Estratti di My Billion-Year Contract, il libro del 2009 di Nancy Many, e altre storie. © Traduzione di Simonetta Po, ottobre 2012
Nancy Many entrò in Scientology ai primi anni '70, poco più che ventenne. Venne subito reclutata nella Sea Organization e, dopo un periodo di lavoro all'org di Boston - durante il quale fu ingaggiata dal vecchio Guardian's Office all'epoca impegnato a costruire false accuse contro la giornalista Paulette Cooper - si trasferì a Clearwater, Florida, dove L. Ron Hubbard aveva appena aperto Flag, la "Mecca della perfezione tecnica" di Scientology. Nancy diventò una delle aiutanti dirette del Fondatore e lavorò a stretto contatto con lui su diversi progetti, tra cui la fondazione di WISE (World Institute of Scientology Enterprises). Fu proprio L. Ron Hubbard a mandare sul Rehabilitation Project Force una Nancy incinta di cinque mesi e a costringerla a vivere per parecchie settimane in un garage saturo di gas e di scarico polveri sottili.
Le vicende e la carriera Scientology di Nancy Many sono molto interessanti e vengono narrate nel suo libro My Billion-Year Contract, Memoir of a Former Scientologist del 2009. È da quel volume che ho tratto i tre capitoli a seguire, in cui Nancy racconta il crollo psicotico sperimentato dopo una serie di sedute di auditing impostele dalla Chiesa di Scientology di Los Angeles, delle similitudini con il crollo psicotico di Lisa McPherson, poi morta a fine 1995 al Fort Harrison Hotel dopo 17 giorni di cure del personale di Flag, con il crollo psicotico di Greg Bashaw, OT 7 che iniziò a soffrire di psicosi a fine 2000 durante l'auditing di una delle verifiche semestrali a cui gli OT di Scientology devono sottoporsi a Flag e mortì suicida sei mesi dopo, e con il crollo psicotico di "Jeannine", altra scientologist veterana la cui psicosi scoppiò durante un "maneggiamento" del personale della chiesa. Eventi come quelli narrati e rivissuti da Nancy Many non sono la norma, ma esistono e non è escluso che continueranno a verificarsi. Ciò su cui l'autrice mette particolarmente l'accento è che quando lei e gli altri tre scientologist veterani cominciarono a manifestare sintomi psicotici importanti, furono lasciati soli e abbandonati al loro destino. La fobia indotta dalla dottrina Scientology contro la psichiatria e i professionisti di salute mentale rende ancora più difficile, se non impossibile, il trattamento e il recupero di quei fedeli che piombino nella psicosi o nello squilibrio mentale a seguito delle pratiche dispensate dalla Chiesa di Scientology. Simonetta Po La psicosi secondo Wikipedia: Il termine psicosi [indica la] "malattia mentale o follia". La psicosi secondo L. Ron Hubbard:
Capitolo 1 - Il giorno all'incontrario© Nancy Many, My Billion-Year Contract, Memoir of a Former Scientologist, pagg. 17-29Era da poco passata la mezzanotte. Mi misi seduta sul letto e slegai lentamente la fusciacca che mio marito mi aveva annodata alla caviglia. L'altro capo era legato alla sua, così che se mi fossi alzata nel mezzo della notte se ne sarebbe accorto. Sapevo che non riusciva a comprendere la verità di quanto stava accadendo. Se si fosse svegliato avrebbe cercato di impedirmi di fare ciò che dovevo fare, il progetto che avevo in mente per quella notte. Ora ero certa che Captain Bill aveva completamente ragione. La razza aliena dei marcabiani si era veramente impossessata della dirigenza di Scientology. Un tempo Captian Bill era stato un membro di Scientology di altissimo livello e mi aveva detto che i marcabiani avevano collocato dei "tepaphones" invisibili in cima al grande palazzo azzurro di Scientology a Los Angeles. Era grazie a quegli apparecchi che gli alieni praticavano il controllo mentale sugli esseri umani, in particolare sui membri di Scientology che avevano raggiunto i livelli OT più elevati. Adesso tutto aveva senso. Da sempre Scientology voleva che io perdessi la ragione. Il che spiegava perché nelle ultime settimane il personale dell'Ufficio Internazionale degli Affari Speciali (OSA), uno dei livelli superiori di Scientology, si fosse dimostrato così freddo verso la mia sofferenza. O erano controllati dagli alieni, oppure erano essi stessi degli alieni. Mi era chiaro che OSA non aveva alcuna intenzione di aiutarmi; in realtà, speravano che sarei sprofondata completamente nell'angoscia e nella confusione.
Entrai silenziosamente in cucina e mi preparai una tazza di tè. Era notte fonda, avevo molto da fare. Sapevo che domani sarebbe stato il giorno più importante della mia vita. Una battaglia che dovevo combattere. Che ne fossi uscita vincente o perdente, sarebbe finito tutto per le due del pomeriggio. Volevo vincere e sapevo di avere sufficienti alleati per ottenere la vittoria di cui avevo disperatamente bisogno. Portai la tazza di tè alla mia scrivania e accesi il computer, il russare sommesso dell'impianto di riscaldamento e del mio cane a tenermi compagnia. Sapevo che prima di delineare un progetto solido dovevo elencare le mie risorse. Era uno scontro tra i leali e i dannati. Buttai giù un piano di massima su come poter sopravvivere al grande attacco spirituale che sentivo sarebbe arrivato alle prime luci dell'alba. Per qualche motivo, le due del pomeriggio mi si erano fissate nella mente come l'ora decisiva. Se fossi riuscita a sopravvivere fino alle due, sarebbe andato tutto bene e avrei vinto questa battaglia cruciale. Non capivo perché questo mercoledì fosse il termine ultimo; lo sapevo e basta. Non avevo idea di quale forma avrebbe assunto il conflitto, ma sapevo che sarebbe iniziato al mattino e che se fossi riuscita a resistere fino alle 14.00, il pericolo maggiore sarebbe passato. Feci un elenco di chi, direttamente o indirettamente, pensavo mi avrebbe trasmesso energia utile attraverso la preghiera. Sarebbe stata la forza positiva di cui avevo bisogno per andare in battaglia contro quei demoni alieni. Scrissi i nomi dei miei alleati e delineai come meglio potevo la sequenza di azioni. Sapevo che alcune cose si sarebbero sviluppate in modi per me imperscrutabili; dovevo essere pronta a tutto. Ero incerta se collocare Mick Wenlock tra gli amici o i nemici. Anni prima avevamo lavorato insieme in Scientology ed era un buon amico. Ma nelle ultime mail mi aveva scritto di aver lasciato Scientology. Il suo nome era uscito spesso nei lunghi interrogatori a cui per diverse settimane mi aveva sottoposta Scientology prima del mio collasso mentale, mi chiedevo semplicemente da quale parte stesse Mick. Il mio piano prevedeva anche una mail che gli inviai quella notte. Il mio intento era farlo uscire allo scoperto, capire se lavorava di concerto con l'unità di intelligence di Scientology e gli alieni marcabiani. Dopo qualche ora di lavoro tornai silenziosamente a letto e riannodai la caviglia a quella di mio marito. Non volevo che al mattino mi facesse domande. Sarebbe stata una giornata intensa. Mi alzai al solito orario e portai a scuola i ragazzi. Chris andò al lavoro e io cercai di comportarmi con tutti loro in modo normale. Non volevo che le loro preoccupazioni ostacolassero il mio piano. Una delle mie prime telefonate fu ai genitori di Chris, dei cristiani rinati dello stato di New York. Mio suocero aveva parlato con il suo ministro di culto e mi lesse un passo della Bibbia a proposito dei figli. Qualcosa mi scattò nella testa; mi resi conto che quelle parole riguardavano i miei figli. Ecco qui. Questa era la parte che non avevo visto e previsto durante la notte. Attaccai il telefono con il pensiero frenetico di come proteggere i miei bambini. Il mio figliastro era grande e viveva da solo da diversi anni. Ora abitava all'altro capo della città e intorno a lui non avvertii pericoli. Mio figlio maggiore frequentava un liceo cattolico e sapevo che pregava molto tutti i giorni, perciò era al sicuro dentro la sua bolla. Sorella Lucille, la sua preside, aveva una fede profonda e quella fede avrebbe protetto il mio Carey. Continuavo a camminare nervosamente nel nostro piccolo salotto quando i palloncini della festa dei giorno prima cominciarono a scoppiare da soli. Riuscivo a sentire l'energia negativa che mi stava accerchiando e sapevo che il fragore di quelle piccole esplosioni mi avrebbe permesso di decifrare il loro piano. Ok, Carey e Corey sono al sicuro, mi dissi per calmarmi. Continuai a passeggiare su e giù e quando il mio pensiero andò a Taylor, mio figlio minore, altri palloncini esplosero improvvisamente. Taylor aveva nove anni e frequentava la scuola elementare pubblica in fondo alla strada; lui non era al sicuro, proprio per nulla. Il mio pensiero si fece frenetico. Dovevo farlo uscire subito da quella scuola e proteggerlo. Mi resi conto che non potevo andarci io, se lo avessi fatto avrei accompagnato da lui i demoni che mi inseguivano. L'energia della stanza era già molto oscura e continuava ad aumentare di intensità. Ero certa che non fosse la mia immaginazione perché i palloncini continuavano a scoppiare senza che io o il cane li avessimo toccati. La scuola distava soltanto un isolato dal nostro studio di registrazione e avrei potuto telefonare a Regina, la direttrice! Feci il numero cercando di mantenere la calma le dissi che Taylor doveva essere portato a casa immediatamente. Poteva per cortesia andarlo a prendere subito a scuola? Era vicino e lei mi promise che lo avrebbe fatto. Riattaccai sollevata, ma ancora in preda alla frenesia. E se Regina non fosse arrivata in tempo? E se la scuola non le avesse affidato Taylor? Nelle ultime tre settimane avevo visto i miei tre husky siberiani respingere l'energia maligna, sapevo che mi avrebbero protetta. Sentivo crescere dentro un senso di urgenza, non potevo attendere oltre. Misi al guinzaglio due cani e mi affrettai fuori sperando di incontrare Regina e Taylor. Ero appena uscita in strada con i due siberiani che mi tiravano, quando vidi Regina. Lei non accennò al fatto che stessi correndo, non mi giudicò. Sapevo che era dalla nostra parte (che lei ne fosse o meno consapevole). La abbracciai ringraziandola per essere andata a prendere mio figlio. Poi con Taylor e i cani tornai di fretta a casa. Dovevamo distrarci. Non volevo turbare mio figlio, per lui doveva essere una cosa divertente. Cominciammo a giocare al "giorno all'incontrario": avremmo fatto le cose al contrario di come le facevamo di solito. Avvertii improvvisamente un'ondata di energia negativa avvolgere la casa. Dovevamo uscire subito. I palloncini continuavano a scoppiare, pop pop pop, era un segno che l'energia oscura stava aumentando. I nostri due cani neri guaivano spaventati. Questa volta presi con me Sasha, l'husky fulvo, e un po' di Magia: le carte da gioco. Misi in borsa il cordless di casa nell'eventualità avessi dovuto contattare qualcuno dell'elenco compilato durante la notte. Era il giorno all'incontrario, così uscimmo dalla finestra invece che dalla porta. Ci incamminammo per le strade di Burbank, ma io riuscivo a vederli; loro stavano girando in macchina vicino a casa nostra. Le loro auto erano riconoscibili e quando io e Taylor ci sedemmo a un angolo di strada per giocare a carte, li vidi passarci vicino lentamente. L'uomo al volante ci fissò, noi lì seduti con il nostro cane fulvo. Un attimo prima che svoltasse avevo colto nei suoi occhi un guizzo di riconoscimento. Cercai di non mostrare a Taylor il mio terrore, gli dissi di alzarci e di riprendere la passeggiata. Arrivati a un grande incrocio, un'auto con due donne e un uomo parcheggiò vicino a noi. I tre scesero e ci si avvicinarono, ammirati del nostro cane. Sapevo che erano mandati da loro. Vedevo gli alieni controllare i loro corpi, li vedevo sempre più concentrati su Taylor. Guardai il mio telefono portatile e mi resi conto che ci avevano localizzati grazie a quello. Lo lanciai tra i cespugli. Fui colta dal panico. Dovevo calmarmi e ideare subito un piano per salvare mio figlio. Capii che se loro potevano modificare le loro sembianze, allora potevo farlo anche io. La cosa migliore era fingere di essere mio figlio così avrebbero inseguito me, non lui. Afferrai il guinzaglio di Sasha e mi lanciai saltellando in mezzo alla strada, come avrebbe fatto un bambino. Ero certa che sarei stata investita. Se ci fossero cascati, se avessero creduto che avevo scambiato il corpo con mio figlio e se il mio corpo fosse stato investito, allora Taylor sarebbe stato al sicuro. Con sorpresa, arrivai intera dall'altra parte della strada. Non era successo niente, non ero stata messa sotto da nessuno. Restai lì un momento, del tutto confusa. Poi vidi Taylor su quel grande incrocio, con quelle persone tremende vicino. Lui era ancora in pericolo. Mi guardavano e mi resi conto che lo avevano circondato. Taylor era immobile e mi fissava con occhi sbarrati. Che fare? Che fare? Cominciai a pensare in modo frenetico cercando intorno per una risposta. Eccola! Un vicino McDonald provvisto di uno spazio per i bambini pieno zeppo di giochi. Mi precipitai in quella direzione. Dovevo continuare a fargli credere che io o il mio corpo eravamo Taylor. Corsi verso il ristorante e mi infilai nell'ingresso rotondo dell'area dei bimbi. Avevo ancora al guinzaglio Sasha, che si infilò assieme a me. Mi sedetti in un mucchio di palle con il cane attaccato al braccio. Percepivo la sorpresa degli avventori, le pareti di plastica distorcevano i loro volti esterrefatti che mi fissavano in silenzio. I due bambini nello spazio giochi si allontanarono da me. Improvvisamente, fece capolino da un oblò la testa del direttore del McDonald. «Signora, non può stare lì... gli adulti non possono entrare nell'area bambini e i cani non sono ammessi nel ristorante», mi disse tutto rosso in volto. Fu allora che notai di avere ancora Sasha al guinzaglio. Non sapevo più che fare, la mente completamente vuota. Taylor si era infilato nella piccola uscita rotonda sulla destra: «Dai mamma, vieni fuori. Andiamocene.» Spostai lo sguardo dalla faccia del manager a quella del mio bambino di 9 anni. Il direttore sembrava sul punto di esplodere, mio figlio era pallido e addolorato e mi tese la mano: «Mamma, esci di lì.» Attraverso la plastica vidi che era solo. I tre che lo volevano rapire se ne erano andati. Ero felicissima, il mio trucco aveva funzionato. Lui era solo e al sicuro, io avevo gettato il cordless così non sarebbero più riusciti a trovarci. «Dai, mamma», Taylor continuava a farmi segno con la mano. Strisciai fuori e il cane mi seguì. Stavo per premere l'allarme sull'uscita di sicurezza quando Taylor mi prese per il braccio e mi guidò verso l'uscita principale. Scrutai strade e parcheggi dei dintorni, ma non vidi altri alieni. Ero momentaneamente salva, ma mancava ancora molto alle 2 del pomeriggio e sapevo che il pericolo non era cessato. Giunti al vicino 7-Eleven, caddi a terra. Non riuscivo più a reggermi in piedi. Taylor mi tirò il braccio: «Mamma alzati. Per piacere mammina, alzati.» Era rosso in volto e turbato, si guardava intorno per vedere se qualcuno stesse assistendo a quella scena imbarazzante. Radunai tutte le mie forze e mi alzai, oltrepassammo il 7-Eleven e svoltammo. Avevo la mente del tutto vuota, mi limitavo a seguire il mio bambino. Poi crollai di nuovo. Non riuscivo proprio a stare ritta. Caddi metà sulla strada, Taylor cominciò a tirarmi per togliermi dalla corsia. Arrivò gente a dargli una mano, non sapevo se erano gli stessi tre di prima, ma non mi importava. Avevo visto il maligno controllo alieno cominciare di nuovo a farsi largo e sapevo di dover distogliere l'attenzione da mio figlio. Cercai di rialzarmi, ma rovinai di nuovo a terra, priva di forze. Urlai a Taylor Chiama il re! Chiama il re!. Era il nostro gioco di prima e il re era suo padre. Gente si stava accalcando intorno a noi, la sentivo bisbigliare e le intenzioni non erano buone. Energia nera. Vidi una mano avvicinarsi a Taylor, sapevo che arrivava dall'oscurità. Cominciai a dimenarmi e a scalciare. Da terra vidi grosse ruote e la fiancata rossa di un mezzo dei pompieri. Uomini in blu mi si avvicinarono, mi toccavano, mi parlavano. Cercai di calciarli via. «Signora, stiamo solo cercando di aiutarla.» E ancora: «Signora, deve stare ferma o saremo costretti a immobilizzarla.» Immobilizzarmi... pensai al diavolo le cinghie! Devo salvare mio figlio! Sentivo i pompieri parlare tra di loro, ma l'energia che diffondevano era molto diversa da quella dei passanti. Guardai alla mia destra e vidi il viso inondato di lacrime di mio figlio. Mi si spezzò il cuore. Era sconvolto e non riusciva a capire quanto stava accadendo. Potevo solo immaginare i suoi pensieri. Notai che si era avvicinato un poliziotto e, con grande sollievo, constatai che era uno dei buoni. Era un'anima gentile, Taylor adesso era al sicuro. Mi rilassai, ma sentii provenire dai curiosi dell'energia negativa che fluttuava verso di me per attaccarmi. Raccolsi le forze residue e mi alzai urlando. Non mi rendevo conto che quelle imprecazioni uscivano soltanto dalla mia bocca. «Ha preso qualche droga? Signora, ha preso droghe?» Guardai stupita il pompiere. Pensava che fossi fatta! «Ha bevuto? Signora, ha bevuto?» Beh, naturalmente lui non riesce a vedere gli alieni. Forse pensa che ho picchiato mio figlio, ma la verità è che sto cercando di salvare il suo essere. Uno dei pompieri disse a un collega: «Dobbiamo metterle le cinghie di contenzione.» Dal tono della sua voce capii che gli dispiaceva molto e mi sentii male per lui, perché doveva farmi qualcosa di brutto. Ma a quel punto non mi importava nulla delle cinghie. Che differenza avrebbe fatto? Non avevo il controllo del mio corpo e la mente era piena di confusione. Arrivò l'ambulanza e uno dei pompieri salì con me. Sentii chiudersi il portellone. Il pompiere era arrabbiato e mi urlava: «Sei contenta, adesso?» Persi i sensi. Tornai in me su una barella, attorniata da medici e infermiere in una stanza d'ospedale. «Signora, come si chiama?» «Che giorno è oggi?» «Sa dove si trova?» Li guardavo con occhi vuoti. Vedevo un orologio e non erano ancora le due, dovevo stare molto attenta. Andirivieni di persone nella stanza, catturavo brandelli di informazioni ma non osavo aprire bocca. Non sapevo bene dove fossi, solo che non ero sicura di essere in salvo. Notai un uomo sulla porta e l'infermiera mi disse: «È arrivato suo marito.» Marito? Mio marito, Chris? Non so... ma è davvero lui? Non lo so. Continuavo a guardarlo. «Nancy sono io, Chris.» Chris. Sembrava Chris, aveva la voce di Chris, ma se fosse stato invece un altro trucco? Al McDonald li avevo neutralizzati, ma va a sapere che cosa avevano architettato adesso. Chris mi prese la mano e disse all'infermiera che pensava non lo avessi riconosciuto. «Mia moglie porta gli occhiali, senza non ci vede.» Occhiali? Chris sapeva bene che ho le lenti a contatto, perché mai le stava dicendo che uso gli occhiali? Lo tirai verso di me così da potergli parlare all'orecchio. «Siamo al sicuro?» Mi accarezzò la guancia: «Certo tesoro, siamo al sicuro. Adesso siamo al sicuro.» Guardai l'orologio dietro la sua testa. Era appena l'una, sapevo che ancora non eravamo in salvo. Regina apparve sulla porta. Chris le parlò un attimo, tornò con i miei occhiali e me li mise sul naso. Mi parve che desse una boccetta di farmaci alle due infermiere. Adesso non vedevo davvero nulla. Avevo le lenti a contatto e l'aggiunta degli occhiali mi offuscò completamente la vista. Chis uscì, io vidi le infermiere osservare la boccetta che la settimana prima mi aveva prescritto il medico Scientology per "aiutarmi". «Guarda, le hanno dato questo!» Risero come se fosse la cosa più buffa del mondo. Prima pensavo che il medico Scientology facesse parte del piano, ma ora non ne ero più così sicura. Chris tornò per dirmi che erano arrivate una mia vecchia amica e Kirsten, l'operativa del dipartimento intelligence di Scientology International. «Per favore, non farle salire», gli sussurrai. «Non preoccuparti, sono qui solo per aiutarti.» Ho poi saputo che il regolamento ospedaliero prevedeva che il medico curante (cioè il mio medico Scientology) fosse informato del mio collasso mentale e del mio stato. La dottoressa scientologist aveva immediatamente allertato l'Ufficio degli Affari Speciali del movimento, il quale aveva inviato il suo personale affinché impedisse un mio eventuale ricovero in psichiatria. Al momento, però, sapevo soltanto che qualsiasi cosa avessero detto a Chris, quelle due nell'atrio non erano lì per aiutarmi. Si stavano avvicinando le 14.00 e mi convinsi che quell'uomo era probabilmente e per davvero Chris, e che Taylor e il cane erano al sicuro, come lui mi aveva detto. Ma sentivo ancora gli alieni smanettare con l'altoparlante dell'ospedale per diramare messaggi su di me, mi chiedevo come Chris potesse non sentirli. L'infermiera gentile si avvicinò al mio letto: «Non desidera che le togliamo le cinghie di contenzione?» Onestamente, non me ne importava nulla. Non sapevo nemmeno di averle, ma compresi che le avrebbe fatto piacere sentirsi dire che volevo mi fossero tolte. «Certo», le risposi. «Ok, vorrei solo essere certa che non si agiterà di nuovo, altrimenti gliele dovremo rimettere». Era veramente carina. Guardai Chris al mio fianco, ormai ero certa al 90% che fosse davvero lui e che io ero al sicuro. «Sto meglio», gli dissi. L'infermiera si avvicinò con una cartella e una penna: «Ora le farò qualche domanda, mi risponda come meglio può.» Con un piccolo aiuto di mio marito riuscii a rispondere alle domande chiave per evitare il ricovero psichiatrico coatto di 72 ore. Mi chiese cose del tipo: «Chi sei?», «Dove sei?», «Che giorno è oggi?», «Che cosa hai mangiato a colazione?», ma soprattutto: «Che cosa ti è successo?» Evidentemente superai il test, perché lei sorrise e mi tolse le cinghie. Chris mi disse che il medico desiderava trattenermi per la notte, ma che mi avrebbe fatta dimettere contro il parere medico. «Vogliono solo farti qualche esame per accertarsi che tu non abbia un tumore al cervello o qualcosa del genere.» «Tumore al cervello?» «Sì, ora fanno l'accertamento poi ti porto a casa.» «Ok.» Notai che sulla soglia della mia camera c'era una donna anziana. Non aveva aperto bocca e non era entrata. Cercava i miei occhi, ma da lei non sentivo provenire energia negativa. Mi chiesi chi fosse e che cosa facesse lì. Forse l'avevano mandata per proteggermi. Ci avviammo verso il reparto di radiologia e mi alzai sulla barella per guardarla. Lei restituì il mio sguardo ma nessuna energia, né buona né cattiva. Solo un senso di tranquillità. In sala raggi guardai con estremo sospetto i due tecnici radiologi. Chris era dovuto restare fuori. I due mi sollevarono per mettermi sul piano del macchinario e mi infilarono la testa in una specie di grosso casco bianco, poi si ritirarono dietro lo schermo protettivo e mi lasciarono sola con la testa dentro a quel coso. Improvvisamente sentii odore di sostanze chimiche. Oddio, è gas!, pensai. Gli alieni stavano cercando di farmelo respirare attraverso la macchina, il tentativo finale contro di me. Ma sapevo che ormai erano le 2 del pomeriggio e che se avessi trattenuto il respiro, avrei vinto. Poi mi riportarono in camera dove Chris firmò i documenti di dimissione e ci avviammo verso casa, con una sosta al supermercato per prendere il latte e l'occorrente per la cena. Chris parcheggiò e voltandosi mi chiese: «Sei sicura di voler entrare?» Ci pensai su. Taylor e Chris erano con me, il calmante somministrato all'ospedale aveva fatto effetto e l'ora critica, le 14.00, era passata. «Sì, ce la faccio, ma stammi vicino.» Quando Taylor prese posto nel carrello, due donne si fermarono per fargli i complimenti: «Ma che bel bambino!» Sentii rimontare il panico e stavo per cacciarle, ma le due signore si voltarono e mi sorrisero. Quel sorriso calmo e radioso mi fece capire che erano dalla parte dei buoni. Notai un'altra cosa: avevano la fronte macchiata di cenere. Sorrisi di rimando e mi avviai con il carrello. Mercoledì delle Ceneri, non fa meraviglia che tutto questo sia accaduto oggi.. Era stata una battaglia spirituale molto intensa, nelle ultime due settimane ero stata letteralmente via di testa e non mi ero accorta che oggi era il Mercoledì delle Ceneri. Per certi versi il pensiero mi tranquillizzò e rese l'evento più significativo. Notai che al supermercato c'erano diverse altre persone con la fronte macchiata di cenere e mi sentii al sicuro. Pagammo la spesa e tornammo a casa. Chris mi mise a letto poi telefonò alla dottoressa Scientology. Sentii solo brandelli di conversazione e una vota riattaccato, Chris venne a sedersi di fianco a me. Mi prese la mano e mi guardò intensamente negli occhi. «La dottoressa dice che in questo momento l'unica cosa che possa aiutarti sono gli psicofarmaci ma lei, in quanto scientologist, non può prescriverteli.» Lo guardai con sentimenti contrastanti. Non volevo più sentir parlare della dottoressa Scientology. Avevo sempre pensato che fosse uno strumento degli alieni marcabiani, quelli che volevano farmi del male e intralciarmi. «Siamo soli, Nancy. Da Scientology non verrà alcun aiuto, nessuno di loro ci aiuterà. Siamo entrati in questa storia insieme e ne usciremo insieme.» Chris mi parlava lentamente e mi teneva la mano, continuò a guardarmi fisso negli occhi e riuscì a toccarmi - a raggiungere quel me che nelle ultime due settimane aveva combattuto da sola quella guerra. Non mi importava nulla se da Scientology non fosse arrivato alcun aiuto; erano stati loro a spingermi oltre il limite. Ero convinta che si fossero dati attivamente da fare per farmi peggiorare, dopo il crollo mentale di due settimane prima. Per me, adesso, contava soltanto sapere di non essere più sola. Chris era al mio fianco. Ripensai alle parole di scherno delle infermiere quando avevano visto l'idrato di cloralio e le erbe che la dottoressa Scientology mi aveva prescritto. Capii che cosa avremmo dovuto fare: «Facciamo esattamente il contrario di quanto quella dottoressa ci ha detto. Smetto di prendere la roba che mi ha ordinato, basta idrato di cloralio, basta megavitamine, basta erbe, basta bevanda al calcio e magnesio, basta tutta quella roba.» «Va bene, Nancy. Vedrai che ci leveremo le gambe.» Per la prima volta in due settimane mi sentii pervadere dalla speranza. Capitolo 24 - Lisa McPherson© Nancy Many, My Billion-Year Contract, Memoir of a Former Scientologist, pagg. 235-239Sentii parlare per la prima volta della morte di Lisa McPherson ai primi del 1997. Lisa stava ricevendo servizi alla Flag Service Organization di Clearwater e aveva avuto un collasso mentale. A quel punto era stata trattenuta e assistita nei locali del Fort Harrison Hotel di Scientology, lo stesso hotel nei cui garage pieni di fumi di scarico ero stata mandata a vivere molti anni prima. La notizia della sua morte mi rattristò e colpì molto. Lisa, come me, era una scientologist veterana. Ma scoprii altri punti in comune. Lessi i resoconti giornalieri di chi si era preso cura di lei e il suo agire, i suoi commenti apparentemente folli, a me erano del tutto comprensibili. Riuscivo a capire che cosa le passava per la testa, era la stessa esperienza che anche io avevo vissuto e che non auguro a nessuno. I collegamenti tra farmaci, vitamine e prodotti erboristici che entrambe avevamo assunto mi furono chiari solo quando, nell'estate del 1997, mi capitò di vedere una trasmissione alla TV. Avevo già fatto ricerche autonome sugli effetti mentali della deprivazione del sonno. Ma il medico presente a quella trasmissione spiegò che a peggiorare le condizioni di Lisa non erano stati i singoli farmaci e le singole megadosi di vitamine. Ad accelerare il deterioramento della donna era stata la loro combinazione. Il medico aveva elencato quanto somministrato a Lisa e si trattava delle stesse vitamine e degli stessi farmaci prescritti anche a me dalla dottoressa Scientology e ben sapevo quanto fossi io stessa progressivamente peggiorata, un deterioramento inesorabile fino al giorno del collasso definitivo e del ricovero. Quel giorno fu importante anche per un altro motivo: Chris mi disse che sarebbe stato al mio fianco, che avremmo combattuto insieme, proprio come aveva fatto il giorno in cui avevo sentito le infermiere ridere delle medicine che stavo prendendo. Allora ero certa che i marcabiani si fossero impossessati di Scientology e che volessero catturare me e la mia famiglia, così avevo deciso di fare il contrario di quanto prescritto. Smisi di fare ciò che gli scientologist mi avevano raccomandato e nelle settimane successive cominciai a migliorare. Ogni giorno era migliore del precedente, presi a dormire con una certa regolarità. Erano arrivati gli angeli e io avevo iniziato a guarire. Non avevo però ancora deciso se continuare a ritenermi o meno una scientologist. Speravo ancora nell'arrivo dell'aiuto promesso da Scientology International per sistemare le cose, ma quell'aiuto non arrivò mai. Per il primo anno dopo il collasso mentale avevo capito che per stare bene dovevo assolutamente evitare di pensare a Scientology. Permettere che i miei pensieri indugiassero in quella direzione assottigliava le pareti già fragili della mia mente. Nel 1997 decisi di scrivere a David Miscavige, leader di Scientology, per spiegargli quanto avevo passato e tutte le incredibili similitudini con il caso di Lisa McPherson. Gli raccontai che avevo iniziato a migliorare soltanto dopo aver smesso di prendere quelle megadosi di vitamine. Non sapevo se la mia lettera gli sarebbe stata consegnata, se sarebbe stata presa in considerazione, se avrebbe contribuito a cambiare le cose. Ma sentivo di doverla scrivere per me stessa. Sapevo che se mai ci fosse stato un altro caso McPherson, avevo almeno provato a far arrivare la mia comunicazione. La mia lettera restò senza risposta. Una settimana dopo averla spedita, però, i vicini mi dissero di avere visto una donna in una Mercedes bianca fare fotografie alla nostra casa. Avevamo forse intenzione di vendere e di trasferirci altrove? Avevo lavorato per OSA, il servizio di intelligence di Scientology, e sapevo bene che quando si decide di sorvegliare chi si ritiene essere una potenziale minaccia, una delle prime cose da fare è preparare un archivio fotografico che lo riguarda. Sarà così possibile mostrare agli altri agenti di OSA le immagini del bersaglio, di casa sua e del suo luogo di lavoro. Parte di me sapeva che poteva trattarsi di una semplice paranoia scaturita dalla mia psicosi, ma non è raro che OSA metta veramente qualcuno alle calcagna di chi percepisce nemico. La mia lettera a David Miscavige non ha mai ricevuto risposta, né da lui direttamente né dal suo ufficio, perciò ho sempre pensato che quella Mercedes bianca fosse l'unica risposta che avrei mai ottenuto. Il secondo anno dopo il mio collasso mentale cominciai a sentirmi sufficientemente forte da provare a raccontare a qualche amico intimo quanto avevo vissuto. Una donna mia amica da anni, però, mi disse che in quel momento avrebbe preferito non ascoltare la mia storia: era in mezzo a una serie di "verifiche di sicurezza" di Scientology per accertare la sua idoneità a proseguire sul livello OT successivo. Senza bisogno che le dicessi una sola parola, aveva già capito che ciò che volevo raccontarle avrebbe acceso una luce negativa su Scientology. L'assistenza pastorale per l'idoneità al livello che la mia amica stava facendo costava 400 dollari l'ora, e la conoscevo abbastanza bene da sapere che il mio racconto l'avrebbe molto turbata e quel turbamento le sarebbe costato un mucchio di soldi. «Oh certo, capisco», le dissi. E la capivo veramente. Qualche mese dopo le raccontai tutto e la sua reazione mi lasciò sbigottita. «Quello che ti è successo è normale, ovvio. Quella gente di OSA è molto soppressiva.» «Come?!» Ero veramente sorpresa che lei fosse a conoscenza del tipo di interrogatorio a cui l'Ufficio degli Affari Speciali sottopone i fedeli di Scientology. «Certo, so che quegli interrogatori sono disgustosi e che quella gente non applica la tecnologia in modo corretto. Ma cosa posso farci?» Si portò alla bocca un'altra forchettata di insalata e io annuii pensosa. Quelle cose si potevano dire soltanto tra amici intimi, in privato, ma c'era il rischio costante che poi uscissero durante una intervista o una seduta di auditing. Quando quei pensieri non allineati vengono fatti oggetto di rapporto, lo scientologist viene indirizzato a un funzionario di etica il cui scopo è riportare in linea con il gruppo il pensiero non conforme. Nonostante gli scientologist del pubblico non temano di doversi sottoporre a estenuanti programmi di riabilitazione, devono però preoccuparsi di evitare una dichiarazione di "persona soppressiva" o di vedersi ordinare costosissime "verifiche di sicurezza" che riallineino il loro pensiero a quello di Scientology. A settembre 1998 risolsi finalmente ogni residuo dubbio su Scientology. Io e Chris ci eravamo presi una vacanza; una sera in albergo ascoltammo alla TV il Dalai Lama parlare delle relazioni tra Tibet e Cina e il motivo per cui lui esortava il popolo tibetano a non sollevarsi in armi contro i cinesi. Spiegò che il Tibet e la Cina erano vicini di casa e abitavano lo stesso mondo. In quanto vicini di casa, dovevano imparare a coabitare in pace. La violenza avrebbe portato soltanto altra violenza. Il Dalai Lama stava sostanzialmente dicendo di porgere l'altra guancia, uno dei fondamenti della mia educazione cristiana. In quel momento capii che non ero più persa tra gli alberi, ma che ora potevo finalmente vedere la foresta. Non dovevo più arrovellarmi tra "questa parte di Scientology è buona e mi è stata utile" e "questa parte di Scientology è negativa e danneggia le persone", la costante altalena della mia condizione di dubbio. Le cose mi apparvero improvvisamente in una prospettiva più ampia. Come Scientology ha più volte ribadito ai media, non si tratta di una religione "porgi l'altra guancia". Io stessa avevo studiato numerosi articoli in cui Hubbard diceva che Scientology deve "attaccare chi ci attacca". Era stato lui a stabilire la regola secondo cui chi critica Scientology deve essere querelato e non per vincere la causa o per ottenere giustizia, ma per toglierlo di mezzo, per farlo almeno cessare le sue critiche. Ripensai alla discussione accesa che avevo avuto con Joan durante un interrogatorio di OSA, quando le avevo detto di ritenere che la definizione di cattiva azione è "quella che non vorresti fosse fatta a te", regola aurea che regge molte religioni e filosofie del mondo. Credevo molto più a quella definizione che non alle parole di Hubbard, secondo cui una buona azione è quella che fa il maggior bene sul maggior numero di dinamiche. Pensavo che il metro di misura del "maggior bene" permettesse a me e a tutti gli altri scientologist di giustificare la violazione della regola aurea. Ascoltavo le parole del Dalai Lama e mi resi conto che non potevo più considerarmi una scientologist. Per me la regola aurea era una grande e imprescindibile verità. Per arrivare a quella semplice constatazione avevo impiegato molti anni, molto sangue, sudore e lacrime, e infinita sofferenza. Capitolo 25 - I post Internet di "Kathryn"© Nancy Many, My Billion-Year Contract, Memoir of a Former Scientologist, pagg. 241-246Nell'autunno del 1998, a quasi tre anni di distanza dalla mia vicenda e dalla morte di Lisa McPherson, scrissi la mia storia e la firmai con lo pseudonimo "Kathryn"; il racconto è ancora disponibile su parecchi siti Web, in particolare su Operation Clambake. Mio marito aveva letto da qualche parte che mettere per iscritto gli eventi negativi vissuti può essere a volte di aiuto terapeutico e mi aveva suggerito di provare. Decisi così di scrivere la mia storia senza citare mio figlio, l'episodio al McDonanld e alcuni altri particolari di quelle giornate folli, ma in sostanza era il resoconto fedele del mio vissuto. Non sentivo più alcun obbligo a mantenere i loro segreti, e la cosa mi faceva sentire bene. Nelle vesti di Kathryn inviai la mia storia ad Arnie Lerma chiedendogli di postarla in vece mia. Non parlavo con Arnie Lerma da prima che i funzionari del governo, su denuncie presentate dagli scientologist, perquisissero casa sua. Non gli rivelai il mio vero nome: eravamo amici, ma non ero ancora pronta a uscire allo scoperto. Lui aveva vinto una causa contro Scientology perciò chiedere il suo aiuto mi dava senso di protezione. E ricordavo le pressioni della persona dell'ufficio legale di Scientology per farmi firmare quei documenti; temeva che Arnie scoprisse la mia vicenda e pensasse che ero stata costretta a firmare. Arnie pubblicò la mia storia e io restai in attesa di vedere quanto tempo avrebbe impiegato a sortire qualche effetto. Meno di 24 ore dopo mi chiamò Bill, lo stesso amico a cui avevo chiesto aiuto per le mie crisi mentali e che sapevo lavorare ancora per l'intelligence di OSA. Voleva parlarmi e fissammo di incontrarci a pranzo. Era bello rivederlo dopo tanto tempo, mi era stato davvero vicino durante le mie vicissitudini. «Allora, hai letto la mia storia?», chi chiesi. «Sì. OSA International mi ha chiesto di analizzarla per verificarne l'accuratezza. Beh, gli ho detto che era un racconto decisamente preciso e onesto. Hai messo giù le cose sottolineando i giusti "chi, cosa, quando, dove".» «Sono contenta di sentirtelo dire. In effetti cercavo proprio quel risultato.» Non avevo voluto ricamare sulla mia storia, ma nemmeno nascondere ciò che mi avevano fatto. A un certo punto Bill mi chiese: «Quanto spesso ti senti con Arnie?» «È questo che vuoi sapere, o che vuole sapere il tuo capo di OSA?» Bill non rispose subito. Dopo un momento di silenzio, disse: «Sai, io conoscevo Arnie, era un tizio in gamba.» «Sì. A New York mi aiutò in momenti parecchio duri.» [Arnaldo Lerma e Nancy Many si conoscevano dai tempi in cui entrambi lavoravano per la Sea Org negli anni '70 - N.d.T.] Parlammo d'altro, dei miei figli, di Chris. Poi la conversazione tornò al punto di partenza. Bill mi disse: «Sai bene che Kristen e Joan ti vogliono bene, che si preoccupano per te.» «Davvero?» «Sì, davvero. Mi chiedono sempre se ti ho incontrata e come stai.» «Bill, la sola cosa che gli interessa sapere è se li caccerò nei guai oppure no. Gli interessa sapere che cosa faccio, non come sto. Di me in quanto me non gliene importa nulla.» «No veramente, Nance. A te ci tengono.» «Beh, il mio numero è in elenco, ma in questi anni nessuno mi ha mai telefonato per chiedermi come stavo. L'unica telefonata è stata di un tizio che voleva farmi tornare sui servizi. E questo è quanto. Se a me ci avessero veramente tenuto si sarebbero fatte vive, mi avrebbero almeno telefonato per dirmelo.» Bill annuì. «Digli pure che possono chiamarmi quando vogliono, hanno il mio numero.» E il nostro pranzo finì lì. Non so quali fossero le aspettative di Bill, ma io me ne andai con la consapevolezza che il personale dell'Ufficio degli Affari Speciali di Scientology aveva letto il mio racconto e che io non avevo mentito sugli eventi. Sulla loro veridicità non avrebbero mai potuto dire una parola. Ero rattristata per Bill e per la nostra amicizia ormai finita. Non riuscivo a capire come uno come lui, che sapeva bene che cosa mi era stato fatto, continuasse ad appoggiare Scientology. Inoltre, le informazioni su Lisa riempivano la Rete, e lei era morta. Era morta. Però Bill non sembrava per nulla turbato, né disposto a farsi domande su Scientology. Come amico, era un grosso dolore. Non che mi aspettassi una rinuncia alla sua fede nelle promesse di Scientology (e Dio solo sa quanto per me fosse stato difficile farlo), ma mi sarei almeno aspettata l'insorgere di un qualche dubbio, di una qualche domanda. Ero molto sorpresa dal fatto che nessuno dei miei amici Scientology al corrente del mio vissuto avesse riflettuto sulla mia esperienza e si fosse fatto qualche domanda. Per loro, quanto accadutomi era un'anomalia. La filosofia Scientology addossa all'individuo la causa degli eventi. Scientology sposa l'idea che ognuno è responsabile della propria condizione e porta questa convinzione fino all'estremo; insegna che tu sei "in controllo" di ogni più piccola cosa ti accada. Il credo di Scientology insegna che se ti ammali di cancro devi per forza aver fatto qualcosa per tirartelo addosso. Se ti rompi una gamba, se hai un incidente d'auto, se sei in un palazzo che salta in aria, sei sempre e solo tu il "responsabile della tua condizione". Ho letto gli atti processuali e le dichiarazioni del supervisore di Lisa ai poliziotti che lo interrogarono. Lui era del tutto convinto che l'errore fosse consistito nel non essere riusciti a trovare la "persona soppressiva" di Lisa; Lisa era morta perché era in contatto con questa persona ignota, mai identificata. Se solo Lisa avesse capito chi era quella misteriosa "persona soppressiva" e avesse disconnesso da lei, allora non sarebbe morta. Era molto semplice... Nell'ottica di Scientology, l'unica responsabile della morte di Lisa era Lisa stessa. A seguito della pubblicazione Internet della mia storia, alcuni avvocati e giornalisti cercarono di mettersi in contatto con me. Io continuavo a proteggere il mio anonimato, ma naturalmente sapevo che Scientology conosceva la vera identità di Kathryn. Ancora non stavo bene a sufficienza per espormi in prima persona e non ero certamente pronta a testimoniare in pubblico. Ero stata tentata molte volte di contattare il procuratore distrettuale che stava seguendo il caso penale di Lisa McPherson in Florida, ma mi ero anche resa conto di non essere psicologicamente e fisicamente pronta a farlo. Il 12 giugno 2000 le accuse penali contro Scientology vennero archiviate. Il medico legale aveva modificato in "morte accidentale" le sue conclusioni iniziali. In aula, il pubblico ministero cercò di far luce sui motivi di quel dietrofront, in fondo il medico legale era il suo testimone chiave. Ma una volta modificata la causa di morte, al PM non restò che lasciar cadere le accuse penali. Tuttavia, la causa civile intentata dalla famiglia di Lisa e patrocinata dall'avvocato della Florida Ken Dandar andava avanti. Dandar mi aveva chiesto di testimoniare per lui nel caso civile, ma ancora non mi sentivo forte abbastanza. Se fossi stata chiamata a testimoniare nel caso penale avrei goduto di una qualche forma di protezione, ma le cause civili sono diverse. Sarei stata molto più esposta così rifiutai, aggiungendo un "non ora." 28 marzo 2001 Il pensiero che le mie frasi possano essere estrapolate dal loro contesto e stravolte mi intimorisce. Non riesco nemmeno più a scrivere con la profondità che prima mi era abituale, aggiorno di rado il mio diario. Penso di dover superare e vincere questa sensazione di essere sempre in pericolo - di non sentirmi mai al sicuro. Voglio dire, è chiaro che >/i>non sono al sicuro. Devo riconoscere dentro di me che le cose non sono come dovrebbero essere. Ok, per il momento va bene. Forse è da qui che vengono la mia forza e la convinzione che a tutto c'è un motivo. Le cose nel mio universo sembrano cambiare di nuovo. La chiesa cattolica che frequentavo aveva organizzato un ritiro spirituale femminile il cui tema era il perdono, doveva essere un'esperienza di silenzio e di contemplazione. Sapevo che per guarire veramente dovevo scavare in profondità dentro di me. Dovevo voltare pagina senza restare prigioniera di sentimenti negativi così lessi molto, meditai e pregai. Ero alla ricerca di una guida per chiudere definitivamente quel capitolo della mia vita e aprirne nuovi. 31 marzo 2001 Sono al ritiro spirituale. Benevolenza - ecco di che cosa parlava il tizio a colazione. Ed è vero che tutto si riduce a questo - benevolenza. Nella Sea Org ero assolutamente affamata di gentilezza e benevolenza. Un semplice gesto gentile riusciva a farmi piangere. Sento che dentro di me sto costruendo benevolenza e la cosa mi fa stare bene. Ero combattuta se fare o no causa a Scientology per ciò che mi avevano fatto. Sicuramente non sono più la stessa persona. Ho subito innegabilmente dei danni e temo si tratti di danni permanenti. Quando cominciai a pensare di portarli in tribunale, mio marito si disse contrario. Chris era assolutamente convinto che avevamo già dedicato loro moltissimi anni della nostra vita e non ne meritavano altri. Ero sopravvissuta, ne saremmo venuti a capo. «Teniamoci quel che abbiamo e voltiamo pagina.» Sapevo che lui la pensava così e che per certi versi era vero. Scientology ha forzieri traboccanti di denaro e li avrebbe spesi contro chiunque avesse cercato di contrastarli. Una causa per risarcimento danni si sarebbe trascinata per anni e sarebbe potuta diventare parecchio violenta. Non mi permettevo mai di spingere i miei pensieri oltre al: «Chris non mi permetterà di fargli causa.» Stavo analizzando questa cosa sul mio diario quando un giorno mi resi conto che eravamo sposati da tanti anni e che se uno di noi avesse veramente voluto fare qualcosa, l'altro non si sarebbe opposto. Sapevo che se pensavo davvero che fosse mio dovere denunciarli, Chris sarebbe stato al mio fianco. Magari in disaccordo, ma non mi avrebbe lasciato la mano. Mi resi conto che avevo sempre bloccato i miei pensieri con quella frase, «Chris non vuole.» Era più facile incolpare lui della mia incapacità di querelare Scientology, piuttosto che fare un vero esame di coscienza. Ma qualsiasi decisione avessi preso, dovevo esserne pienamente responsabile. Cominciai a soppesare i miei desideri e le possibilità reali. Mi resi conto che ciò che veramente volevo erano delle scuse. Volevo che le persone direttamente coinvolte nel mio caso e la gerarchia di Scientology mi comunicasse un po' di compassione, che riconoscesse di avermi danneggiata. Compresi che se l'unico modo per avere quelle scuse era ricorrere al tribunale, non si sarebbe mai trattato di scuse sincere e perciò non mi avrebbero soddisfatto. Riuscii finalmente a prendere una decisione: non avrei fatto causa alla Chiesa di Scientology. Non erano i loro soldi che mi interessavano. Ero convinta che stessero facendo già pagare ai loro fedeli delle cifre impossibili per i servizi, per pagarsi gli avvocati avrebbero semplicemente alzato i prezzi, si sarebbero rifatti sui fedeli e non era ciò che volevo. 31 marzo 2001 Oggi al ritiro è stata una giornata bellissima - molto corroborante, piena di pace, mi ha nutrito lo spirito. Un giardino stupendo, tempo perfetto, buone preghiere. Alla fine di quel week-end scrissi una lettera a Mike Rinder, il capo internazionale dell'Ufficio degli Affari Speciali di Scientology. L'Ufficio degli Affari Speciali si occupa di spionaggio, di questioni legali e delle pubbliche relazioni della Chiesa di Scientology. Lo conoscevo personalmente da molti anni e sapevo che Rinder era perfettamente a conoscenza di ciò che mi era successo. Gli scrissi che sapevo della morte di Lisa, che lui conosceva i miei patimenti, ma che ero convinta che le persone coinvolte non mi avessero fatto intenzionalmente del male. Però volevo informarlo che molti miei amici la pensavano in modo diverso. Gli scrissi che dopo lunghe riflessioni mi ero resa conto di dover voltare pagina, che dovevo chiudere quel capitolo della mia vita. Avevo bisogno di una loro comunicazione di qualche tipo. Dovevo capire perché mi avessero trattata in quel modo orribile. Volevo capire perché mi avessero abbandonata così in fretta. Ero stata per oltre 20 anni una devota fedele della Chiesa di Scientology, avevo lavorato duramente, pensavo di meritarmi almeno un po' di considerazione e di aiuto. Ero molto soddisfatta della mia lettera; sapevo di non dovermi attendere una risposta, ma si sa che la speranza è sempre l'ultima a morire. La settimana che seguì il ritiro spirituale fu molto positiva. Stavo bene, avevo capito che sarei riuscita a girare pagina. Sì, Scientology con Lisa aveva fatto errori madornali e lei era morta. Ma ero convinta che i dirigenti di Scientology avessero imparato la lezione e che non ci sarebbero più stati altri casi come quello di Lisa o il mio. Capitolo 26 - Jeannine e Greg© Nancy Many, My Billion-Year Contract, Memoir of a Former Scientologist, pagg. 247-268Da una settimana avevo deciso di ritirarmi in silenzio, di perdonare e di vivere la mia vita quando venni contattata dai familiari di due diverse persone: Greg Bashaw e Jeannine. Entrambi erano stati membri della Chiesa di Scientology per molto tempo, oltre 20 anni, proprio come me e Lisa McPherson. Entrambi stavano vivendo un collasso mentale completo di episodi psicotici. Le due situazioni erano diverse e scollegate, ma entrambe si erano verificate negli ultimi mesi. I familiari di Greg e Jeannine avevano letto in Internet "la storia di Kathryn" e mi avevano contattata in cerca di aiuto. Pensai che Dio o chi per lui mi stesse dicendo a chiare lettere che i collegamenti con quell'ambiente non erano ancora chiusi e che non potevo lasciar perdere. Come avrei potuto non cercare di aiutare quelle persone e le loro famiglie? Greg viveva a Chicago. La nostra prima conversazione telefonica fu molto commovente. Mai prima avevo conosciuto chi avesse vissuto un'esperienza come la mia ed entrambi capimmo immediatamente di aver visitato il medesimo inferno. Dissi a Greg che avevo sentito il bisogno di chiamarlo, che volevo dargli speranza che le cose sarebbero migliorate, ma doveva essere paziente. Anche io ero stata là dove lui ora si trovava, e ne ero uscita. Greg scoppiò in lacrime. Mi disse che la sua speranza era molto forte, che aveva addirittura pregato Dio di mandargli un segno. Lo richiamai il giorno dopo e parlammo della situazione di Christopher Reeve. Ad entrambi era chiaro perché stesse lottando così strenuamente per restare vivo. Quando la mente è ancora vitale, la vita vale la pena di essere vissuta. Ma quando quell'essenza fondamentale è perduta, allora la vita perde la sua qualità essenziale. Tutti e due pensavamo che avremmo preferito la devastazione del corpo alla devastazione mentale che avevamo sperimentato. Io e Greg avevamo altre cose in comune. Anche lui aveva fatto lavoro di spionaggio per conto di Scientology, era stato una delle persone chiave del grande progetto di Scientology per distruggere e poi impossessarsi del Cult Awarness Network. Anche Greg era stato abbandonato dagli scientologist - il gruppo a cui nel corso degli anni aveva dedicato tanto tempo, energie e denaro. Greg mi raccontò che da alcuni anni stava percorrendo il livello Scientology OT 7, che era andato regolarmente in Florida per la verifica semestrale obbligatoria. (Questo livello viene audito da soli a casa propria e richiede una supervisione minima, ma bisogna andare due volte l'anno alla Flag Service Org). Durante l'ultimo viaggio del novembre precedente, Greg aveva detto al suo auditor di sentirsi mentalmente instabile: «la velocità con cui impacchettarono la mia roba e mi misero su un aereo per Chicago fu incredibile.» Parlammo del dolore che avevamo inflitto ai nostri figli. I nostri ometti ci avevano visti in condizioni penose. Il figlio di Greg aveva l'età del mio bambino più piccolo, capivamo il trauma a cui li avevamo sottoposti, ma non eravamo riusciti a evitarlo. Il senso di impotenza era devastante. Greg voleva migliorare subito. Voleva guarire immediatamente e tornare ad essere il capofamiglia. Non gli dissi che a me erano occorsi anni solo per arrivare dove mi trovavo in quel momento, non gli dissi che non mi ero ancora rimessa del tutto. Cercai solo di infondergli speranza e la certezza che ogni giorno sarebbe stato migliore del precedente, che se avesse perseverato sarebbe uscito dal tunnel. La cosa più dolorosa non era stata tanto il pasticciare degli scientologist e l'averci ridotto la mente a brandelli, ma che ci avessero abbandonati. Lo shock maggiore era stato constatare la velocità con cui erano scomparsi. L'aiuto era arrivato da chi meno ce lo aspettavamo, da amici e parenti non scientologist. Greg mi parlò del grande sostegno trovato nella sua congregazione cristiana. Nei giorni seguenti ci sentimmo diverse volte, cercavo di infondergli speranza, di dirgli che le cose sarebbero migliorate e che doveva accettare l'aiuto di chi glielo offriva. Nell'ultima telefonata mi disse di non sentirsi ancora bene, ma mi assicurò di aver imparato a vivere giorno per giorno. La famiglia di Jeannine mi contattò dopo aver letto la mia storia in Internet. Poiché la migliore amica di Jeannine era scientologist, non desideravo rivelarle la mia vera identità; avrebbe potuto tradirsi. Ma le sue sorelle non scientologist conoscevano il mio vero nome e avevano il mio numero di telefono, con loro parlavo liberamente. Jeannine era stata la miglior venditrice della Sterling Management, un gruppo di consulenza aziendale associato WISE. Era convinta che il suo collasso mentale fosse una conseguenza di qualcosa di male che lei aveva fatto. Doveva aver fatto qualcosa a cui non era riuscita a "stare di fronte", oppure aveva mancato di applicare alla situazione o alla sua vita in generale la corretta tecnologia di Scientology. In breve, Jeannine era convinta che la colpa fosse solo sua. Avevo letto gli appunti scritti da Lisa durante il suo collasso, erano stati resi pubblici in Internet alla chiusura del procedimento penale. E per esperienza personale sapevo bene che cosa si prova ad essere intrappolati in una mente in tumulto. Ascoltare Jeannine era doloroso, sentire che continuava a incolpare se stessa per quel collasso mentale. Spesso mi sentivo costretta a interrompere la telefonata perché mi riportava indietro nel tempo, stavo malissimo e scoppiavo a piangere. Jeannine aveva il sostegno della sua famiglia, era fortunata. Sapevo però per esperienza personale che nella sua mente le cose erano molto peggiori di quanto la sua famiglia potesse anche solo immaginare e sapevo che lei non avrebbe dovuto guidare l'auto. Anche io, come lei, avevo cercato di tenermi le cose dentro fingendo di essere normale. La sua famiglia voleva vederla stare meglio, ma non si rendeva conto del pericolo che Jeannine stava diventando per se stessa e per gli altri. Giugno 2001 Ho sentito dire che forse Greg ha fatto causa e forse ha un caso civile in corso. Magari troverà un accordo per molti, molti soldi. Io non ho fatto causa. A volte mi chiedo se sia stata una decisione giusta. So che le cause non sono una passeggiata, ma almeno avrebbe messo un punto fermo, di chiusura. 20 giugno 2001 Che bella giornata! Mi sto aprendo al benessere, lo lascio fluire. Faccio quello che devo fare e non sto a super-stressarmi per ogni cosa. Mi sento più calma e piena di fede. Devo pensare di essere parte di un gioco più grande, che abbiamo un regista e che quel regista non sono io. Devo creare quelle due o tre cose che ho davanti al meglio delle mia capacità, e so che andrà tutto bene. 24 giugno 2001 Greg si è ucciso. Si è tolto la vita davvero. Pensava che fosse l'unico modo per uscirne, per sentire un po' di sollievo; spero che ora stia bene. Spero che dall'altra parte lo abbiano accolto bene, a braccia aperte e piene di un abbraccio terapeutico. Spero che la sua sofferenza e la sua confusione siano finite. Semplicemente, non riusciva più a vedere alternative, pensava che il suicidio fosse l'unica via di uscita. Spero che lo sia stata, spero e prego che lo sia stata. Sto malissimo. Sono triste e mi sento impotente. Sto ancora prendendo le cose una alla volta, un po' alla volta. Sono ancora sicura che ora non è il momento giusto per farmi avanti in queste cause legali. Ma sono aperta al cambiamento. So che ci sono un paio di cose che devo fare e, mentre le faccio, so che la lucidità aumenterà. Non devo saltare direttamente al gradino N. 10, devo solo fare il gradino N. 2. Non sono pronta per il gradino N. 10, non ho ancora fatto quelli da 2 a 9 e, quando li farò, le cose si chiariranno. «In ogni momento c'è una causa da portare avanti.» La notizia della morte di Greg mi lasciò prostrata. Non sentivo Jeannine da una settimana ed ero terrorizzata al pensiero di chiamarla, ma mi imposi di farlo. Era ancora viva e tirai un sospiro di sollievo. Mi sembrò stare meglio. Anche lei, come Greg, voleva migliorare in fretta, ma era frustrata; l'angoscia di ritrovarsi così incapace a svolgere anche i compiti più insignificanti la travolgeva. Ma almeno era ancora viva. 27 giugno Jeannine sembra star meglio. È andata giù a San Diego dalla sorella. Io ho deciso che tornerò all'università. Terminerò l'istruzione formale che interruppi quando imboccai la deriva di Scientology. Il Vermont College ha un ottimo programma, segui otto serie di lezioni e poi studi da solo per il resto del semestre. Te ne torni a casa e continui a lavorare sotto la supervisione di un consulente. Bisogna lavorare sodo, scrivere molto, ma sono quindici crediti a semestre. Per me va bene. Per arrivare alla laurea in letteratura mi mancano solo tre semestri. Il Vermont College ha anche dei corsi post laurea e il suo programma per scrittori è uno dei migliori del paese. Spero di farcela. Sono eccitata, questo è il mio futuro. Era il mio futuro personale, non quello che qualcun altro mi ha scelto, o a cui mi ha obbligata. 2 luglio Al dormitorio del Vermont vorrei avere una stanza tutta mia. Non mi piace l'idea di non poter avere almeno qualche momento solo per me. Mi piace stare sola. Una volta non mi piaceva, facevo di tutto per non trovarmi mai da sola con me stessa. La cosa mi terrorizzava. Era anche doloroso, le voci interiori erano troppo negative. Mi tenevo impegnata per non doverle ascoltare. Da bambina non erano così. Quando ero giovane mi piacevo. Adesso ho ritrovato il piacere di stare sola con me stessa. Ora riesco di nuovo a darmi la benvenuta. Ne ho passate tante, ma sono sicura che ho ancora molto da imparare, da dare, da fare. Rifletto e prego di riuscire a mantenere il mio equilibrio. 4 luglio Sono così ansiosa. L'ansia mi chiude la bocca dello stomaco. Starò lontana da Chris e dai ragazzi per più di un mese. Mi terrorizza l'idea di restare lontana da casa così a lungo. Mi preoccupo per la mia stabilità mentale. So di dover placare questa agitazione interna. Ma sento il panico salire, è fastidioso, è pieno di paure, una massa turbinante di paure non risolte e irrisolvibili. Piango la morte di Greg, ma so che se anch'io avessi dovuto lavorare o guadagnare per mantenere la famiglia, anche per me i tempi lunghi della guarigione sarebbero stati ingestibili. Avrei avuto quell'ulteriore pressione a rimettermi in sesto alla svelta. Ma affrettare il processo non avrebbe funzionato, solo peggiorato le cose. Anche io avrei cercato una tregua, un sollievo, proprio come Greg. Aveva la mente a pezzi e la ricucirono con il filo della pazzia. Le suture erano orrende cicatrici purpuree. Devo toccare il fondo, poi risalire. Timori e sentimenti non vagliati - chi vorrebbe mai immergersi in quei sentimenti? Si contraddicono a vicenda - felicità e tristezza, gioia e disperazione, ansia e sollievo. Quando mi trovo davanti una massa di cose non risolte divento molto produttiva a livello fisico. Devo tenermi in movimento. C'è movimento e tiene alla larga la marea dell'oceano. È come un oceano di insondabili profondità di sentimenti non detti. 11 luglio Beh, fino a Boston ce l'ho fatta. Domani dirigerò l'auto verso il Vermont. Ho chiamato Bob Minton (il milionario) e Stacy, la sua compagna che fu una scientologist veterana. Mi fermerò da loro domani per una breve visita, così da non avere altri Greg. Ho paura di telefonare a Jeannine. So che non dovrei, ma è così. Parlare con lei mi prosciuga. Dopo ogni telefonata mi serve tempo per rimettermi in carreggiata. Sto malissimo per Greg. Negli ultimi anni avevo seguito il lavoro di Stacy Young e Bob Minton. Minton non è mai stato scientologist, a lui interessava la libertà di parola. Era un milionario, aveva del tempo libero e quando si imbatté nei diversi siti Internet dedicati a Scientology e agli ex scientologist, si appassionò. Aveva letto di Lisa McPherson, morta durante un soggiorno al Fort Harrison hotel mentre era affidata alle cure degli scientologist, ed era sceso in campo. Aveva donato denaro a chi era in causa contro Scientology, facendo la sua parte per equilibrare la lotta. Stacy e suo marito Vaughn Young erano stati dirigenti di alto livello della Chiesa di Scientology. Avevano poi lasciato il movimento e cominciato a parlare alla stampa, in tribunale e in Internet. Bob Minton aveva finanziato l'apertura del Lisa McPherson Trust nel centro di Clearwater, una sorta di centro informazioni su Scientology e di assistenza a chi l'aveva lasciata o intendeva lasciarla. Fino a quel momento, nel 2001, avevo tenuto i contatti diretti con loro al minimo. Non che non mi piacessero o che fossi contraria al loro operato, ma sapevo come funzionava la branca di spionaggio di Scientology: non solo mettevano al centro del mirino la persona che pensavano li stesse attaccando, ma si adoperavano per raccogliere informazioni sugli amici e parenti del loro target, e su tutti i suoi contatti. Io non stavo ancora abbastanza bene per reggere a tale carneficina. Però, in quel momento particolare della mia vita ero più interessata alla possibilità che altre persone morissero che non alla mia salute mentale. Trascorsi una mattinata alla fattoria di Bob nel New Hampshire e cercammo di coordinarci su come operare per evitare un'altra Lisa e un altro Greg. Bob e Stacy mi accolsero con amicizia, calore e le migliori uova strapazzate degli ultimi anni. Parlammo di Greg, di Lisa, di Jeannine e di quanto accaduto a me. Lisa McPherson era morta in una proprietà di Scientology e il movimento aveva giurato che non si sarebbe mai più ripetuta una cosa del genere. In merito ai casi come quello di Greg, di Jeannine e mio, era sempre più chiaro che la Chiesa di Scientology avrebbe fatto di tutto per prendere velocemente le distanze da chi aveva subito danni del genere, ma che non avrebbe smesso di fare danni. Sapevamo che prima o poi ci sarebbero stati altri casi simili ai nostri. Scientology non ha modificato la sua base operativa perciò si avranno occasionalmente altri risultati orribili. Per la prima volta parlai apertamente del mio vissuto con Bob e Stacy. Con lei analizzammo le informazioni in nostro possesso sulla diversa assistenza ricevuta da me e da Jeannine (ancora vive), e da Greg e Lisa (purtroppo morti). Sapevamo che chi esce da Scientology in quello stato di estrema instabilità mentale porta con sé anche la profonda fobia per la professione psichiatrica. Inoltre, la psichiatria tradizionale si è spesso dimostrata incapace di gestire situazioni del genere. Lo psichiatra potrebbe erroneamente pensare che il soggetto è schizofrenico e curarlo nel modo sbagliato, magari bloccarlo per sempre nella psicosi e nella difficoltà mentale. Salutai Bob e Stacy con l'accordo che avremmo fatto ricerca e usato tutte le nostre risorse per trovare una forma alternativa di terapia mentale per persone in quella particolare situazione. Sapevamo che ci sarebbero state altre vittime e che dovevamo prepararci al peggio. Guidai fino in Vermont con il sorriso sulle labbra, ripensando alla serendipità degli eventi: io abito a Los Angeles, Bob e Stacy vivono abitualmente in Florida, ma ci eravamo incontrati nel New Hampshire. Ero ottimista, avremmo trovato aiuto. La serendipità caratterizzò anche i giorni successivi: per laurearsi al Vermont College bisogna pubblicare uno scritto finale, il cosiddetto Libro Nerodal colore della copertina. Il college conserva un archivio di quelle pubblicazioni e al mio primo giorno di campus ero andata in biblioteca a leggerne alcune. Volevo capire che cosa avrei dovuto fare. Entrai in una grande sala piena di scaffali, carichi di volumi neri dal pavimento al soffitto. Estrassi un libro a caso e ne lessi il titolo: A Compassionate Handling of Psychosis [Aiuto compassionevole alla psicosi] di Ben Bahore. Iniziai a leggere, letteralmente senza fiato. Il primo capitolo riassumeva in modo documentato che cosa significa essere psicotico, che cosa succede nella mente dell'individuo in quello stato. Sentii le lacrime bagnarmi il volto. Eccomi qui, faccia a faccia con chi era riuscito a esprimere a parole la mia sofferenza, che sapeva sul serio dov'era e com'era fatto quell'inferno in terra che Greg e Lisa, io e Jeannine avevamo vissuto. Il secondo capitolo delineava una serie di interventi per aiutare lo psicotico a tornare con i piedi sulla terra. Rimasi esterrefatta nel constatare quanto Chris, intuitivamente, con me li avesse messi in pratica tutti. E alla fine compresi ciò che non mi era stato del tutto chiaro nel New Hampshire. Quando io ero andata in mille pezzi, Chris mi aveva guidata di nuovo alla realtà. Chiesi alla bibliotecaria se fosse possibile avere l'e-mail dell'autore, volevo avere una copia elettronica di quella tesi. Mi disse che, per questioni di privacy, le era impossibile soddisfare la mia richiesta. C'erano altri modi di mettersi in contatto con quella persona? La donna guardò il titolo e mi disse: «Ah, è Ben. Vive qui in città. Ci scommetto che è sull'elenco del telefono.» E infatti c'era. Gli telefonai e ci accordammo per vederci quella sera stessa. Ben è buddista. In linea con la sua natura "lascia che sia", non aveva conservato la sua tesi di laurea e non ne aveva una copia elettronica. Con il suo permesso fotocopiai quella della biblioteca e negli anni l'ho inviata a chi s'era trovato in condizioni simili, o ai suoi parenti. La tesi di laurea di Ben era arricchita da una bibliografia specifica sul tipo di risorse che avevo sperato di trovare. Restai sorpresa dalla velocità con cui quel libro era caduto nelle mie mani. Sapevo che il Vermont College faceva per me, ma non per quello specifico semestre. Mi presi una pausa di riflessione e mi ripromisi di tornare a gennaio. Intanto riportai con me a Los Angeles una copia della tesi di Ben. 9 agosto 2011 Ho parlato con Jeannine, sembra stare davvero meglio. Adesso riesce a parlare delle sue follie e ne è maggiormente consapevole. Si è comprata una macchina, per cui sta decisamente meglio. Ha ancora degli episodi psicotici e a volte si ritrova a "galleggiare". Era preoccupata per questi "galleggiamenti" quando guida l'auto. Le ho detto di ascoltarsi di più e che il galleggiamento era un sintomo di qualcosa che stava cercando di dire a se stessa. Non è ancora pronta a rinunciare alle sue amicizie Scientology, e loro sembrano pensare che tutto ciò di cui ha bisogno siano altre vitamine. Tutti sembrano avere un'opinione sul suo stato, ma molte di quelle opinioni servono solo a promuovere scopi personali. Sembra che Jeannine non abbia intorno nessuno che si sforzi veramente di comprenderla. Sta scrivendo poesie, le ho detto che fa bene, di continuare a farlo. Mi ha chiesto di richiamarla domani o dopodomani. Qualche giorno dopo ebbi con Jeannine una conversazione parecchio inquietante. Aveva preso la macchina, era andata alla ferrovia e aveva atteso il passaggio di un treno. Era intenzionata a togliersi la vita, ma non erano passati treni. Sapevo che la sua famiglia non sapeva più dove sbattere la testa, indipendentemente dalle buone intenzioni. Lo stato psicotico di Jeannine le faceva usare l'arcano linguaggio di Scientology, che a volte lasciava confusa anche me, figuriamoci i suoi cari che ne erano del tutto digiuni. Parlai con Chris della sua situazione, ero particolarmente preoccupata che potesse finire come Lisa e Greg. Non potevo permettere che succedesse di nuovo. Per nessun motivo. Gli chiesi se potevamo ospitarla per un po' e lui accettò: forse in quel momento eravamo la sua ultima risorsa. Chris aveva già aiutato me, sapeva che cosa lo aspettava, ma accettò l'idea di provarci. Ne parlammo con i nostri figli, vivevano ancora con noi e chiedemmo se fossero disposti a fornire a Jeannine un ambiente tranquillo. Già sapevano che cosa aveva significato per me quando ero in quello stato, nessun mistero su cosa li attendeva. Alcuni amici andarono a prendere Jeannine e la portarono da noi. Nelle due settimane successive parlai a lungo con i suoi parenti, con lei e telefonai ad alcuni dei recapiti citati da Ben nella sua tesi di laurea. Alla fine decisi di provare con Boulder, Colorado, dove ha sede il Windhorse Intitute, a sua volta collegato alla Naropa University. Non sarebbe stato a buon mercato, ma non ero riuscita a trovare nessun altro che proponesse l'assistenza professionale di cui Jeannine aveva bisogno. Ai primi di settembre salimmo su un aereo per Boulder. La terapeuta di riferimento di Jeannine era Jenna. Ebbe un colloquio con lei, ma volle anche parlare a lungo con me. Mi disse che nella vita esistono molti percorsi che possono portare alla psicosi, ma ciò che io e Jeannine avevamo sperimentato era paragonabile al ritrovarsi sull'autostrada direzione "follia" su cui gli scientologist ci avevano spinte; eravamo state condotte alla psicosi da una serie di procedimenti scientologici che nei diversi "maneggiamenti" subiti ci avevano spinte all'introversione. La Windhorse non ama gli psicofarmaci, preferisce un approccio più olistico. Però non si opponeva al loro utilizzo e, quando necessario, vi facevano ricorso. Alla base del percorso terapeutico della Windhorse c'è l'idea che il malato di mente sia già così sensibile agli stimoli del mondo esterno che il contatto con altri psicotici o con persone instabili possa soltanto peggiorare la situazione. Quando io ero psicotica mi sentivo proprio così, il mio stato mentale aveva la consistenza del tofu. Ingurgitavo, interiorizzavo e facevo mie le emozioni e gli atteggiamenti dell'ambiente circostante. Se l'energia trasmetteva livore, mi agitavo; se trasmetteva calma e rassicurazione, trovavo più facilmente il mio equilibrio. Ora guardano Jeannine e osservavo gli stessi fenomeni. I consulenti della Windhorse operano sulla premessa che gli psicotici mantengono sempre delle isole di lucidità. Gli psicotici attraversano solitamente dei periodi in cui sono mentalmente stabili e consapevoli di ciò che li circonda; a volte si tratta di periodi brevi, pochi minuti appena, ma a volte quella lucidità può durare ore. Il fine della loro terapia è identificare quelle isole di lucidità e assistere il mentalmente instabile a riconoscerle, aiutarlo ad ampliarle e a renderle durature. Era precisamente ciò che io stessa avevo vissuto. Mi ero sentita intrappolata su una ruota panoramica; arrivavo su, percepivo momenti di lucidità e poi scendevo e ricominciavo da capo. In quei momenti telefonavo disperatamente agli scientologist implorandoli di aiutarmi, aiuto che purtroppo non è mai arrivato. Al Windhorse, il paziente viene seguito costantemente e lo scopo primario di chi lo assiste è stare con lui, comunicare con lui in modo verbale o non verbale, coinvolgerlo negli aspetti banali del vivere quotidiano: rifare il letto, fare il bucato, cucinare, andare a passeggiare... tutte attività fattibili. Per riportare la persona con i piedi per terra serve un team. I turni non durano mai più di quattro ore. Stare con uno psicotico drena tutte le energie disponibili e a un certo punto anche il più abile degli assistenti si sentirà frustrato dal fatto che le sue energie non sortiscono risultati immediati. Sapevo quanto fossero state per me emotivamente pesanti quelle due settimane con Jeannine. Mi era difficile pensare a come mio marito fosse sopravvissuto per mesi e mesi, mantenendo per altro il suo lavoro a tempo pieno. Me ne ero resa conto dopo e gli sarò eternamente grata per il suo amore, per la compassione dimostrata, in particolare per la sua pazienza. Due sole settimane con Jeannine me lo fecero ammirare e apprezzare ancora di più. A Boulder io e Jeannine condividemmo la stanza d'albergo per qualche giorno in attesa di trovare per lei un'altra sistemazione. A un certo punto, presa dalla disperazione, cominciai a telefonare a tutti i numeri dell'assistenza. La guardavo e capivo quanta strada avessi fatto io. Anche io ero stata come lei, incapace persino di comporre un numero di telefono. Vedevo i suoi progressi e sapevo che anche Jeannine un giorno sarebbe guarita e sarebbe riuscita a telefonare per conto suo. Sarebbe uscita dalla giungla della sua mente. Non avremmo avuto un'altra Lisa, un altro Greg. Jeannine passeggiava di continuo per la stanza. Sapevo che era un'attività calmante. Ripeteva di continuo i suoi pensieri. Anche io avevo fatto lo stesso. Era come un disco rotto, sempre sulle stesse cose. Non meraviglia che al Windhouse abbiano turni di massimo quattro ore. Sarò eternamente grata a Chris per ciò che ha fatto con me. Non è da tutti avere la pazienza di ascoltarsi ripete le stesse cose per ore, giorni, settimane... A Boulder mi invitarono a una lezione post-laurea sul trattamento degli psicotici. Il docente era un professionista esperto chiamato a insegnare a studenti che si sarebbero occupati di pazienti malati di mente. Il suo approccio verteva alla comprensione di ciò che i clienti stavano vivendo. Disse che la maggioranza di noi non è psicotica, ma sono molti ad aver sperimentato ciò che definì stato mentale estremo provocato da uno shock improvviso o da una perdita, stato caratterizzato dalla sensazione di cambiamento dei confini della vita, percepiti ora in modo diverso. Disse che se gli studenti fossero riusciti a ricordare una di quelle loro brevi esperienze personali, avrebbero cominciato a capire il luogo in cui i pazienti psicotici si trovavano, avrebbero potuto raggiungerli e aiutarli a tornare nella realtà. Pensai a Chris e a quanto avesse capito dove mi trovavo, a come mi avesse raggiunta in quel luogo e mi avesse guidata di nuovo sulla terra. Mi guardai intorno e mi chiesi quanti altri in quell'aula avessero sperimentato quello stato e fossero tornati. Il professore fece alcuni esempi di pazienti e del loro stato mentale individuale, di come fossero stati recuperati. Compresi che quanto stava insegnando non era del tutto nuovo: sciamani, preti, dottori lo facevano da secoli. Dopo il mio collasso avevo cominciato a interessarmi di sciamani e mistici, del loro lavoro con gli spiriti e l'oltretomba. Non potevo non notare la risonanza tra i luoghi in cui ero stata mentalmente e spiritualmente, e gli scritti di Shamanic Journeys. La differenza è che il volo sciamanico è guidato, il loro percorso è per certi versi preparato con cura. Ci sono svolte e angoli che gli sciamani sanno evitare e sono convinta che sappiano farlo perché altri prima di loro sono andati in quei luoghi e hanno scoperto quanto fossero spiacevoli. Mi resi conto che, nel corso dei secoli, molti altri si erano ritrovati nel luogo in cui io ero caduta; io ci ero semplicemente precipitata da sola e all'improvviso. Non avevo un maestro spirituale a guidarmi e a tenermi lontana dai demoni. Il professore spiegò che una volta attraversata la linea di separazione con "l'altra parte", non esistono garanzie di riuscire a riportare indietro quella persona. Alcuni non ce la fanno, non riacquistano la stabilità mentale. Disse agli studenti di prepararsi al fatto che nel loro lavoro con gli psicotici ne avrebbero persi alcuni. Secondo il docente, l'episodio scatenante che fa precipitare la persona in quel particolare buco nero contiene anche la scala da usare per uscirne. Quando tornai da Jeannine mi concentrai sui suoi vaneggiamenti e notai che l'unico momento in cui non era persa e disorientata era quando parlava di un episodio particolare. Solo allora la sua mente era lucida e riuscivo a vedere la sua isola di lucidità. Jeannine aveva un ragazzo che le aveva sottratto la American Express e, senza chiederle il permesso, le aveva addebitato 10.000 dollari, termine di pagamento trenta giorni. Quando lo aveva scoperto, Jeannine aveva telefonato alla carta di credito per disconoscere la spesa non autorizzata. Alcuni giorni dopo era stata convocata dall'Ufficiale di Etica dell'Org Avanzata Scientology di Los Angeles il quale, invece di sostenerla per il furto subito, l'aveva aspramente redarguita per avere accusato il suo ragazzo scientologist. Quel tipo di circostanza doveva essere affrontato solo all'interno di Scientology, dal suo personale. L'ufficiale di etica aveva messo Jeannine sulla graticola e l'aveva forzata a telefonare di nuovo all'American Express per ritirare le accuse contro il ragazzo. Era sbagliato, era una ingiustizia, ma Jeannine era comunque stata costretta a fare quella telefonata. Avevo notato che ogni volta che riferiva a me o ad altri quell'episodio, tutto il comportamento di Jeannine cambiava. Era molto lucida sulla questione, pensava e parlava in termini logici. Il professore aveva detto il vero, quell'episodio aveva scatenato la rottura psicotica di Jeannine e poteva contenere la scala per uscire dal suo inferno personale. Potevamo usare quell'episodio per guidarla verso la scala, per aiutarla a risalire e a uscire dalla confusione mentale in cui era precipitata. Organizzammo il team di terapeuti e affittammo un bell'appartamento in cui Jeannine avrebbe vissuto. Tornai a Los Angeles convinta che ora la mia amica era al sicuro e in buone mani. 8 settembre Sono molto felice di aver trovato il Windhorse e di aver approfondito ciò che fanno. Adesso so che abbiamo un posto dove poter indirizzare e curare queste persone. È un tale sollievo. Quando chi soffre in quel modo mi contatta, è sempre molto difficile. Essere intrappolati da soli in quel mondo, in quella follia. C'è ancora tanto da scrivere, tanto da elaborare. Mi sembra però che le cose stiano progredendo ed è una bella sensazione. Voglio scrivere, scrivere molto. Mio dio, sono stata via da Los Angeles solo quattro notti. Difficile da credere, ma mi sembra di essere stata via anni. Penso sia dovuto al fatto che sono stata con lei in modo molto intenso. Quindi, eccoci qui. Grazie al cielo sono tornata a Los Angeles. Grazie a Dio, penso con lucidità. Grazie a Dio, sto bene. Ero sollevata dalla rapidità con cui ci eravamo mossi, ora Jeannine aveva l'aiuto necessario. Pochi giorni dopo il mio rientro vi fu l'attacco dell'11 settembre e per un po' fu difficile spostarsi in aereo. Ma quando Jeannine fu pronta per ricevere la visita delle sorelle, gli aerei erano tornati a volare. Anche io, come molti altri americani, trascorsi l'autunno del 2001 in stato stuporoso. A New York avevo amici fraterni, e altri amici i cui parenti erano al lavoro al World Trade Center o si trovavano su uno degli aerei. Il caso di Lisa McPherson si stava trascinando, io continuavo a seguirlo e a osservare dall'esterno. Le accuse penali erano cadute e il caso civile sembrava aver preso la strada delle manovre legali e di memorie assortite. Mi tenevo in contatto con Stacy. Non volevo entrare nelle diatribe in corso a Clearwater tra la loro Fondazione e Scientology, mi interessava soltanto sapere come stavano lei e Bob.
A: Debbie Cook, Capitano di FSO
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