Il diario di guerra della drammaturga serba più dura contro il regime, ma che non ha voluto lasciare la sua città. Di Biljana Srbljanovic. Ogni giorno sul quotidiano La Repubblica, dal 28 Aprile 1999. Ripreso da Allarme Scientology, pagine a cura di Martini. © Der Spiegel - La Repubblica.
VIENNA (30 MAGGIO) - Il soggiorno a Vienna è iniziato come un incubo. La guerra nel mio paese, infatti, è il
tema ricorrente di veri e propri interrogatori da parte dei giornalisti. Loro si susseguono uno dopo l'altro, ma le domande restano sempre
le stesse, i loro sforzi di spingermi ad andare sempre un po' più lontano di dove volevo andare, per farmi dire sempre qualcosa di
più di quello che veramente volevo, trasformano il mio soggiorno qui in un incubo.
Come si può rispondere a
domande del tipo: "Per favore, può spiegare ai nostri lettori la psicologia di quelli che uccidono e violentano la gente in
Kosovo?", oppure "Ci può dire come è possibile tutto questo?", oppure, per esempio, "Che ne
pensa, quale sarà la prossima mossa di Milosevic?". E finalmente, la mia domanda preferita: "Ci può
spiegare la sua soluzione per questa situazione?". E io, che cosa posso rispondere, se non: "Non lo so, io non sono
né psichiatra né assassina, e anche con la violenza carnale non ho troppo esperienza". Oppure semplicemente:
"Non lo so, non capisco, niente mi è chiaro, lasciatemi in pace!!!".
I giornali - alcuni in modo terribile -
spalmano questa guerra su pagine e pagine sperando sempre in qualche nuova sensazione, in qualche nuova esotica prospettiva
sulle cose. Ma in realtà, tutti loro, come noi, sono stufi e volentieri cambierebbero completamente tema per scrivere su
qualcosa di totalmente diverso. Sul conflitto tra India e Pakistan, per esempio. Se sfocia in una guerra atomica, i giornali e la tv
avrebbero materiale fresco, temi nuovi, nuovo slancio ed energia per continuare il lavoro.
Qui, in questa città meravigliosa,
dove mi sforzo di dormire e passare una notte tranquilla, comincio a soffrire di insonnia. Sto seguendo tutte le notizie, senza successo
chiamo Belgrado, sono preoccupata per i miei, mi arrabbio quando sento le informazioni gelide sulla "bomba che ha colpito la
parte residenziale della città e ha ucciso tre persone". Né dove, né come, né perché,
né chi è quella gente. Niente di questo riesco a sapere dai media.
Passo le notti pensando che mi dovrei rilassare,
che ho meritato questo time out, che tutto andrà bene. E i giorni li passo a pensare che non vedo l'ora di tornare a casa, di
scappare da questa gente e dalla loro curiosità impassibile, per stare a casa con i miei e dividere il nostro destino.
Quasi
senza accorgermene arrivo alla conclusione che sono felice di non aver deciso di emigrare in un momento in cui sono stata sul punto
di farlo, perché non so come potrei sopportare la separazione dalla gente che amo, dalla città che è mia, sapendola
una separazione definitiva.
Dopo la domanda di un giornalista, che mi chiede se io criticando il regime serbo in realtà
acconsento ai bombardamenti, decido di tacere. Non voglio più accettare nessuna domanda, nessun discorso, nessuna intervista.
Se a qualcuno, dopo più di due mesi di violenza nel cielo e sulla terra della mia patria, non è ancora chiaro che
tutto è così tragicamente sbagliato, io non ho niente più da aggiungere.
Li lascerò vivere nella
loro ignoranza confusa, nella loro incomprensione della situazione, convinti di essere umani solo perché organizzano balli in
maschera per beneficenza, perché raccolgono soldi per i profughi, perché fanno ricevimenti di lusso in cui si fanno
offerte in soldi. Io non voglio avere niente a che fare con tutto questo.
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