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Corte di Appello di Milano: Sentenza del 5 novembre 1993 (estratti) - seconda parte

Tratto da: Il Foro Italiano, 1995, Parte II, 1995, Pagg. 689-730.

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Ricerca e trascrizione a cura di Floridi L.

 


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3) I responsabili. A) Premessa

Il reato di associazione per delinquere, di cui al capo 42), è stato ascritto (come si può constatare nell'ordinanza di rinvio a giudizio) a tutti coloro che hanno rivestito la carica di presidente e di vice presidente dell'organizzazione, negli anni che qui interessano, ovvero che sono stati ritenuti gli autori materiali di almeno uno dei reati fine, contestati negli altri capi di imputazione.

La corte non condivide, però, il metodo, che è stato attuato dai magistrati inquirenti per individuare i responsabili del reato in questione.

Riguardo alla seconda categoria di soggetti sopra enunciata, giova ricordare che, per affermare la colpevolezza di costoro in ordine al reato associativo, sarebbe «necessario dimostrare la loro consapevolezza di partecipare e di contribuire attivamente con il loro apporto alla vita dell'associazione» (come ha concordemente affermato la giurisprudenza: v., da ultimo Cass. 16 giugno 1990, Marin, ibid., voce Ordine pubblico (reati), n. 22), circostanze queste non certamente desumibili dalla semplice commissione di un unico episodio delittuoso, non accompagnata da altri elementi che attestino la affectio societatis dei loro autori.

Per quanto concerne, poi, la prima categoria, non si può non essere d'accordo con l'obiezione mossa sostanzialmente da tutti gli imputati e fatta propria dalla difesa, secondo cui gli incarichi in questione avevano rilevanza esclusivamente nei confronti dei terzi e non attribuivano quindi particolari poteri decisionali in capo a coloro a cui erano stati attribuiti.

Dagli atti acquisiti si può, infatti, ritenere provato che le funzioni di presidente e vicepresidente avevano valore soltanto come cariche sociali, necessarie per individuare i responsabili, in senso civilistico, della associazione, denominata istituto di Dianetica prima e chiesa di Scientology poi; cariche a cui non corrispondeva alcun potere reale all'interno dell'associazione stessa, come è dimostrato dal rilievo che l'organigramma, reperito nelle diverse sedi e che individuava le varie competenze nonché gli uffici preposti ad ogni compito in una struttura estremamente verticistica, non aveva nulla a che vedere con le cariche istituzionali sopra indicate (anche se ad un attento esame si può rilevare che queste cariche venivano man mano ricoperte da coloro che avevano aderito da lungo tempo all'organizzazione e avevano anche rivestito ruoli di rilievo all'interno della stessa, in altre parole venivano comunque attribuite a soggetti sicuri e affidabili).

Anche il procuratore generale ha ritenuto che non si potesse far derivare dalla mera assunzione di una funzione di rappresentanza conseguenze così gravi come la partecipazione ad un'associazione criminosa e ha quindi cercato di individuare gli effettivi ruoli svolti dagli imputati all'interno dell'organizzazione per stabilire se quei ruoli attribuivano a costoro le scelte prima e le direttive poi in ordine alle modalità operative dell'organizzazione stessa; metodo questo - a giudizio della corte - anche se non facilmente attuabile, per le indubbie carenze di una istruttoria che non ha avuto specificamente di mira una simile indagine, che risponde, però, allo scopo di consentire l'acquisizione di quegli elementi necessari a provare la partecipazione dei singoli soggetti ad una associazione per delinquere.

È, infatti, indubbio che chi si sia trovato in Italia ai vertici di una organizzazione, trasformatasi in associazione per delinquere, non solo è venuto a dare con la propria azione un inequivoco apporto a questa struttura illegale, ma inoltre un simile contributo alla vita dell'associazione delittuosa non lo può che aver fornito in modo del tutto intenzionale, in forza appunto dei suoi poteri di direzione e controllo dell'attività degli altri soggetti operanti nell'ambito dell'associazione.

(Omissis)

B) La struttura dell'organizzazione

Pur con le ampie lacune dell'istruttoria di cui si è appena detto, si è potuto tuttavia conoscere la struttura dell'organizzazione, denominata istituto di Dianetica prima e chiesa di Scientology poi, attraverso l'organigramma, che è stato sequestrato sia nella sede di Milano (si ripete che era appeso ad una parete, come si può osservare da una fotografia scattata nell'occasione), sia in quelle di Pordenone, di Brescia, di Torino ed anche in altre.

Si sono già esposte, nella parte iniziale di questa sentenza, le caratteristiche di tale organizzazione, ma è bene ripeterle ora, per poter più facilmente inquadrare e conseguentemente valutare l'importanza dei ruoli dei singoli imputati.

È stato, infatti, accertato che a capo di ogni sede vi era un Commanding Officer [CO], denominato anche Executive Director [ED], che aveva alle sue dipendenze il Deputy Executive Director [D/ED], una sorta di vice direttore, che «non è incaricato di nessuna divisione specifica, ma si assicura che l'organizzazione contatti il pubblico. Si assicura che, attraverso la promozione, le vendite, il "call-in", la consegna e la reiscrizione, i principali prodotti dell'organizzazione vengano ottenuti» (come si legge in una pubblicazione dell'organizzazione, intitolata «Sommari divisionali», di cui l'avv. Leale ha prodotto la fotocopia della pag. 12).

Al di sotto di questi personaggi, vi sono i segretari esecutivi, che sono a capo di tre grandi settori in cui è stata suddivisa tutta l'attività di Scientology, precisamente: Hubbard Communication Office (HCO cioè l'ufficio del comunicatore di Hubbard, che ha il compito di acquisire le direttive di Hubbard, tradurle in italiano e quindi curare il loro rispetto, controllando altresì la conformità al pensiero del fondatore dell'attività svolta nella sede); Public (che si occupa dei rapporti con le persone che si avvicinano all'organizzazione, ed anche di conseguenza della necessaria attività di propaganda); Organization (che cura, infine, tutta l'organizzazione interna, in particolare cioè lo staff, dell'associazione).

Quindi i segretari esecutivi vengono denominati a seconda del settore che dirigono: vi è così l'HES (che si trova a capo dell'ufficio del comunicatore di Hubbard), il PES (Public Executive Secretary), e l'OES (Organization Executive Secretary), i quali tra l'altro sono «responsabili per le Statistiche generali divisionali (GDS) delle proprie rispettive divisioni» (v. citata pubblicazione prodotta dall'avv. Leali). I tre ampi settori, di cui sopra, sono a loro volta suddivisi in nove divisioni, che sono ulteriormente suddivise in 21 dipartimenti, le cui singole competenze sono indicate nel famoso organigramma e quindi si rinvia ad esso, essendo qui troppo lungo e complicato riportarle una per una.

Si deve poi aggiungere che il direttore esecutivo, il suo vice, i tre segretari esecutivi e i loro funzionari organizzativi (Org. Officers) compongono il consiglio esecutivo (EC - Executive Council), che è il vero centro motore e direttivo dell'organizzazione. Lo spiega in modo assai chiaro la pubblicazione sopra indicata: «Il consiglio esecutivo istituisce e dirige l'organizzazione ... aiuta l'ED nel pianificare e coordinare l'Org, ed è la più alta struttura dirigente dell'organizzazione. È la struttura più attiva dell'Org e pianifica "il pensare alla grande" dell'Org e prende le decisioni maggior in accordo con le policy … Revisiona e approva settimanalmente il piano finanziario dell'organizzazione».

Altro organo di rilievo, risulta il consiglio consultivo (Advisory Council), composto da tutti i segretari di divisione. «Il consiglio consultivo si riunisce settimanalmente per la revisione delle statistiche dell'Org e per raccomandare le azioni da intraprendere; stende la pianificazione delle entrate (Income Planning) e quella finanziaria (Financial Planning) per l'Org e le sottopone al consiglio esecutivo», che infatti «riceve suggerimenti dal consiglio consultivo» (si citano sempre brani della pubblicazione di cui sopra).

Vi è, infine, un'ultima annotazione, da non tralasciare, nel sommario divisionale: «i segretari divisionali lavorano insieme per coordinare le attività di tutte le divisioni e per creare l'espansione dell'Org attraverso le riunioni del consiglio consultio. Il consiglio esecutivo e il consiglio consultivo, essenziali per raggiungere l'appropriata coordinazione delle attività, sono entrambi situati nel dipartimento 19».

C) Criteri per l'individuazione dei responsabili

Fatte queste premesse si deve concludere che tutti gli imputati, nei confronti dei quali si viene a raggiungere la prova dell'appartenenza a questi due consigli, essenziali - come si è appena detto - alla vita e all'espansione dell'organizzazione divenuta associazione per delinquere, devono essere ritenuti responsabili del reato di cui al capo 42), avendo essi - in forza di tale funzione - fornito in modo consapevole e intenzionale un contributo determinante all'attività illecita dell'organizzazione, come si è, spiegato in precedenza.

Ad essi si devono anche aggiungere quegli imputati, che hanno sicuramente svolto anch'essi un ruolo di assoluto rilievo per la vita e il funzionamento dell'associazione a delinquere, anche se non sono noti la divisione e il dipartimento in cui operavano in concreto, precisamente:

  1. l'FBO (l'ufficiale finanziario), che si doveva occupare dell'andamento finanziario dell'organizzazione, controllando settimanalmente le famose statistiche (così importanti, come si è visto), valutandole e dando conseguentemente elogi (circa l'importanza di questo ufficio vi è la famosa direttiva di Hubbard, citata in precedenza);

  2. il cappellano, che a sua volta svolgeva il fondamentale compito di seguire il cosiddetto "percorso di rimborso" a fare di tutto (come risulta dalla direttiva di Scientology citata in precedenza), affinché il "ciclo" fosse salvato, in altre parole il rimborso in concreto non avvenisse.

Ebbene, questi ruoli hanno avuto ad oggetto proprio quell'attività che ha connotato il cambiamento dell'organizzazione in associazione per delinquere, con la conseguenza che coloro, che hanno assunto i predetti incarichi, non solo non possono essere rimasti estranei ed inconsapevoli rispetto alle condotte illecite che si sono andate affermando, ma addirittura ne sono stati i mezzi necessari per la loro attuazione.

Vi è, infine, un'ulteriore categoria di persone, che ha dato un indubbio contributo rilevante all'organizzazione: si tratta dei famosi venditori che non hanno esitato ad usare le tecniche della cosiddetta "vendita pesante" pur di acquisire sempre più clienti, vendere sempre più corsi a costo sempre maggiore; il fatto che costoro si siano comportati con questa tecnica in più occasioni, interessandosi esclusivamente della vendita del prodotto al di fuori di qualsiasi considerazione delle condizioni dell'acquirente nonché delle resistenze dallo stesso opposte, dimostra inequivocabilmente che essi erano pienamente consapevoli di fornire in tale modo un apporto fattivo per lo sviluppo dell'organizzazione sotto le connotazioni illecite sopra descritte.

Per quanto riguarda poi l'attività dei centri Narconon, il reato associativo è stato contestato ai responsabili non solo delle due società, precisamente della Lega e della Futura, ma anche dei centri stessi.

E se questo metodo si può condividere con riferimento ai rappresentanti delle due società, posto che i predetti, in tale loro veste, davano le direttive sia per il campo finanziario sia per i metodi da adottare nella conduzione dei singoli centri e quindi del loro finanziamento per gli scopi illeciti ampiamente descritti nel capitolo concernente i Narconon, un analogo discorso non appare, invece, corretto per i responsabili dei singoli centri.

In tale ultima ipotesi, infatti, manca la prova sicura e certa di una consapevolezza da parte di costoro di aver aderito ad una associazione per delinquere e di aver dato un attivo contributo nella sua realizzazione e conduzione. Occorre non dimenticare che essi obbedivano ad ordini che erano stati loro impartiti da un lato dallo Za., come aveva dichiarato il Ve., e all'altro dai responsabili della Futura (come si è spiegato in precedenza). Non si può, perciò, nascondere il dubbio che chi dirigeva un singolo Narconon secondo direttive impartite da altri ben poteva non essersi reso conto della situazione venutasi a creare, in particolare dell'esistenza di un generale accordo criminoso per commettere un numero indeterminato di truffe.

Appare pertanto conforme a questa situazione di incertezza in ordine all'elemento psicologico del reato associativo nei riguardi di questa categoria di imputati, la loro assoluzione, come si metterà meglio in evidenza in seguito.

D) Il tipo di partecipazione all'associazione per delinquere

Si è appena esposto che vi è una categoria di imputati per i quali viene affermata la colpevolezza nel reato associativo per il ruolo svolto al vertice dell'organizzazione denominata chiesa di Scientology nonché della sua diramazione, costituita dai centri Narconon.

Sembrerebbe, pertanto, doversi desumere che questa categoria di imputati debba rispondere del reato loro ascritto ai sensi dello comma dell'art. 416 c.p. sulla scorta appunto dei compiti direttivi loro attribuiti.

Ciononostante, ritiene la corte che non vi siano elementi sufficienti per affermare la loro colpevolezza in ordine a tale ipotesi criminosa. Si è già messo in evidenza che l'istruttoria compiuta si è mostrata totalmente carente riguardo ad una indagine più accurata e più approfondita circa l'effettiva struttura interna dell'organizzazione e i suoi rapporti con le altre chiese sorelle specie in Europa.

Le conclusioni a cui in precedenza si è pervenuti, in ordine agli effettivi luoghi di potere e di decisione dell'organizzazione (precisamente il consiglio esecutivo e il consiglio consultivo nelle persone dei vari loro membri) sono state tratte da elementi, rinvenuti qua e là nel mare di circa 200 faldoni, di cui è risultato composto il procedimento in questione nel giudizio di appello.

In particolare, è stato possibile ricostruire i ruoli di vari imputati e stabilirne l'importanza sulla base di dati, recuperati fra la documentazione che è stata prodotta dalla difesa, fra gli atti che sono stati oggetto di sequestro all'esito di perquisizioni e fra le dichiarazioni fornite o dai testimoni o dagli imputati. Non si è, invece, avuta, come linea conduttrice, una trattazione unitaria ed esauriente da parte del giudice istruttore, fondata su tutta una serie di accertamenti compiuti riguardo a questo specifico punto, come sarebbe stato auspicabile, vista la complessità del fenomeno, oggetto del presente processo.

Di qui la conseguenza inevitabile che la visione di insieme presenta pur sempre delle lacune, rimanendo comunque alla corte dei margini di incertezza in relazione a certi dati, lacune ed incertezze ormai non più colmabili, dato il tempo trascorso dai fatti qui in discussione. Tutto questo ha imposto una linea particolarmente attenta a non pervenire a risultati non sufficientemente sorretti dal materiale probatorio che si è riuscito ad utilizzare.

Per quanto riguarda più specificamente il tipo di partecipazione all'associazione criminosa da parte degli imputati, se emerso inequivocabilmente dagli atti processuali, come si è visto, che in Italia si è venuta a creare una associazione per delinquere che si era impiantata sull'istituto di Dianetica, originariamente costituito a Milano, non è, invece, assolutamente chiaro se la trasformazione, di cui si è ampiamente parlato, sia frutto esclusivo di un accordo criminoso attuato in Italia (e quindi coloro che erano a vertici dell'organizzazione dovrebbero rispondere del reato associativo come promotori o quanto meno come organizzatori) ovvero sia la conseguenza di decisioni prese in sedi della chiesa di Scientology ben più rilevanti di quella italiana.

Se si fosse verificata tale seconda ipotesi, ne conseguirebbe necessariamente che anche coloro che erano ai vertici di Scientology in Italia, non sarebbero che dei meri esecutori di ordini e direttive altrui, con la sola differenza che il loro ruolo, comunque di spicco, non poteva che renderli consapevoli della trasformazione avvenuta e farli operare per il buon esito dell'associazione criminosa: essi, infatti, avevano in ogni caso il compito di controllare l'operato altrui (volto a quel punto esclusivamente ad una produttività esasperata nei termini sopra precisati) e darne conto alle altre più importanti organizzazioni.

E che la seconda ipotesi possa essere la più verosimile, lo si può ricavare dalla famosa frase pronunciata dalla Cera, secondo cui tutto era cambiato da quando la chiesa di Copenhagen aveva preso il sopravvento in Europa.

L'esistenza effettiva di questi stretti legami con tale ultima sede è, altresì, attestata dai seguenti elementi:

  1. molti iscritti dell'istituto di Dianetica in Italia venivano persuasi a recarsi a Copenhagen per frequentare corsi, indicati come molto più avanzati, ma caratterizzati sostanzialmente da costi estremamente elevati;
  2. coloro che, invece, non erano in grado di permettersi questa spesa, venivano mandati lì come mera manovalanza (dovevano, infatti, lavorare duramente per un salario quasi simbolico, come è attestato da tutte le parti lese del capo 29);
  3. a Copenhagen inoltre aveva sede la società New Era, che pubblicava i libri di Hubbard, venduti poi a caro prezzo agli iscritti, società questa che costituiva verosimilmente il tramite con le sedi italiane, sia perché alcuni imputati di spicco (v. ad esempio il Ca.) avevano lavorato lì, sia perché il teste V. ha indicato come probabili i rapporti di New Era con la società Futura;
  4. la sede di Copenhagen, infine, ha probabilmente consentito, all'epoca, il trasferimento di capitali all'estero, atteso il continuo via via di giovani, che potevano essere l'inconsapevole veicolo di tale traffico (come hanno messo in evidenza i testi M. e B. e come ha suggerito anche il teste D'A.).
In altre parole sembra potersi desumere che le sedi italiane, lì rappresentate dalla chiesa di Scientology di Italia, con sede a Cormano, facessero comunque riferimento alla sede di Copenhagen, a cui facevano pervenire denaro e forza lavoro. Appare allora conseguente a questa probabile sudditanza dell'organizzazione italiana rispetto a quella situata in Danimarca, in assenza comunque di una prova sicura e certa sulle dimensioni dell'associazione delittuosa (se o meno limitata all'Italia) e quindi sul tipo di apporto fornito ad essa dai nostri imputati, ritenere la loro responsabilità in ordine all'ipotesi meno grave di cui al 20 comma dell'art. 416 c.p..

Si tenga, però, presente che con questa conclusione non si intende assolutamente affermare che l'associazione a delinquere formata da Scientology fosse priva di promotori od organizzatori; si vuole soltanto ribadire che non sono stati acquisiti elementi sufficienti per stabilire chi abbia effettivamente svolto simili ruoli, in particolare se lo abbiano rivestito gli imputati, che saranno ora indicati come responsabili del reato in questione.

Prima di passare all'esame delle singole responsabilità, appare opportuno esaminare un'ultima obiezione sollevata dalla difesa, secondo la quale nessuno degli imputati si sarebbe arricchito prestando la propria opera per Scientology, circostanza questa che sarebbe in contrasto con una partecipazione consapevole ad una associazione criminosa, volta la profitto mediante la perpetrazione di reati.

Osserva, però, la corte che se non sono stati acquisiti agli atti elementi che smentiscano un simile assunto degli imputati e se è effettivamente emerso che il loro stipendio settimanale era comunque esiguo, non vi sono, tuttavia, del pari prove che essi (o almeno parte di loro) non abbiano, in ogni caso, tratto dei guadagni da questa fattiva collaborazione prestata, non potendosi, infatti, escludere che taluni di essi possano avere avuto interesse nei rilevantissimi investimenti patrimoniali della chiesa di Scientology in America, come si è potuto percepire attraverso gli atti acquisiti con le rogatorie internazionali.

Ma anche se così non fosse, non appare rilevante ai fini della prova della loro colpevolezza la circostanza che essi si siano o meno arricchiti nel prestare il loro determinante contributo allo sviluppo dell'associazione a delinquere, dal momento che vi possono essere state comunque le più disparate ragioni per questa loro consapevole ed intenzionale condotta, non foss'altro il fanatismo.

(Omissis)

A) I concorrenti morali

Molti degli episodi criminosi, che formano i capi di imputazione da l a 39, sono stati contestati oltre che agli autori materiali, anche a coloro che all'epoca dei fatti rivestivano la qualità di presidenti o vicepresidenti dell'organizzazione, sul rilievo che dovevano rispondere del fatto delittuoso, a titolo di concorso morale.

Il tribunale ha, invece, escluso la colpevolezza dei predetti imputati, ritenendo che mancasse qualsiasi prova sia del legame fra i vari episodi criminosi sia dell'esistenza di direttive da parte dei responsabili della chiesa di Scientology. Ciò in base al rilievo che i fini dell'associazione, così come indicati nello statuto, erano perfettamente leciti, e che inoltre gli imputati avevano negato che qualsiasi operatore potesse aver agito in modo delittuoso in base a disposizioni ricevute dai rappresentanti dell'organizzazione.

Questa corte ha, però, accertato, nella parte precedente:

  1. che vi era un filo conduttore che legava i diversi comportamenti illeciti;
  2. che questi erano noti ai vertici dell'organizzazione e da loro approvati;
  3. che la "chiesa di Scientology" si era andata affermando come una vera e propria associazione per delinquere.

Poiché si è pervenuti a queste ben differenti conclusioni sulla base di un più accurato e approfondito esame delle risultanze processuali, ne deriva che le suddette argomentazioni del tribunale devono essere considerate prive di pregio.

Ciononostante, non ritiene la corte che si possa far discendere automaticamente dalle circostanze sicuramente accertate nel presente processo (e di cui si è appena detto) e in specie dalla affermata sussistenza del reato associativo la dimostrazione della responsabilità - a titolo di concorso morale - per i vari reati fine di coloro che hanno partecipato, anche con ruoli rilevanti, all'associazione per delinquere in Italia.

È vero che la giurisprudenza aveva affermato, con riferimento ai fatti di terrorismo, la responsabilità dei capi di una banda armata per i reati commessi nell'ambito di detta organizzazione; ma ciò era avvenuto soltanto in presenza delle seguenti condizioni: 1) che vi fosse la prova che i vertici della "colonna" avessero dato disposizioni in ordine al compimento dei fatti più gravi ed eclatanti; 2) che si trattasse proprio della commissione di tali fatti; condizioni queste che, invece, non risultano provate con certezza nel presente procedimento.

Il p.g., che si è ben reso conto di una simile problematica, ha infatti cercato di dimostrare caso per caso e a prescindere dal reato associativo (che ha trattato soltanto nella parte finale della sua requisitoria) che i responsabili della chiesa di Scientology potevano essere condannati sulla base delle seguenti argomentazioni, sostanzialmente comuni per tutti i casi (aggiungendo poi volta per volta altri specifici elementi, che si potevano ravvisare in alcuni episodi); precisamente ha messo in evidenza:

  • che i legali rappresentanti dell'ente erano persone che avevano sempre rivestito posizioni di rilievo ai vertici dell'organizzazione in Italia;

  • che molti di essi avevano lavorato nell'associazione fin dalla sua iniziale costituzione e quindi avevano svolto per un tempo apprezzabile diverse funzioni al suo interno;

  • che ad essi comunque, quali membri del consiglio direttiva (nella documentazione sequestrata all'avv. Zu. è stato rinvenuto un documento con la composizione di tale consiglio, di cui facevano parte, analogamente al consiglio di amministrazione, i presidenti e i vicepresidenti dell'ente) spettavano compiti di un certo peso: essi, infatti, dovevano esaminare le domande di ammissione di nuovi iscritti e quindi necessariamente valutare l'esito del test sulla personalità e comunque di formulari sui precedenti psicopatologici dei richiedenti, onde indicare il corso più idoneo da seguire (e ciò sul rilievo che le domande di iscrizione e le quietanze di pagamento dei corsi, acquisite agli atti, recavano sempre la firma di un membro del consiglio direttivo);

  • che ulteriori compiti del consiglio consistevano nell'assumere i collaboratori e nel controllare l'esatta osservanza delle regole e degli scopi di Ron Hubbard;

  • che l'organizzazione era strutturata in modo estremamente verticistico (come del resto si era già spiegato in precedenza e come risulta dimostrato dal famoso organigramma rinvenuto);

  • che le vicende di ogni iscritto erano accuratamente riportate in fascicoli (folders), arricchiti di ogni particolare riguardante il soggetto, riferito man mano da appartenenti ai vari uffici, segno che detti fascicoli, con le notizie riguardanti ogni iscritto, circolavano ed erano seguiti in modo completo ad ogni livello;

  • che, quindi, l'intervento dei capi dell'organizzazione consentiva di completare l'iter che portava ai rilevantissimi versamenti di denaro, opera di persone palesemente incapaci o sottoposte a violenze e minacce ovvero raggirate.

Sulla base di questi elementi (che sono sostanzialmente la sintesi di quelli indicati a carico dei concorrenti morali nei casi F. e G.), il p.g. ha chiesto la condanna di coloro che erano i responsabili dell'organizzazione all'epoca in cui si erano verificate le condotte particolarmente pregiudizievoli nei confronti delle persone offese (ha, infatti, contemporaneamente chiesto la conferma dell'assoluzione per altri imputati, che si erano trovati al vertice dell'ente in un periodo in cui non si erano avuti comportamenti significativi ai danni delle predette parti lese).

La corte ritiene di dover condividere questo metodo, ribadendo che per almeno 33 degli imputati si è raggiunta una prova sicura e certa della loro partecipazione ai vertici direttivi della chiesa di Scientology in Italia e comunque della loro attribuzione di ruoli determinanti nel suo ambito, dopo che essa si era trasformata in associazione per delinquere (v. parte precedente, capitolo I, par. 3, concernente «i responsabili» dei reato associativo).

Si deve, però, mettere sin d'ora in rilievo che questi principi appena esposti, e cioè che coloro che sono stati chiamati a rispondere come concorrenti morali avevano - oltre alla carica legale - anche un ruolo effettivamente direttivo nell'ambito dell'organizzazione divenuta associazione per delinquere (tanto è vero che sono stati condannati per questo reato), non è stato rigidamente applicato soltanto per due imputati Av. e Tu., - pur essendo stati assolti dal reato associativo - si vedranno applicata l'amnistia per alcune truffe, come si spiegherà in seguito.

Ma, in questi casi le considerazioni esposte dal p.g. e appena riportate, circa l'effettiva partecipazione di questi imputati al consiglio direttivo con le conseguenze appena messe in rilievo vengono ritenute da questa corte sufficienti - in presenza di una causa estintiva del reato - a costituire uno degli elementi necessari per ribaltare la decisione del tribunale.

Quanto, infine, all'obiezione della difesa, già riferita, circa una immutazione del fatto, si ribadiscono le considerazioni già esposte nella parte in cui si indicavano i responsabili del reato associativo, per escludere che vi possa essere stata qualsiasi sostanziale modifica dell'imputazione nel ritenere che la responsabilità - sempre a titolo di concorso morale - da parte dei predetti soggetti si fondi su un loro legame effettivo con l'organizzazione e non su un loro mero rapporto legale con la stessa.

Ciò premesso, occorre, però, mettere in rilievo che i dati sopra indicati, così come esposti dal p.g., non appaiono in concreto sufficienti per affermare la colpevolezza degli imputati, costituendo sì la base per una simile affermazione, ma richiedendo nel contempo un qualche ulteriore elemento che leghi l'imputato a quel singolo caso: del resto lo stesso p.g. in diverse altre ipotesi è stato in grado di aggiungere altre circostanze a carico degli imputati.

Ritiene, pertanto, la corte di dover pervenire all'assoluzione dei concorrenti morali tutte le volte in cui non si ravvisino altri elementi al di fuori di quelli sopra enunciati; la conclusione sarà ovviamente contraria quando si potrà configurare quanto meno un elemento di specifico collegamento fra l'imputato e il fatto.

B) Il reato di estorsione

Benché nel presente procedimento sia stato contestato il reato di estorsione in numerosi capi di imputazione, il tribunale ha sempre escluso la configurabilità della predetta ipotesi criminosa, con l'unica eccezione per il caso di B.B.M. (capo 3 di imputazione): in quell'occasione, infatti, alcuni operatori avevano chiuso a chiave la donna in una stanza, affinché essa non avesse ripensamenti e il marito si decidesse a pagare i corsi, fattispecie questa che, configurando un eclatante caso di violenza fisica diretta alla coartazione della volontà altrui per il conseguimento di un ingiusto profitto non poteva non essere considerata come estorsione.

Negli altri episodi, in cui la violenza o la minaccia non si erano estrinsecate in forme così evidenti, il tribunale non ha mai ravvisato il reato in questione, anche perché, considerando separatamente ogni singola azione ai danni della medesima persona (usando quel metodo di "parcellizzazione" stigmatizzato dal pubblico ministero nei motivi di appello), ha il più delle volte perso una visione di insieme dell'episodio, non rendendosi conto che le singole condotte reiterate nei confronti dello stesso soggetto (di per sé non costituenti una autonoma figura di estorsione) concorrevano, però, ad un determinato risultato comune e quindi, valutate nel loro complesso, integravano gli estremi del reato in questione.

Questa corte, adottando tale ultimo sistema, ha già ravvisato la sussistenza del reato di tentata estorsione nell'episodio ai danni della C. (capo 4 di imputazione, v. retro nella prima parte della motivazione, dedicata all'appello degli imputati) e in quella sede si sono già espressi i principi in base ai quali configurare il delitto di estorsione, principi a cui la corte intende riferirsi nell'esame degli altri episodi criminosi, in ciò confortata dalla giurisprudenza in materia, che si è in precedenza citata, proprio trattando il caso della C..

Nel ricordare la giurisprudenza in tema di estorsione non si può dimenticare il c.d. caso Verdiglione, nel quale i giudici di tutti i gradi di giudizio, compreso quello di cassazione, non solo hanno ravvisato la sussistenza del reato di estorsione in ipotesi in cui la violenza e la minaccia assumevano connotati assai più sfumati di quelli tradizionali, ma inoltre hanno tenuto particolarmente conto, per configurare il reato in questione, delle condizioni personali del soggetto passivo, sottoposto ad una terapia psicoanalitica; elementi questi che si ripropongono puntualmente nei casi in esame, come si è già potuto constatare con l'esposizione dei fatti sin qui trattati.

Ricapitolando, dunque, gli aspetti messi in evidenza nell'esame del caso C., si può ritenere sicuramente provata, sulla base, delle risultanze processuali, una sorta di abitualità nei seguenti atteggiamenti (come si è visto nella parte precedente, nel paragrafo concernente Scientology, al punto G): la reiterazione di comportamenti insistenti e molesti, il non farli cessare se non con l'adesione alle richieste di versamenti di altre somme di denaro, il circondare la parte lesa con una costante presenza di persone di cui non possa liberarsi se non con l'iscrizione a nuovi e sempre più costosi corsi, in altre parole l'accumulo di condotte che - pur non integrando reati (al più quello di molestie), se prese isolatamente - nel loro insieme costituivano, però, una vera e propria persecuzione ai danni del soggetto passivo, che rimaneva del tutto sopraffatto e privato della libertà di scelta.

Ebbene, simili comportamenti sono stati indubbiamente idonei a coartare la volontà di tale soggetto, o quanto meno a far sorgere in lui il timore di non potere agire altrimenti.

Di più, se si considera che questi comportamenti sono stati tenuti, il più delle volte, nei confronti di persone particolarmente fragili e facilmente suggestionabili, sottoposte ad una sorta di condizionamento (spesso definito dai testimoni come lavaggio del cervello), per cui il benessere si poteva conseguire soltanto all'interno dell'organizzazione; se a ciò si aggiunge che in caso di dissenso, di critica, di esitazioni ad adeguarsi era immediata la reazione di allontanamento dell'adepto dalla cerchia degli amici e dei parenti, per riportarlo all'interno dell'istituto, in modo da isolarlo completamente dal mondo esterno; se, infine, si tiene presente che - se tale consenso non risultava poi pieno ed incondizionato, il che voleva dire non aderire prontamente a tutte le richieste ed imposizioni che gli venivano man mano poste - era minacciata la sua espulsione e il suo abbandono, dopo che vi era stata la promessa certa di un sicuro benessere; si deve conseguentemente ritenere provata, anche in questo caso, una indebita pressione al fine di impedire all'individuo qualsiasi libertà di scelta ed imporgli così i continui e sempre più ingenti versamenti di denaro.

E proprio tenendo presente questa situazione, si deve valutare un ulteriore metodo per suggestionare le malcapitate vittime e renderle così consenzienti ai voleri dell'organizzazione; come si era già esposto nella parte precedente concernente Scientology al punto G) era accaduto:

  1. che in numerosi casi gli operatori avevano preconizzato malattie gravi ed incurabili o comunque conseguenze drammatiche a chi contrastava l'organizzazione e i suoi metodi;

  2. che queste frasi non erano un'iniziativa isolata, frutto di autonome scelte, bensì erano la conseguenza di una sorta di indottrinamento generale (come aveva potuto constatare la teste De S.).

Ma il tribunale ha sostenuto che una simile previsione non costituiva una minaccia, dal momento che il male prospettato non dipendeva dalla volontà dell'agente, e se un simile ragionamento è formalmente ineccepibile, non lo è nella sostanza ove si tengano presenti da un lato il tipo di persone che si rivolgevano a Scientology e i bisogni che manifestavano e dall'altro le promesse e gli affidamenti che l'organizzazione offriva.

Infatti, se si considera:

  1. che coloro che si accostavano a Scientology erano affetti da tutta una serie di malesseri di ogni tipo e grado;

  2. che costoro anelavano ad ottenere un rimedio contro tale loro difficile situazione;

  3. che gli operatori garantivano proprio questo risultato attraverso la frequenza dei corsi di Scientology;
non ci si può non render conto che tale ente, presentandosi come una organizzazione in grado di offrire salute e benessere fisico e psichico a chi aderiva alle regole interne dell'istituto e si adeguava supinamente ad esse, faceva nel contempo chiaramente anche intendere che quella condizione di benessere non sarebbe stata, invece, offerta ed anzi sarebbe stata rifiutata con conseguente abbandono e privazione da ogni beneficio, a chi si opponeva o criticava dette regole e comunque contestava le richieste e le imposizioni degli operatori (come l'iscrizione ed ulteriori e più costosi corsi) ovvero manifestava l'intenzione di allontanarsi (ponendo così le basi per una prevedibile richiesta di rimborso).

Ebbene, in una simile situazione, nelle suggestioni in cui era stato avvolto il nuovo adepto, nelle speranze suscitate in chi stava male, nel "lavaggio del cervello" a cui costui era stato nel frattempo sottoposto seguendo i corsi, il male veniva inequivocabilmente prospettato come effettivamente realizzabile e in tale senso veniva, in ogni caso, sicuramente recepito.

Quindi, anche in questi casi, sempreché sussistano tutte le condizioni appena esposte, e cioè che il soggetto passivo avesse percepito la promessa di un male fisico alla persona come un evento che poteva in effetti verificarsi, e quindi avesse agito sotto il timore della possibile realizzazione del male stesso, si ravvisano gli estremi della minaccia e non già dell'inganno, in piena aderenza dunque alla giurisprudenza in precedenza citata (si veda in particolare la decisione della Corte di cassazione 28 settembre 1990. Sidoni, ibid., voce Estorsione, n. 12).

(Omissis)


Note:

Per i capi di imputazione citati dalla presente sentenza, si veda qui e qui.

 
 
 
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