© Di Jeff Hawkins, 2009. Tratto da Counterfeit Dreams © Traduzione a cura di Simonetta Po per Allarme Scientology, dicembre 2009. Tutti i diritti riservati.
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Capitolo Diciassette: LibertàLe ruote mordevano l'asfalto. Ero diretto a nord sulla 101, mi ero già lasciato alle spalle Calabasas, Agoura Hills, Thousand Oaks. Avevo percorso quell'itinerario molte volte per andare a trovare mamma. Mezzanotte era passata e non c'era più molto traffico. Una nebbiolina pesante insudiciava il parabrezza, ma bastava un colpo di tergicristallo ogni tanto.Cartoni e borse impilati sul sedile posteriore. Altri cartoni riempivano il baule. L'Accord era lenta e pesante. Avevo stipato in macchina il più possibile. Il resto, tra cui i mobili e scatoloni di libri - quasi tutti di Scientology - lo avevo messo in deposito a Beaumont, annidata tra le colline sovrastanti la Base. I fanali illuminavano il buio impregnato di foschia. Scorci di civiltà mi scorrevano a fianco: una concessionaria auto, un distributore. Li guardavo con occhi nuovi e curiosi. Io, cittadino rinato a questo mondo. Il mondo esterno a Scientology. Nell'immettermi sulla lunga Newbury Park le macchine mi sfrecciavano accanto, le luci posteriori sempre più piccole nella nebbia. Lasciali correre, non avevo fretta. Avevo davanti il resto della vita. Era sabato, 16 aprile 2005. Quel mattino mi ero svegliato nel dormitorio della Old Gilman House. Avevo trascorso le ultime dieci settimane nella proprietà recintata dell'OGH: strappare erbacce e arbusti, sottopormi per lunghe ore a Verifiche di Sicurezza per ripulirmi da tutti i «sentimenti critici contro David Miscavige» e per trovare i miei «crimini contro Scientology». All'inizio di aprile erano arrivate a OGH anche Manu e Michela. Anche a loro era stato detto che stavano per essere licenziate, cacciate dalla Sea Org. Iniziammo a lavorare insieme e ben presto l'animosità del passato si stemperò in amicizia. La vigilanza aveva comprato un vecchio generatore e lo voleva pulito e lucidato, così noi tre ci mettemmo al lavoro, giorno dopo giorno. Alla sera le due donne scrivevano freneticamente le formule delle condizioni di etica, petizioni, confessioni. Volevano disperatamente essere riammesse alla Base. Mi incoraggiavano a fare altrettanto ma io dicevo di no - non mi interessava tornare. Con la testa me ne ero già andato. Di sera leggevo oppure selezionavo e impacchettavo le mie cose. A OGH c'erano già altri due staff della CMU, due artisti, Carrie Cook e Jimmy Yeoh, anche loro pronti per il licenziamento. Senza Manu e Michela alla CMU erano rimasti in otto - veramente una squadra all'osso. E non è che il vaglio di Miscavige avesse lasciato la crema. Jimmy e Carrie erano i disegnatori migliori. L'ultimo disegnatore rimasto, Kerrie Francis, era il peggiore e il più lento. E senza Manu e Michela non era rimasto nessuno che potesse scrivere con competenza una campagna marketing. CMU era stata decimata, non esisteva più. La mattina del 16 aprile non era stata uguale alle altre. Le guardie della vigilanza erano nel panico. I candidati al licenziamento dovevano andarsene subito, oggi. Si poteva solo immaginare la portata del "flap". Forse Miscavige era di ritorno alla Base. Salutai Manu e Michela. Mi dissero che sarebbero entrambe ritornate in Italia, dove avevano le famiglie. Jimmy Yeoh mi lasciò il suo indirizzo e-mail. Quasi tutte le mie cose erano già state portate alla OGH e immagazzinate nelle stanze vuote, ma le cose più grosse erano ancora ai Kirby Apartments. Salvatore Meo, uno della vigilanza, mi accompagnò ai Kirby con il suo furgone e prendemmo il resto delle mie cose, tra cui un grosso materasso e la mia scrivania. Per caricare tutto facemmo due giri. Poi Sal mi accompagnò all'ufficio della U-Haul di San Jacinto dove noleggiai un mezzo. Naturalmente lo pagai di tasca mia. Tornai a OGH dove lo riempimmo con tutto ciò che possedevo. Caricai sull'auto le cose di bisogno più immediato e il resto lo misi in deposito. Io e Sal uscimmo dal Lamb's Canyon, su per le colline fino a Beaumont dove trovai un magazzino. Pagai il deposito e scaricammo tutto. Stavamo per tornare alla Base a prendere la mia macchina quando Murphy telefonò: cambio di istruzioni. Non potevo tornare alla Base. Murphy ci sarebbe venuto incontro con la mia auto. Lo aspettammo in un Dennys davanti a un caffè. Quando arrivò, Murphy riportò il furgone alla U-Haul mentre io e Sal prendemmo la mia auto. Guidava lui. Entrammo all'Hollywood Guaranty Building su Hollywood Boulevard a Los Angeles che era ormai buio. Prendemmo l'ascensore fino all'undicesimo piano, dove stavano gli uffici dell'Office of Special Affairs. Mi accompagnarono in una sala conferenze dove c'erano già due staff legali di OSA. Avevano una telecamera e una pila di documenti. Quando accesero l'apparecchio Sal si spostò fuori vista - avere di fianco una guardia in uniforme poteva dare l'idea di "costrizione". Nel mio stato d'animo mi limitavo a firmare qualsiasi cosa mi mettessero davanti. Sì, comprendevo che non avevo diritti. Che non avrei mai potuto far causa alla chiesa, che non avrei mai potuto parlare pubblicamente della chiesa, che non avrei mai potuto rivelare che cosa accadeva alla Base, e così via. Sì, sì, qualsiasi cosa. Iniziali su ogni pagina e firma sull'ultima. Documento dopo documento, tutto registrato in video. Impiegammo ore. Alla fine Sal mi consegnò una busta con un assegno. Cinquecento dollari. Era la mia "indennità di licenziamento". Cinquecento dollari? Non avevo idea di quanto costasse affittare un appartamento o fare la spesa, ma sapevo che cinquecento dollari non mi avrebbero portato lontano. Era uno schiaffo in piena faccia. In tutte le dieci settimane del mio procedimento di "licenziamento" avevo ipotizzato che la chiesa si sarebbe in qualche modo impegnata a trasferire gli staff che licenziava - anche quelli che venivano "dichiarati Soppressivi". Avevo supposto un qualche tipo di assistenza per trovare casa e lavoro, che ci avrebbe dato una liquidazione almeno sufficiente a pagare caparra e primo mese d'affitto, e spese basilari per un mesetto, fino a quando non si fosse trovato un impiego. Ma non fu così. Rimontai in macchina con in mano 500 dollari. Fortunatamente avevo ancora qualcosa dell'eredità di mamma. Non molto ma abbastanza per vivere - quanto? Quattro mesi? Sei? Non avevo idea del costo della vita. Restai seduto in auto per un po'. Avevo parcheggiato su Vine Street, a nord di Hollywood Boulevard, a bordo tutte le mie cose. Avevo 58 anni e, in quel momento, ero un homeless. Avevo un piccolo conto in banca e in tasca un assegno di 500 dollari. Non sapevo dove andare. Mio fratello Kim, l'unico parente ancora in vita, era uno scientologist. Murphy mi aveva detto senza mezzi termini che, in quanto Persona Soppressiva, mi era proibito parlargli. L'ultima volta che avevo avuto sue notizie si stava per trasferire a Clearwater. Non avevo né indirizzo né numero di telefono. Avevo perso le tracce di Gwennie - si era trasferita senza dirmi dove. Non la sentivo da anni. E dopo 35 anni di lavoro per la Sea Org i miei unici amici erano i suoi membri. "Fuori" non conoscevo nessuno. Ero solo. Potevo contare soltanto su me stesso. Me e la mia auto piena delle mie cose, parcheggiata su Vine Street a Hollywood. In quel momento mi resi conto che avrei potuto iniziare una nuova vita letteralmente ovunque: giù per la costa, su per la costa, in Arizona. Ma sapevo dove sarei andato - a Santa Barbara, dove aveva vissuto mia madre. Era una città che conoscevo e che amavo. Era sul mare. Ed era nella direzione opposta alla Base. Infilai un CD nello stereo e alzai il volume: "Start Me Up" dei Rolling Stones. Mi immisi nel traffico. Mezz'ora dopo stavo guidando su per la costa quando mi sentii stranamente disincarnato, quasi galleggiante. La musica era finita e discendevo in silenzio la collina verso le luci di Camarillo. Poi attraversai la buia zona agricola e le luci di Ventura, la Coast. Alla mia sinistra l'Oceano Pacifico rifletteva la luce della luna piena. Avanzavo tra scogli e oceano, sul bordo del continente, alla deriva. Mezzanotte era passata da un pezzo quando finalmente arrivai a Santa Barbara. Imboccai l'uscita del centro e mi diressi verso State Street. Trovai un motel e presi una stanza. 100 dollari a notte. Un quinto della mia liquidazione aveva preso il volo, ma non mi importava. Ero esausto. La giornata era stata lunga. La domenica mi svegliai rinfrancato. Uscii e respirai l'aria fresca di mare. Ero veramente arrivato a casa - ero libero, ero solo. Ero euforico. Allo stesso tempo però avvertivo un certo senso di panico. Non avevo un lavoro, non avevo una casa. Dovevo darmi da fare. Andai a fare colazione all'IHOP di fronte. Entrando presi un giornale locale e esaminai le offerte di affitto. Trovare un appartamento era la priorità principale: dovevo trovare dove vivere. Ironia della sorte trovai un locale proprio su Bath Street, a un isolato di distanza da dove aveva vissuto mia madre. Andai a vederlo, ma non era più disponibile. Feci qualche telefonata e una passeggiata su State Street, andai a farmi tagliare i capelli e poi da Barnes & Noble per alcuni libri su come trovare lavoro. Ero fuori dal mercato da 35 anni. Non avevo idea di come cercare un lavoro, o di come scrivere un curriculum. Comprai due libri, Idiots Guide to the Perfet Resume e What Color is Your Parachute sui cambi di carriera. Immaginai che fosse proprio il mio caso - un cambio di carriera. Non volevo spendere altri 100 dollari per la stanza e cercai in altri motel. Alla fine ne trovai uno sulla stessa strada, 55 dollari a notte per cinque notti - fino a giovedì. Il gestore era un tizio simpatico di nome Chris che mi diede buoni consigli per trovare casa. Nei giorni seguenti visitai un sacco di appartamenti e alla fine trovai un monolocale vicino al centro, in East Victoria Street. Era minuscolo ma l'affitto era basso. Intanto ogni notte studiavo come un matto i libri che avevo comprato. Per certi versi ero ancora in "modalità Base". Se non facevo niente, se non producevo niente mi sentivo in colpa. Non volevo essere "pigro". Mangiavo in fretta e mi rimettevo al lavoro. Ero frenetico. Mi sentivo addirittura in colpa perché nei momenti liberi non studiavo le opere di Hubbard. Una sera cercai di ascoltare una sua conferenza, ma non riuscivo a concentrarmi - ero troppo agitato. Poi un giorno mi stavo affrettando lungo State Street per un pasto veloce quando mi resi conto che era una bellissima giornata di sole. La gente passeggiava tranquilla godendosi il clima, i negozi, i caffè. Continuai a camminare e mi ritrovai in spiaggia a osservare le onde e i gabbiani. Qualche ora più tardi tornai al motel. Il mondo non era finito, niente era andato distrutto. Forse rilassarsi un po' faceva bene. Uno dei libri che stavo leggendo, What Color is Your Parachute, parlava dell'importanza di immaginarsi la carriera ideale. Quella scelta guida tutto - come scrivere il curriculum, dove cercare lavoro, come comportarsi durante i colloqui. Decisi che ciò che più di tutto volevo fare era il grafico. Era ciò per cui avevo studiato in gioventù e la cosa che mi aveva dato più soddisfazioni. Una delle mie maggiori delusioni in Sea Org era stata proprio di non riuscire a fare lavoro di design. Certo, per disperazione avrei potuto prendere qualsiasi impiego - riporre carrelli al supermercato o "girare hamburger da McDonalds", come Miscavige amava ripetere. Ma perché? Avevo tempo, non ero del tutto spiantato. Avrei trovato lavoro nelle arti grafiche. Il mercoledì presi possesso dell'appartamento e pagai un deposito per un mese. Poi telefonai alla U-Haul e prenotai un furgone per il giovedì. Tornare a Beaumont fu un lungo viaggio, quasi 400 chilometri, dovetti fare carburante diverse volte piangendo su ogni dollaro. Pagai il deposito e caricai il furgone da solo, poi tornai al mio appartamento su Victoria Street. Un paio di ragazzi che vivevano accanto mi aiutarono a scaricare. Era stata un'altra lunga ed estenuante giornata. Poi... il cibo. Per 35 anni non avevo mai cucinato nulla e non avevo idea di dove iniziare. Mi ritrovai da Vons a ispezionare meticolosamente prezzi ed etichette. Presi ciò che mi sembrava appetibile e facile da preparare. E acquistai l'essenziale per la cucina -pentolame, bicchieri, posate e piatti. Ricordavo che una volta mamma mi aveva detto che Merv Corning, il vecchio socio di papà, viveva nei pressi. Cercai sull'elenco e gli telefonai d'impeto. Viveva a Solvang, a un'ora a nord di Santa Barbara. La domenica lo andai a trovare, conobbi anche la moglie Tula. Non ci vedevamo da quando avevo 12 anni ma trascorremmo un piacevolissimo pomeriggio insieme e mi raccontò alcune storielle divertenti su papà. Merv era un pittore di grande talento e mi mostrò il suo studio. Fu come riconnettersi alla famiglia. Ora che avevo trovato casa mi concentrai sulla ricerca di un lavoro. Mi feci collegare il telefono e una linea internet. Avevo ancora il mio portatile, quello ordinato quando stavo al PAC Ranch. Avevano cancellato tutte le mie foto ma funzionava ancora bene. Adesso potevo cercare lavoro anche in Rete. Ordinai una stampante/scanner/fax della Dell e uno schedario. E anche un grosso raccoglitore per il mio "portfolio". Riesaminai tutto quello che ero riuscito a portarmi via - vecchie riviste Advance!, promozione, libri - e trovai un numero sufficiente di impaginazioni, disegni, illustrazioni e fumetti da poter usare. Non sembravano nemmeno troppo fuori moda. Copiai tutto da Kinkos e lo infilai nel raccoglitore. Preparai un curriculum che enfatizzava le mie capacità piuttosto che la storia lavorativa. Il mio libro "per idioti" diceva che era un formato accettabile. Cercai di dissimulare al massimo la mia storia Scientology limitandomi a nominare la Bridge Publications e la New Era Publications. Poi da Kinkos me ne feci stampare qualche copia, e anche dei biglietti da visita. Passai in rassegna tutti i siti di lavoro online e vi postai il mio curriculum, cercai altri siti di grafica. Mandai in giro un sacco di credenziali, sia per e-mail che per posta normale. Creai un file per ogni agenzia pubblicitaria, quotidiano e rivista della zona, e mandai lettere. Nel curriculum avevo scritto di essere esperto di InDesign, Photoshop e illustrator. Ne avevo qualche conoscenza, ma non ero certo esperto. Investii un po' di soldi nella Adobe Creative Suite e ogni sera leggevo manuali e mi esercitavo sul programma. Dopo qualche settimana ero in grado di usarlo molto bene. Cominciai a notare un cambiamento nel mio stato fisico. Tutte le notti dormivo bene - otto, anche nove ore. Mangiavo bene. Trovavo tempo per rilassarmi. Cominciavo a sentirmi molto meglio, in tutti i sensi. E con questo sentivo che mi stava tornando anche la sanità mentale. Ritrovai il mio amico Jerry, quello dei tempi del Canyon. Aveva una sua azienda di produzione video a Burbank, una domenica lo andai a trovare. Fu felice di sapere che ero finalmente uscito dalla Sea Org. Lui aveva abbandonato Scientology 30 anni prima e non ne diceva niente di buono. Nonostante tutto quello che avevo passato, mi consideravo ancora uno scientologist e quasi per reazione difesi Scientology e cercai di fargliela vedere in luce positiva. Non consideravo finita la mia esperienza in Scientology. Progettavo di fare i "passi dalla A alla E" e farmi togliere la dichiarazione SP in modo da poter parlare con mio fratello. Avrei pagato il debito Freeloader - la fattura che ti mandano quando esci dalla Sea Org per tutti i servizi usufruiti. Ero seriamente intenzionato a fare tutto il necessario per restare uno scientologist. La mia priorità adesso era però trovare un lavoro - poi mi sarei preoccupato di tornare nelle grazie di Scientology. Le settimane passavano senza che succedesse nulla. Tutti i giorni facevo molte telefonate, spedivo e-mail, curriculum e correvo ai colloqui. Ormai ero quasi nel panico - i soldi volavano via e non c'era niente in vista. Quando andavo ai colloqui vedevo questi senza casa sui marciapiedi di State Street che chiedevano l'elemosina. Mi davano molto fastidio. Anche io non ho un lavoro, pensavo, ma mi affanno mentre voi state lì seduti al sole! Poi quando trovai un lavoro fisso diventai più tollerante. A maggio feci un colloquio con un settimanale locale chiamato Casa. Avevano bisogno di un direttore della produzione - qualcuno che organizzasse la rivista e la mandasse in stampa. Restarono impressionati dalle mie capacità e dissero che avrebbero richiamato. Piano piano sentivo che mi stavo riprendendo. Ogni giorno facevo lunghe passeggiate, nei fine settimana andavo in escursione sulle colline di Santa Barbara e alla fine affrontai anche il La Cumbra Peak, la montagna più alta della contea. La città era bella e tranquilla. Passeggiavo a lungo sulla spiaggia e mi rilassavo. Era come rimettere lentamente insieme i pezzi della mia vita, riacquisivo orgoglio, fiducia, rispetto di me stesso. Kim mi mancava moltissimo, volevo riuscire a rimettermi in contatto con lui. Mi chiedevo se lo avessero informato della mia "dichiarazione", come mi avevano promesso. Forse no. Mi chiedevo anche dove potesse essere finita Gwennie. Feci ricerche Google sul suo nome, ma niente da fare. Quasi ogni notte avevo degli incubi. Ero di nuovo alla Base, in riunione con Miscavige, oppure in attesa di una riunione. O in adunata a Gold, o in quella strana versione onirica dell'Edificio 36. Arrivai ad attendere quei sogni. Ma al mattino mi risvegliavo nel mio piccolo appartamento, respiravo l'aria di mare e sapevo che andava tutto bene. A fine maggio telefonò Mark Whitehurst, l'editore di Casa Magazine. Voleva assumermi - all'inizio come freelance. Mi avrebbe pagato 16 dollari l'ora. Contrattai fino a 20. Non avevo idea se era una cifra adeguata ma dopo aver fatto due conti pensai che potevo sopravvivere. Iniziai a lavorare quella settimana stessa - ne erano passate cinque da quando avevo iniziato a cercare. Un giorno arrivò una e-mail di Jimmy Yeoh. Era stato in Malesia a trovare i suoi ed era appena tornato negli Stati Uniti, a San Diego. Mi diede la mail di Carrie Cook e la contattai. Viveva nel Vermont con Peter, suo marito. Entrambi avevano lasciato la Sea Org. Lavorava come disegnatrice per una rivista locale. Il 5 giugno cominciai a lavorare per Casa a tempo pieno, a libro paga. Per la prima volta le entrate superavano le uscite. Era un giorno da segnare sul calendario e giurai a me stesso che da quel momento in poi le entrate sarebbero sempre state superiori alle uscite. Avevo dei progetti. Casa Magazine era un ufficio piccolo, eravamo in sei. I miei capi, Mark Whitehurst e sua moglie Kerry, erano una piacevole coppia della mia età. La rivista usciva ogni settimana con circa 60 pagine, andava in stampa il giovedì notte e nelle edicole il venerdì mattina. Molti annunci si ripetevano tutte le settimane ma ce n'erano sempre di nuovi da disegnare e impaginare, e i contenuti editoriali da assemblare. Dissi che mi interessavo di arte e diventai l'Art Director de facto: intervistavo gli artisti, i galleristi e scrivevo gli articoli. Alcuni freelance si occupavano di poesia, teatro, cinema, vini e così via. Il martedì, mercoledì e giovedì organizzavamo il giornale per la stampa. A volte il giovedì sera dovevamo trattenerci fino a "tardi" per finire il numero - a volte fino alle 6 o alle 7 di sera o, Dio non voglia, alle 8. Mark era molto attento a chiedermi se mi andava bene. La prima volta scoppiai quasi a ridere. Per me anche uscire dall'ufficio alle 8 di sera era vacanza! «Riesci a lavorare molto bene anche sotto stress» mi disse una volta. A essere sinceri non mi ero neanche accorto che fossimo sotto stress. Aggiunse poi che non era necessario andare in ufficio in giacca e cravatta, Santa Barbara non era posto da cravatta. Aveva notato che nelle pause continuavo a lavorare. «Fermati, fai una pausa, fermati...» continuava a dirmi. Ci misi un po' ad assimilare l'idea. Risolto il problema del lavoro adesso avevo le serate e i fine settimana tutti per me - un'esperienza davvero nuova. Ricordo quando il primo venerdì Mark mi disse «Ok allora, ci vediamo lunedì». Il mio primo pensiero fu «Lunedì? Ma sono due giorni interi!». Poi mi resi conto che significava avere due giorni per fare quello che volevo. Andavo allo zoo, al museo, in biblioteca, al cinema, leggevo libri e facevo escursioni. Dal mio appartamento si andava a piedi quasi ovunque. Cominciai a pensare di ricominciare a dipingere. All'approssimarsi del mio compleanno in giugno mi comprai una serie di colori acrilici, pennelli e tele. All'inizio smettere la terminologia Scientology era stata una necessità. Dovevo imparare a parlare senza utilizzare il gergo super-contratto che avevo parlato negli ultimi 35 anni e per farlo fui costretto a ripensare i concetti. Dovevo prendere un concetto Scientology e scoprire come riuscire ad esprimerlo in inglese. Senza sorpresa, perciò, mi trovai a dover ragionare su quei concetti. Senza gli slogan e i luoghi comuni di Scientology che "spiegano tutto", dovevo veramente cominciare a riflettere sulle cose. Era come se i vecchi ingranaggi arrugginiti della mia mente cominciassero a girare di nuovo. I primi tempi a Casa Magazine pensavo che avrei dovuto usare la "tecnologia amministrativa" di Hubbard. Ma una volta al lavoro mi resi conto che sarebbe stata una inutile perdita di tempo. Certo, avrei potuto sviluppare un "organigramma". Ma a che scopo? Eravamo in sei, tutti sapevano che cosa dovevano fare. Potevo metter giù un programma. Ma a che scopo? Mi resi conto che anche nella disorganizzazione di quel piccolo ufficio stavamo producendo più di quanto non si facesse nell'area Marketing della Base. Laggiù potevano occorrere mesi per produrre un solo opuscolo di 16 pagine, dovevamo rifarlo infinite volte. Qui ogni settimana mandavamo in stampa un giornale di 60 pagine. Non c'erano adunate, non c'erano ispezioni, niente orde di executive e operatori di programma che arrivavano a controllarti, niente Ufficiali di Etica o Guardie di Vigilanza che ficcanasavano in giro, niente riunioni infinite, niente recriminazioni, sensi di colpa e vergogna, nessun rifiuto capriccioso da parte di executive che dovevano in qualche modo giustificare la loro esistenza. Facevamo semplicemente il giornale. E farlo era facile. Serate e fine settimana liberi mi permettevano di riflettere sugli eventi. Mi ritrovai a leggere 1984 di George Orwell e rimasi colpito dai paralleli tra il sistema di controllo del pensiero descritto nel libro e la mia esperienza alla Base. Orwell descrive il bipensiero - l'arte di credere contemporaneamente a due concetti contraddittori. Mi resi conto che Scientology era piena di esempi del genere. Ci veniva detto di "pensare con la tua testa" ma in realtà tutti sapevano che non era permesso alcun disaccordo con Hubbard. Scientology insegna che il segreto della buona comunicazione sono affinità alta (vicinanza) e realtà alta (accordo). Ma agli staff veniva insegnato a urlarsi addosso e anche ad abusare fisicamente degli altri. Scientology sostiene i "diritti umani" ma gestisce un sistema di prigionia come l'RPF. Mi ero già reso conto di quelle cose ma continuavo a giustificarle a me stesso - in altre parole ero diventato un adepto del bipensiero. Una volta chiarito questo punto il senso di ipocrisia, la frattura tra la predica e la pratica di Scientology cominciò ad essere sempre più evidente. Avevo voluto convincermi che la Base fosse una anomalia, una sfortunata devianza dalla vera natura di Scientology. Ma che cosa sarebbe successo se quell'atmosfera, quella cultura, fossero state veramente l'apice dell'applicazione incontrollata di Scientology? Avevo lavorato 35 anni per realizzare un "Mondo Scientology". Poniamo che la Base fosse stata un microcosmo di ciò che nella realtà poteva essere un "Mondo Scientology" - un regime autoritario in cui i "downstat" sono sottoposti ad abusi e ogni vera emozione umana viene ridicolizzata e repressa. Non volevo avere niente a che fare con un gruppo del genere. Raggiunsi il punto di svolta quando cominciai a pianificare le mie finanze. Sapevo di avere problemi. Niente risparmi per la pensione, ed avevo già 58 anni. Cercai di fare due conti delle mie entrate mensili e di metter giù le spese. Una di esse era il "Debito Freeloader". Anche a 500 dollari al mese, per saldarlo avrei impiegato anni. Era frustrante. Poi mi successe una cosa strana. Ero diventato matto. Perché mai, mi chiesi, avrei dovuto pagare? Avevo lavorato 35 anni per la Chiesa di Scientology, sette giorni alla settimana, spesso 16 o 18 ore al giorno praticamente gratis. Non avevo risparmi. In nome di quale giustizia dovevo loro qualcosa? Decisi su due piedi che mai, mai e poi mai gli avrei dato anche un solo centesimo per il "Freeloader". E siccome saldare il Freeloader era il secondo punto dei "passi dalla A alla E" per cancellare la dichiarazione di Persona Soppressiva, allora mai e poi mai avrei fatto quella procedura. Mai. Non gli dovevo niente. Mi avevano etichettato soppressivo. E allora? All'improvviso sentii un peso scivolarmi via dalle spalle. Non mi sarei più dovuto preoccupare di quelle cose - Freeloader, dichiarazione SP. Non dovevo più preoccuparmi di quelle cose perché... nella testa aveva preso forma un pensiero radicale. Perché non sono uno scientologist. Pensarlo, dirlo a voce alta, urlarlo mi faceva sentire bene. Non sono uno scientologist. Non faccio più parte di quel manicomio chiamato Int Base. Non devo più praticare il bipensiero. Se qualcosa è sbagliato posso dirlo apertamente e onestamente, senza timore. Non devo più giustificare gli abusi - né a me stesso né agli altri. Inscatolai i miei libri di Scientology, andai alla discarica e li gettai nel bidone. Che liberazione. Non sono uno scientologist. Volevo ritrovare Gwennie. L'avevo sentita l'ultima volta alla fine degli anni '90. Viveva a San Francisco con il suo ragazzo e aveva appena avuto una bambina, Devon. Mi aveva mandato le foto. Poi, dopo il 2000, il silenzio. Le mie lettere erano tornate indietro. Mi rivolsi a uno di quei servizi investigativi fornendo nome, cognome, data di nascita e un elenco dei vecchi recapiti. Qualche settimana dopo mi mandarono una lunga lista di indirizzi e numeri di telefono che pensavano fossero in qualche modo collegati a Gwennie. Mi disperai all'idea di chiamarli tutti. Poi nel mezzo dell'elenco vidi il nome Hare - il cognome della mia prima moglie. Pensai che potesse trattarsi di un parente di Tina. Telefonai e chiesi alla donna se conosceva Gwen Wilson. «Certo, è mia nipote» mi rispose. «Sa dove vive adesso?» «Sicuro. Sta in fondo alla strada». Mi diede il numero e la chiamai. Gwennie rimase senza fiato, e ancora più sorpresa fu nel sapere che ero uscito dalla Sea Org e da Scientology. Mi disse «Arrivo, parto subito». Sei ore dopo bussava alla mia porta. Si trattenne per tutto il fine settimana, parlammo per ore. Passeggiammo su State Street giù fino alla spiaggia, le raccontai tutti gli avvenimenti della Base. Era la prima volta che mi confidavo veramente con qualcuno. Camminavamo lentamente perché a ogni metro si fermava, mi guardava e diceva «Non esiste!», «È folle!». Per me fu un'esperienza straordinaria. Avevo vissuto anni alla Base. Quella era la mia "vita quotidiana". Era "normale". Ero io il folle, il criminale, l'SP. Sentirla reagire in quel modo, lei, un'esterna, fu impagabile. È folle! Ed ero libero di dire finalmente e a mia volta sì, sì lo è.
Giurai che non ci saremmo mai più persi e ho mantenuto la promessa. Ogni qualche mese ci incontriamo e sto con la mia incredibile nipotina Devon. Cominciai a cercare in Internet informazioni su Scientology e Miscavige. Visitai tutti quei siti che da scientologist mi erano "vietati" e appresi tutto ciò che mi era stato tenuto nascosto. Ero stupito dalla mia poca conoscenza della storia di Scientology e della vita di Hubbard. Ero irritato dalla portata delle bugie che ci avevano raccontato in tutti quegli anni. Poche settimane su Internet mi permisero di scoprire di più sulla storia di Scientology di quanto non avessi fatto in 35 anni al suo interno. Cominciavo a rendermi conto del livello di controllo esercitato, sia sull'informazione che su di noi. Su uno dei siti trovai un nome che conoscevo, e un numero di telefono. Era Chuck Beatty, vecchia conoscenza della Sea Org. Gli telefonai e chiacchierammo a lungo. Mi mise in contatto con una chat Yahoo chiamata XSO. Restai stupefatto nel vedere che era frequentata da centinaia di ex membri della Sea Org! Cominciai a scrivere anche io, con il mio vero nome. E ricevetti una valanga di e-mail da tutto il paese - anche dall'estero - di persone che avevano lasciato la Sea Org. Pensavo di non avere amici fuori da lì, ma ne trovai centinaia. Andai a far visita ad alcuni vecchi amici, guidai fino a Las Vegas per una rimpatriata di ex Sea Org organizzata da due sorelle meravigliose, Terri Gamboa e Janis Grady. Eravamo in una cinquantina, gente che avevo conosciuto a Copenhagen, sull'Apollo, a Clearwater o alla Base. Trascorsi anche un pomeriggio in relax con Bill Dendiu e la sua nuova famiglia. Al ritorno ricevetti una mail dal "Capo Internazionale della Giustizia" di Scientology che mi diceva di "astenermi dal frequentare noti SP". In qualche modo erano riusciti a infiltrarsi alla riunione. Risposi con una missiva sarcastica chiedendo di astenersi dallo spiare. Lo informai che non ero più uno scientologist e di non scrivermi mai più, e di non azzardarsi a dirmi chi potevo o non potevo frequentare. La cosa mi fece sentire benissimo. A Natale 2005 io e Jimmy Yeoh andammo a Seattle a trascorrere le feste con una ex staff di PDO, Georgianna. George e la sua famiglia erano stati molto carini a invitarci da loro, fu il mio primo, vero Natale dopo molti anni. Andavo spesso a LA a incontrare altri amici. Gabrielle Allen adesso era sposata e aveva una sua agenzia di marketing, mi invitava ai barbecue e alle feste. Andai a Huntington Beach a trovare Yael, la mia "hijita". Era tornata a scuola, aveva trovato un ottimo lavoro e si stava ricostruendo la vita. Quando stavamo insieme parlavamo, ci raccontavamo le cose e ridevamo molto. Era incredibile sentir raccontare il proprio pezzo di storia - eventi che nella Sea Org erano stati avvolti nel mistero e nella segretezza e non sapevi mai bene che cosa stesse succedendo. Riuscire a parlare apertamente e scoprire che cosa accadeva realmente dietro le quinte era stupefacente - e salutare. Scoprii di prima mano, da gente che c'era, come esattamente Miscavige aveva preso il potere della chiesa. Scoprii che la violenza fisica e i pestaggi degli staff erano iniziati molto, molto prima. Ripresi i contatti con Tina, la mia prima moglie, e cominciammo a scriverci con regolarità. Ritrovai anche Nancy, la mia seconda moglie, che ora vive in Pennsylvania e lavora per un'azienda di costruzioni ecologiche. Ero felice di sentire che stava bene e cominciammo a scambiarci e-mail. Ancora oggi sono molto amico di entrambe le mie ex mogli. Ma c'era ancora qualcuno con cui volevo parlare più che a chiunque altro - mio fratello Kim. Ne avevo discusso con Gwennie, che mi aveva detto che non poter parlare con mio fratello era ridicolo. Mi disse che gli avrebbe telefonato lei. Non volevo che Kim avesse problemi con la chiesa ma volevo fargli sapere che ero fuori, che vivevo a Santa Barbara e stavo bene. Gwennie provò a chiamare alcuni numeri che avevo ma erano tutti staccati. Mi misi alla sua ricerca ma nemmeno il servizio investigativo fu in grado di localizzarlo. Alla fine su Internet trovai un riferimento a sua figlia Slayde. Era un nome insolito e ritenni che non potessero esistere molte Slayde Hawkins. Sul sito del Reed College c'era la sua tesi di laurea. Chiamai il Reed che mi passò il Servizio Alumni: si era laureata l'anno prima ma per questioni di privacy non potevano darmi la sua e-mail. Spiegai che ero lo zio e chiesi se potevano almeno passarle il mio messaggio. Qualche giorno dopo Slayde mi telefonò. Le spiegai che avevo lasciato la Sea Org, che vivevo a Santa Barbara ma non potevo parlare con Kim perché ero dichiarato. Le chiesi se poteva telefonargli solo per dirgli che stavo bene. Dieci minuti dopo suonò il telefono, era Kim. «Sai che non devi parlarmi» gli dissi subito. «Non me ne frega un accidente» rispose. «Sei mio fratello, lo so che non sei un soppressivo!». Parlammo per un'ora. Mi disse che vivevano a Clearwater per essere più vicini a Flag. Cathy, la moglie che era stata lontana da Scientology per 30 anni, adesso era "sulle linee" e faceva dei corsi. Gli raccontai della mia nuova vita a Santa Barbara. Mi tenni sul vago sui motivi per cui me ne ero andato, non volevo approfondire troppo con lui. Gli dissi soltanto che "avevo avuto momenti difficili". Mi chiese se stavo facendo qualcosa per "tornare sulle linee" e risposi di no, con Scientology avevo chiuso. «Wow» fece lui. «Non so che cosa è andato storto ma se questo è il risultato dev'essere stato proprio pesante». Dopo quella prima telefonata cominciammo a sentirci ogni sabato mattina. Non entrai mai nel dettaglio della mia esperienza alla Base e lui non faceva domande. Circa sei mesi dopo Kim e Cathy vennero in California per affari. Li andai a trovare e trascorremmo il fine settimana insieme. In un momento in cui eravamo soli, Kim mi disse: «Ok, sputa il rospo». «Non voglio trascinarti in questa storia» obiettai. «No» insistette. «Sono io che lo voglio. Dimmi che è successo». Nell'ora successiva gli raccontai tutto. Le condizioni alla Base, i soprusi, i pestaggi, la decimazione di Int Management. «Pensavo che esistessero pesi e contrappesi per evitare situazioni del genere» commentò. «Non c'è forse un Watchdog Committee?» «Fammi anche un solo nome di qualcuno di quel Comitato» replicai. Naturalmente anche lui, come qualsiasi altro scientologist, non sapeva da chi era composto. Era un dato "confidenziale". Alla fine restò in silenzio per un po' e disse: «Già da qualche tempo avevo capito che c'era qualcosa che non andava ma non sapevo cosa. Quello che mi hai raccontato conferma ciò che pensavo». Tornarono in Florida e la settimana dopo mi telefonò per la solita chiacchierata del sabato. Era a Flag per un event. Era arrivato presto per assicurarsi un buon posto e lo avevano fatto alzare per farci sedere qualcuno "più importante". Se ne era andato disgustato. Parlammo per alcuni minuti e ci salutammo. Neanche dieci minuti dopo il telefono suonò di nuovo. Era Cathy, sua moglie. «Sto impazzendo. Devo parlare con qualcuno» mi disse. «Devo dirti delle cose». «Che succede?» «Non voglio più stare in Scientology.» Le chiesi come mai e mi fece un lungo elenco di cattive gestioni del suo auditing che poi dovevano essere riparate a sue spese. Obbligo di fare dei servizi che non voleva fare. Pressioni costanti per farle scucire soldi. Le chiesi se Kim le avesse raccontato il nostro dialogo a San Diego, lei rispose di no e le feci un rapido riassunto. «Accidenti! Le mie lamentele sono nulla al confronto!» esclamò. «Non so che cosa fare, non posso parlarne con Kim, lui è uno scientologist così dedicato». «Provaci» le suggerii. «Credo che lo troverai più disponibile di quel che pensi». Il giorno dopo ricevetti una telefonata di Kim: «Siamo fuori». Cominciarono anche loro a fare ricerche Internet come avevo fatto io, tutti i siti "proibiti". E cominciarono a postare su XSO con degli pseudonimi. Poco dopo si trovarono uno staff di OSA alla porta con le stampe dei loro post. Come fossero risaliti alla loro identità da una chat privata non si sa. Il tizio disse a Kim che doveva disconnettere da me o sarebbe stato dichiarato Soppressivo. «Hai scelto la famiglia sbagliata» rispose lui, rifiutando di disconnettere. Oggi, tre anni dopo la mia uscita da Scientology, mi sono creato una nuova vita, una vita di felicità e libertà. Ho intorno amici molto cari e la mia famiglia, così incredibile e premurosa. Adesso vivo a Portland, città che adoro, e gestisco con successo il mio studio di arte grafica. Anche Kim e Cathy si sono trasferiti a Portland, ci vediamo molto spesso. L'anno scorso Gwennie ha avuto un bambino, Eden, e ora ho due incredibili nipotini. Appena posso li vado a trovare. Ho ripreso in mano le redini della mia vita. Ogni tanto qualcuno abbandona la Base e racconta le ultime notizie. Il fuggitivo più recente mi ha detto che adesso le cose "sono molto peggiorate". Devo fare un vero sforzo per immaginare come possa essere peggio di quanto ho visto e vissuto io. Alcuni buoni amici sono ancora dentro. Foster lavora ancora alla Fabbrica di PAC, e sta ancora al solito controllo numerico. C'è da almeno sei anni. E Cathy tiene duro alla Base, ancora sul posto di Capitano di Porto. È per loro e per altri amici ancora "dentro la bolla" che ho scritto questo lungo racconto. Spero che un giorno, in qualche modo, riescano a leggerlo. Se solo potessi avere qualche minuto per parlargli direi soltanto «Sono ancora qui. Sono ancora tuo amico. Lo sarò sempre». Ho scritto anche per chi fosse tentato di seguire la Yellow Brick Road di Scientology, affinché possa conoscere in anticipo la natura dell'uomo dietro le quinte. Questa, perciò, è la mia storia. Non sono un eroe e non sono un furfante, non una vittima né un fanatico. Forse di tutto un po'. Come Solzhenitsyn, anche io credo che la linea tra il bene e il male attraversi il cuore di tutti. Tutti facciamo delle scelte. Alcune buone, altre cattive. Alcune sagge, altre demenziali. E con il senno di poi possiamo renderci conto che la saggezza di ieri era in realtà follia, e nella follia di ieri c'era saggezza. Sono solo un uomo che ha seguito i suoi sogni, qualcuno potrebbe dire fino a raschiare il fondo del barile. Non guardo al passato con rimpianto. Guardo indietro, spero, con maggior saggezza, maggior tolleranza e maggior compassione.
Un giorno, circa un anno dopo aver lasciato la Base, feci una lunga passeggiata su State Street fino alla spiaggia. In fondo c'è lo Stearn's Wharf che si protende verso l'Oceano Pacifico. È un molo molto lungo, pieno di negozi e ristoranti. Lo percorsi fino alla fine, oltre i negozi di souvenir, oltre i pescatori e mi fermai a fissare la vastità dell'oceano mare. Era una giornata di sole, nubi bianche all'orizzonte e barche a vela spinte dal vento. Sentivo sul volto la brezza salata e il tepore del sole. Mi tolsi di tasca un pesante anello d'oro. Era tozzo e brutto, un grosso quadrato con inciso il numero "25" e il simbolo della Sea Org. Me lo avevano regalato nel 1996 per i 25 anni di servizio nella Sea Org. Lo sentivo pesante nel palmo della mano. Lo lanciai in mare con tutta la forza che avevo, un lungo arco sulle onde. Scomparve senza lasciar traccia. Mi girai e tornai in la città. |