Il diario di guerra della drammaturga serba più dura contro il regime, ma che non ha voluto lasciare la sua città. Di Biljana Srbljanovic. Ogni giorno sul quotidiano La Repubblica, dal 28 Aprile 1999. Ripreso da Allarme Scientology, pagine a cura di Martini. © Der Spiegel - La Repubblica.
VIENNA (1 GIUGNO) - Come sempre, questa mattina ho cominciato a fare tante telefonate a Belgrado. Ho chiamato i miei genitori e tutti i miei
amici, chiedendo come andava la "situazione" da quelle parti. Ho provato, come ho potuto, a calmare la mia ansia, a
tranquillizzare la mia coscienza, perché io mi trovo qui al sicuro, mentre tutti quelli che amo si trovano ancora lì. E
sapendo che le notizie che mi trasmettevano rappresentano una immagine molto mitigata di tutto quello che sta succedendo, la mia
coscienza ha iniziato a tormentarmi, perché mi sono abituata troppo in fretta e troppo facilmente a trascorrere giornate
tranquille, senza pericoli. I miei amici mi hanno detto: "Non stiamo poi così male, perché la corrente elettrica
torna per qualche ora". Oppure: "Non c'è nessun pericolo, le esplosioni si sono sentite dall'altra parte della
città". Ma mio malgrado sento che, mentre li ascolto con una sincera preoccupazione, mi sto progressivamente
allontanando dai loro problemi.
I primi giorni del mio soggiorno all'estero non potevo dormire. Le prime notti le ho passate
pensando che non sarei più riuscita a rilassarmi in vita mia. Poi è passato qualche giorno e ho cominciato a godere
delle bellezze di questa città e ho lasciato che lo splendore del sole estivo riscaldasse la mia anima, sprofondando quasi
inconsapevolmente nelle comodità della vita civile.
Bastano un paio di giorni a un uomo per oltrepassare il limite della
dignità umana e abituarsi a ogni specie di miseria, così come in un paio di giorni è capace di riabituarsi a
condizioni normali di vita e riprendere la sua normale esistenza come se nulla fosse successo.
Passo il mio primo giorno senza
impegni, passeggiando per la città. Passando vicino alla casa dove abitava il filosofo Carl Popper, mi ritorna in mente un suo
aneddoto. Quando era piccolo, il padre lo mandò a imparare l'arte della falegnameria, non perché voleva che lui
fabbricasse tavoli, ma perché voleva che lui sapesse rispettare la fatica umana. Più tardi, Popper scrisse che dal suo
maestro falegname, Adalbert Posch, oltre alla sua arte, imparò forse la più grande filosofia umana. Il vecchio falegname
diceva: "La gente pensa che sia impossibile inventare il moto perpetuo, ma quando sarà inventato la gente
cambierà opinione".
È vero anche nel nostro mondo. Oggi esiste solo una verità, ma se domani le
cose cambiano, l'uomo si abitua. Oggi il mio paese si sta autodistruggendo, e il mio popolo rappresenta agli occhi di tutti il più
"vigliacco" del mondo. Ma domani le cose possono cambiare e il mondo continuerà a vivere come se non fosse
successo niente.
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