Il diario di guerra della drammaturga serba più dura contro il regime, ma che non ha voluto lasciare la sua città. Di Biljana Srbljanovic. Ogni giorno sul quotidiano La Repubblica, dal 28 Aprile 1999. Ripreso da Allarme Scientology, pagine a cura di Martini. © Der Spiegel - La Repubblica.
BELGRADO (16 GIUGNO) - Questa volta sarò diretta: non è forse
vergognoso che il maggiore responsabile dello Stato si faccia vedere per la prima volta in pubblico solo quando la sofferenza del suo
popolo è finita? Non è forse vergognoso che il capo dello Stato arrivi con due mesi di ritardo sul luogo dove si è
verificato uno dei più grandi "danni collaterali", cioè la morte di una decina di persone innocenti?
Non è forse per scherno che si mette in mostra su un terreno fino a poco tempo fa esposto al tiro nemico adesso che dal
cielo non viene più alcun pericolo? Non è forse una presa in giro che stringa le mani a coloro che, al suo posto, per
undici settimane hanno fatto da bersaglio ai nemici arrabbiati, dia pacche sulle spalle a quelli che per caso sono sopravvissuti, e
non pronunci i nomi di quelli che per caso sono stati uccisi? Non sono forse umilianti questi discorsoni cerimoniali, le vane promesse,
le celebrazioni di una falsa vittoria, la glorificazione di un futuro nebuloso?
Per favore, ditemi come si fa a fare il capo dello Stato e
poi nei momenti critici non stare al fianco dei propri concittadini. Come è possibile che uno non provi vergogna a mostrare il
proprio muso davanti a quelli che al suo posto hanno subito i colpi della Nato? Non è forse grottesco che adesso vengano
decorati e promossi quei comandanti che hanno condotto a una sconfitta vergognosa questa guerra, che è stata la più
vergognosa di tutte le guerre combattute nella storia della Serbia?
Ieri sera tutti gli "uomini del presidente" hanno
partecipato a un ricevimento lussuoso, che prevedeva un programma di cultura ed arte, discorsoni e poi una festa. Stupidaggini
demagogiche, strapiene di errori grammaticali: in questo consiste la retorica dei nostri comandanti, una retorica che non si esaurisce
mai. Per i morti solo un minuto di silenzio simbolico, che poi non è durato neanche un minuto, ma una trentina, quarantina di
secondi di silenzio: basta così per le innominate vittime della malata ambizione marziale di un goffo comandante in capo. E
adesso i cittadini ridono dietro le spalle di quest'uomo, per colpa del quale tutto il mondo civile ha vissuto undici settimane di grande
apprensione. Si meravigliano della sua mancanza di onore, della sua vigliaccheria, si meravigliano della sua mancanza di elementare
moralità, perché anche io durante la pace sarei capacissima di camminare in pompa magna per le strade, di salutare i
passanti, di farmi applaudire da comparse pagate.
Noi invece camminavamo per strada anche sotto le bombe, non avevamo
paura della nostra ombra, la paura per la nostra vita non era più forte di quella per le vite degli altri. E proprio come ho ritenuto
immorale il fatto che la Nato abbia condotto la guerra con il solo imperativo di non permettere che neanche un suo soldato venisse
ucciso - anche a costo della morte di centinaia di civili serbi innocenti - così adesso considero totalmente immorale che il
nostro presidente si mostri dappertutto, dal momento che durante i bombardamenti non ha fatto vedere neanche la punta del suo naso.
Così come i comandanti della Nato pensano che le vite dei loro soldati (professionisti) valgano più delle nostre vite - delle vite
di cittadini (dilettanti) - il nostro comandante tiene alla sua testa più che alla testa del suo popolo.
Il nemico ha protetto se
stesso con gli aerei armati, e il nostro presidente ha protetto se stesso con una camera da letto blindata. E' triste vedere come la gente
possa degradarsi, arrivare anche al più basso livello dell'umanismo elementare.
Comunque noi stiamo ridendo, stiamo
ridendo ad alta voce, stiamo ridendo così forte che le strade risuonano, quelle stesse strade in cui non avremo mai paura
di passare, dove anzi cammineremo a testa alta, senza timore, orgogliosi.
(traduzione di Aleksandra Jovicevic)
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