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Il Diario delle Molestie: Capitolo 10, cado a pezzi

La giornalista Paulette Cooper, autrice del libro Lo Scandalo Scientology del 1972 (prima grande inchiesta giornalistica sul movimento dianetico), racconta le molestie subite dagli agenti dell'organizzazione di L. Ron Hubbard.

© Di Paulette Cooper, 1982. 
© Traduzione di Simonetta Po, primavera 1998.

Fu circa in quel periodo che inizia a temere sul serio di essere condannata al carcere, e ad avere quei sogni ricorrenti sulla prigione che mi affligono tutt'ora. Jay [il mio avvocato], che prediceva sempre il peggio, mi disse che con una impronta digitale [1] [...] avevo un 95% di possibilità di venire incarcerata. Pensava inoltre avessi poche chances di ottenere una condanna breve ("Speriamo", aggiunse). Cominciai ad essere terrorizzata dalle violenze fisiche e sessuali alle quali sarei stata esposta, e avrei potuto difendermi con maggiore difficoltà data la mia corporatura minuta. 

La mia paura più grande, comunque, quella che mi causava maggiore ansietà, era che la storia della mia imputazione e dell'arresto trapelasse alla stampa, in particolare perché l'opinione pubblica generalmente non fa molta differenza tra l'essere messi in stato d'accusa e una condanna di colpevolezza. Ero in pena per la mia carriera, che fino ad allora era andata magnificamente. Ma di certo nessun editore avrebbe offerto incarichi a una persona accusata di aver mandato lettere minatorie alle persone che aveva denunciato.

Se fossi stata costretta ad abbandonare il giornalismo freelance, per cui avevo lavorato sodo e in cui ero una delle poche ad aver avuto successo [avevo già pubblicato quattro libri prima dei 30 anni] , dubitavo che per me sarebbe stato semplice trovare un nuovo lavoro, se un background di questo genere fosse stato reso pubblico. 

Questi dilemmi mi afflissero per anni, così come un profondo senso di prostrazione circa la possibilità di subire un'umiliazione pubblica ai danni miei e dei miei genitori - e il fatto che si trattasse di una faccenda così bizzarra la rendeva ancora più appetibile per la stampa. Non volevo che ogni dettaglio della mia vita apparisse sui giornali e venissi ritenuta un criminale, e mi sentivo ancor peggio al pensiero dei miei poveri genitori [adottivi]. Tutto ciò che avevo fatto nella vita era stato per farli sentire orgogliosi di me, perché non si pentissero di avermi adottato. E ora erano addolorati e stavamo per essere svergognati in pubblico. 

 
 
 

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Note del 1982

[1] L'impronta digitale in sé era strana, perché consisteva solamente in un quarto del mio dito medio su un lato della pagina. Non combaciava con l'azione di prendere una pila di carta da lettere e gettarla dalla parte di Joy, come facevo spesso con la roba di lei che impegnava la mia parte di appartamento. 

Più tardi mi chiesi anche se Margie Shepherd [la misteriosa donna che aveva fatto visita al mio appartamento poco prima che venissero spedite le minacce] non avesse messo la carta sotto la cartella che sosteneva la petizione che avevo firmato (cosa che avrebbe [riga indecifrabile, ma probabilmente diceva:] spiegato il quarto di impronta digitale di un solo dito, su un unico lato). 

 
 
 
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