Secondo l'autore la psicologia clinica, lungi dall'essere una scienza, viene governata da mode che, in ultima analisi, hanno la medesima utilità terapeutica di una chiacchierata con la zia, danneggiano un gran numero di persone e servono solo ad arricchire gli psicoterapeuti. Di © Paul Lutus 2006.
© Traduzione a cura di Simonetta Po, giugno 2013
Attenzione: I link in colore rosso sono stati inseriti dal traduttore. Gli altri sono originali dell'autore.
Durante la mia navigazione solitaria intorno al mondo ho visitato lo Sri Lanka, paese molto bello quanto travagliato a sud dell'India. Nonostante una guerra civile apparentemente infinita e una diffusa povertà, ho scoperto che la maggioranza dei suoi abitanti è molto resiliente e capace di accettare la propria vita. Ma ricordo un uomo che, in modo indiretto, mi fornì lo stimolo per questo articolo. Un giorno stavo visitando il mercato di Galle quando vidi un uomo avvolto in bende apparentemente insanguinate che barcollava sulla via, lamentandosi. All'avvicinarsi di un turista europeo l'uomo inscenava uno scontro e si accasciava a terra urlando. Poi, in base all'ingenuità del turista, poteva verificarsi il passaggio di mano di qualche soldo - un risarcimento istantaneo per la goffaggine del turista. Il giorno seguente vidi inscenare il medesimo dramma e, in quelli successivi, constatai che la vittima cercava di evitare il contatto con le stesse persone. Non era certo difficile - dopo il primo incontro con la falsa vittima le persone attraversavano la strada per non incrociarlo. Lasciato lo Sri Lanka ho ripensato a quella vittima. Mi sono reso conto che essa rappresentava un modo patetico ma plausibile per guadagnarsi da vivere approfittandosi della generosità (e dell'ignoranza) delle persone comuni. E, come tante altre mie esperienze nel Terzo Mondo, ho trovato che quel comportamento rapace fosse un archetipo trasparente delle sue versioni più raffinate nel Primo Mondo. Nulla in questo articolo vuole sottintendere che tutte le vittime siano degli impostori - esistono vittime genuine, reali e le società civili devono andare incontro alle loro necessità. Questo articolo vuole invece analizzare un trend in espansione verso la vittimizzazione degli impostori, trend che insegna e incoraggia lo sfruttamento delle debolezze dei nostri servizi sociali e i buchi nelle convalide e nella logica, fattori che hanno creato una nuova e tragica classe sociale: le vittime professionali.
La psicologia clinica gioca un ruolo centrale nel coltivare le vittime professionali. La psicologia non è una scienza (per i motivi spiegati qui) perciò si è trasformata in una sorta di pendolo delle opinioni che oscilla al passo con le mode e le credenze popolari. Nel corso della relativamente breve storia della psicologia clinica, la maggioranza delle credenze e delle pratiche che hanno dominato il pensiero dei clinici è stata poi del tutto abbandonata e sostituita da nuove nozioni altrettanto dubbie. Per esempio, negli anni '60 lo psicoanalista Bruno Bettelheim dichiarò che i bambini autistici erano il prodotto di "madri frigorifero", mamme che, secondo Bettelheim, erano incapaci di costruire un legame emotivo con il bambino. Vale a stento la pena aggiungere che la posizione di Bettelheim non aveva alcun tipo di evidenza a sostegno, fatto che però non ne ostacolò l'accettazione - il che nella psicologia clinica è più una regola che un'eccezione. A parte la mancanza di evidenza, l'idea delle "madri frigorifero" aveva alcuni difetti pratici seri. Nell'apparente tentativo di demonizzare la maternità, questa idea sortì l'effetto di indurre un consistente numero di ottimi clienti ad allontanarsi dai servizi offerti dagli psicologi. In ultima analisi, la psicologia clinica è un business e le attività commerciali non trovano la prosperità nell'allontanare i propri clienti (ci si tornerà più avanti). Inoltre nessuna terapia della parola, nessun intervento sul comportamento o somministrazione di farmaci - dispensati alle mamme o ai bambini - sembrarono migliorare la condizione dei sofferenti di autismo. Ovviamente, se l'autismo fosse il risultato di uno specifico comportamento genitoriale allora la modifica di quel comportamento dovrebbe cambiare la condizione, ma ciò non corrisponde a quanto osservato. Per questi e per altri motivi in anni recenti il pendolo della moda in psicologia si è allontanato dalla severa accusa fatta da Battelheim alla maternità. Ma di tutti i fattori che incidono sul cambiamento di prospettiva della psicologia, nessuno è più importante di alcuni diffusi mutamenti in corso nella società che vive oltre le porte della clinica. Da un iniziale atteggiamento secondo cui le persone devono accettare la responsabilità individuale delle proprie azioni, idea che in epoche recenti si sta sempre più erodendo, siamo ormai arrivati a dichiarare che tutti sono delle vittime di qualcosa: dei genitori, della società, dei geni o della volontà di Dio - e chiunque auspichi un ritorno all'idea di ritenere gli individui responsabili del proprio destino e delle proprie azioni viene accusato di "incolpare la vittima", frase senz'altro ispirata dai tempi che stiamo vivendo e perfettamente in linea con essi.
Attenendoci alla metafora del pendolo e al suo attuale oscillamento, che batte lontano dal ritenere le persone responsabili di ciò che fanno, la nozione che tutti sono delle vittime sembra avere raggiunto l'apice negli anni '90, periodo in cui diverse pratiche dubbie furono accettate, anche se temporaneamente, nelle aule di tribunale. Un esempio fu la "Terapia di recupero della memoria" ["recovered memory therapy"], cioè l'idea che le persone potessero avere ricordi totalmente soppressi di terribili crimini commessi contro di loro, di solito quando erano ancora bambini. Nella fase uno di questa pratica il terapeuta incoraggiava il recupero di quei ricordi, il cliente ricordava crimini orribili, gli accusati andavano in prigione. Nella fase due la cliente (perché si trattava quasi sempre di donne) si rendeva conto di essere stata imbrogliata, gli accusati imprigionati erano rilasciati e il terapeuta veniva querelato dai falsamente accusati, a volte anche dalla cliente. I vantaggi della situazione dovrebbero essere ovvi - la cliente poteva così ostenere il doppio status di vittima: prima degli aguzzini dell'infanzia, poi del terapeuta. Ecco un esempio tratto dalla casistica. Una certa Holly Ramona iniziò la terapia della memoria recuperata e "ricordò" subito di essere stata violentata dal padre molti anni prima. Il padre perse immediatamente il lavoro e sua moglie chiese il divorzio poiché, in base alla sua intuizione materna, aveva deciso che le accuse erano fondate (nessuno pare essersi chiesto dove fosse la sua intuizione all'epoca del presunto crimine). Il padre negò l'accusa con veemenza e fece causa al terapeuta, al consulente matrimoniale e a un ospedale per il ruolo avuto nella vicenda, e alla fine ottenne un risarcimento di 500.000 dollari. A questo punto il lettore potrebbe considerare questa storia un caso di "lui ha detto, lei ha detto" - dopo tutto nessuna delle due parti sembrava avere prove concrete. Il punto però è che si dimostrò che, all'epoca delle accuse, la ragazza era vergine, cosa su cui gli psicologi (e la legge) avevano sorvolato. In un altro caso simile, degli psicologi allestirono una terapia in setting clinico formale e usarono le memorie "recuperate" per persuadere Patricia Burgus di aver fatto parte di una setta satanica e di aver praticato il cannibalismo. La truffa fu così avvincente che quando un giorno il marito della Burgus arrivò con un hamburger, i terapeuti lo presero in consegna e lo analizzarono in cerca di tracce di carne umana. Alla fine la Burgus si rese conto di essere stata ingannata e, nella seconda fase di questa storia, il tribunale le riconobbe un risarcimento di 10,6 milioni di dollari. Queste due storie sono rappresentative di un gran numero di casi simili, casi che paiono avere in comune un disperato desiderio di essere vittima di qualcosa, qualsiasi cosa anche immaginaria, pur di perseguire qualche immaginario aguzzino. E come ricaduta della moda delle "memorie recuperate" ci ritroviamo con centinaia di accusatori che hanno ritrattato le affermazioni di "memorie recuperate" e con molti di essi che sono passati dalle cause legali contro i genitori, a quelle contro i terapeuti (come al solito nessuno fa causa agli avvocati). Altro effetto di questa moda è che, dati questi orribili precedenti, molti tribunali non accettano più casi in cui le "memorie recuperate" costituiscono la prova primaria. [In Italia ci sono stati casi assimilabili in cui però le "memorie recuperate" sono state accettate come "prova regina", per esempio quello della Bassa Modenese, dei falsi abusi pedosatanici negli asili di Brescia, Bergamo e Rignano Flaminio, e la inquietante vicenda di Don Giorgio Carli a Bozano - N.d.T.]. Dov'è la scienza? A questo punto chiedo ai lettori di riflettere sulle oscillazioni del pendolo delle mode psicologiche sopra descritte. Abbiamo visto la famosa affermazione di Bruno Bettelheim secondo cui l'autismo derivava dalle "madri frigorifero", madri anormali incapaci di costruire legami affettivi con i propri figli. All'epoca i problemi di tale credenza sarebbero dovuti risultare ovvi e le nozioni di Bettelheim sarebbero potute essere sottoposte a test di realtà, ma non lo furono. La conseguenza fu che molte madri dedicate e competenti furono ingiustamente demonizzate. Abbiamo visto la moda della "terapia delle memorie recuperate" che portò a false accuse contro molte persone, alcune delle quali furono addirittura incarcerate [e persero anche la patria potestà dei figli che furono dati in adozione, come nel caso della Bassa Modenese - N.d.T.] per crimini inesistenti ipotizzati sulla base di false testimonianze psicologiche "esperte" rese nelle aule di giustizia. Ancora una volta delle semplici verifiche avrebbero potuto rivelare che molte di quelle affermazioni erano pure fantasie, per esempio con la scoperta che una ragazza che aveva accusato il padre di stupro era invece vergine al momento delle accuse. Ma,come nel caso della credenza anni '60 sulle "madri frigorifero", non furono eseguiti nemmeno i più semplici test di realtà. E come conseguenza si ebbero molte famiglie distrutte e carriere rovinate. Perché succede? Si può dire che la psicologia clinica è una scienza? La ricerca psicologica mainstream effettua controlli su ciò che accade nella psicologia clinica? Si dà il caso che la psicologia clinica contemporanea possa essere paragonata alla pratica medica della fine del XIX secolo - un numero limitato di operatori seri e responsabili, una pletora di ciarlatani, controlli molto scarsi, poca responsabilità, scienza quasi inesistente. [NB: In USA non esiste un albo degli psicologi come quello italiano, per quel che può contare tale albo per la reale tutela dei cittadini. N.d.T.] Fu solo grazie all'accumularsi di esperienze dolorose che la medicina è stata trascinata obtorto collo nel mondo della validazione scientifica e della responsabilità. In psicologia clinica questo processo non è ancora nemmeno iniziato. Molti psicologi hanno replicato ai miei articoli sull'attuale stato della psicologia clinica. Alcuni hanno discusso sul fatto che nel campo della psicologia è stata condotta ricerca scientifica seria, e a prima vista sembra vero. Ma un'analisi più accurata rivela che la qualità della scienza sembra molto scarsa e, sicuramente più rilevante, che la ricerca condotta sta sortendo poco impatto sulla pratica clinica. Quando al giorno d'oggi un medico somministra un trattamento in un setting clinico può semplicemente studiarsi la letteratura pubblicata per cercare rimedi comprovati, rimedi solitamente convalidati da approfonditi studi scientifici. Se in contesto clinico uno di questi rimedi comprovati mostra di avere effetti collaterali imprevisti, suonano subito i campanelli d'allarme e tutta la pratica viene riesaminata da capo a fondo. Inoltre, prima di somministrare un particolare rimedio medico il cliente viene (o dovrebbe essere) informato sugli scopi e sulla qualità del rimedio, sul suo grado di efficacia e sugli effetti collaterali. Il cliente firma allora un "consenso informato" al trattamento. Nella medicina ufficiale i ricercatori conducono esperimenti basati su protocolli severi, i loro studi vengono ripetuti in altri laboratori e solo dopo un complesso procedimento e controlli minuziosi i medici vengono autorizzati a somministrare il trattamento. Quegli stessi medici riferiscono poi ai ricercatori tutti i risultati inattesi e i ricercatori tengono aggiornati i medici sui nuovi risultati. Dal canto loro, i medici non prescrivono trattamenti privi di efficacia dimostrata, almeno se pensano di voler praticare la medicina per più di qualche settimana. Quanto sopra riassume in breve la pratica attuale della medicina ma, contrariamente alla percezione popolare, tale modello non viene seguito dalla psicologia clinica. Nella psicologia come attualmente praticata gli operatori possono fare più o meno tutto ciò che desiderano, ed esiste poca comunicazione tra il mondo della ricerca psicologica e quello della pratica clinica. La sostanza è che la psicologia clinica non è neanche lontanamente una scienza, e che gli psicologi clinici non sono dei medici. Sfortunatamente molti non si rendono conto che gli psicologi godono di una fama superiore a quanto meriterebbero (leggete questo articolo per maggiori dettagli sui motivi). E questo è il motivo per cui l'odierna psicologia clinica è regolata da un pendolo modaiolo che oscilla seguendo il gusto e il pregiudizio popolare. Ed è il motivo per cui i tribunali, impressionati dall'apparente professionalità degli "esperti" psicologici, a volte concedono alle loro testimonianze un peso immeritato, fino al punto in cui si viene a volte privati della libertà sulla base di semplici fantasie. Nella migliore delle ipotesi la psicologia clinica offre servizi che, in senso stretto, non sono onestamente distinguibili dalle chiacchiere in veranda con Zia Hilda. Nella peggiore, la psicologia clinica sintonizza le sue "teorie" per seguire opportunisticamente le mode sociali del momento, come l'idea che chiunque è una vittima di qualcosa. Incoraggiando attivamente comportamenti che blindano le difficoltà mentali delle persone coinvolte, la pratica clinica della psicologia diventa parte del problema che dovrebbe risolvere. A costo di ripetermi, la psicologia clinica è un business. Affonda o galleggia sulla sua capacità di attirare clienti, e il cliente ha sempre ragione. Se i clienti sono convinti di essere delle vittime, se credono di poter "ricordare" crimini orrendi e nel "ricordarli" si posizionano come vittime meritevoli di compassione, vendetta e risarcimento economico, da qualche parte ci sarà sempre qualche psicologo pronto a rinforzare e incoraggiare quella convinzione, naturalmente dietro ragionevole compenso. E la scienza non frapporrà alcun ostacolo a quel tipo di processo. Già mi immagino le reazioni degli psicologi che dissentiranno e si dissoceranno dall'idea che la caccia di clienti da parte della psicologia clinica sia ormai tale da adeguare i propri standard al punto da conformarsi a qualsiasi convinzione possa avere un potenziale bacino di clienti. Ma purtroppo è così. A parte l'inspiegabile popolarità della "terapia di recupero della memoria" e di quella della "comunicazione facilitata", entrambe ora del tutto screditate, riflettete un momento sulla carriera del defunto Professor John Mack della Harvard Medical School, il quale decise di accogliere come oro colato i resoconti di rapimenti alieni. Mack articolò la sua convinzione che gli UFO erano reali, che i rapimenti alieni erano reali e con questo attirò un gran numero di persone disturbate che avrebbero altrimenti cercato aiuto competente. Il suo disprezzo per i comuni standard di verifica non pare così terribilmente fuori luogo in ambito psicologico.
Se vivessimo in un'epoca in cui la responsabilità personale fosse tenuta in maggior conto, un'epoca in cui, da un elenco di opzioni sociali, optare per il vittimismo sembrerebbe totalmente stupido, sarebbe sufficiente dire che le persone di successo non sono delle vittime. Ma non stiamo vivendo in quell'epoca e, per alcuni, qualsiasi tipo di perenne vittimismo sembra veramente un'opzione percorribile. Quando si analizzano le vite delle persone di successo ciò che impressiona è l'assenza di tratti condivisi (ed è il motivo per cui i libri di auto-aiuto che affermano di trasformarvi in persone di successo non mantengono mai le loro promesse). C'è soltanto un tratto che le persone di successo condividono - non si atteggiamo mai a vittima. Le vittime non ispirano fiducia, solo compassione. Gli investitori navigati non cedono al vittimismo perché è una posizione perdente. Le persone di successo non si atteggiano mai a vittime anche per un altro motivo - sanno che se non si prendono la responsabilità quando le cose vanno male, perderanno il diritto di assumersi il merito quando le cose vanno bene. Si tratta di uno dei diversi punti del principio di simmetria. Anche le vittime perenni sono soggette al principio di simmetria, ma solo perché hanno una visione così negativa della vita che non si aspettano mai che le cose possano andare bene, perciò atteggiarsi a vittima non presenta mai delle controindicazioni. Le persone di successo riescono a vedere segni positivi anche in un paesaggio desolato e possono agire in modo creativo e costruttivo in base a ciò che vedono. Al contrario, le vittime che osservano il medesimo paesaggio riescono a vedere soltanto delle opportunità per un ulteriore vittimismo. Sia le persone di successo che le vittime creano narrative che si auto-avverano. Ecco una casistica di successo. A un certo giovanotto viene diagnosticata la sindrome di Asperger, nota come disturbo piuttosto grave ma altrettanto controverso sia sulla modalità di decisione su chi ne è portatore, sia su come comportarsi (altro sull'Asperger qui.) L'Asperger presenta parecchie sfaccettature e i ricercatori più responsabili consigliano di mantenere un sano scetticismo su diagnosi e trattamento. Il singolo individuo può prendere quella diagnosi e usarla come scusa per presentarsi a vita come una vittima (e alcuni lo hanno fatto). Oppure, poiché i portatori di diagnosi di Asperger tendono ad avere una intelligenza brillante, potrebbe prenderlo come segnale di abilità superiori. Che cosa fece il nostro giovanotto? Cercò forse la compassione e sprofondò in un modello perenne di autocommiserazione? Oppure accettò le carte che la vita gli aveva distribuito e cercò il suo posto nel mondo? Beh, fece la seconda che ho detto. Ed è diventato l'uomo più ricco del mondo: Bill Gates. Le persone più di successo apprendono come avere successo, non sono nate con l'istinto del successo. Per gli stessi motivi le vittime perpetue, le vittime professionali, vengono addestrate al vittimismo, non ci sono nate. Da dove arriva allora questo addestramento?
Questo paragrafo si basa molto su eventi reali, ma viene restituito in forma narrativa per proteggere l'identità degli attori. Qualsiasi somiglianza con persone, luoghi ed eventi reali è puramente casuale e non intenzionale. Conosco una barzelletta che mi sembra rilevante, per cui ve la racconto. Madre e figlio sono in spiaggia, il ragazzino si tuffa e ha problemi con le onde; la mamma esce di testa, comincia a urlare e a sbracciarsi. Un bagnino va a recuperare il ragazzino e lo riporta incolume alla madre: «Ecco suo figlio, signora.» Ma la mamma, essendo il tipo di persona oggetto di questo articolo, gli dice: «Hai salvato mio figlio, ma non potevi recuperare anche il suo cappellino?» Quando la sentii la prima volta la trovai divertente, pensando però che fosse irreale. Ma ho dovuto cambiare idea. In una storia che racconto più compiutamente qui, alcuni anni fa due genitori mi chiesero di fare da mentore a un ragazzino la cui situazione familiare si dimostrò, a tempo debito, un perfetto campo di addestramento per il prototipo della vittima. A prima vista il compito che i genitori mi affidarono pareva banale - dovevo soltanto incoraggiare il ragazzino a rispettare e sviluppare i suoi doni intellettuali naturali. Pensai che sarebbe stato facile: io, a differenza dei suoi genitori, comprendevo e condividevo i suoi interessi e pensavo che il ragazzino meritasse di tenere in maggior considerazione le sue capacità e il suo futuro; il bambino era in un'età in cui si iniziano ad applicare innovativamente al mondo i propri talenti intellettuali. Fatta amicizia con il ragazzino, la sua visione del mondo migliorò. Non mi sfuggì però il modo di interagire della madre con uno degli altri figli, modo che mi parve inquietante: mamma rielaborava gli eventi in modo chiaramente calcolato per suscitare terrore, e il risultato era il terrore. Gli eventi quotidiani venivano presentati come se il figlio ne fosse una vittima diretta e si faceva ampio uso del termine "vittima", cose del tipo "siamo tutti delle vittime". Osservai il modo in cui la resilienza naturale del ragazzino e il suo ottimismo venivano strappati via, e ciò che sarebbe dovuto essere una visione ottimista della vita diventava progressivamente più buia e timorosa. All'epoca cercai (molto stupidamente) di convincere la madre ad abbandonare quel suo comportamento terrorizzante, una decisione che dimostra unicamente la mia ingenuità e la mia mancanza di esperienza genitoriale. Avrei dovuto rendermi conto che il comportamento di cui ero testimone poteva significare soltanto che la madre era gravemente disfunzionale e non avrebbe reagito al mio appello, basato sul buon senso, di rilassarsi con i propri figli, di lasciarli innamorare della vita prima di presentare loro un'idea della realtà così pesantemente filtrata. La risposta della madre fu che i genitori devono sempre terrorizzare i propri figli. Aggiunse che il figlio che aveva terrorizzato era stato messo in terapia, così che «si sistemerà tutto». Per un attimo rimasi senza fiato. Mi resi conto di essere testimone della nascita di una vittima con il beneplacito di un professionista. Ma, a quel punto, la madre non era riuscita a fare con il mio giovane amico dei "progressi" paragonabili [ai miei], anche perché ero riuscito a risollevargli il morale grazie al mio atteggiamento positivo e alla mia descrizione più reale del mondo che ci circonda. Mamma si accorse subito che in poche ore alla settimana avevo dato a suo figlio una prospettiva decisamente più positiva di quanto lei potesse sperare di ottenere a tempo pieno. E no, caro lettore, non ho osservato i frutti dati da quell'albero, anche se avrei dovuto. Poi il padre propose una gita in montagna. Ottimo, pensai io, quei ragazzini uscivano pochissimo perché gli sforzi vigili della madre li avevano resi timorosi del mondo. Decisi di andare a fare un sopralluogo del percorso scelto per la gita e scoprii che si trattava di una salita piuttosto tecnica che prevedeva il superamento di una roccia quasi verticale, talmente ripida che per salire e scendere era stato fissato un cavo. Feci qualche foto e andai a parlare con i genitori: quel percorso non era adatto alle famiglie, ma solo a persone adulte con esperienza di arrampicata. Se vi avessero portato i loro figli iperprotetti, l'unico risultato sarebbe quello di accrescere le loro paure del mondo esterno. Il percorso era oggettivamente pericoloso. I genitori sembrarono non capire quanto cercavo di dire, esperienza che ormai mi era diventata familiare, e decisero di partire come programmato. Avevo pensato di non unirmi alla scampagnata, ma siccome il mio tentativo di metterli in guardia non aveva sortito alcun effetto, decisi di accompagnarli così da poter cercare di intervenire se uno dei ragazzini fosse caduto, pericolo che i genitori non avevano chiaramente messo in conto. Ed è precisamente quanto accadde. La salita fu tranquilla, ma sapevo che quasi tutti gli incidenti avvengono in discesa così scesi per primo e mi misi in sicurezza. Poco dopo il mio giovane amico perse la presa sul cavo e cadde, scivolò lungo un ripido precipizio verso una scarpata verticale che avrebbe potuto ucciderlo. Afferrai il cavo, mi sporsi e riuscii a fermare la caduta. Il ragazzo non aveva esperienza di attività all'aria aperta e non sapeva come comportarsi - non cercò nemmeno di afferrarmi la mano e dovetti acchiapparlo per la giacca a vento, che fortunatamente non si lacerò. Non ho vissuto molte esperienze in cui una vita fosse in pericolo (a parte la mia durante il giro del mondo a vela in solitara) e considero un privilegio essere riuscito a salvarne una. Ero contento di aver deciso di partecipare alla gita perché al contrario dei genitori sapevo quali rischi si correvano e qualcuno doveva pur confrontarsi con la realtà così che il risultato fosse positivo. Per comprendere il prosieguo del racconto, il lettore deve tener presente che avevo avvisato in anticipo i genitori dei pericoli del percorso, ero sceso per primo perché temevo che qualcuno cadesse, avevo fermato la scivolata del ragazzino. I lettori che ritenessero che un semplice "grazie" sarebbe stata una reazione adeguata devono ricordare che mamma era una vittima professionale e che si considerava la pura e incolpevole protettrice di bambini destinati a essere vittime di innominabili forze malvagie. Dopo il salvataggio, e sottovalutando che averle salvato il figlio aveva gettato un'ombra sul dramma privato di mamma, pensai che nel caso i genitori avessero deciso di fare qualche altra "gita di famiglia" sarebbe stato meglio insegnare al mio giovane amico come afferrare la mano di qualcuno in caso di emergenza, quella che viene comunemente definita la "presa del boy scout". Frattanto mamma stava pensando a come trasformare quel salvataggio così che lei e i bambini potessero apparire delle vittime. Credo che alcuni lettori si siano già fatti un'idea di dove si andò a parare, ma devo confessare che io all'epoca non ci riuscii e detti ingenuamente per scontato che quei genitori avrebbero visto la mia amicizia per ciò che era, semplice e leale. Prima di proseguire chiedo ai lettori di cercare di immedesimarsi nella vittima professionale. Un amico di famiglia ha acchiappato praticamente al volo uno dei vostri figli e ha fermato una caduta pericolosa che avrebbe potuto ucciderlo. In che modo questo rende voi o vostro figlio una vittima? Sicuramente quel modo esiste. Credo che solo i più cinici tra i lettori siano riusciti a indovinare che mamma, dopo aver accantonato l'idea di ringraziarmi per averle salvato il figlio e voltar pagina, dedicò i mesi successivi a escogitare una interpretazione adeguatamente abietta che avrebbe preservato il suo status di vittima. Alla fine mamma si illuminò e iniziò a dire che avevo toccato suo figlio in modo "inappropriato", usando termini che lascio all'immaginazione del lettore. Nonostante la mia non più giovane età, quel giorno imparai qualcosa di nuovo - esistono persone così totalmente preda di credenze fisse, così assolutamente disfunzionali che faranno o diranno praticamente di tutto per evitare di dover testare la realtà con l'uso del buon senso. Dopo aver ascoltato la recita fantastica di quella madre ed essermi accorto che aveva escogitato il modo per leggere contemporaneamente il salvataggio come un'azione malvagia e per terrorizzare l'inesperto figlio, misi velocemente fine, seppur con riluttanza, a quell'amicizia. Mi ero reso conto di essere stato troppo ottimista su ciò che è in realtà una situazione familiare molto disfunzionale. Ma in questa storia perversa vi furono due ulteriori perversioni. Una volta scoperto che avevo deciso di interrompere la mia amicizia, mamma fece un improvviso dietrofront e insistette affinché restassi presente nella vita di suo figlio. Ma visto che a quel punto l'avevo capita meglio di quanto lei comprendesse se stessa, rifiutai. Avevo visto di che cosa era capace, benché lei non ne fosse in grado. Due mesi dopo, amareggiata dal risultato ed evidentemente immemore di ciò che aveva detto e scritto, mamma cercò di recitare la sua fantasia dei "toccamenti inappropriati" in un'aula di tribunale, con esiti prevedibili (venne subito smontata dalle sue stesse contraddizioni e irrazionalità). Un controllo sul suo passato rivelò poi che aveva fatto le medesime accuse contro altri due uomini che erano entrati in contatto con i suoi figli; forse per lei era normale interpretare il salvataggio in quel modo perverso, o aspettarsi che le autorità le avrebbero creduto. Il mio ottimismo è rimasto immutato. Il mio giovane amico avrà modo di riflettere e di scoprire in che modo non pensarsi come una vittima a dispetto dell'addestramento esperto ricevuto, si assicurerà un posto nel mondo commisurato alle sue reali qualità. Ma, cosa più importante, apprenderà di non essere una vittima, ma di beneficiare della generosità della natura. Per quanto riguarda me, ho ricavato una grande lezione sulla distorsione della realtà operata dalla vittima professionale. In verità io ero lì per aiutare suo figlio, non per lei; avevo fatto delle scelte dettate dal buon senso e quel ragazzino era vivo e non su una sedia a rotelle perché ero riuscito a testare la realtà utilizzando risorse che non erano disponibili ai suoi genitori. Ciononostante, è probabile che la madre del mio giovane amico, congenitamente incapace di accettare qualsiasi tipo di responsabilità personale, vivrà per sempre in stato di negazione imprecando contro un giudice - giudice che l'ha inquadrata in pochi secondi.
Ovviamente per alcuni la posizione di vittima non è una scelta, ma credo che per tanti altri sia invece una decisione consapevole. Ad essi suggerisco di prendere in considerazione la possibilità che la psicologia clinica possa aver peggiorato la loro condizione, come è stato per i casi elencati in precedenza. Tale prospettiva può essere ulteriormente peggiorata dalla passività e suggestionabilità tipiche di chi è incline a cadere nella trappola della vittima. La postura della vittima è la profezia che si auto-avvera definitiva. Crogiolarsi nella passività e nella presunta impotenza della vittima rende ciechi a tutte le opportunità e visioni non conformi alla postura supina della vittima. La si potrebbe definire "auto-vittimizzazione", ma il punto è che lo si fa volontariamente. Quando cercai di convincere la madre disfunzionale sopra descritta a non terrorizzare i suoi figli e a non programmarli per il fallimento e la vittimizzazione, la sentii dire ripetutamente che suo figlio era una vittima. Le risposi prontamente che il bambino era un agente morale, locuzione con cui la madre non aveva evidentemente dimestichezza e che rifiutava. Che cos'è un agente morale? Un agente morale è chi influenza il mondo in base ai suoi standard e questo è il motivo per cui mamma, la vittima professionale, rifiutava la descrizione. Una delle chiavi della postura vittimista è l'idea che la vittima sia innocente, inefficace, non abbia influenza sul mondo e pertanto non possa vittimizzare nessuno. Una vittima è impotente e pertanto è incolpevole. Ma in realtà ogni persona vivente ha potere, ha influenza, fa scelte morali. Una vittima perenne, calata nella sua passività e illusione di impotenza, può di fatto rappresentare un modello per i più giovani e modificare senza rendersene conto la loro visione della vita. Tutti dobbiamo accettare la realtà di essere degli agenti morali - ognuno di noi. L'idea che esista una vittima pura, soggetta agli effetti del mondo senza influenzare a sua volta il mondo, è una finzione. Non possiamo decidere se avere un effetto sul mondo circostante e su chi lo popola, possiamo scegliere soltanto quale effetto avere. Qualche mio lettore potrebbe ritenere che questa chiacchierata sugli agenti morali riguardi la religione, ma non è così, non per me. Ad ogni modo, essere un agente morale non ha collegamenti essenziali con la religione, perché la religione non detiene la licenza sul comportamento morale.
Inoltre, come molti pensatori hanno detto in merito alla religione, agire in modo morale solo per timore di essere puniti non è un esercizio particolarmente nobile. La verità è che siamo noi a scegliere i nostri standard morali e poi li agiamo, e l'idea che tutti gli standard morali siano condivisi e universali è un'illusione sostenuta dalla cultura di massa (è solo approssimativamente vero). In ultima analisi, le vittime professionali amano pensarsi come pure e incolpevoli, ma nel momento in cui insegnano la vittimizzazione ad altri, allora quegli allievi vengono veramente vittimizzati - ma dai loro stessi maestri. È una vittimizzazione opzionale e la cosa più creativa che possano fare quegli allievi è rifiutarsi di accettare quella descrizione. Provate a pensare quanto sarebbe stato facile per il Mahatma Gandhi o per il Dott. Martin Luther King, Jr. (che studiò il credo non-violento di Gandhi e lo mise in pratica) pensare a se stessi come a delle vittime, quando venivano picchiati dai loro ignoranti oppositori. Pensate a quanto sarebbe stato facile per loro, o per i loro seguaci, restituire le percosse con uno scatto di autogiustificata rabbia vittimista. Ma non lo hanno fatto, e di conseguenza hanno vinto la buona battaglia. Hanno vinto perché hanno rifiutato di accettare di essere delle vittime. Tutti noi dobbiamo a Gandhi, al dottor King e a molti altri simili pensatori un debito di gratitudine per il comportamento che hanno modellato e per i risultati ottenuti. Per gli scopi di questo articolo vi chiedo di riflettere sulle vite di quelle persone e di pensare: «Non erano vittime». E tu non sei una vittima. Riferimenti:
Paul Lutus ha un ampio background in scienze e tecnologia. Ha progettato componenti aerospaziali per lo Space Shuttle della NASA e ha creato un modello matematico del sistema solare utilizzato dal Jet Propulsion Laboratory nel corso della missione Viking-Marte. Poi, all'inizio della rivoluzione dei personal computer, Lutus si è dedicato all'informatica. Il suo programma più noto, che ebbe successo a livello internazionale, è "Apple Writer", il programma di elaborazione testi per i primi computer della Apple. Nel 1983 il Reed College conferì a Lutus il Vollum Award for Distinguished Accomplishment in Science and Technology, l'onorificenza accademica più prestigiosa dell'Oregon. Altri destinatari del riconoscimento sono stati il Premio Nobel Linus Pauling, Bill Gates, Steve Jobs e Linus Torvalds. Nel 1986 l'Accademia delle Scienze dell'Oregon ha nominato Lutus "Scienziato di Eccellenza dell'Oregon" per i suoi sforzi nella trasformazione dell'insegnamento della matematica nelle scuole pubbliche. Nel 1988 Lutus ha tagliato i ponti e iniziato ciò che è diventata una circumnavigazione del globo in solitaria su una piccola barca a vela, viaggio durato quattro anni. In anni più recenti si è diviso tra la scrittura di articoli su diversi argomenti e l'esplorazione delle regioni più selvagge dell'Alaska per fotografare gli orsi grizzly. |
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