La giornalista Paulette Cooper, autrice del libro Lo Scandalo Scientology del 1972 (prima grande inchiesta giornalistica sul movimento dianetico), racconta le molestie subite dagli agenti dell'organizzazione di L. Ron Hubbard.
© Di Paulette Cooper, 1982.
[mi spiace, gente, per un po' dovrò smettere di postare una volta alla settimana, perché mi porta via un sacco di tempo (parte del problema è accludere le note alle sezioni), e sta per uscire un mio nuovo testo, quindi devo fare un sacco di promozione sulle pagine web, lavorare sui libri degli animali ecc. Dato che posterò più di rado, farò un riassunto di ciò che ho mandato in rete la settimana scorsa, e un compendio di questo nuovo capitolo. Riassunto: un altro
autore (Roy Wallis) aveva intervistato L. Ron Hubbard Jr. (Nibs),
il quale in pratica si vantava di quel che aveva l'aria di un suo coinvolgimento
nell'avermi incastrata. Acquisita questa nuova documentazione, il Governo
cominciava a tirarsi indietro, ma insisteva ancora per avere prove concrete
della mia innocenza. Questo capitolo racconta i tentativi che fece per
mettermi in qualche modo alla prova]
Il Governo non aveva ancora intenzione di lasciar perdere [il caso], fintanto che non avessi fornito prove sulla mia innocenza [1] (strano, avevo sempre ritenuto che nel nostro sistema giudiziario una persona fosse innocente fintanto che non fosse provata la sua colpevolezza. Tentai due volte con l'ipnosi, ma non riuscivo a rilassarmi a sufficienza. Il Sodium Pentathol o "siero della verità" mi fu suggerito quell'estate. Tuttavia i medici ritennero fosse molto pericoloso per la mia non ottimale condizione fisica, specie per il fatto che pesavo poco più di 40 kg. (parlai di queste cose al telefono con il Dott. Cath [lo psichiatra da cui ero stata in precedenza, e nel cui ufficio entrarono Scientologist in cerca di cartelle su di me], e finirono negli appunti di due conversazioni che successivamente mi furono inviate anonimamente dagli Scientologist).
Telefonammo inoltre al Dott. Fred Barnett, l'esperto di "macchina della verità" dello studio F. Lee Bailey [questo studio, rendendosi conto di quanta pubblicità gli avrebbe portato il mio processo, desiderava mettere le mani sul caso a tutti i costi, e si offrì di farci la prova a poco prezzo. Tuttavia i miei genitori rifiutarono, preferendo affidarsi ad avvocati più costosi, perché pensavano che l'immagine di F. Lee Bailey fosse quella di chi difende ricchi colpevoli]. Barnett ritenne che non soltanto il mio insolito background ma anche il modo in cui i miei genitori (Ebrei) e mia nonna cercavano sempre di farmi sentire colpevole mi avrebbe portato a "reagire da colpevole"; e qualora fossi accusata di qualcosa avrei fallito a qualsiasi test alla "macchina della verità", indipendentemente dal fatto di avere o meno commesso il fatto. Voleva che mi facessi riesaminare da uno specialista di Chicago che aveva messo a punto un test per persone come me. Io ero d'accordo, ma i miei legali preferivano il Sodium Penthatol [siero della verità].
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