a "Giochi senza frontiere". È un'impresa quotidiana: quando c'è corrente elettrica, non c'è acqua corrente; quando arriva l'acqua corrente, la corrente elettrica se ne va. Sempre più spesso non c'è nessuna delle due. Quando, per poco tempo, sono in funzione sia l'acquedotto che la distribuzione d'energia elettrica, sono le quattro di mattina, e io sto dormendo. La mattina, metto tutta la mia vita in due buste di plastica e inizio a girare per appartamenti. In questi giorni ho tre indirizzi permanenti e tanti indirizzi provvisori: naturalmente il mio appartamento, poi quello dei miei genitori, poi le case degli amici e parenti che ormai si sono trasferiti per sempre o per qualche tempo in paesi con governi più intelligenti.

Belgrado si è svuotata, in questo ultimo mese, e gli spazzini dicono che la quantità d' immondizia e come in agosto, quando la gente va in vacanza. Ma stavolta nessuno è partito per il mare; quasi 400mila abitanti hanno lasciato Belgrado, cercando scampo nei paesi vicini o in tutta la Serba. Quelli che sono rimasti, come me, ogni giorno cambiano indirizzo.

I primi ad essere in pericolo sono gli uomini giovani, abili al servizio militare. Dal primo giorno dei raid, la maggioranza dei giovani della città, per paura di essere mobilitati con la forza, si sono nascosti in appartamenti con indirizzi sconosciuti, così la polizia militare non li può trovare. Il problema è che anche gli amici non li possono trovare, perché appena si scopre l'indirizzo di un ragazzo ricercato dalla polizia, lui subito si trasferisce in un posto più sicuro. 

Anche le coppie con bambini piccoli, che abitano vicino agli obiettivi della Nato, hanno cambiato casa. Tutti scelgono le zone migliori, alloggiando dai parenti; i bambini vengono sistemati in un appartamento, e loro s'installano in un altro. Questo gioco d'"immigrazione interna" è diventato ancor più complicato, perché gli appartamenti dove funziona ancora la corrente sono vicini ai palazzo importanti, sedi politiche o militari, dunque esposti al rischio delle bombe. Altre zone della città, sono sicure, ma sono al buio. Io ho scelto il rischio: il palazzo dove mi trovo ha l'elettricità, ma si trova vicino a un centro di comunicazioni molto importante.

Mentre giro i canali della tv, aspettando che torni l'acqua, mi accorgo che sto misurando quanto spazio c'è sotto il letto e quanto tempo mi serve per buttarmici sotto, se per caso sento un missile arrivare. Provo e riprovo il salto e il rotolamento per terra; con un occhio metà chiuso, vedo un programma su Rai Tre. È un documentario: "Jugoslavia, la morte d'una nazione", descrive la distruzione dello Stato nel quale sono nata. Metto alla prova la conoscenza dell'italiano, mi sforzo di capire i commenti degli ospiti in studio. Ascolto quel che già conosco benissimo: il Male è stato pianificato un decennio fa, qui, nella mia amata città, quando il dittatore delle nostre vite si è preso il diritto di decidere anche della nostra morte.

Arrotolo il tappeto e lo metto in un angolo (è più facile buttarsi per terra se il parquet rimane scoperto - così in un salto mi troverò sotto il letto, se ne avrò bisogno) e seguo la fine del programma. Sento chiara la voce del generale e criminale Mladic, che nel nome del Grande Capo ha bombardato Sarajevo. Mladic grida l'ordine: "Bombardateli finché non impazziscono!". L'ospite in studio trova un'analogia, dicendo che quello che sta facendo la Nato sembra rispondere a un comando simile: "Bombardateli finché non impazziscono!". Come reagire? Impazzire nel nome del nazionalismo, oppure nel nome della democrazia: scegliete voi.

 
 
 
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