Il diario di guerra della drammaturga serba più dura contro il regime, ma che non ha voluto lasciare la sua città. Di Biljana Srbljanovic. Ogni giorno sul quotidiano La Repubblica, dal 28 Aprile 1999. Ripreso da Allarme Scientology, pagine a cura di Martini. © Der Spiegel - La Repubblica. VIENNA (2 GIUGNO) - Devo confessarvi, adoro fare spese. Mi sembra che questa sia l'unica "caratteristica collettiva" di cui si possa parlare riferendosi al mio popolo. A tutti noi piace comperare, lo facciamo sempre con grande passione, e nei tempi di crisi economica, questa nostra attività diventa un'ossessione. In questi ultimi anni, ci sono stati periodi nei quali non si trovava nulla nei negozi. Allora, la gente approfittava, nei viaggi all'estero, comprando alla grande, portando indietro bauli strapieni di oggetti, cibo, profumi, provando, senza riuscirvi, ad abituarsi alla vita in mancanza di tutto. Anch'io, nei momenti in cui il livello di vita nel nostro paese è arrivato al punto più basso che permette la dignità umana, sono sempre rientrata a casa piena di acquisti. Pane, latte in polvere, saponi, biancheria, carta igienica, cioccolata... tutto ciò su cui potevo mettere le mani. Una volta nella mia valigia avevo un baccalà che puzzava così tanto, che le hostess dell'aereo stavano per svenire. Un'altra volta, ho trascinato a casa una quantità enorme di formaggi che non si potevano conservare a lungo, e così io e i miei amici abbiamo mangiato formaggio fino allo strazio. L'idea era sempre quella di consumare le cose che ci piacevano in modo spropositato, fino alla nausea. Poi, quando sono arrivati tempi più tranquilli, abbiamo smesso di comprare cibo, ma acquistavamo vestiti, oggetti per la casa. Io stessa ho traslocato interi reparti dei grandi magazzini nel mio piccolo appartamento che era già strapieno di cose, mossa dal semplice desiderio di arredare casa mia come se fossi all'estero. Negli ultimi giorni trascorsi a Belgrado, prima di partire per questo viaggio, mi è nuovamente venuta la voglia di comprare. Ma i negozi non avevano granché da offrire, solo abiti invernali e gelati, una combinazione micidiale per il paese al quale la primavera è stata derubata, e al quale verrà rapinata anche l'estate. Ho pensato che il desiderio di fare spese, la mia fame per le cose nuove, l'avrei finalmente potuti appagare qui. Purtroppo, oggi, ultimo giorno del mio soggiorno viennese, passo tra i negozi lussuosi totalmente disinteressata. Giro per il famoso mercato e mi viene la nausea per tutti questi colori e questi profumi. Evito i negozi di oggetti per la casa, come se non esistessero. Il mio desiderio, pazzesco e mai soddisfatto, di acquisti è scomparso in una notte. A che cosa servono i vestiti in un paese dove non c'è l'acqua corrente? A che cosa mi servono i mobili e le suppellettili per la casa quando non so se domani avrò casa? A che servono i cibi esotici e i condimenti profumati, adesso quando mi sono abituata a mangiare le fragole radioattive? A che cosa servono le cose belle in questo brutto mondo che sta per svanire? Penso ai miei concittadini, che una volta si riconoscevano all'estero per le grandi buste di plastica che si trascinavano appresso. Adesso in queste buste, che si conservavano con cura per anni, può entrare ciò che possiede qualcuno, tutta la sua vita, se gli capita di dover scappare da casa. Poi entro nel negozio più vicino, e chiedo che mi regalino la busta più grande che hanno. Me ne danno una grande quasi come una culla, con una immagine di una modella in bikini su entrambe le parti. Piego la busta e me la metto in tasca. Da questo momento in poi, non voglio più separarmi dalla mia busta-bikini. Perché è abbastanza grande da poterla riempire con tutte le mie cose che hanno valore, e abbastanza piccola per non essere pesante e non ostacolarmi nella mia possibile vita futura. Continuando a passeggiare, accarezzo la mia busta-bikini che ho nella tasca, di nascosto. Sarà l'unica cosa che mi porterò indietro. |