di Massimo Introvigne[*], Elledici, Leumann (Torino) 2001; ISBN 88-01-02352-9, Euro 9,50. Le "sette", le religioni, l'estremismo politico usano il lavaggio del cervello per reclutare e conservare fedeli? Oppure la metafora del lavaggio del cervello è utilizzata semplicemente in chiave polemica, per squalificare e discriminare dottrine religiose e politiche impopolari? Queste domande sono al centro di vaste controversie fin dal 1950, quando l'accusa di praticare il lavaggio del cervello è rivolta per la prima volta alla Cina di Mao. Emergono in quegli anni due modelli diversi, uno di critica articolata al cosiddetto "totalismo" presentato dallo psichiatra Robert Jay Lifton e dallo psicologo Edgar Schein, e uno che ritiene invece il "lavaggio del cervello" uno strumento misterioso e infallibile, attribuito dai servizi segreti statunitensi (che realizzano segretamente diversi esperimenti al riguardo) ai comunisti russi e cinesi. Solo più tardi il secondo modello è applicato alle "sette", incontrando sia antiche paure nei confronti dell'ipnotismo, sia una preesistente critica psicologica della religione in genere, e ispirando iniziative politiche e legislative "anti-sette" negli anni 1970 e 1980 negli Stati Uniti (dove incontrano resistenze da parte di studiosi e giudici, e ultimamente falliscono), quindi dagli anni 1990 in Europa. Massimo Introvigne, da anni coinvolto in prima persona in questi dibattiti, ricostruisce dettagliatamente la storia delle controversie, e formula alcune proposte per un possibile dialogo fra critici delle "sette" e studiosi accademici di nuovi movimenti religiosi, questi ultimi in maggioranza fortemente critici nei confronti delle ipotesi del lavaggio del cervello. |
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