Anche i necrologi censurati dal regime Il diario di guerra della drammaturga serba più dura contro il regime, ma che non ha voluto lasciare la sua città. Di Biljana Srbljanovic. Ogni giorno sul quotidiano La Repubblica, dal 28 Aprile 1999. Ripreso da Allarme Scientology, pagine a cura di Martini. © Der Spiegel - La Repubblica.
BELGRADO (2 MAGGIO) - Oggi la televisione
locale ha diffuso le seguenti informazioni: anche in questi difficili tempi
di guerra, le imprese di pompe funebri di Belgrado funzionano normalmente.
Nella capitale, si contano mediamente trentanove persone cremate o defunte
al giorno. Lo stesso numero dello scorso anno, secondo la tivù.
È vero, a Belgrado, nelle ultime due notti non ci sono state nuove
vittime, però, il numero dei morti è aumentato con la scoperta
di cadaveri sotto le macerie del palazzo della televisione. Ma che dire
di questi morti, o delle due persone rimaste uccise nella loro macchina
al semaforo di fronte all'edificio dello Stato Maggiore, o dei pompieri
uccisi dalle fiamme che stavano spegnendo, dei soldati? Entrano anche loro
nei trentanove morti di cui parla la tivù? Quella notizia può
significare due cose. O la gente che normalmente dovrebbe morire, si attacca
alla vita per lasciare il posto alle vittime di guerra, consentendo che
la media dei defunti sia la stessa in tempo di guerra e in tempo di pace;
oppure c'è gente che racconta bugie. Per me, è più
verosimile la seconda ipotesi. Perché dall'inizio del conflitto,
sia la televisione di stato sia la stampa censurata (dunque tutta la stampa)
non parlano mai direttamente delle vittime della guerra. Le nominano appena.
A Belgrado, quando muore un parente stretto,
una antica consuetudine popolare vuole che nell'annuncio mortuario, oltre
al nome del defunto, al luogo e alla data del suo funerale, appaia sempre
la foto del morto e i messaggi di amici e parenti. Il quotidiano più
letto della capitale, "Politika", che negli ultimi dieci anni gode fama
di essere l'organo del regime, ha mantenuto la sua tiratura proprio grazie
alle cinque pagine zeppe di questi necrologi, che pubblica ogni giorno,
anche in tempi di pace. Qui, piace molto leggere questi annunci. Piace,
per esempio, al mio anziano vicino di casa, che solo per questo motivo
compra "Politika", giustificandosi col fatto dell'età e dicendo
che la gente muore come mosche e che lui non vuole che gli sfugga la notizia
della morte di qualcuno che conosce. Questi avvisi sono veramente importanti
per la gente come il mio vicino, più importanti della morte stessa,
perché se "Politika" non pubblica la tua foto allora è meglio
non morire, perché sarebbe come non morire. Cinque pagine con foto
di defunti e di saluti d'addio possono produrre un effetto spettrale (un
mio cugino italiano, quando le ha viste per la prima volta, ha gridato:
"Mamma mia, quanti terroristi", credendo che si trattasse di mandati d'arresto),
però è più bizzarro il fatto che adesso, in piena
guerra, con la gente che "muore come mosche", gli avvisi dei defunti siano
diminuiti sulle pagine di "Politika".
Oggi, dicono che quando muore un giovane
sia proibito pubblicare le sua foto. E che sia altrettanto proibito svelare
la causa della morte, come, per esempio: "È morto al fronte", oppure
"È rimasto ucciso nel palazzo della televisione perché gli
era stato ordinato di lavorare anche se tutti sapevano che la tivù
sarebbe stata colpita da un missile", o anche, più semplicemente,
"defunto in guerra". In questo modo, gli avvisi mortuari su "Politika"
sembrano meno barbari, contengono informazioni pulite, senza troppi ricami,
in armonia con la propaganda ufficiale che vuole nascondere il numero e
l'identità delle vittime, pur di mantenere la cifra di trentanove
morti al giorno uguale a quella che si aveva in tempi di pace.
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