Un suicidio dopo un'estorsione: in tre finiscono davanti al giudice
Tratto da: La Nuova Sardegna del 13.2.2003
CAGLIARI. L'altra volta c'era stato un rinvio a causa di un difetto di notifica per alcuni degli imputati al processo contro un esponente di Scientology, finito sotto inchiesta con l'accusa di aver chiesto ripetutamente denaro ad un giovane cagliaritano, che poi era morto suicida gettandosi dal balcone di casa.
Il processo davanti al giudice per l'udienza preliminare Giovanni Lavena si è concluso ieri mattina con le richieste del pubblico ministero Guido Pani: rinvio a giudizio per Giorgio Carta con l'accusa di estorsione. Mentre per altri due imputati, anche loro esponenti di Scientology, Anna Maria Cogoni e Massimiliano Longu, accusati di favoreggiamento, gli atti sono stati nuovamente inviati all'accusa per approfondimenti sulla vicenda. Il processo pubblico si svolgerà davanti alla prima sezione del tribunale il prossimo 2 maggio: una conclusione che servirà in ogni caso a chiarire la vicenda, eliminando se possibile dubbi e interrogativi che fin dal primo momento si sono accumulati. Il rinvio a giudizio ha trovato d'accordo anche i legali di Carta, gli avvocati Luigi Concas e Guido Manca Bitti. La parte civile è rappresentata dagli avvocati Mario Canessa e Mariano Delogu.
A far scoppiare il caso era stato il padre di un giovane di 29 anni, suicidatosi il 18 febbraio 1997: «Roberto era iscritto a Scientology e ad un certo punto ha iniziato a consegnare dei soldi a Giorgio Carta». Questo, per sommi capi, il contenuto della denuncia che l'uomo presentò alla questura. E proprio dalla consegna di quei soldi si è partiti per un'inchiesta che alla fine ha coinvolto tre persone: oltre a Giorgio Carta, anche altri due esponenti di Scientology.
Pochi dubbi che si è trattato di un suicidio: il padre di Roberto D. non lo ha mai negato. Ma per l'uomo dietro ci sarebbe anche un'altra storia. Come ha rivelato Antonino D. all'avvocato di parte civile Mario Canessa, Roberto all'inizio sembrava felice della scelta di aver aderito alla Missione Chiesa di Scientology. Poi avrebbe iniziato a incupirsi e intristirsi sempre di più. Avrebbe alla fine rivelato che ad un detto punto era pressato dalla richieste di denaro di un cugino, Giorgio Carta appunto.
Vero, falso? Che cosa c'era dietro? Sarà il processo pubblico a dare l'esatta misura della vicenda.
Ex capo di Scientology condannato: quattro anni e mezzo
Tratto da: L'Unione Sarda, 9 novembre 2004. Di Andrea Manunza
Non aveva ancora vent'anni, ma da mesi viveva nell'incubo dei debiti, costretto a versare decine di milioni a un dirigente della Missione Scientology. Preso dalla disperazione si getta dalla finestra. Suicidio. Così fu classificata la tragedia, in un primo momento. Ma il caso in seguito fu riaperto sfociando in un'inchiesta e nel processo contro un socio e ora ex dirigente di Scientology: ieri Giorgio Carta, 41 anni, è stato riconosciuto responsabile di estorsione ai danni del cugino Roberto Deplano, il ragazzo suicidatosi il 18 febbraio del 1997. E per questo dovrà scontare quattro anni e sei mesi di carcere.
Così ha deciso ieri il Tribunale presieduto dal giudice Sette ponendo fine a una vicenda giudiziaria cominciata sette anni fa. Un caso che aveva suscitato grande scalpore. I giudici hanno deciso per una pena più pesante rispetto a quella ipotizzata dal pubblico ministero, che aveva chiesto una condanna a quattro anni. La vicenda risale al 1997. Il 18 febbraio di quell'anno Roberto Deplano, uno studente di 19 anni, si suicidò lanciandosi dalla finestra della sua camera al sesto piano di un palazzo di via Castiglione. Un volo di venti di metri rivelatosi fatale. Gli investigatori chiusero il caso classificandolo come semplice suicidio e l'indagine venne archiviata. Ma i genitori sapevano che sotto c'era qualcos'altro. Qualcosa che negli ultimi tempi aveva reso ansioso e preoccupato il figlio. Suo padre, Antonino, andò dall'avvocato Mario Canessa e gli disse che Roberto si era iscritto a Scientology (un movimento religioso fondato nel 1954 negli Stati Uniti e che stava prendendo piede anche in città).
Dopo un primo periodo felice, raccontò il padre, Roberto si incupì e rivelò di essere pressato con continue richieste di denaro da parte di Giorgio Carta, proprietario di un bar in piazza Giovanni XXIII e all'epoca uno dei dirigenti della sede cagliaritana di Scientology. Fu proprio lui a convincere Roberto a iscriversi alla Missione. Si parlava di decine di milioni che Roberto aveva già consegnato. Ma la sua generosità pare non bastasse mai. La versione fu confermata anche dagli amici e dalla madre del ragazzo: «Roberto non ne poteva più - disse - voleva uscire da quella setta ma non ci riusciva. Era cambiato, aveva smesso di studiare, non suonava più. Mi disse che gli avevano fatto il lavaggio del cervello, che gli chiedevano molti soldi. Che lo minacciavano di rivelare le confidenze che aveva fatto durante le riunioni con gli altri iscritti. Era terrorizzato, mi aveva perfino chiuso in casa perché temeva che mi ammazzassero. Io e mio marito avevamo deciso di lasciare Cagliari: il giorno dopo Roberto si è tolto la vita, pensando così di salvare noi».
Nel settembre del '98, su denuncia dell'avvocato, il pm Guido Pani riaprì le indagini. Ci furono intercettazioni telefoniche, perquisizioni, sequestro di documenti. Alla fine Giorgio Carta fu rinviato a giudizio con l'accusa di estorsione in concorso con ignoti «perché mediante minacce costringeva ripetutamente Roberto Deplano a consegnargli varie somme di denaro in contanti per un ammontare complessivo di circa cento milioni di lire». Carta ha sempre respinto tutte le accuse. Gli avvocati difensori Guido Manca Bitti e Luigi Concas si sono detti «sorpresi dalla sentenza. Restiamo convinti dell'innocenza di Giorgio Carta. Ci sono state lacune nelle indagini che avrebbero potuto cambiare le carte in tavola». Più tardi l'imputato ha ribadito la propria innocenza: «Ovviamente presenterò appello a questa sentenza che ha dell'incredibile. Aspetto di leggere le motivazioni per capire come i giudici siano arrivati a tali ingiuste conclusioni».
Nel maggio 2010 la Corte di appello ha assolto Giorgio Carta.