Quarta Parte: il tradimento di Hubbard ai principi fondamentali e la rottura Di Helen O'Brien, Whitmore Publishing Co., Copyright © 1966 di Helen O'Brien - Tutti i diritti riservati.
© Traduzione in italiano e note a margine a cura di Simonetta Po, 2006
Verso il marzo del 1953 Hubbard mi chiese di andare a Phoenix per chiudere quella che era stata un'operazione fallimentare chiamata Hubbard College e trasferire a Filadelfia l'ufficio editoriale. Ci chiese di aprire in Pennsylvania una società simile a quella che lui aveva in Arizona, la Hubbard Association of Scientologists, che pubblicava e commercializzava i suoi scritti e stampava una rivista bimestrale.
Al "centro comunicazioni" di Phoenix la situazione finanziaria si era progressivamente deteriorata, ma il motivo principale della sua decisione fu che sul Journal of Scientology erano uscite pesanti distorsioni del suo "8 8008" e Hubbard voleva che il curatore editoriale fosse immediatamente licenziato. Quando aveva ricevuto la sua copia preliminare della rivista ci aveva inviato un cablogramma che diceva "SOPPRIMERE IMMEDIATAMENTE IL NUMERO 12G, TESTO DISTRUTTIVO", ma era ormai troppo tardi. Qualcosa di "8 8008" era stato malamente pasticciato sotto un titolo che aveva a che fare con l'uso della forza, e Ron temeva che avrebbe lasciato a intendere che egli, come Nietzsche, la patrocinasse. Con lo spirito profondamente drammatico che lo caratterizzava, Ron mi telefonò dicendo che sarei dovuta saltare sul primo aereo senza dir nulla a nessuno, e arrivare a Phoenix all'improvviso. Seguii le sue istruzioni, ma come al solito o c'era stata una spiata da Londra o il destino si era accanito, e ciò che trovai a Phoenix giustificò le sue emozioni. Arrivai la sera tardi e il mattino successivo tutti i giornali riportavano titoli e fotografie del furto avvenuto nella casa che Ron aveva affittato nella vicina Camelback Mountain. Arrivata all'ufficio editoriale sollevai il curatore dal suo incarico e mi feci gentilmente consegnare le chiavi dell'ufficio, il che fu facile visto che, anche se non aveva capito Scientology, si trattava comunque di un uomo piacevole. Dopo di che lo sceriffo mi accompagnò a Camelback. La casa era stata completamente saccheggiata. Nessuno scoprì mai che cosa i ladri stessero cercando, sebbene mancassero un paio di pistole registrate di cui riferii i numeri di serie al FBI. Si pensava vi dovesse essere anche un manoscritto intitolato "Excalibur" che conteneva dati sensazionali, e che Hubbard aveva messo in vendita l'anno prima per 5000 dollari. Pare che poi, una volta ricevuto il denaro, avesse rifiutato di venderlo. Forse il ladro stava dando la caccia al manoscritto. Forse l'aveva trovato. Il caso rimase irrisolto. Tutte le attrezzature dell'ufficio di Phoenix vennero spedite a Filadelfia dove fondammo la Hubbard Association of Scientologists della Pennsylvania, che aveva scopi pubblicistici. Io assunsi l'incarico di redattore della rivista, che era diventata un canale di comunicazione tra Hubbard e le migliaia di scientologist membri dell'associazione. Egli scriveva quasi tutto il materiale pubblicato dal giornale e quando voleva discutere L. Ron Hubbard si firmava con il nome "Tom Esterbrook". Durante i sette mesi successivi io e John risollevammo le sorti finanziarie della HAS; la nostra Fondazione Hubbard aveva molto successo e il semplice stile di vita che ci caratterizzava non richiedeva molto denaro. In realtà credevamo di avere diritto unicamente al risarcimento delle spese vive e a un piccolo stipendio, e pensavamo che il resto degli incassi dovesse essere reinvestito nell'attività. Quindi decidemmo di aumentare le quote che giravamo a Hubbard, che in Europa non se la stava cavando molto bene. Cominciammo a mandargli prima il quindici, e poi il venti percento degli incassi lordi della Fondazione. Proprio come lo scienziato mantiene il suo laboratorio in ordine e semplicità, anche noi eravamo meticolosi in ogni dettaglio della nostra vita. Ma a differenza dello scienziato i cui mezzi sono esteriori, materia e forza controllabile, il nostro mezzo era la consapevolezza soggettiva. Il clima in cui la psiche dimostra la sua grande intelligenza e comunica liberamente è un clima in cui sono presenti determinati elementi difficili da discutere in termini moderni. Cose come l'onore, la purezza, la dignità, la verità esistono come forza grezza, ma demagoghi e fanatici religiosi hanno talmente abusato delle parole che li qualificano che, sebbene la loro forza non sia diminuita, le modalità con cui vengono usate sono diventate una trappola. Solo quando quegli elementi esistono come forza si crea l'atmosfera giusta per le vere imprese che coinvolgono la mente e lo spirito, come era Scientology nei suoi primi anni. Una delle scoperte dell'infanzia è che le bolle di sapone non scoppiano mai senza preavviso. Osservi la bolla e le bellissime striature iridescenti che si formano sulla sua superficie. Improvvisamente le loro caratteristiche mutano. I colori si fanno più scuri e indistinti, le striature più lente. E ti accorgi che sulla bolla compaiono dei buchi, che diventano sempre più grandi fino a che la superficie assomiglia a una rete, con zone di vuoto che si espandono. Poi, e solo allora, la bolla improvvisamente scoppia e scompare. Successe la stessa cosa con noi e Scientology. Alla fine la bolla esplose negli ultimi mesi del 1953, quando chiudemmo la Fondazione, salutammo le persone straordinarie che l'avevano sostenuta e formalizzammo la fine della nostra fedeltà a Hubbard con un ultimo incontro a Camden, New Jersey - lo stato in cui il progetto dianetica-Scientology aveva messole sue prime radici trenta mesi prima. Ma i segnali dell'inizio della fine erano comparsi molto prima. Per diverse settimane dopo il ritorno di Ron a Londra, seguito alle conferenze 8 8008 di Filadelfia, continuammo a mantenere con lui una corrispondenza amichevole ed affettuosa. Lui concludeva le sue missive mandandoci il suo affetto e noi facevamo altrettanto nello scrivergli per raccontargli in dettaglio gli avvenimenti che ci riguardavano. Ma da parte nostra c'era apprensione per il suo completo voltafaccia ai fondamenti logici di base dell'auditing. Nei primi anni di dianetica-Scientology l'immaginazione era tabù. Immaginazione e fantasia venivano etichettate come "fabbrica di bugie" e l'elettropsicometro aveva confermato la saggezza del rifiuto di tale procedimento in quanto sterile. Erano cose di seconda mano, di solito l'attività di un elaboratore umano aberrato o una comunicazione distorta di una mente reattiva sovraccarica. Ma ora Ron stava iniziando a patrocinare qualcosa chiamato "processing creativo", che aveva a che fare con immaginazione e "mockup" [immagini mentali]. Uno dei libri più popolari dopo Dianetics si intitolava Self Analisi, una sorta di manuale per l'auto-processing. Il libro elencava lunghe liste di situazioni, centinaia e centinaia. Ed ogni lista era preceduta da una domanda, ad esempio: Puoi ricordare un momento in cui...Avevamo sentito parlare degli eccitanti risultati ottenuti da chi si era imbarcato in quest'avventura di auto aiuto, tra cui un netto miglioramento nella capacità di ricordare. Ma una delle prime cose che Hubbard ci chiese di fare dopo il trasferimento del centro comunicazioni a Filadelfia era stata di pubblicare una seconda edizione di Self Analisi, già stampata in precedenza a Phoenix. Nella seconda edizione era stata apportata una modifica fondamentale. Non si chiedeva più di ricordare qualcosa, la domanda era invece diventata: «Puoi immaginare...». [1] Dopo la pubblicazione di Dianetics erano sorte molte incertezze sul modo esatto in cui una seduta di auditing doveva essere condotta, visto che Hubbard continuava a rivedere la procedura. Ma c'era sempre stato il principio imprescindibile che oltre alla nostra consapevolezza cosciente e disponibile alla ragione vi erano registrazioni del passato che potevano aberrare il comportamento del presente. Lo scopo dell'auditing era portare queste registrazioni, o facsimili, alla superficie della consapevolezza cosciente, poi "stare di fronte" al fatto che esse esistevano e riviverle più volte per eliminare il loro potere di agganciarsi e di comandare azioni ed emozioni all'insaputa dell'individuo, e senza che egli avesse possibilità di scelta. Il concetto che l'individuo porta dentro di sé registrazioni del passato che possono influenzare il suo comportamento al di là della consapevolezza cosciente è quasi universalmente accettato. Per la psicoterapia occidentale è importante l'idea di una mente subconscia, mentre pietra miliare dell'Induismo e del Buddismo è la credenza che esista un karma irresistibile conseguente alle nostre azioni del passato. Il tremendo fascino di dianetica derivava dall'evidente certezza di Hubbard di poterti facilmente liberare, in tempo presente, dal retaggio delle cattive esperienze del passato. Ma adesso voltava le spalle alla realtà soggettiva. Appena tornato a Londra cominciò a mandarci ulteriori conferenze registrate che completavano ciò che aveva detto a Filadelfia a dicembre a proposito di processing "creativo" [2]. E mentre prendeva il sopravvento questo nuovo e blando approccio, tutta la vitalità e l'eccitazione cominciarono a scomparire. In quella primavera vedevamo ancora la bolla di sapone intera, bellissima e iridescente. Hubbard faceva le stesse stravaganti affermazioni sulle terapie in cui il preclear creava illusioni che aveva fatto per il ritorno, e le nostre speranze si mantenevano alte. Sì, credevamo ancora in L. Ron Hubbard, il taumaturgo. Ma nel corso del 1953 la nostra disillusione crebbe a dismisura. La nostra convinzione che un colpo di fortuna ci avesse dato gli strumenti per conoscere, analiticamente, molto di più di quello che è un semplice diritto di nascita sul pianeta Terra del ventesimo secolo non era diminuita. Ancora adesso ne sono convinta. Ma ai nostri crescenti dubbi sulla validità della terapia si aggiunse l'ostilità di L. Ron Hubbard nei nostri confronti. Appena assunta la responsabilità degli interessi finanziari di Hubbard, infatti, iniziò la guerra: Ron dubitava di noi di continuo, faceva il doppio gioco e ci attaccava senza sosta. Cominciammo a renderci conto che i furfanti di dianetica-Scientology che si diceva avessero accompagnato la sua crescita erano in realtà stati creati dalla mente dello stesso fondatore, assieme alla materia che aveva sviluppato. E arriviamo al capitolo più triste, perché le idee che ci avevano infiammati non avevano perso di validità, mentre l'individuo che le aveva create sembrava esserne sempre meno protagonista. In dicembre Ron aveva detto: «La sola cosa che non dovete fare nell'universo MEST è conoscere... In questo universo l'informazione vi farà riemergere più velocemente di qualsiasi altra cosa». Cominciammo a pensare di essere testimoni di un esempio classico di ciò che intendeva dire. Le attività londinesi non procedevano bene. All'epoca non avevamo modo di sapere quanto laggiù fossero disperati, ma in seguito una figura chiave dello scenario inglese me ne inviò una descrizione: «Sopra a tutto aleggiava un'atmosfera di estrema povertà e bisbigli di un truce complotto. Il 163 di Holland Park Avenue consisteva di una sala conferenze male illuminata con un ufficetto spoglio e angusto - infestato soprattutto da ragazzi dai capelli lunghi e da ragazzette malridotte dai capelli corti». Non fa meraviglia dunque che i nastri che ricevevamo da Londra riflettessero una triste caduta rispetto all'originalità e alla vera forza che avevamo apprezzato gli anni precedenti. Quando, dopo una seduta con gli ultimi materiali di Hubbard, tornavi al materiale precedente era come picchiare il pugno nella mano aperta, l'eccitazione per la sua grandezza si impossessava di nuovo di te. Ma ne restavano soltanto vaghe sembianze. Ho sempre ritenuto probabile che a un certo punto di quella primavera Hubbard si fosse detto, in buon americanese, «Al diavolo!». Vi fu una toccante pausa nell'oscurità che pensavamo stesse avvolgendo la sua scienza. Il 23 aprile 1953, inaspettatamente, Ron pubblicò un breve documento intitolato "The Factors" [i fattori]. Sembrava essere un riassunto frettoloso di tutto quanto era stato detto. Ricordo che mentre lo leggevamo sentimmo un brivido lungo la schiena. Era come l'eco lontana di una voce prode e valorosa, le ultime parole lanciate nell'aria da una stazione radio che viene spenta dall'invasore. Il commiato diceva: «Offerto come un umile dono all'Uomo da L. Ron Hubbard». Sebbene fossero sorte nuove "associate" che gli inviavano il dieci percento degli incassi lordi, Ron ci scriveva dicendo che eravamo la sua unica fonte di reddito in America. Ma era davvero uno strano socio in affari, visto che sembrava deciso a farci fuori. Inviò per posta aerea all'elenco dei nostri iscritti americani offerte di libri in vendita in Inghilterra, ma venne ripetutamente meno alle promesse di spedircene una scorta, nonostante dopo aver eseguito i suoi ordini su come pubblicizzarli fossimo stati investiti da una valanga di ordinativi. Ci disse che dovevamo girargli tutte le lettere in modo da poter rispondere personalmente, ma non rispose a quelle missive, definendo invece noi "Incomunicatori di Filadelfia". Quando assunsi una segretaria iniziò a scrivere direttamente a lei, pagine e pagine di istruzioni su come io avrei dovuto gestire l'attività! Ma credo che niente di tutto questo sarebbe stato sufficiente ad indurci a prenderci la decisione di rinunciare a Scientology. C'era invece un'area in cui non fu possibile scendere a compromessi od essere tolleranti, ed era la riluttanza di Hubbard a fare pulizia. Ron aveva ripudiato, per poi reintegrarli per denaro, un certo numero di immorali opportunisti, scrivendoci nel frattempo lettere contraddittorie. Alla nostra Fondazione gli standard erano molto alti e il calibro dei nostri iscritti avrebbe fatto un'ottima figura in qualsiasi scuola per adulti. La scena era dominata dagli ingegneri, ma c'erano anche altri professionisti. Tra i nostri studenti c'era addirittura un giudice del Wisconsin, che veniva a Filadelfia ogni qualvolta il tribunale gli lasciava un po' di tempo libero. Questa gente era in deciso contrasto con molti altri che sbandieravano per il paese il titolo di "Scientologist". E tutti i nostri appelli, sia per posta che per telegramma, affinché Hubbard stabilisse un codice etico caddero nel vuoto. Alla fine giungemmo alla conclusione che mi sarei dovuta recare a Londra per presentare personalmente il caso, ma il giorno dopo aver preso la decisione apprendemmo che Ron aveva lasciato Londra per il continente. Perciò segnammo il passo per diverse settimane in attesa del suo promesso ritorno in America. Verso la fine dell'estate Ron Hubbard scrisse dalla Spagna informandoci che per la fine di settembre si sarebbe dovuto tenere a Filadelfia il "Congresso Internazionale dei Dianeticisti e Scientologisti", e ci demmo da fare per organizzarlo. Ron arrivò con molto anticipo e fu il raduno di dianetica più riuscito di tutti i tempi: vi presero parte circa trecento persone, ognuna delle quali aveva pagato una sostanziosa quota di iscrizione. Erano persone di insolita presenza e capacità provenienti da tutto il mondo, sebbene la maggioranza fosse costituita da americani. All'arrivo di Ron a Filadelfia, dopo un volo dalla Spagna caratterizzato da incredibili contrattempi, cercammo di appianare le nostre divergenze, ma lui non voleva, o non poteva, capire. Sembrava sopraffatto da una bizzarra furberia. Era terribilmente cambiato, quasi un estraneo. A proposito del doppio gioco disse che sì, talvolta lo aveva fatto. Ma aveva le sue spiegazioni. Si giustificò dicendo che aveva voluto mantenere un basso profilo sulle attività della HAS fino a quando le sue nuove tecniche, che aveva portato con sé al congresso, non fossero state lanciate. Ridemmo alla cosa, poiché per noi le nuove terapie erano storia vecchia. L'ultimo giorno del congresso uno dei nostri SCIO, un giovane comandante della Marina, senza che mai prima ne avessimo accennato con lui parlò di reputazione e di etica, augurandosi l'inizio di un pubblico dibattito. Vennero fatti progetti grandiosi per la creazione di un nuovo organismo professionale che avrebbe assicurato il mantenimento di standard di alto livello. Hubbard naturalmente si disse d'accordo su tutto. Ma non accadde nulla. E in verità non ci aspettavamo nemmeno che sarebbe successo qualcosa. Hubbard aveva aprì il suo nuovo quartier generale a Camden, dall'altra parte del fiume, e quasi senza discuterne iniziammo a prepararci a chiudere la Hubbard Foundation di Filadelfia. Il 30 ottobre 1953 ci incontrammo per l'ultima volta con L. Ron Hubbard. Rassegnammo le dimissioni dalla Hubbard Association of Scientologists, ci organizzammo per il trasferimento dei fondi ecc. e poi lasciammo i suoi scialbi, nuovi locali. Lo salutai con parole di certo ineleganti, me ne rendo conto: «Sei come una mucca che dà un buon secchio di latte, poi lo rovescia con un calcio». E quella fu la fine. Con una delle sue tranquille decisioni, che a volte mi coglievano davvero di sorpresa, John mi informò che stava pensando di cambiarsi nome, come voleva fare già da anni. Mi disse che gli piaceva molto il suono di John Henry O'Brien, che naturalmente piaceva anche a me. Ottenne velocemente il cambiamento legale e trovò un lavoro interessante. Poi ci trasferimmo in periferia, dopo aver trovato un inquilino per l'edificio. E in un qualche modo, dopo la rottura con Hubbard, evitammo di parlare dei motivi della nostra affiliazione con lui. Senza riconoscerne direttamente la presenza, fin dall'inizio John ed io fin avevamo accettato l'esistenza dei suoi traumi. Ci eravamo organizzati in modo che non venissero scatenati, un po' come avremmo evitato l'esposizione a umidità e correnti d'aria se lui fosse tornato dalla guerra con febbri ricorrenti invece che con problemi psichici. Quando ci era arrivato il telegramma che annunciava il convegno del marzo 1952 avevamo stabilito una divisione di ruoli a cui poi ci eravamo attenuti. John si sarebbe occupato delle persone, delle proprietà e della presentazione del materiale, mentre a me sarebbe toccato prendere le decisioni immediate quando necessario. Il nostro punto di vista in realtà era il medesimo, si trattava solo di una divisione di compiti a volte tacitamente artificiosa per superare con l'astuzia gli insensati automatismi dell'aberrazione. Forse fu quando iniziammo a programmare una vita normale che John realizzò di essere disperato. Aveva accettato un lavoro che richiedeva sei mesi di formazione prima di potersi assumere qualche responsabilità. Credo che lui già vedesse e si rendesse conto di ciò che voleva tenermi nascosto. Per un certo periodo lavorò con il suo datore di lavoro, un rappresentante, tenendo i contatti con architetti e costruttori, e sembrava felice. Acquistammo una nuova decappottabile, ogni tanto facevamo un viaggio e cominciammo a interessarci a una nuova casa e ad altri aspetti della vita tranquilla di periferia. Non c'era nulla di particolare che volessimo fare, ma era bello stare insieme. All'inizio dell'estate le sue responsabilità aumentarono e cominciò ad arrivare a casa la sera molto pallido e terribilmente agitato. In un paio di occasioni parlò della possibilità di trasferirci in qualche tranquilla località di villeggiatura dove avremmo potuto metterci in proprio e lavorare insieme. Ma l'idea non ci piaceva più di tanto. Ripensando a quel periodo, anche ora non so quali vere alternative avessimo. All'inizio di giugno gli venne assegnata una vasta area di lavoro che comprendeva tre stati diversi. La tensione era inevitabile. John aveva tutte le qualità per essere un buon executive - intelligenza, integrità e talento nel dirigere gli altri. Ma stava bene solo in superficie. Dentro di sé aveva l'inferno. Ci provò comunque per diverse settimane, un'azione di puro valore. Anche io restai influenzata da questa depressione fortemente controllata, molto di più di quanto all'epoca mi rendessi conto. Avevamo smesso di guardare avanti, salvo le poche volte in cui John portava a casa il lavoro e parlavamo un po' dei suoi futuri sviluppi. John aveva tirato fuori tutta la sua attrezzatura di artista e l'aveva disposta vicino a una grande finestra del nostro appartamento, ma una volta sistemata la toccò di rado. A volte giocavamo a Scarabeo, spesso restavamo semplicemente in silenzio, magari tenendoci per mano. Un mattino alle otto, circa un mese dopo aver assunto la nuova area, mi disse casualmente che avrebbe preferito "mollare il corpo" piuttosto che sopportare un altro giorno in ufficio. Sembrava sano e riposato come sempre il lunedì mattina, il giorno prima eravamo stati al mare. Vidi che indossava il suo abito preferito e il papillon. Anche la mia risposta fu casuale. Gli dissi che aveva un gran bell'aspetto per uno che stava discutendo il suicidio, cosa di cui non aveva mai parlato prima. La sua risposta avrebbe dovuto mettermi in guardia, ma non raccolsi. Mi disse «Sai, in Marina assumi certe abitudini». Poi uscì. Più tardi scoprii che aveva portato con sé la cassetta degli attrezzi, lasciando a casa una piccola taglierina che ci era sempre piaciuta molto. Fu in quel momento che capii che le sue parole erano state molto serie. Scesi in garage per vedere se fosse lì. Ma anche se ci fosse stato, non mi avrebbe fatto entrare. Contattai le autorità e la polizia lo rinvenne nella decappottabile, nascosta nel bosco di Brandywine. Aveva collegato il tubo di scappamento all'abitacolo, si era tolto le scarpe e aveva atteso tranquillo sul sedile posteriore, bevendo una coca. Arrivarono i suoi parenti dal New England e per rispetto a loro feci tenere un breve servizio religioso prima della cremazione, un semplice servizio quacchero. John non era mai stato particolarmente coinvolto nella religione di famiglia. Non avvertii sentimenti di distacco. Da molto tempo non ci identificavamo più nel nostro corpo fisico, non più di quanto alcuni si identificano in un'automobile che "possiedono" e guidano. La mia serenità in quel periodo fu una conferma dei dati che avevamo acquisito, visto che non sono mai stata una stoica.
Poco dopo la sua morte ebbi l'unica "esperienza psichica" della mia vita. Un mattino d'agosto mi svegliai verso l'alba, ed eravamo insieme, al centro della stanza. «Che cosa dobbiamo fare di quella?» avevo chiesto, indicando Helen O'Brian distesa sul letto. Fu una strana sensazione da ricordare in seguito, ma una realtà molto familiare. «Oh, diamole élan», rispose John con allegria. 1. Le versioni attuali del libro sono tornate alla formula "Puoi ricordare..."
2. Hubbard abbandonò poi quasi subito anche quel tipo di processing. Mike Goldstein e John Galusha lo ripresero negli anni '80. Si veda alla voce "Processing Creativo" di La vita dopo la Chiesa di Scientology, Mike Goldstein, 2005. |
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