© Di Simonetta Po, luglio 2012.
Prima parte - definizioni e carrellata storicaL'argomento "sette" è senz'altro complicato e una delle complicazioni sta nel definire con precisione che cosa vada inteso per "setta". Si direbbe trattarsi di un "termine contenitore" che ognuno riempie con la sua emotività individuale. Lo Zingarelli definisce una setta come un: Gruppo di persone che professano una particolare dottrina politica, filosofica, religiosa e sim., in contrasto o in opposizione a quella riconosciuta o professata dai più.Da queste parole si può desumere che alla base della "setta" ci sia una ideologia non condivisa dalla maggioranza. L'etimologia stessa della parola rimanda a due termini latini: secare [dividere] e sequor [adesione attiva a una fede o a un'idea]. Gli "antisette" Se "setta" è un gruppo che segue e difende dottrine in contrasto o opposizione con quelle riconosciute e professate dai più, gli "antisette" dovrebbero essere coloro che, riconoscendosi nel pensiero di maggioranza, si oppongono al pensiero "deviante", non conforme. La sociologia ha a lungo discusso di forme socializzative e dei concetti di conformità/devianza. Parsons riteneva che la socializzazione fosse strettamente legata al processo di controllo sociale. Per questo i comportamenti non conformi, cioè devianti, possono essere percepiti come patologici (da curare) o criminali (da punire). Altre visioni (es. Luckman e Merton) distinguono tra devianza vera e propria e non-conformismo. Il secondo viene identificato con la ribellione, con la contestazione della cultura di maggioranza allo scopo di cambiarla. Ha a che fare con il conflitto e il mutamento sociale. Il deviante in senso stretto sarebbe invece chi non contesta le norme sociali che viola con il suo comportamento. Breve carrellata storica su "sette" e "antisette" odierni Con il secondo dopoguerra il mondo occidentale vide proliferare una varietà di gruppi di matrice diversa da quella cristiana mainstream, i quali seppero catalizzare lo scontento e l'incertezza soprattutto dei giovani. La Seconda Guerra Mondiale non aveva comportato soltanto la distruzione materiale di intere nazioni, ma anche il crollo di convinzioni e ideologie (es. la perdita di ogni certezza sulla natura razionale dell'uomo): se nonostante la nobiltà della logica aristotelica e del pensiero cristiano mainstream il mondo occidentale era sprofondato prima nel fascismo e nel nazismo, poi in quella guerra e a quel livello di distruzione e di barbarie, allora quelle dottrine andavano abbandonate (o quantomeno modificate). Con l'Europa impegnata nella ricostruzione, quei nuovi gruppi religiosi o filosofici "alternativi" ebbero successo inizialmente soprattutto negli Stati Uniti. Maestri di discipline orientali, rivisitazione e riscoperta di dottrine esoteriche occidentali e mediorientali, cristiani rinati, gruppi di "auto-aiuto" e del "potenziale umano", "figli dei fiori" ed esperienze psichedeliche; il mercato della nuova spiritualità cominciò a prosperare. Mentre i più adulti si rivolgevano ai gruppi di matrice cristiana a forte componente carismatica e al movimento revivalista, i più giovani erano maggiormente attratti da forme del tutto alternative di credenza. I genitori vedevano i loro figli, cresciuti e socializzati nella tradizione religiosa dei padri, cambiare più o meno repentinamente il loro orientamento, abbandonare gli studi e unirsi a gruppi spirituali che loro non comprendevano. I conflitti familiari aumentavano e a volte i giovani tagliavano i ponti con il passato e con la famiglia. Nacquero così i primi gruppi "antisette", fondati da genitori e parenti preoccupati, che vedevano nel gruppo a cui il figlio aveva aderito, ossia nella "setta", la causa di tutto il male. Per loro, quella devianza era patologica e criminogena, quando non apertamente criminale. Andava medicalizzata e contrastata. A quei genitori si unirono presto degli ex membri delusi e arrabbiati che cominciarono a narrare storie di orrori e atrocità. Alcuni autori iniziarono ad applicare a quei nuovi gruppi spirituali, definiti "sette religiose", le teorie della manipolazione-controllo mentale. Secondo loro, quella del "lavaggio del cervello" (plagio) era l'unica spiegazione per la conversione a sistemi di credenza giudicati "assurdi" e "fuori della norma", cioè devianti. Il passo verso la formulazione dell'assunto successivo fu breve: se l'unica spiegazione possibile di quelle conversioni era la coercizione mentale, allora diventava imperativo "salvare" quei ragazzi dalle "grinfie" della "pericolosa setta" che ne aveva fatto delle "prede" per i suoi "loschi propositi". Diveniva urgente aiutare quei giovani a recuperare il "sé-prima-della-setta", la "personalità vera" contrapposta alla "pseudopersonalità", giusto per usare la terminologia cara agli "antisette" (anti-cult). Una pseudo personalità presumibilmente creata dalla "setta" con le sue "sofisticate tecniche di manipolazione mentale", all'unico fine di «sottomettere gli adepti e creare in loro uno stato permanente di dipendenza dal leader del gruppo.» Se la "setta" aveva "plagiato" quei giovani, se li aveva "programmati", allora bisognava "deprogrammarli" affinché rientrassero nella conformità, nel pensiero maggioritario che la "setta" li aveva "costretti" ad abbandonare. Le prime forme di "deprogrammazione" utilizzate in ambito "antisette" erano violente e prevedevano il rapimento e il sequestro della "vittima della setta"; a volte anche abusi fisici e sessuali. I deprogrammatori più noti furono Ted Patrick e Rick Ross. Questa modalità coercitiva venne poi abbandonata in favore di un processo altrettanto persuasivo ma apparentemente meno cruento chiamato "exit counselling", che però mantiene le stesse basi ideologiche della vecchia "deprogrammazione". (Qui un'analisi delle diverse tipologie di "antisette" e dei loro riferimenti teorici e ideologici.) L'applicazione delle teorie del "lavaggio del cervello" e del "menticidio" (plagio) alle "sette religiose", l'allarmismo diffuso dalle associazioni "antisette", i racconti degli ex membri delusi ed episodi oggettivi di orrore come il massacro di Jonestown, oltre al determinante ruolo svolto dai media, portarono con sé un'accezione e percezione sempre più negativa e criminalizzante dei gruppi spirituali genericamente definiti "sette", indipendentemente da ciò che essi realmente facevano o professavano. Se erano "sette", allora facevano il "lavaggio del cervello". Se facevano il "lavaggio del cervello", allora i loro membri erano in assoluto e imminente pericolo e andavano aiutati, salvati, mentre le "sette" dovevano essere monitorate e possibilmente dissolte. Sicuramente stigmatizzate e ostracizzate dall'opinione pubblica. È per questo carattere di crescente negatività e criminalizzazione del termine "setta" (cult) che molti autori, in particolare i sociologi della religione, si batterono per il suo abbandono e l'adozione dei più neutrali "nuovo movimento religioso" e "minoranza religiosa". Seconda parte - il "movimento antisette" e la sua ideologia sbarcano in ItaliaDopo l'esplosione statunitense, i nuovi movimenti religiosi arrivarono anche in Italia e con loro arrivarono le istanze e l'ideologia del "movimento antisette" americano [1]. In Italia, con la denominazione Comitato per la Liberazione dei Giovani dal Settarismo, venne aperto il primo gruppo "antisette" (poi trasformato in Associazione di Ricerca e Informazione sulle Sette, ARIS) a cui cominciarono a rivolgersi genitori preoccupati in cerca di aiuto. E anche in Italia, grazie agli specialisti fatti venire appositamente dall'America, si cominciarono a sequestrare "adepti delle sette" per cercare di "deprogrammarli". È storicamente documentato almeno un caso in cui degli attivisti ARIS cercarono (non riuscendoci) di "deprogrammare" una giovane praticante italiana di Scientology con l'aiuto dello "specialista" americano Ted Patrick. La ragazza denunciò i rapitori; il caso si chiuse con una archiviazione. Frattanto, in America il dibattito tra "movimenti antisette" da una parte e studiosi di nuovi movimenti religiosi dall'altra, vide una escalation. I primi accusavano gli studiosi di essere conniventi e complici delle "sette" perché negavano che il processo di affiliazione ai nuovi movimenti fosse diverso dalla conversione ai gruppi maggioritari, ossia frutto di un convincimento personale; negavano che gli episodi di manipolazione mentale o influenza fossero diversi da quelli riscontrabili in ogni altro gruppo sociale; rigettavano l'ipotesi del "lavaggio del cervello" (plagio); difendevano il diritto di libertà religiosa. Gli articoli di quegli studiosi venivano spesso citati dai movimenti tacciati di essere "sette abusanti" che "plagiavano i propri membri". Agli occhi degli "antisette" e con un tipico ragionamento circolare, questa era la dimostrazione lampante che gli accademici erano "veramente" conniventi con le "sette". Dal canto loro, gli studiosi sostenevano che i movimenti "antisette" erano ascientifici, che non utilizzavano gli strumenti della scienza sociale, che non producevano studi e letteratura scientifici, che risocializzavano chi si rivolgeva a loro a una ideologia non meno totalizzante, che parecchi episodi di deprogrammazione finiti in tribunale avevano evidenziato abusi e violenze non diversi da quelli che gli "antisette" attribuivano alle "sette", che generavano panici morali anche grazie a una stampa desiderosa di "sangue" che loro stessi foraggiavano con racconti dell'orrore, che a volte erano stati i loro comportamenti intransigenti e le loro informazioni fuorvianti a scatenare conflitti, abusi e tragedie: in sostanza, che quei movimenti "antisette" tenevano comportamenti settari. A sostegno delle proprie argomentazioni, gli studiosi produssero una corposa letteratura scientifica: in breve, i gruppi antisette potevano essere definiti "setta antisette" (anticult-cult). La "guerra contro le sette" americana vide la deposizione delle armi solo alla fine anni '90. Gli scienziati sociali ben sanno che il confronto e il dibattito, anche accesi, sono il vero carburante delle loro discipline, che in quanto umane e sociali sono aperte e intellettualmente inclini alla polemica. Non si tratta di accumulo di sapere, ma di un corpus di conoscenze ed esperienze che condividono una base comune e in cui il dibattito è sempre aperto. La proposta teorica non è infallibile, tutto è provvisorio. Alcune visioni possono essere meglio argomentate e meglio esposte e gli stessi fatti, interrogati in modo diverso, possono dare risultati diversi. Se gli studiosi schierati sul campo degli "antisette" sostenevano certe teorie, era loro dovere portare risultati scaturiti da studi fatti secondo i protocolli della scienza sociale. (Nell'ultimo capitolo del libro "Nuove religioni e sette", Raffaella Di Marzio illustra la difficoltà di approntare strumenti di ricerca adeguati e lo stato della ricerca.) A indurre alcuni "antisette" americani a un generale ripensamento fu in particolare l'analisi degli archivi del Cult Awarness Network, resa possibile dalla bancarotta di quella che all'epoca era l'associazione "antisette" più nota e organizzata d'America. A mandare in fallimento l'associazione era stato un caso giudiziario che aveva visto coinvolto un giovane seguace di una congregazione pentecostale rapito e sottoposto a un tentativo di "deprogrammazione" piuttosto violenta. Il tribunale gli riconobbe un sostanzioso risarcimento e condannò i colpevoli, tra cui il CAN [2]. A seguito della dichiarazione di bancarotta, l'archivio del CAN venne messo all'asta e acquistato da un privato, che a sua volta lo mise a disposizione di alcuni studiosi (tra cui Anson Shupe e Susan E. Darnell). I risultati di quell'analisi furono impietosi e permisero di evidenziare una lunga serie di abusi. [3] A partire dalla fine degli anni '90, esponenti della American Family Foundation (oggi ICSA), altra grande associazione "antisette" americana, e del CESNUR (il centro studi fondato dal torinese Massimo Introvigne, che gli "antisette" americani consideravano [e gli europei ancora considerano] "amico delle sette") cominciarono a portare ai rispettivi convegni internazionali le loro relazioni e conclusioni. Al convegno CESNUR di Londra del 2001 la Prof.ssa Eileen Barker della London School of Economics, collaboratrice del CESNUR e fondatrice dell'inglese INFORM, presentò una importante relazione sulla possibile collaborazione tra studiosi e i "Cult-Watching Groups". Da allora, i convegni annuali internazionali dei due istituti vedono la partecipazione attiva e la presentazione di relazioni di "portatori di prospettive e interrogativi diversi"; hanno preso avvio un confronto dialettico e delle forme di collaborazione che non possono che avere effetti positivi sulla conoscenza. E in Italia? In Europa? Anche in questo caso, arriviamo con i soliti due decenni di ritardo. Mentre in America si cominciava a riflettere su un dibattito che aveva sempre più i toni della guerra - perdendo di vista l'obiettivo vero delle scienze sociali - e si iniziavano a deporre le armi, in Europa e in Italia i toni si esacerbavano. Al centro del dibattito, ormai portato dagli "antisette" italiani a livello di organi repressivi dello Stato [4] e della magistratura, siamo ancora fermi alla vecchia diatriba "complici delle sette/setta degli antisette". Note:
1. Questo articolo spiega i collegamenti tra i movimenti antisette americani ed europei e le modalità di importazione delle teorie del "lavaggio del cervello" nel Vecchio Continente.
2. «Nel riconoscere il risarcimento danni a Scott, la giuria fu molto chiara. L'attività principale del CAN, come questo e altri casi avevano rivelato, era fornire ai media e ad altri interessati opinioni false e/o sensazionalistiche sotto forma di "informazione" sulle minoranze religiose. Tutte, o quasi tutte queste "informazioni" erano dispregiative e coerenti con gli obiettivi del CAN: "educare" il pubblico a ritenere che diversi nuovi movimenti religiosi (NRM) sono "sette distruttive", che tutti i loro membri sono perciò "vittime di setta" e "plagiati" e sono pertanto in pericolo, bisognosi di "soccorso". La decisione della giuria [...] fu che il CAN era in realtà una campagna organizzata di odio. Il CAN descriveva le sue attività in modo eufemistico affinché, da una prospettiva di libertà civili, le sue attività apparissero meno immorali. Il motivo per cui il CAN restò coinvolto nella causa Scott fu perché, coerentemente con il suo modello organizzativo, serviva da canale di riferimento verso i deprogrammatori coercitivi (che in seguito il CAN definì "exit counselor") che in cambio di un onorario rapiscono [i seguaci] e durante la [loro] detenzione arringano i familiari all'apostasia religiosa.» Il medesimo procedimento giudiziario vide anche la condanna di Rick Ross, il quale si era occupato del rapimento e del tentativo di deprogrammazione di Scott.
3. Ancora un passo dalla relazione di Shupe e Darnell prima citata:
4. Per esempio con la creazione nel 2006 di una "squadra antisette" della polizia, i cui referenti privilegiati sono i rappresentanti delle "associazioni antisette", i quali a loro volta segnalano alla polizia chi mantiene posizioni diverse dalle loro, si veda per esempio qui, qui, qui.
Terza parte - La mia esperienza personalePer me il 2008 fu un vero spartiacque; gli eventi di quell'anno, a cui accennerò in seguito, mi costrinsero a schiacciare l'acceleratore su una serie di riflessioni iniziate già alcuni anni prima. Io "nasco" come "antisette". C'è stato anche chi, senza conoscermi, senza avermi mai parlato, senza sapere chi fossi e che cosa avessi dentro, mi ha definita "terrorista antisette estremo". Entrata nel mondo di Internet nel 1997, mi imbattei subito in diversi articoli che riguardavano la Chiesa di Scientology, a cui ero stata affiliata per un paio d'anni oltre due lustri prima. Avevo lasciato il movimento perché non mi aveva dato ciò che cercavo. Come molte altre migliaia di persone in Italia e nel mondo, avevo fatto l'esperienza, non l'avevo trovata di particolare utilità - ma sicuramente dispendiosa - e me ne ero andata. Il distacco era stato privo di traumi, non avevo subito particolari pressioni a restare, non ero stata molestata per la mia scelta di dire basta. Però durante i miei quasi due anni di affiliazione avevo subito pressioni di varia natura, il movimento mi era parso avere un volto nascosto, diverso da quello che presentava ai neofiti, avevo visto contraddizioni e altre cose che non mi piacevano. Avevo vissuto effettivi tentativi di farmi modificare la mia visione del mondo e il mio modo di affrontarlo, tentativi che mi avevano infastidita e a cui avevo visto cedere altre persone, forse meno sicure di se stesse di quanto lo fossi io. Quando nel 1997 trovai in Internet tutti quegli articoli in inglese su Scientology, che sembravano dare risposte ragionevoli al disagio che avevo provato durante la mia esperienza, cominciai a condividere quegli assunti e mi convinsi della fondatezza delle accuse di manipolazione e di "plagio". Anche io, per alcuni anni, ho sposato quelle teorie e ho condiviso "l'odio antisette" nei confronti dei cosiddetti "apologeti delle sette". Come ogni "antisette" che si rispetti, anche io avevo le mie "bibbie": i libri di Steven Hassan e di Margaret Singer. La gestione del sito "Allarme Scientology" mi aveva frattanto messa in contatto con molte persone, tra cui anche degli ex membri di Scientology. Se alcuni condividevano la mia impostazione "antisette", altri la criticavano. Fu con loro che iniziai i confronti più serrati e stimolanti. E fu grazie a loro che cominciai a riflettere su molti aspetti dell'affiliazione a gruppi sicuramente autoritari e ad "alte pretese" come Scientology. Le cose non erano così semplici come l'ipotesi "plagio" lasciava a intendere. I miei interlocutori erano senz'altro d'accordo con me sulle pressioni, sui tentativi di manipolazione, sul controllo sociale all'interno del gruppo. Forse in assenza di quelle pressioni la loro piena adesione al movimento sarebbe stata più lenta e ragionata. Le pressioni avevano forse affrettato un percorso che avrebbe richiesto più riflessione, ma la decisione di aderire c'era a prescindere da quelle pressioni, e non si consideravano affatto dei "plagiati". Il motivo per cui avevano aderito a Scientology e avevano proseguito per tempi variabili (in alcuni casi anche parecchio lunghi) non era il "plagio". Il motivo era che per un certo periodo della loro vita, Scientology aveva effettivamente ed efficacemente risposto alle loro richieste e aspettative, aveva dato loro ciò che stavano cercando. Avere la possibilità di confrontarmi con idee ed esperienze moderate fu per me molto importante. Il mondo non era a due dimensioni:
Fu in quei primi anni 2000 che iniziai a leggere con maggior attenzione la letteratura prodotta dai cosiddetti "apologeti delle sette". Nel 2001 decisi di partecipare al convegno organizzato dal CESNUR a Londra ed ebbi modo di ascoltare e di apprezzare parecchie relazioni di quegli studiosi che ancora consideravo "difensori delle sette". (Avevo partecipato anche al convegno CESNUR di Torino del 1998, ma all'epoca ero troppo impreparata per capire anche solo di che cosa si stesse parlando.) Nel 2006 e nel 2007 ebbi occasione, grazie all'ARIS Veneto, di essere presente al convegno annuale della FECRIS - la Federazione Europea che raggruppa i "movimenti antisette" del Vecchio Continente. Ebbi anche modo di presentare una mia relazione, oltre che di guardarmi intorno, di osservare, di ascoltare, di "tastare il polso" dell'ambiente e di fare paragoni con i due convegni CESNUR a cui avevo partecipato nel 1998 e nel 2001. Sempre nel 2007 decisi di partecipare al convegno internazionale ICSA (International Cultic Studies Association) che quell'anno si teneva a Bruxelles. Anche in quell'occasione ebbi modo di guardarmi attorno, di osservare, di ascoltare, di fare paragoni con le precedenti esperienze. Per me quel convegno fu sicuramente illuminante per una serie di motivi, il più importante dei quali era che per la prima volta non avevo l'impressione che si stesse "giocando in casa". Non era certamente un raduno di "apologeti delle sette", come avevo (a posteriori posso dire erroneamente) interpretato i convegni del CESNUR. Ma non era nemmeno un raduno di "antisette" autoreferenziali, come avevo (a tutt'oggi dico giustamente) vissuto quelli della FECRIS. Le opinioni espresse dai vari relatori del convegno ICSA erano le più svariate. Si andava dalle relazioni di studi scientifici congiunti tra dipartimenti universitari europei e orientali, ai racconti di esperienze di prima mano. I relatori non erano soltanto "freddi teorici", ma c'erano anche rappresentanti di enti che operano sul territorio, che stanno "in trincea", a contatto con le problematiche della gente comune. E c'erano i laboratori: spazi speciali riservati agli ex membri e ai familiari. Fu ad uno di essi che per la prima volta sentii parlare di mediazione. Dello sforzo di mediazione che le associazioni potevano fare nei casi di conflitto tra famiglia, seguace di un gruppo "ad alte pretese" e gruppo stesso. E c'erano i dirigenti di alcuni gruppi controversi che potevano muoversi e interagire apertamente, senza bisogno di "infiltrarsi" o di nascondersi. Quel convegno si dimostrò un luogo di incontro e di confronto tra istanze e prospettive diverse. Forte di quella "illuminazione", sull'aereo che mi riportava in Italia maturai una decisione importante. Se volevo anche solo approssimarmi alla comprensione di un mondo così complesso e variegato come quello dei Nuovi Movimenti Religiosi avevo bisogno di maggior conoscenza teorica, di mettere della sana teoria sotto l'esperienza "sul campo" maturata in quegli anni. Le "bibbie anticult" erano sufficienti per chi coltiva il pensiero unico. Ma per me non erano più sufficienti. Ragionai sul fatto che l'unico luogo in cui potevo perseguire una istruzione multidisciplinare e scientifica era l'università. Erano i primi di luglio del 2007; la decisione, sicuramente impegnativa per una donna di 49 anni che aveva smesso di studiare 30 anni prima, era presa. Si trattava solo di scegliere l'indirizzo accademico da intraprendere e di valutare la lunghezza del passo in ragione della gamba. Inizialmente, i due indirizzi più promettenti mi parvero sociologia o psicologia. Ma valutata l'offerta formativa dei vari atenei non troppo lontani da casa, decisi di abbandonare i propositi iniziali e di scegliere "Scienze dell'Educazione" dell'Università di Modena e Reggio Emilia. Il programma comprendeva diversi esami di psicologia, di sociologia, di pedagogia, di criminologia, di antropologia, di storia, di diritto, ecc., una infarinatura di tutte quelle scienze umane e sociali fondamentali per allargare i propri orizzonti. Nel 2010 ho conseguito la laurea triennale. Gli studi fatti in quei tre intensissimi anni mi hanno fatto capire che ciò che mi interessava veramente non erano la sociologia, la psicologia, la pedagogia. Erano piuttosto l'antropologia culturale e sociale. I nuovi movimenti religiosi sono a tutti gli effetti dei gruppi sociali e culturali che preferivo approcciare con la "cassetta degli attrezzi" propria delle discipline antropologiche: l'osservazione partecipante, la ricerca qualitativa, la comparazione, la traduzione, l'interpretazione. Oggi sono iscritta al corso specialistico di antropologia del mondo contemporaneo. Più studio, più mi rendo conto di quanto poco so, di quanto avevo la presunzione di sapere con quel paio di "bibbie" anticult e autoreferenziali. In fondo, la lezione più importante che ho appreso in questi anni di università, dal confronto continuo con docenti, saperi diversi e giovani colleghi è proprio questa: l'ignoranza è una pessima consigliera ed è motivo di intolleranza e di settarismo. È la nostra stessa storia di genere umano a dircelo. Là dove c'è ignoranza, c'è settarismo. C'è divisione, ci sono rifiuto e ostracismo dell'altro, di chi porta idee diverse. C'è xenofobia. Conoscere non significa giustificare, scadere in un relativismo culturale che tutto accoglie. Significa piuttosto cercare di comprendere e anche la possibilità di criticare ciò che si è cercato di comprendere, ma che non si condivide. Quarta parte - La "setta antisette" italianaIn anni recenti, anche in Italia si è cominciato a (ri)parlare di "setta antisette". Il primo a riportare in auge il termine fu forse Mario Aletti, psicologo della religione, nel 2008. Come ho scritto nella terza parte, per me il 2008 fu un vero spartiacque. La primavera si annunciò con un fatto per me inaudito, incomprensibile, impensabile. A fine marzo di quell'anno, la Dott.ssa Di Marzio, studiosa di fama internazionale di nuovi movimenti religiosi, venne inquisita e si vide porre il suo sito sotto sequestro giudiziario. Il motivo? Aveva iniziato uno studio preliminare su quel che restava di Arkeon, un movimento che i media e gli "antisette" italiani dipingevano come la più estesa psicosetta mai esistita in Italia [1] e sui cui dirigenti la Procura di Bari aveva aperto un'indagine. (La studiosa è stata poi totalmente scagionata e il suo fascicolo archiviato per infondatezza di notizia di reato; recentemente è stata emessa la sentenza di primo grado del processo che ha visto coinvolti diversi dirigenti del movimento Arkeon). Alcuni mesi prima avevo approntato una pagina di "Allarme Scientology" in cui invitavo i miei lettori a fare una piccola donazione a una delle associazioni che elencavo (tra cui ARIS, CeSAP, FAVIS e alcune altre). Avevo infatti ricevuto parecchie offerte di contributo per la gestione del mio sito e avevo ritenuto più opportuno dirottare quelle offerte sulle "associazioni di aiuto". Fu in virtù della disponibilità che avevo loro dimostrato, e dei rapporti di cordialità e collaborazione che da anni intrattenevo con alcune di loro, che alla notizia del procedimento contro la Di Marzio inviai una mail per informarle dell'accaduto, invitandole a esprimere la loro solidarietà pubblica alla studiosa. A fronte di otto associazioni contattate, mi risposero in due (nessuna tra quelle appena citate). Entrambe mi dissero che per prendere una decisione di quel tipo dovevano convocare l'assemblea dei soci. La risposta mi lasciò perplessa perché sapevo che nessuna di quelle organizzazioni ha un numero tale di soci da necessitare di un'assemblea. Si tratta infatti di associazioni a gestione pressoché familiare dove le decisioni vengono prese dai fondatori/dirigenti. In quel periodo si stava poi finendo di organizzare il convegno internazionale FECRIS di Pisa alla cui realizzazione avevo anche io contribuito, nel mio piccolo. Nei diversi mesi precedenti mi ero infatti prestata come traduttrice e interprete, e al convegno avrei avuto qualche mansione di accoglienza; un aiuto che mi sentivo di offrire alle associazioni italiane che promuovevano l'incontro. Nei giorni immediatamente successivi il provvedimento contro la Di Marzio mi incontrai con alcuni esponenti delle associazioni a cui rinnovai l'invito a pronunciarsi su quell'evento gravissimo. La risposta mi lasciò sconcertata: a loro dire, la Di Marzio se l'era cercata; sapeva che quel gruppo era una "setta pericolosa", che era sotto indagine, che la magistratura aveva "sciolto il gruppo" e lei non si sarebbe dovuta impicciare; l'aveva fatto e s'era presa il dovuto. Fine del discorso. Feci presente che esistono un paio di articoli della Costituzione (17 e 18) decisamente in contrasto con quanto mi stavano dicendo e chiesi se per caso qualcuno avesse visto con i suoi occhi quell'ordine di scioglimento del movimento, ma nessuno l'aveva visto. Basavano le loro affermazioni su quanto riferito dalla Dott.ssa Tinelli del CeSAP la quale, mi dissero, stava collaborando con la Procura di Bari per "incastrare" Arkeon. Feci altre domande per saggiare la loro conoscenza diretta di quel caso e del gruppo stesso, di cui mai avevo sentito parlare in precedenza. La fonte era una sola, quella già citata. Feci presente che le accuse contro la Di Marzio erano surreali e parossistiche: la si tacciava infatti di essere la "guru in pectore" del gruppo, di averlo "ricompattato", di essere parte di una "associazione per delinquere" finalizzata a una serie di delitti infamanti, di avere intimidito i testimoni e altro ancora. Quand'anche la studiosa avesse sbagliato a partecipare a un incontro (lecito) con alcuni affiliati ad Arkeon e le loro famiglie, ciò non giustificava quel tipo di accuse e il sequestro giudiziario del suo sito. Ma mi trovai davanti il classico muro di gomma. Sembravano incapaci di distinguere i diversi piani del discorso. Sapevo da anni che la Di Marzio era malvista in certi ambienti. Infatti, nel 2000 la studiosa aveva lasciato il GRIS, l'associazione "antisette" dei vescovi italiani di cui per anni aveva gestito il capitolo romano. Sempre in quell'anno, aveva accettato la proposta di collaborazione del CESNUR per la redazione della Enciclopedia delle Religioni in Italia. Negli anni successivi aveva continuato a collaborare, aveva portato relazioni ai convegni internazionali CESNUR, aveva partecipato a iniziative congiunte con Introvigne (fondatore del CESNUR). In ambito "antisette" Introvigne viene considerato un "amico e complice delle sette", a loro volta rappresentate come un "cancro sociale".[2] Agli occhi di alcune persone, collaborare con lui significa essere come lui e guadagnarsi il medesimo stigma. Per questo motivo, la Di Marzio era passata in breve tempo da "eroina dell'antisettarismo" (per gli articoli molto critici che aveva scritto su Introvigne) a "amica delle sette" (per aver accettato di collaborare con lui). Da anni in ambiente "antisette" circolavano chiacchiere e pettegolezzi maligni su di lei. In quegli anni, mi ero vista costretta più volte a dover difendere la mia scelta di non ostracizzarla, di non unirmi al coro di cattiverie e pettegolezzi, di mantenere immutata la stima nei suoi confronti. I discorsi "amico/nemico" non mi sono mai piaciuti. Se considero qualcuno un nemico significa che è in corso una guerra e se qualcuno è "amico" del mio "nemico" allora dovrei considerare nemico pure lui. Allo stesso modo, dovrei considerare amico il "nemico del mio nemico", indipendentemente da tutto il resto. Se qualcuno mantiene posizioni su cui non concordo non per questo lo considero un nemico. Posso al più confrontarmi dialetticamente, contestare quelle posizioni e, trattandosi di un campo - quello delle "sette" - in cui tutti a nostro modo ci sentiamo esperti di qualcosa, allora quel confronto deve essere portato in un'arena comune: ad articolo si controbatte con un articolo, come aveva appunto fatto la Di Marzio con Introvigne e in altre circostanze. Ma quando chiedevo ai rappresentanti delle associazioni "antisette" che cosa di preciso contestassero alla Di Marzio (o a Introvigne), su quali articoli o passaggi si trovassero in disaccordo e per quale motivo, calava il silenzio. Nessuno sembrava essersi nemmeno preoccupato di leggere i loro libri o articoli. Introvigne aveva criticato il "movimento antisette", perciò veniva considerato un "amico delle sette" e un loro nemico. La Di Marzio era sua "amica" e questo chiudeva il cerchio. Nei mesi successivi al marzo 2008 e negli anni a venire, accaddero parecchie altre cose spiacevoli e inquietanti, troppo lunghe da elencare qui. Ma la questione "Di Marzio", l'approvazione di quell'abnorme avviso di garanzia visto come giusta punizione per essersi impicciata, i silenzi sempre più numerosi e assordanti in merito a certe questioni, l'ostracismo crescente nei miei confronti e, per finire, un documento ufficiale di fine 2008 in cui i dirigenti di un paio di associazioni presentavano in modo del tutto erroneo e fuorviante, direi menzognero, un certo evento della primavera precedente, mi spinsero a riflettere sul significato del termine "setta" e a chiedermi se, per caso, non avessi anche io a che fare con una "setta": quella degli "antisette".
Note:
1. «Potrebbero essere decine e decine le vittime nella provincia di Fermo», Maurizio Alessandrini; «Arkeon: un caso esemplare di 'psicosetta' in Italia», Lorita Tinelli; «una delle sette più attive in Italia, Arkeon», Carmine Gazzanni.
2. Così definite da Maurizio Alessandrini, presidente e fondatore della FAVIS, in una intervista del settembre 2011. Quinta parte - Le credenze della "setta antisette" italianaHo aperto il primo articolo di questa serie con la frase: "definire con precisione che cosa vada inteso per "setta" pare un compito impossibile." Per parte mia, "setta" è quel gruppo organizzato di persone legate da una forte ideologia e da obiettivi comuni che mantiene un comportamento caratterizzato da chiusura verso l'esterno, controllo verso l'interno e da una difesa intransigente dello status quo. Con questo intendo la difesa ad oltranza e dogmatica della propria ideologia, la resistenza estrema al cambiamento, l'insofferenza alla critica, l'esclusione sistematica e ostracizzante di portatori di critica e di potenziale cambiamento, una visione fortemente polarizzata del mondo che viene diviso in "buoni" (quelli come noi, che condividono in modo totale e acritico la nostra ideologia) e in "cattivi" (tutti gli altri). Per mantenere questo status quo è necessario esercitare controllo sociale interno e mantenere uno stato di guerra permanente con chi, all'esterno, ha idee diverse. Non ultimo, partire dal presupposto che il fine giustifica i mezzi. Se noi siamo i buoni, se la nostra ideologia è l'unica giusta e si concretizza in "azioni di aiuto" verso le "vittime" o in qualsiasi altra missione salvifica, allora propugnare quell'ideologia e difenderla diventa il fine superiore e ultimo, per cui ogni mezzo per portare avanti la nostra missione è giustificato. Tale comportamento non è riscontrabile unicamente nei gruppi a matrice religiosa, ma in parecchi gruppi sociali. A "fare setta" non è l'etichetta surrettiziamente apposta da qualcuno, ma come quel gruppo si relaziona al suo interno e con il mondo esterno. Gli anni di collaborazione con un certo milieu associazionistico "antisette" italiano, l'osservazione di quell'ambiente e del suo modo di operare (in particolare gli eventi dal 2008 in poi), mi avevano spinta a chiedermi se, per caso, non avessi anche io a che fare con una "setta", quella degli "antisette". Come abbiamo visto, l'etimologia stessa della parola "setta" implica due tipi di comportamento: sequor [adesione attiva a una fede o a un'idea] e secare [dividere]. In base alla mia personale esperienza, l'associazionismo "antisette" italiano li tiene entrambi. - Adesione attiva a una fede o a un'idea, cioè a una ideologia [sequor] L'ideologia propugnata dagli "antisette" si basa su due cardini:
In che modo viene apposta l'etichetta di "setta abusante"? Avvalendosi unicamente dei "racconti dell'orrore" di alcuni ex membri e delle preoccupazioni dei familiari che si rivolgono alle "associazioni antisette". Wilk sostiene che «Un'ideologia si dimostra molto più specifica di un insieme generale di valori e comprende affermazioni logiche reali sul mondo. La trasformazione di tali affermazioni in ideologie avviene nel momento in cui gli individui le accettano come fatti, benché si tratti soltanto di verità parziali e relative.» [1] I racconti dell'orrore di alcuni ex membri e le preoccupazioni dei familiari possono certamente essere veritieri, ma in questo caso si tratta di verità parziali e relative. Possono però anche essere falsi, e talvolta nascondere motivazioni diverse che non vengono rivelate. Sulla credibilità di ex membri e familiari preoccupati sono stati scritti fiumi di inchiostro. Con questo non si vuole negare che si verifichino abusi e violenze (a volte estremi) o che alcuni genitori non manifestino preoccupazioni legittime, ma solo sottolineare che non TUTTI coloro i quali si rivolgono alle associazioni sono sinceri o credibili. La natura reale di un gruppo sociale può essere conosciuta solo con metodi di analisi che tengano conto di una pluralità di fattori e di variabili. Apporre su base puramente ideologica e parziale l'etichetta di "setta abusante" a un gruppo intero è esso stesso un abuso che può portare con sé conseguenze gravi sia di stigma sociale, sia a livello relazionale e psicologico per chi si vede accusato ingiustamente di qualcosa. Ben sappiamo quanto la stampa può essere famelica quando sul piatto vengono messe parole come "setta", "psicosetta", "setta satanica", "sesso", "abusi sessuali", "abusi sui minori". - Dividere [secare] Il comportamento teso alla divisione, alla separazione, all'ostracismo viene tenuto a più livelli. Forti della loro ideologia, le associazioni "antisette" appongono l'etichetta infamante di "setta abusante" a interi gruppi sociali. Trattandosi di "setta abusante", quel gruppo deve allora essere espulso, separato dalla società che invece va protetta; le "vittime" lo sono di tutto il gruppo e devono essere "portate via", "tirate fuori", divise dalla loro congregazione. Molto significativa a questo proposito è la risposta della Dott.sa Tinelli, presidente del CeSAP, a una signora che le chiedeva aiuto: «Di questo gruppo non ho mai sentito parlare. Ma stia tranquilla, sua sorella la tireremo fuori...» [2] Una ideologia che considera "plagiato" ogni membro di un gruppo alternativo porta con sé il tentativo di convertire a tale visione anche i parenti preoccupati che si rivolgono alle associazioni, con il serio rischio di ingenerare conflitti e divisioni in famiglia. Inoltre, chi viene considerato "settarolo" non merita neppure di essere ascoltato, perché visto come un portatore o diffusore di "cancro sociale" . È qualcuno da cui tenersi alla larga, con cui non mescolarsi. Significativi a questo proposito il rifiuto dell'ARIS di incontrare Pietro Bono (affiliato ad Arkeon) [3] e la reazione degli "antisette" all'intervista rilasciata da Fabio Alessandrini, figlio dei fondatori della FAVIS, i quali da anni sostengono che il figlio è stato plagiato da una "santona". Come abbiamo visto nel "Caso Di Marzio", la medesima chiusura si manifesta nei confronti di chi sollevi critiche sull'operato degli "antisette". Si tratti di studiosi o di semplici cittadini, essi vengono subito etichettati come "amici delle sette". È un facile slogan che ferma sul nascere ogni voglia di riflessione, di approfondimento, di confronto diretto e ancora una volta divide il mondo in "amici" ("chi la pensa come noi", i buoni) e "nemici" (gli "amici delle sette", i cattivi). Alcune settimane fa il sito "Libero Credo" ha pubblicato una "lettera segreta" molto interessante scritta dal Forum delle associazioni ecc. (ARIS, FAVIS, CeSAP) a tre senatori della Commissione Giustizia che si sta occupando del disegno di legge sulla reintroduzione del reato di plagio. La lettera contiene alcuni elementi degni di nota:
Benché auspichino «un confronto aperto e sereno», le associazioni evitano di scendere nell'arena del confronto pubblico (scientifico e dialettico) e, a differenza degli studiosi che stanno criticando, non fanno mettere ai pubblici atti il loro pensiero. Al contrario, preferiscono lamentarsi in privato con persone di cui al più possono solleticare l'emotività, ma che non sono studiosi di funzionamento e dinamiche dei gruppi, in particolare dei gruppi religiosi. Nella lettera le associazioni ritengono che «simili intransigenti posizioni [quelle degli studiosi] non siano certo di aiuto a un dialogo proficuo e dunque alla corretta comprensione del fenomeno settario». La dimostrazione che loro, in quanto Forum, non mantengono affatto "posizioni intransigenti" la si trova in altre due lettere inviate ai Commissari e, in copia, alla Squadra Anti Sette della Polizia di Stato di cui sono i referenti privilegiati. Nella prima denunciano «il verificarsi di fatti gravissimi»: Fabio Alessandrini, figlio del portavoce del Forum delle associazioni ecc., aveva appena rilasciato una intervista TV in cui esponeva il suo punto di vista (nettamente contrastante con i racconti del padre). Quella intervista era stata stata caricata su YouTube e linkata da più siti internet; anche la sottoscritta si era permessa di consigliarne l'ascolto, perché il minimo che si possa fare se ci si vuole approssimare alla «corretta comprensione del fenomeno settario» è ascoltare tutte le voci. Nella seconda lettera ai medesimi destinatari, il Forum delle associazioni ecc. si lamenta del fatto che la Dott.ssa Di Marzio ha pubblicato sul suo blog un messaggio di Fabio Alessandrini e gli ha addirittura risposto... La reazione di chi auspica «un confronto aperto e sereno» e «un dialogo proficuo» è stata quella di chiedere alla polizia di indagare su ciò che paventano come un «concorso [...] tra i soggetti sopra menzionati», il cui «intento manifestamente diffamatorio e lesivo, si configurerebbe [...] anche quale inequivocabile condotta preventivamente orchestrata [...] mettendo in luce [...] una delle consuete strategie d'azione attuate da gruppi cultistici abusanti e/o da soggetti a essi legati, nonché da coloro che [...] ne sostengono alcune finalità.» Ed ecco riapparire il vecchio ritornello "amici e complici delle sette" già visto in precedenza. Chi si permette di criticare l'operato e l'ideologia di quelle associazioni viene presentato come un deviante ("gruppi cultistici abusanti" e "soggetti a essi legati") che non merita ascolto, che va separato dalla "società civile" (rappresentata in questo caso da Senatori della Repubblica e da organi dello Stato) e perseguito dagli organi di polizia (la Squadra Antisette). Ancora in tema di «confronto aperto e sereno» e di «dialogo proficuo» che sia di aiuto «alla corretta comprensione del fenomeno settario», vanno senz'altro citate le conferenze e i convegni organizzati ogni anno a livello nazionale e internazionale, e i contributi ad essi apportati dai rappresentanti "antisette". Le associazioni si attivano per organizzare conferenze, per esempio quelle di Aosta, di Mestre, di Nichelino, di Pescara, di Bari. Ma più che "a tema", si tratta di conferenze monotematiche e autoreferenziali, in cui i relatori condividono tutti la stessa ideologia e perseguono i medesimi obiettivi. Ogni anno la FECRIS organizza un convegno internazionale, momento di incontro per tutte le associazioni "antisette" federate. Ho partecipato a tre di essi: Bruxelles 2006, Amburgo 2007, Pisa 2008. L'ingresso a questi eventi è riservato unicamente alle associazioni e ai loro invitati; i relatori provengono unicamente dall'ambiente "antisette". Ricordo che un noto studioso italiano nel 2008 avrebbe voluto partecipare, ma le associazioni nazionali rifiutarono di estendergli l'invito in quanto affiliato a una associazione percepita come concorrente e non lo volevano a "curiosare". Ho partecipato a tre convegni ICSA (International Cultic Studies Association) che, data la sua storia, non può certo essere definita "amica delle sette": nel 2007 a Bruxelles ero l'unica italiana; nel 2009 a Ginevra, benché fosse stata organizzata una sezione interamente in italiano, nessun rappresentante delle cinque associazioni che compongono il Forum ecc. ritenne di partecipare. Lo stesso avvenne a Roma nel 2010. Ma sono proprio la partecipazione a quel tipo di convegni e la presentazione di proprie relazioni che permettono il «confronto aperto e sereno» e il «dialogo proficuo» che insieme portano alla «corretta comprensione del fenomeno settario», non certo il rinchiudersi nella propria realtà autoreferenziale dove ci si dà ragione a vicenda e si sbarra il passo a prospettive diverse. L'esperienza personale maturata in certi ambienti - sia in Scientology 30 anni fa, sia in ambito "antisette" in periodi più recenti - la riflessione sul significato etimologico della parola "setta" e l'osservazione di alcuni comportamenti e atteggiamenti, mi fa concludere che, anche in Italia, si può parlare di una "setta antisette". Capisco che a un certo associazionismo o ai suoi singoli attivisti possa non piacere essere definiti "setta", ma è la stessa Dott.ssa Tinelli, presidente del CeSAP, a insegnarci che: Il termine setta deriva dal latino secare (separare) e sequor (seguire) [qui] Note: 1. Richard Wilk, Economie e culture, Bruno Mondadori. 2. Nel secondo articolo di questa serie, alle note 2 e 3, ho riportato alcuni passaggi di una relazione di Anson Shupe sulla forma mentis e il modus operandi degli operativi del CAN, una delle maggiori "associazioni antisette" americane chiusa per bancarotta alla fine degli anni '90. La forma mentis dimostrata dalla Dott.sa Tinelli nella sua risposta sembra ricalcare quella del CAN. Lo stesso sembra fare anche Maria Pia Gardini, altra visibile esponente dell'associazionismo "antisette" italiano, che in una intervista RAI ha dichiarato: «Da quando sono uscita da Scientology io mi sono dedicata ad aiutare le persone a uscire [...] io finora ho tirato fuori 52 persone. È quello che io farò fino a che avrò un attimo di respiro.» Ecco che cosa scrisse Shupe: «È noto che quando Kathy Tonkin, madre di tre figli pentecostali per cui era in cerca di deprogrammazione, contattò il CAN, né il capo deprogrammatore ed "esperto biblico" Rick Ross né alcun altro al CAN avevano mai sentito parlare della Tabernacle Life Church. Ma la faccenda si dimostrò irrilevante poiché il CAN disponeva di una rete infinitamente ampia atta a monitorare le possibili "sette" e, con spirito imprenditoriale, dava per scontato che la maggioranza dei gruppi su cui riceveva richieste di informazioni giustificasse "l'intervento" [la deprogrammazione o "exit counseling"] a favore delle famiglie. [...] [Il ragionamento sottostante] sembrava essere: "Tutti i gruppi che ci vengono segnalati, o che danno fastidio a qualcuno, richiedono un intervento". Il risultato fu una stagione [di caccia] aperta non solo ai nuovi movimenti religiosi, ma a qualunque organizzazione lasciasse presupporre una disciplina accettata con entusiasmo, 'auto-maestria', 'auto-miglioramento', 'auto-sostentamento' e che mantenesse credenze spirituali profonde.» 3. Si veda anche qui. Qualche anno fa segnalai a un dirigente di "associazione antisette" l'interessante blog di Pietro Bono e le sue riflessioni sempre pacate, puntuali e documentate. È lecito non condividere le sue conclusioni, ma resta un materiale interessante che per un operatore del settore è doveroso conoscere. Il dirigente mi rispose che lui non aveva tempo da perdere nella lettura del "blog di un settarolo". Sesta parte - AiutoDefinizione della parola aiuto del Grande Dizionario Italiano (UTET): intervento a favore di qualcuno o qualcosa in difficoltàverbo aiutare: fare oggetto di aiuto o di assistenza, agevolare, favorire.Come per la parola setta anche aiuto e aiutare si direbbero dei "termini contenitore" che ognuno riempie con le proprie credenze e la propria emotività. Le dottrine dei Nuovi Movimenti Religiosi, al pari dei "vecchi", contengono messaggi di aiuto e speranza che si potrebbero riassumere con un: Alla fine del tunnel [qualunque esso sia, e quale sia il tuo tunnel lo sai tu] c'è la luce. Forse ora non sei in grado di vederla, ma noi ti aiutiamo a raggiungerla. Il nostro compito è assisterti nell'impresa, accompagnarti, educarti.La "morfologia" del tunnel e il percorso per uscirne è ciò che differenzia le varie dottrine spirituali e religiose e le relative prassi. Alcune ci sono familiari perché rimandano alle forme a cui siamo già stati educati e socializzati, a messaggi salvifici noti e, come tali, accettabili e condivisibili. Altre non appartengono alla nostra cultura e ci paiono assurde, bizzarre, ridicole, incredibili. Ma è innegabile che alla base di quelle dottrine c'è un messaggio di aiuto. Il medesimo messaggio di aiuto è riscontrabile nei gruppi del potenziale umano (dagli antisette definiti "psicosette"), in cui la componente spiritual-religiosa è assente o celata agli occhi del neofita, tanto da non risultare immediatamente evidente. Nel primo articolo di questa serie ho accennato a Parsons, secondo il quale i processi socializzativi sono strettamente legati al controllo sociale. Per mantenersi e riprodursi, la struttura sociale necessita di norme che la tengano insieme. Ognuno di noi interiorizza quelle norme grazie al processo socializzativo svolto in prima battuta dalla famiglia e, in seconda, dalla scuola e da altre agenzie, per esempio quelle religiose e morali di riferimento. Il controllo sociale consiste essenzialmente nel sanzionare i comportamenti devianti (che potrebbero rompere l'equilibrio della struttura) e nell'allontanare o espellere chi li tiene. Sempre nel primo articolo, ho riportato la definizione di setta come di un gruppo di persone che professano una particolare dottrina politica, filosofica, religiosa e sim., in contrasto o in opposizione a quella riconosciuta o professata dai più. Ogni setta, però, è un gruppo sociale dotato di una sua cultura, di una sua struttura e di sue norme interne condivise dagli appartenenti, che a loro volta considereranno devianti le istanze non conformi. Più un gruppo mantiene una ideologia forte e dogmatica, più numerose saranno le norme, maggiori le richieste di conformismo e il controllo sociale. La devianza e il conflitto porterebbero alla disgregazione del gruppo, che già si trova a dover fronteggiare una cultura di maggioranza che invece il gruppo contesta o a cui si oppone. Abbiamo così che se il messaggio iniziale di aiuto è il più appariscente, sarà comunque inevitabilmente accompagnato da richieste più o meno forti di conformismo, dalla convinzione di essere circondati da nemici, dalla chiusura verso l'esterno. Quanto maggiori saranno queste richieste, convinzioni e chiusure, tanto più noi percepiremo quel gruppo come intransigente e settario. Ciò che fa setta, pertanto, è il modello relazionale esistente tra gli aderenti e verso l'esterno, non un'etichetta apposta ex cathedra da chi considera deviante il messaggio salvifico non mainstream. È innegabile che anche tra i Nuovi Movimenti Religiosi troviamo modelli relazionali settari, così come li riscontriamo in altri raggruppamenti sociali. Ma non si tratta di modelli necessariamente criminali o criminogeni; per alcune persone essi possono addirittura rappresentare un'ancora di salvezza, un modello che permette loro di funzionare adeguatamente in una società pluralista sempre più ricca di proposte, di richiami, di offerte che le lasciano frastornate. Rapporti asimmetrici, direttività e relazioni di dipendenza non sono necessariamente patologici. È chiaro, e su questo c'è il più ampio consenso, che se all'interno di un gruppo si commettono dei reati, quei reati vanno sanzionati. Ma all'interno dei NMR non si commettono più reati di quanti se ne commettano in altri gruppi sociali. È invece più probabile la presenza di codici morali diversi che determinano certi comportamenti, i quali potrebbero essere giudicati immorali dalla mentalità dominante. La morale è strettamente legata alla cultura, all'insieme di credenze. Tuttavia, tra immorale, pericoloso e illegale c'è differenza. Uno dei leit motiv degli "antisette" è che l'interesse deve concentrarsi sui comportamenti, non sulla credenza - che in virtù del concetto di political correctness andrebbe sempre rispettata. È convinzione condivisa, però, che i comportamenti giudicati immorali (un esempio su tutti, l'omosessualità) siano anche pericolosi e vadano contrastati. Tuttavia, noi viviamo in una società liberale sempre più pluralista, sempre più complessa, sempre più attraversata da istanze e traiettorie diverse; per poter razionalizzare la presunta pericolosità di certi comportamenti si deve perciò ricorrere alla ideologia come definita da Wilk (vedi quinta parte) cosicché l'opinione pubblica si convinca della necessità di contrastarli. E c'è un ulteriore problema: credenza e comportamento sono strettamente collegati e li si possono comprendere soltanto se analizzati assieme. Di "prelogica e logica classica" secondo Lévy-Bruhl ho già parlato altrove. Altri studiosi si sono interessati alle credenze altrui in relazione ai comportamenti: Malinowski sosteneva che per comprendere l'azione sociale degli individui fosse necessario osservare il loro mondo con i loro occhi, principio alla base dell'osservazione partecipante. Evans-Pritchard ha dato un grosso contribuito teorico alla comprensione dell'altro, del diverso, nel suo famoso libro Stregoneria, oracoli e magia tra gli Azande. In esso l'autore analizza la struttura del pensiero magico del popolo stanziato tra gli attuali Congo e Sudan studiato alla fine degli anni '20 del '900. Evans-Pritchard giunse alla conclusione che il pensiero zande ha una sua coerenza interna: date certe premesse si hanno determinate conseguenze. Restava il problema di capire perché, pur dimostrandosi razionali nelle incombenze quotidiane, gli Azande potessero fondare i loro ragionamenti su premesse logiche chiaramente errate. Secondo l'autore il problema della razionalità non andava posto nell'alternativa vero/falso, ma in termini di coerenza interna di ogni sistema di credenze. In questa prospettiva, conoscere la credenza dei NMR è essenziale per comprendere il comportamento dei loro membri e dargli un senso. Anche la cosa più apparentemente assurda diviene così comprensibile dal loro punto di vista e cadono parecchie ipotesi "plagiarie" che pretenderebbero di spiegare univocamente certi comportamenti. La sostanza ultima degli autori citati e di altri etnologi è che dobbiamo liberarci dall'etnocentrismo che ci porta a considerare sbagliato, assurdo, primitivo, pericoloso - e quindi sanzionabile - ciò che non rientra nei nostri modelli e nei nostri schemi culturali e morali. Sebbene Malinowski, Lévy-Bruhl, Evans-Pritchard scrivessero di cosiddette "società primitive", il loro approccio può essere utilizzato per cercare di comprendere i gruppi sociali contemporanei di minoranza. Questo sforzo non nega il diritto di sottoporre ad analisi critica [1] i codici morali e le norme altrui; dibattito e maggior conoscenza portano a una migliore comprensione, a più tolleranza, a meno intransigenza e paura del diverso. Come abbiamo visto nei capitoli precedenti, l'associazionismo "antisette" non si è generalmente dimostrato più bendisposto alla critica [1] dei suoi codici morali, meno chiuso e dogmatico, meno dotato di una ideologia forte e intransigente di quei gruppi a cui appone l'etichetta di "setta". Così come le "sette", anche quel tipo di associazionismo offre aiuto e si è dato una missione salvifica strettamente collegata alle sue credenze, le quali dimostrano di avere una coerenza interna. Come per gli Azande studiati da Evans-Pritchard, «date certe premesse si avranno determinate conseguenze.» Se si mantiene la credenza che le "sette" plagino i loro membri, abbiano inevitabilmente dei "fini loschi" e una lunga scia di "vittime", la forma di aiuto offerta consisterà nel "tirarle fuori da quella trappola" mentre la missione salvifica sarà il mettere in guardia parenti preoccupati e opinione pubblica sui pericoli che tali "sette" rappresentano per l'individuo e la società. Si tratta di un'opera di convincimento e di socializzazione alle proprie credenze comune a tutti i gruppi sociali. Psicologia e sociologia ci insegnano che l'opera di convincimento può consistere nell'analisi razionale e completa dei fatti oppure nel tentativo di persuasione, che è quel processo manipolativo che, aggirando la ragione, fa appello all'emotività. In questo senso, il discorso di un certo associazionismo "antisette" non sembra diverso da quello dei gruppi che esso considera "sette". Tende infatti a far leva sulle paure e su un presunto allarme sociale; a sottolineare la sua funzione di aiuto, il suo ruolo sociale positivo e di denuncia, la sua base volontaristica e quindi intrinsecamente "buona"; a presentarsi "sotto attacco continuo", "attacco" portato a dimostrazione del fastidio dato "ai cattivi" e perciò della bontà del proprio operato; a esibire riconoscimenti istituzionali (es. qualche patrocinio pubblico, qualche appoggio politico o l'essere assurti al ruolo di informatori privilegiati e collaboratori della Squadra Anti Sette della Polizia) a garanzia del proprio operato, ecc. [2] Tuttavia così come succede con i movimenti controversi, anche nel caso dell'associazionismo "antisette" è generalmente arduo riuscire a capire dall'esterno quale sia la forma di aiuto realmente offerta alle varie tipologie di richiesta. La parola aiuto è già in sé un "termine contenitore" che ognuno di noi riempie con il suo personale portato emotivo. Se uno aiuta e offre aiuto, allora siamo automaticamente indotti a pensare che faccia intrinsecamente del bene. Benché alcune associazioni "antisette" affermino di ricevere annualmente centinaia se non migliaia di richieste di aiuto, esse non forniscono dati che ci permettano di capire in che cosa è consistito l'aiuto dato e per quali motivi siano state contattate. Lo specchietto riportato nel libro Nuove religioni e sette ci dice che nel periodo in cui l'autrice (Raffaella Di Marzio) gestì il centro di ascolto romano del GRIS (1998-2000) arrivarono 315 richieste di aiuto da parte di familiari e seguaci (57,3%), 147 richieste di informazioni (26,7%) e 88 richieste o segnalazioni varie (16%). Le richieste di aiuto e informazioni provenivano in maggioranza da parenti e amici preoccupati; una minoranza da seguaci ancora affiliati che avevano maturato dubbi; pochissime da persone bisognose di aiuto dopo l'uscita. Inoltre, le 315 chiamate in tre anni non erano richieste "singole", cioè di persone diverse, perché le stesse persone chiamavano più volte. Dunque il numero di richieste d'aiuto per anno non era di un centinaio, ma solo di qualche decina. Ormai da 15 anni gestisco il sito "Allarme Scientology". Nonostante io non offra alcuna forma di aiuto o consulenza, sono state molte le persone che nel tempo mi hanno scritto. Non ho tenuto statistiche sulle loro motivazioni, ma direi di poter confermare la tendenza illustrata dalla Di Marzio salvo che per gli ex affiliati, che mi hanno contattata in discreta misura. A me non scrivono per cercare aiuto, quanto piuttosto per "fare quattro chiacchiere", per scambiare punti di vista su un'esperienza comune, per commentare gli articoli che pubblico. Essendo un sito che offre informazioni sul movimento hubbardiano, ricevo meno richieste in quel senso e più contatti di persone desiderose di scambiare opinioni. Dall'esperienza personale e da quella riferita dalla Di Marzio, direi di poter ragionevolmente dedurre che le richieste ricevute dall'associazionismo "antisette" italiano si posizionino in modo analogo.
Note:
1. Zingarelli, criticare: esame a cui la ragione sottopone fatti e teorie per determinare in modo rigoroso certe loro caratteristiche.
2. Vale la pena notare come anche la Chiesa di Scientology sia diventata maestra non solo nell'esibizione di riconoscimenti istituzionali, ma in tutti gli altri punti/aspetti che ho citato. Settima parte - Sì, ma quale aiuto?Benché alcune associazioni "antisette" affermino di ricevere annualmente centinaia se non migliaia di richieste, esse non forniscono dati che ci permettano di capire in che cosa sono consistiti l'aiuto e le consulenze forniti e per quali motivi siano state contattate. Come i siti di alcuni movimenti controversi, anche quelli delle associazioni "antisette" sono molto parchi di informazioni sul loro modo di operare e di fornire aiuto, e (come per alcuni movimenti controversi) l'unico modo per scoprirlo sembra essere il contatto diretto, la relazione personale. Inspiegabilmente, i siti delle associazioni "antisette" manifestano una evidente ritrosia a esprimere pubblicamente il proprio pensiero, a produrre riflessioni e articoli, a presentare il resoconto annuale delle attività e, soprattutto, a illustrare il contenuto delle richieste che ricevono e dell'intervento offerto. In genere quei siti si rivelano dei semplici depositi di materiali altrui trovati in Internet e ricopiati a sostegno delle proprie convinzioni (il blog Pensieri Banali ha fatto un'analisi impietosa dei siti dell'ARIS e della FAVIS), o una sorta di rassegna dell'orrore in cui ci si limita a riprendere gli articoli a stampa più truci sull'argomento. Uno dei pochi, se non l'unico sito di associazione "antisette" in cui ho trovato qualche informazione sulla natura delle richieste pervenute è quello della SOS Antiplagio di Novara, che non appartiene al Forum delle associazioni ecc. ma che ne condivide discorso e finalità. Come è possibile constatare, vi ritroviamo gli elementi discorsivi già analizzati in questi articoli e una pervasiva ricorrenza del prefisso pseudo-. Parlare di pseudo- (religioni, veggenti, carismi e carismatici, conoscenza, ecc.) è indice di una determinata credenza/ideologia: si parte dalla presunzione di conoscere dove sia il vero; inoltre, il non illustrare come distinguere lo pseudo- dal vero è segnale che ci si sta rifacendo al pensiero mainstream (in Italia, quello di tradizione cattolica) contrapposto alla devianza [1]: il cattolico sa che la vera religione è la sua, che i veri veggenti sono quelli approvati dalla sua chiesa, che la vera conoscenza è quella rivelata dall'unico e vero dio, quello cristiano. Il sito di SOS Antiplagio riporta l'elenco delle richieste pervenute all'associazione nel 2011 e sembra confermare quanto già rilevato dalla Di Marzio nel suo specchietto. Sono quasi tutte richieste di aiuto di parenti e riguardano i casi più disparati, di cui pochi relativi a presunte "sette distruttive". Tra di essi, soltanto due riguardano fuoriusciti (apparentemente di loro iniziativa) da ciò che loro definiscono "setta". Alla luce delle riflessioni fatte fino ad ora, sono a mio avviso particolarmente interessanti queste voci del sito SOS Antiplagio e il linguaggio utilizzato: Personalmente, né questi né gli altri casi riportati mi paiono idonei a evidenziare l'esistenza di un problema connesso alle "sette abusanti" e a fenomeni di "plagio", a conferma di quanto sia infondato l'"allarme sociale" propalato dagli "antisette" e il loro ossessivo invocare una legge ad hoc. Ristuccia, presidente e fondatore della SOS Antiplagio, non manca inoltre di: far notare come l'immigrazione trascina con sé i propri santoni, imbroglioni ed altri che diffondono anche qui in Italia le loro dottrine, superstizioni, magie e quant'altro: fenomeno già conosciuto ma che aumenta con la differenziazione degli stranieri che giungono nel paese.»Tutto il capitolo relativo alle religioni di origine "extracomunitaria" (suppongo africana, caraibica e latinoamericana) è interessante. Anche Ristuccia ritiene che gli studiosi siano "complici delle sette" e pone l'accento su una presunta: continua campagna denigratoria ai danni di associazioni, come SOS Antiplagio, che contrastano i culti settari.[...]In questo passaggio ho evidenziato i termini a mio avviso indicativi di una modalità discorsiva che vuole far leva sull'emotività del lettore, senza però portare dati oggettivi e verificabili. È una modalità che abbiamo già visto utilizzata altrove, per esempio da Don Aldo Bonaiuto e da Maurizio Alessandrini, entrambi esponenti dell'associazionismo "antisette" e referenti della Squadra Anti Sette della Polizia di Stato. A Ristuccia va il mio ringraziamento e plauso per avere resi pubblici questi dati e le sue considerazioni, a differenza di quanto fanno le associazioni consorelle di SOS Antiplagio. Purtroppo però, tolto il generico intervento di psicoterapeuti e avvocati, manca l'esplicitazione del tipo di aiuto offerto. Sarebbe interessante conoscere per esempio quante volte, nell'attività di aiuto, si è parlato di maligno e quante s'è cercato di attribuire alla propria credenza/ideologia (esistenza del "plagio") i diversi problemi e preoccupazioni presentate. Noto poi che i relatori delle serate e conferenze organizzate da SOS Antiplagio sono soltanto due: il presidente Ristuccia, le cui competenze per affrontare certe complesse tematiche sono ignote, e l'anziano dott. Giorgio Gagliardi, grande sostenitore dell'esistenza dei SRA (satanic ritual abuse), ormai ampiamente sconfessati dai processi tenuti nel corso degli anni e dalla letteratura scientifica [2], ma ancora in grado - anche grazie all'apporto massmediatico - di scatenare panici morali (si pensi ad esempio ai casi dell'asilo Corelli di Brescia e della scuola di Rignano Flaminio, molto simili ai casi americani, canadesi e inglesi di cui la letteratura scientifica s'è ampiamente occupata). Mi concedo una digressione per evidenziare una curiosa affermazione che trovo sulle pagine di SOS Antiplagio riferita all'attività del 2011 (grassetto aggiunto): I nostri esperti sono spesso chiamati a sostenere attività di consulenza d'ufficio presso diversi tribunali nel territorio nazionale. In alcuni processi, come quello ormai finito sul caso Arkeon, hanno eseguito perizie su alcuni fuoriusciti. La ritengo curiosa perché la sentenza di primo grado del processo contro alcuni dirigenti di Arkeon è stata emessa soltanto il 16 luglio 2012 e trattandosi del primo grado, tutto si può dire salvo che il processo sia "ormai finito". Come poteva mai esserlo nel 2011 resta un mistero. Ovviamente mi auguro che, trattandosi di atti pubblici scaturiti da un processo, un giorno potremo conoscere le modalità con cui sono state condotte tali "perizie d'ufficio" (che significa: ordinate dal giudice), giusto per avere un'idea della metodologia utilizzata. Non è la prima volta, infatti, che ci troviamo di fronte a "perizie" sui generis in cui le conclusioni si esprimono in tre diverse ipotesi alternative tra loro: "scettica, benevola e preoccupata" (perizia che, per inciso, riguardava il figlio di una madre affiliata ad Arkeon, all'epoca "Reiki", chiesta dal padre in una causa di separazione simile a quelle riferite dal sito SOS Antiplagio.) Come abbiamo visto, in linea di massima l'associazionismo "antisette" italiano mantiene una forte ideologia non condivisa dalla maggioranza degli studiosi del campo (perciò a suo modo settaria) che si manifesta su livelli diversi, tra cui:
Credo sia doveroso interrogarsi sulle forme di aiuto offerte da chi mantiene tale ideologia. Nel terzo articolo di questa serie ho accennato al convegno ICSA del 2007 dove per la prima volta sentii parlare di mediazione. Per me che provenivo dal mondo dell'antisettarismo era una parola sconosciuta. La "vittima" andava "tirata fuori dalla trappola della setta" e ci si doveva attivare per danneggiare il gruppo (allertare i media con racconti dell'orrore, convincere le vittime a sporgere denuncia, ecc.). Il problema però è che così facendo si scavano fossati più profondi di quanto già non siano e in parecchi casi più che dare aiuto all'altro si portano avanti finalità dettate dalla propria credenza/ideologia, a cui si socializzano persone nuove viste come potenziali "reclute" delle associazioni. Ciò di cui gli "antisette" accusano le "sette" di fare. Ricordo di aver discusso di mediazione con una decana dell'associazionismo antisette italiano; le feci presente che in fondo i gruppi non sono tutti uguali, non si mantengono immutati nel tempo, il coinvolgimento personale può essere più o meno profondo. Gruppi che vengono considerati "sette distruttive" sulla base del racconto di un parente preoccupato o di un ex membro arrabbiato, potrebbero non esserlo affatto; non va escluso a priori che si tratti di semplici gruppi "alternativi" del tutto ignari delle preoccupazioni di un familiare o delle lamentele di un ex. Movimenti che in passato hanno realmente tenuto comportamenti da "setta distruttiva" oggi sono cambiati, alcuni hanno fatto il mea culpa e si sono assunti le proprie responsabilità. Un'associazione che si ponga da tramite, che presenti al gruppo le lamentele raccolte, che faccia presente quali preoccupazioni o problematiche suscita in alcuni, potrebbe già risolvere pacificamente molti conflitti. O come ci raccontò un relatore al convegno ICSA, responsabilizzando il gruppo su certe questioni si possono ottenere ottimi risultati. Nel suo caso si trattava di una studentessa che aveva abbandonato gli studi per immergersi nelle attività del gruppo. Una serie di incontri con i suoi dirigenti fece sì che furono loro stessi a convincerla a rimettersi a studiare e ad allentare la frequentazione del gruppo, senza per questo interromperla. Sul fronte familiare la mediazione portò i genitori ad accettare il diritto della figlia di fare le proprie scelte, e la ragazza a capire le preoccupazioni e le critiche dei genitori. Purtroppo, la decana "antisette" con cui parlai mi disse chiaramente che "con i banditi non si media", per cui loro in quanto associazione sarebbero andati avanti per la strada che avevano sempre battuto. Due decenni prima avevano provato a mediare con un paio di gruppi ed era andata male; forte della convinzione che "tutti i gruppi sono uguali e non cambiano", a suo modo di vedere cercare di mediare significava "farsi prendere in giro" e perder tempo. È vero che a volte la mediazione non risulta possibile, né che darà in tutti i singoli casi i risultati sperati. Ma ritengo che un tentativo andrebbe sempre fatto. Se però si parte dal presupposto che tutti i gruppi sono uguali e immutabili nel tempo, che sono tutti "banditi", che ogni sede locale è uguale e "banditesca" come la "casa madre" e i suoi membri sono tutti "plagiati o plagiatori", la mediazione verrà esclusa automaticamente dall'orizzonte del pensabile. Capita invece che siano i rappresentanti dei gruppi presi di mira dalle associazioni a cercare un incontro, ma si vedano chiusa la porta in faccia. Il caso di Pietro Bono già citato nel quinto articolo di questa serie è significativo, ma non è il solo. Interessante è per esempio il recente commento della presidente del CeSAP alle lamentele di una persona da anni bersaglio dei forum di discussione gestiti dal Centro Studi nocino. Data la disponibilità manifestata dal diffamato mi sarei aspettata una reazione diversa dalla responsabile di un "Centro Studi Abusi Psicologici", oltre che una moderazione ferma degli interventi offensivi. Ma ho già avuto modo di parlare dello stile di moderazione cesappino e anche della reale capacità di «confronto aperto e sereno» e di «dialogo proficuo» dimostrato dal Forum delle associazioni ecc. . (vedi quinta parte). Sono stata personalmente testimone di due "interventi di aiuto antisette" che all'epoca mi lasciarono parecchio perplessa:
Sono a conoscenza di altri episodi anche più scabrosi, ma essendomi stati riportati da terzi mi astengo dal citarli. Ritengo che le associazioni di aiuto e sostegno siano importanti e vadano incoraggiate, ma non dovrebbero confondere l'aiuto con istanze e ideologia antisette. Le "sette distruttive" esistono, esistono le relazioni disfunzionali, esistono le persone più fragili e influenzabili ed esiste l'influenza indebita e chi la esercita. Ma l'aiuto è una cosa, la volontà di contrasto o distruttiva è un'altra. Chi esce da un gruppo cosiddetto "ad alte pretese" potrebbe incontrare problemi a reinserirsi nella società, in particolare se il suo coinvolgimento con il gruppo è stato molto profondo e a tempo pieno (es. gli staff di Scientology, in particolare della Sea Org). I condizionamenti lasciati dalla dottrina possono essere importanti e liberarsene non è sempre facile; in questi casi diventa significativo l'aiuto di un ex membro che sappia "parlare la lingua", che conosca la dottrina e sia in grado di identificare l'insegnamento che continua a influire negativamente sulla persona. Questo tipo di aiuto non deve però diventare un nuovo indottrinamento a ideologie e credenze altrettanto intransigenti e settarie, o una sottile forma di reclutamento nel proprio gruppo. Le professioni di aiuto sono notoriamente le più difficili e le buone intenzioni da sole non bastano - meno che mai in un campo così complesso e variegato. Ogni caso è diverso, è inserito in un contesto familiare e relazionale unico, coinvolge più aspetti del vivere e del vissuto. L'obiettivo primario di chi offre aiuto deve sempre essere il benessere dell'altro nella sua interezza, differenza e complessità, non il portare avanti le proprie istanze, ideologie, fini, interessi o missioni salvifiche. Psicoterapie Folli, una delle "bibbie" degli antisette, parla del mitologico Letto di Procuste. L'esperienza personale in ambito antisette mi spinge a ritenere che in una realtà così impregnata di ideologia, sprofondata nel dogma e nel rifiuto di posizioni, interpretazioni, interrogativi diversi, vi si faccia troppo spesso ricorso. Simonetta Po
1. Interessante a questo proposito il riferimento ai "movimenti d'odio" americani citati alla nota 3 del secondo articolo di questa serie.
2. Per esempio, The Extent and Nature of Organised and Ritual Abuse: Research Findings, J.S. La Fontaine, Her Majesty's Stationery Office, Londra 1994; Speak of the Devil: Tales of Satanic Abuse in Contemporary England, J.S. La Fontaine, Cambridge University Press, 1998; "Il Ritorno della stregoneria", A. Simonicca, in Comparativamente, (a cura di) P. Clemente, C. Grottanelli, SEID, Firenze, 2009; Abusi sessuali collettivi sui minori, A. Zappalà, Franco Angeli, 2009. |
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