Fuga rocambolesca di un ex dirigente della Chiesa di Scientology trattenuto a bordo contro la sua volontà Di ©Thomas C. Tobin, St. Petersburg Times, 3 novembre 2009.
©Traduzione a cura di Simonetta Po, novembre 2009/gennaio 2010
, 3 novembre 2009
In una foto di gruppo pubblicata nel 1996 su un numero di Source, la rivista ufficiale di "Flag", Jason è in prima fila, al centro. Solo il Capitano Debbie Cook ha una uniforme con più cordoni e decorazioni della sua. Quell'agosto un ufficiale senior di una divisione superiore sorprese Jason con un rimprovero che lui ritenne assurdo, e che scatenò i dubbi che già lo tormentavano da anni sulla sua carriera nella chiesa. Ne aveva avuto abbastanza. Se ne andò senza autorizzazione, restò nascosto per sei settimane ma poi ritornò a Clearwater, attanagliato dai sensi di colpa e desideroso di lasciare la chiesa in buoni rapporti. Accettò di fare un programma di assistenza e lavoro fisico a bordo della Freewinds, la nave da crociera della chiesa che incrocia nei Caraibi. Doveva ripulire dalla melma oleosa una serie di serbatoi sotto la sala macchine della nave. Per un certo periodo la sua cabina fu chiusa a chiave dall'esterno. Dentro, una telecamera della vigilanza era puntata sulla sua cuccetta. Chiese ripetutamente di andarsene, ma la risposta era sempre negativa. Cercò due volte di scendere lo scalandrone ma per due volte le guardie della chiesa lo bloccarono. Il resoconto ufficiale di come Jason ha lasciato la Freewinds dice soltanto: «il 21 novembre 1996 Jason ha cambiato idea e se ne è andato, trasferendosi a Milwaukee». Il racconto di Jason è diverso. Quel pomeriggio, poco dopo pranzo, sparì oltre la prua.
Gli scientologist credono che siamo esseri spirituali - thetan - che vivono per l'eternità e dopo la morte rinascono in nuovi corpi. Vengono incoraggiati a pensare in termini di "traccia intera", l'infinita successione di vite vissute. I membri della dedicata forza lavoro conosciuta come Sea Org firmano un contratto da un miliardo di anni al servizio di Scientology. Il loro motto è "Noi Torniamo". Jason è cresciuto a Milwaukee. Era un ventenne turbolento con un passato di droghe quando la sorella maggiore lo convinse a fare un corso di comunicazione di Scientology. Gli piacque così tanto che per il corso successivo si trasferì a Clearwater e vi restò. Lavorò nel settore edilizio della chiesa e i suoi modi fanatici e zelanti gli fecero guadagnare la promozione ai ranghi amministrativi. «Quello che facevo mi piaceva. Aiutavamo il prossimo. Ero veramente assorbito dalla causa». Verso i 30 anni Jason cominciò a riflettere sul futuro. Non sull'eternità, ma sulla mezza età. Che cosa sarebbe successo se a 50 anni avesse deciso di lasciare Scientology? Chi lo avrebbe assunto? Sarebbe riuscito a sopravvivere? «Mi si era conficcato questo pensiero nella testa, non riuscivo a cacciarlo. E con il passare degli anni lo covavo sempre di più». Negli anni '80, all'inizio della sua carriera, il salario di Jason ammontava a circa 30 dollari la settimana. Ci dice che a volte era inferiore, a volte niente del tutto. Lavorava sette giorni la settimana, di solito dalle 9 del mattino alle 11 di sera. Per lunghi periodi lo staff di Clearwater veniva nutrito soltanto a riso e fagioli. Mat Pesch, un tempo a capo del dipartimento tesoreria del personale, racconta di avere visto dei budget degli anni '80 per gli approvvigionamenti e si parlava di meno di un dollaro a persona, a pasto. Racconta che a volte i membri della Sea Org raccoglievano i mozziconi dai posacenere per una boccata di fumo, o rubavano il necessario allo spaccio. Jason ci conferma di essere stato uno di quelli. All'inizio degli anni '80, prima che la situazione salariale migliorasse, rubava sapone, shampoo e cibo. «Per me era umiliante. Adesso ci ripenso e mi sento ancora assalire dalla vergogna... ma è colpa mia. Avrei dovuto andarmene e non l'ho fatto».
Nella primavera del 1996 un importante membro della chiesa si recò a Clearwater per l'assistenza di Scientology chiamata "auditing". Tornò a casa a Los Angeles e sei mesi dopo provocò imbarazzo all'organizzazione. Qualcuno nella gerarchia di Scientology fece risalire il problema allo staff di Jason. Un auditor di Clearwater non aveva identificato la radice del problema personale che poi aveva indotto il parrocchiano a dare il via alla controversia. La chiesa incolpò Jason. Erano quasi le 11 di sera di un'altra lunghissima giornata lavorativa quando la funzionaria Angie Trent aveva portato la notizia nell'ufficio di Jason in centro a Clearwater. Avrebbe dovuto completare un programma di "etica" che implicava la confessione dei suoi "crimini" e la solenne promessa di porvi rimedio. «La mia prima reazione fu sostanzialmente dire "Mi stai prendendo in giro?". Sotto di me avevo 350 persone e adesso la colpa era mia? La ascoltavo parlare e mi si accese una lampadina... Mi dissi, "Sai cosa? È ora". Non era stato progettato in anticipo, fu una decisione improvvisa». Anche la sua vita personale era travagliata. Il matrimonio era alle corde, aveva una relazione con una collega executive della chiesa. «Per una lunga serie di motivi, mi impaurii». Per lasciare la Sea Org ci sono due modi: "uscire" (seguire il protocollo, tra cui confessioni e interrogatori chiamati "verifiche di sicurezza" che si possono trascinare per mesi). Oppure "fare blow" (darsela a gambe senza autorizzazione). Jason optò per la seconda.
Dopo l'adunata mattutina non si presentò al lavoro nell'ufficio tra Cleveland Street e S. Fort Harrison Avenue. Andò invece in banca e ritirò 6000 dollari, parte di una piccola eredità che gli aveva lasciato il padre tre anni prima. Ficcò la sua roba in un sacco per l'immondizia, salì sulla sua Jeep Wrangler e puntò a est. «Non sapevo nemmeno dove stavo andando. Mi limitavo a guidare nella direzione opposta a Clearwater». Prese la Interstate 4, la radio spenta, e cominciò a riflettere sulla scelta appena compiuta. Immaginava di avere tre o quattro ore di vantaggio prima che la sua assenza fosse notata. Continuava a controllare lo specchietto retrovisore, preoccupato che se lo avessero preso lo avrebbero riportato indietro. Lo aveva visto succedere ad altri. Jason uscì dall'autostrada a Daytona Beach per dirigersi poi a nord su strade minori. Si fermò per la notte a Fernandina Beach, vicino al confine tra Florida e Georgia. Lasciò l'auto a un isolato dal motel, pagò in contanti e si concesse cinque ore di sonno. Non poteva perdere tempo.
A Clearwater il personale Sea Org aveva lanciato la sua "esercitazione blow", operazione già inscenata più volte per catturare e riportare indietro i fuggitivi. Pesch racconta che la vigilanza della chiesa aveva istituito un centro operativo distogliendo dal normale lavoro 15 o 20 staff. Alcuni dovevano telefonare agli hotel e alle linee aeree. Pesch e un altro staff fecero il giro dei bar e di altri ritrovi di Clearwater Beach. Da Fernandina Beach Jason si diresse a nord, oltrepassò Savannah cercando di pensare come eludere i suoi inseguitori. Avrebbero iniziato le ricerche a Milwaukee, sua città natale. «Dovevo andare da qualche parte... era come lanciare una freccetta su una carta geografica». Andò a Atlanta, dove affittò una stanza in una casa privata in modo che il suo nome non risultasse nei pubblici registri. Una agenzia interinale gli trovò un lavoro alla Equifax, l'azienda che si occupa di crediti. La libertà aveva un buon sapore, ma ad Atlanta non conosceva nessuno. Dopo 13 anni in Scientology la vita all'esterno lo confondeva. «Di che cosa parlava la gente davanti a un hamburger o a una birra? Che cosa faceva? ... Pensavo anche che avrei dovuto ricominciare da capo». Ma, cosa più importante, sua sorella era ancora una scientologist. Andarsene senza autorizzazione significava essere dichiarati "SP", persona soppressiva. La chiesa avrebbe ordinato alla sorella e ai suoi amici di interrompere ogni rapporto con lui. Per questo motivo Jason si sentiva fortunato a non avere altri parenti nella chiesa. «Alcuni sono nati dentro Scientology. Madre, padre, fratelli e sorelle, parenti vari, tutti gli amici - tutto è lì dentro. Vieni dichiarato (SP) e perdi tutto. Tutto quello che per te è importante». Si sentiva anche in colpa per il modo in cui era scappato, gli mancavano i colleghi. «In un certo senso pensavo di avere tradito delle persone con cui avevo lavorato per anni, i miei amici... avrei preferito andarmene nel modo corretto, in buoni rapporti». Sei settimane dopo la fuga decise di consegnarsi. Non voleva rientrare in Sea Org: voleva fare ammenda, uscire secondo i crismi e poi lasciare Scientology.
Nell'ottobre del 1996 Jason tornò a Clearwater e incontrò il capo della sicurezza, che telefonò immediatamente a Marty Rathbun, luogotenente di vertice del leader di Scientology David Miscavige. «Marty mi era sempre piaciuto» racconta Jason. «Era una persona molto diretta». Lo incontrò e parlarono per due ore in un ristorante su Gulf-to-Bay Boulevard. Rathbun convinse Jason a tornare in Sea Org, invece che lasciarla. Rathbun racconta che fece rapporto a Miscavige e il leader gli ordinò di mandare Jason sulla Freewinds. La chiesa descrive la sua nave da crociera come «un ambiente sicuro, estetico, privo di distrazioni» dove gli scientologist ricevono auditing di alto livello «lontani dai turbamenti del mondo ordinario». Secondo Rathbun, Miscavige voleva Jason sulla nave per poterlo controllare. «L'idea era di controllarlo mentre lo neutralizzavamo come minaccia, perché dalla nave non puoi scappare» racconta. «Devi consegnare il passaporto al Capitano di Porto che lo conserva in cassaforte, e a quel punto sei virtualmente prigioniero». Rathbun aveva convinto Jason dicendogli che era una possibilità per lasciarsi tutto alle spalle e "ripulirsi", rimettersi nell'ottica mentale di Scientology. Avrebbe significato auditing, un po' di addestramento e lavoro fisico. Jason era circospetto ma alla fine accettò. Prima di volare alle Bahamas per salire a bordo aprì un nuovo conto in una banca di Clearwater e si fece consegnare degli assegni al portatore. Una volta a bordo consegnò il passaporto ma si tenne gli assegni e la patente di guida, li teneva addosso anche di notte. Racconta che la sua cabina veniva chiusa dall'esterno. Sul suo letto c'era una telecamera di vigilanza. Per andare al bagno faceva un segno alle guardie che lo tenevano d'occhio, che gli aprivano la porta telecomandata. Un'altra telecamera in corridoio lo seguiva fino ai bagni. Rimase colpito dal fatto che non appena faceva il segnale, la porta si apriva. Le guardie lo osservavano costantemente? Chiese allo staff della Freewinds di contattare Rathbun, che gli telefonò il giorno dopo. Non erano questi gli accordi, gli disse Jason. «Qui non sono un prigioniero». Rathbun fece allora togliere la chiusura della porta, ma disse allo staff della Freewinds di mantenere le telecamere. Erano a bordo di una nave, disse. Jason non poteva scappare da nessuna parte. Racconta Jason: «Ero su questa nave che andava Dio sa dove. Lontano dal mio paese. Senza passaporto. Ero spaventato. Non hai identità... quella sensazione di non avere nulla sotto il tuo diretto controllo fa davvero paura». Per due settimane Jason lavorò alla ripulitura dei serbatoi sotto la sala macchine, per ripulirsi dal grasso usava il gasolio. Poi la chiesa diede un giro di vite. Fu assegnato al Rehabilitation Project Force, un programma di lavoro. Jason ne conosceva il significato: lavoro fisico ancora più pesante, confessioni quotidiane e umiliazioni, come andare sempre di corsa e non parlare senza essere interpellati. Nei primi anni a Clearwater aveva visto gli RPFer che vivevano al terzo livello del parcheggio del Fort Harrison. La zona in cui vivevano era circondata da teli. Vestiti e biancheria sporchi. Mangiavano riso, fagioli, farina di avena. La cosa lo aveva sempre preoccupato e decise che non si sarebbe mai sottoposto a quel programma. Quando arrivò l'ordine di fare il RPF a bordo della Freewinds disse di voler lasciare la nave. No, risposero le guardie. Devi fare il programma. «Quindi mi trattenete contro la mia volontà?» Jason cercò di lasciare la nave assieme ai parrocchiani che scendevano per una escursione. Le guardie della Freewinds glielo impedirono. Ci provò una seconda volta, ma lo bloccarono di nuovo. Protestò per tre giorni rifiutandosi di lavorare, guadagnandosi solo ulteriori restrizioni. Doveva adottare un approccio diverso.
Jason decise allora di comportarsi come un bravo soldato, l'immagine stessa dell'obbedienza. Comportarsi bene gli fruttò incarichi migliori e più libertà di movimento. Escluse l'idea di lanciarsi fuori bordo. Il salto di 12 metri era troppo pericoloso, la banchina troppo alta, senza scalette. Le grosse gomene di nove metri che legavano la nave alla banchina sembravano una possibilità migliore. Continuò a vagliare ogni opzione. Avrebbe dovuto calarsi molto rapidamente: le guardie sarebbero corse sulla banchina per riportarlo indietro. Il tempismo era importante,. Troppe persone sulla banchina avrebbero creato confusione, ma voleva almeno qualche testimone. Ogni volta che la nave attraccava guardava le gomene tendersi e allentarsi con la marea. Una lo avrebbe portato fin sulla banchina. Doveva calcolare il tempo di discesa in modo da arrivare giù quando la fune era tesa. Avrebbe dovuto aggirare la placca di metallo che impediva ai topi di salire sulla nave. Cercò tra i rifiuti qualcosa che potesse aiutarlo a scendere velocemente lungo la gomena. Costruì qualcosa di simile a una carrucola. Tagliò alla lunghezza di 25 centimetri una caviglia di legno, la infilò in un tubo di PVC e lo fermò ai lati con altro PVC affinché non scivolasse via. Per due settimane continuò a osservare e riflettere. Avrebbe dovuto tenere le gambe alte nel caso avesse dovuto rallentare la discesa. Di solito pranzava a prora e il giorno fatidico le guardie non si insospettirono nel vederlo lì. Tre mesi prima Jason aveva un titolo, un ufficio e l'autorità su centinaia di staff a Clearwater. Adesso la sua chiesa lo trattava da prigioniero. «Sai che cosa pensavo? Una volta che avrò fatto una bravata del genere non mi lasceranno più andare via alle mie condizioni, per cui devo arrivarci in fondo. Una volta che comincio devo saltarci fuori. Farò il necessario per scappare da questa nave, anche fare a botte, urlare fino a che ho fiato in gola, tutto. Non tornerò su quella nave. Punto».
Quando decise di muoversi era imbarcato da sei settimane. Jason non ricorda se la nave aveva attraccato a Freeport o a Nassau, solo che la città aveva un aeroporto di dimensioni decenti. Ciò che ricorda è che prima di iniziare il suo turno di lavoro di manutenzione aveva nascosto nei calzoncini la sua specie di carrucola, e all'ora di pranzo era andato nel suo solito posto a prora. La gomena si tese. Scavalcò il parapetto e la afferrò come aveva pensato di fare tante volte, le gambe e un braccio intorno alla fune per tenersi saldo, mentre con l'altra estraeva il suo attrezzo dai pantaloni. Lo posizionò sulla gomena e scivolò giù. La corsa fu «dannatamente veloce» ma controllata, e mentre scendeva vide due o tre guardie che correvano sulla banchina. Si arrampicò intorno alla placca ferma topi, si issò sulla banchina e corse via verso la strada, con un vantaggio di una decina di metri sulle guardie. Lo acchiapparono mentre cercava di salire su un taxi. Uno cominciò a urlare, tenendo chiusa la portiera per impedirgli di salire. Un altro disse all'autista di non prenderlo a bordo perché non era autorizzato a lasciare la nave. Jason si divincolò riuscendo a salire sul sedile anteriore, chiuse la portiera sulle mani di una guardia e urlò all'autista: «Mi trattengono contro la mia volontà! Portami al fottuto aeroporto!».
Jason smontò davanti all'aeroporto in calzoncini e camicia sporca da lavoro. Aveva la patente, gli assegni al portatore, niente passaporto, niente bagaglio e 20 dollari. Acquistò un biglietto da un circospetto impiegato e convinse un agente della dogana a lasciarlo passare. «Fu una cosa pazzesca, dovetti usare tutta la mia volontà per cercare di convincere quella gente a farmi passare. Dovevo farlo». Telefonò alla madre a Milwaukee: «Che ne diresti se tuo figlio venisse su per il Giorno del Ringraziamento? Ti andrebbe bene?» La informò che avrebbe fatto tappa a Atlanta e poi avrebbe preso un aereo per Milwaukee. Se non fosse sceso dall'aereo significava che qualcosa era andato storto. Jason era in attesa nella sala d'imbarco quando vide arrivare Ludwig Alpers, un executive dell'ufficio di intelligence della chiesa. Aveva il biglietto per il posto accanto al suo. Gli disse che la chiesa stava prendendo in considerazione l'idea di telefonare all'ambasciata USA sostenendo che la Freewinds aveva l'autorità per trattenerlo alle Bahamas. Secondo Jason, Alpers ci ripensò solo quando lo minacciò di dire al mondo di essere stato sequestrato. Alpers volò con lui fino a Atlanta. A Clearwater, intanto, Rathbun aveva ricevuto la stupefacente notizia che Jason era fuggito. Non poteva essere, pensava. Nessuno si allontanava dalla Freewinds senza autorizzazione. E il passaporto di Jason era in mano alla chiesa, non poteva uscire dalle Bahamas. No, non poteva essere vero. Rathbun corse all'Aeroporto Internazionale di Tampa e saltò sul primo aereo per Atlanta. «Pensavo di riuscire ad anticipare il suo arrivo di un paio di minuti» racconta ora. «Ricordo che corsi dal mio gate al suo e lo vidi uscire». Prima di avvicinarsi, lasciò che Jason si accomodasse nella sala d'aspetto dei fumatori. Gli disse che capiva, che se voleva andarsene andava bene. Ma doveva tornare a Clearwater per non essere dichiarato SP e vedersi disconnesso dalla sorella. No, non di nuovo, gli rispose Jason. Rathbun continuò a parlare fino all'annuncio del volo per Milwaukee, e Jason si avviò tallonato da Rathbun - il quale racconta che aveva intanto chiamato Miscavige. Il leader gli aveva detto di passargli Jason. Rathbun gli tese il cellulare: «Dave ti vuole parlare». Jason, che stava per salire sull'aereo, gli rispose: «Non ho niente da dirgli». La chiesa sostiene che Miscavige non ha mai fatto una telefonata di quel tipo. «Mr. Miscavige non ha mai chiesto di parlare con Jason» afferma, aggiungendo che nel rapporto che fece all'epoca Rathbun non citò una telefonata a Miscavige. In attesa del decollo Jason cominciò a sfogliare una rivista. Quando alzò gli occhi vide avanzare Rathbun lungo il corridoio. Aveva comprato un biglietto. «Era scioccato» racconta Rathbun. «Pensava di avere chiuso la partita, di avere superato l'ultimo ostacolo».
A Milwaukee faceva freddo. Jason andò a comprarsi qualcosa di caldo con la madre e la sorella minore. Quella sera Rathbun si presentò a casa della madre di Jason convincendolo a recarsi al suo hotel il mattino dopo. Gli diede da firmare una confessione. Qualche settimana dopo, nel gennaio del 1997, Rathbun tornò a Milwaukee per far firmare a Jason la sua "dichiarazione". Questa volta si portà una videocamera. Nel documento si diceva che da adolescente Jason aveva fatto uso di droghe, e che non aveva tratto beneficio dalle opportunità di addestramento in Scientology. Diceva che aveva seguito la borsa durante le ore di lavoro perdendo in investimenti sbagliati migliaia di dollari di proprietà della moglie. E che non era stato all'altezza degli standard della Sea Org. Jason descrive il documento come «una parte di verità, quattro parti di ricami e cinque parti di stronzate». Lo studiò per un momento e poi disse a Rathbun: «Suvvia, queste cose non sono vere». Rathbun ora ammette: «Avevamo esagerato». Lasciò che Jason cambiasse qualche termine, compreso un passaggio in cui si diceva che Jason non era mai stato un dirigente della chiesa. Rathbun accese la telecamera e Jason firmò, ben consapevole che se mai avesse parlato avrebbero usato quel documento contro di lui. Dopo l'intervista di Jason con il Times la chiesa ha mostrato quel documento vecchio di dodici anni in cui c'è scritto che non è stato firmato sotto costrizione. Jason ribatte che non è vero. Dopo essere stato trattenuto a bordo della Freewinds contro la sua volontà per sei settimane desiderava solo che la sua chiesa smettesse di infastidirlo. «Che significato aveva per me quella carta? Essere lasciato in pace, non essere seguito, non essere contattato o perseguitato. Ecco cosa volevo e per averlo avrei firmato qualsiasi cosa». Oggi Jason vive a Chicago e lavora come manager operativo per un'azienda che vende materiali da copertura, riscaldamenti e condizionatori. È un padre single di un bambino di 10 anni. La sorella maggiore non è più una scientologist praticante. Jason sostiene che la sua opinione di Scientology non dipende dal trattamento ricevuto a bordo della Freewinds. Aveva visto trattenere altri, e dice che la chiesa lo ha aiutato. Quando c'era entrato era un ventenne allo sbando, in Scientology si è raddrizzato. Gli piacerebbe che le cose fossero più chiare e definite, in modo da poter dire che nella chiesa era tutto sbagliato. In quel modo potrebbe metterci sotto la parola fine e girare pagina. «Ma dopo dodici anni sono ancora qui» conclude. «Verrà un giorno in cui mi renderò conto che non penso a Scientology da tre anni. E quello per me sarà un gran giorno». (Thomas C. Tobin è redattore del Times e scrive su Scientology dal 1996)
Il Times ha chiesto alla chiesa di replicare al resoconto di Don Jason secondo cui fu imprigionato nel suo alloggio, controllato da telecamere 24 ore su 24, gli fu impedito di scendere lo scalandrone e pensava che il solo modo di andarsene fosse calarsi dalla nave appeso a una delle gomene di ormeggio. La chiesa ha replicato che Jason era andato volontariamente sulla Freewinds per sottoporsi al programma Rehabilitation Project Force. «Il 21 novembre 1996, Jason cambiò idea e se ne andò, recandosi a Milwaukee dove iniziò a lavorare come camionista». Mat Pesch Dagli archivi di Scientology
Come ribatte Pesch:
[Mat Pesch ha lasciato la Sea Org nel 2005]
Dagli archivi di Scientology:
Come ribatte Jason: Il paragrafo relativo alla sua giovinezza è esagerato.
Quando i dipendenti della Chiesa di Scientology firmano un contratto in cui accettano di servire la Sea Organization per "il prossimo miliardo di anni", la chiesa può trasformare quell'accordo in una licenza per molestarli, inseguirli se se ne vanno, fare pressioni affinché ritornino. Quale vera chiesa, quale datore di lavoro altruista calpesterebbe in questo modo la dignità e la libera scelta dei propri membri? E come si comporterebbero le autorità al riguardo? In uno special della settimana scorsa Joe Childs e Thomas C. Tobin delSt. Petersburg Times hanno raccontato le storie di ex membri della cosiddetta Sea Org, la forza lavoro più dedicata di Scientology, e le peripezie a cui li ha sottoposti la chiesa quando hanno cercato di andarsene senza autorizzazione. I membri della Sea Org lavorano come giardinieri, cuochi, manovali, segretari e operai alla catena di montaggio. Dai suoi dipendenti la chiesa pretende sacrificio e obbedienza, e che cosa dà in cambio? I lavoratori ricevono vitto e alloggio e un compenso molto esiguo – di molto inferiore al salario minimo. Le persone intervistate dal Times sostengono che venivano loro richiesti straordinari, che erano privati del sonno, separati dai coniugi, sottoposti ad appelli più volte al giorno al fine di assicurarsi che nessuno si assentasse, puniti se producevano meno di quanto atteso e che veniva loro chiesto di firmare "confessioni" che la chiesa conservava e che poi ha usato contro di loro. Se volevano andarsene, questi lavoratori non potevano semplicemente rassegnare le dimissioni e partire. Le direttive della chiesa richiedevano che facessero un route out, un procedimento che poteva durare mesi fatto di interrogatori quotidiani e pressione intensa. Se preparavano il loro scarno bagaglio e scappavano, le squadre di sicurezza della chiesa e investigatori privati partivano al loro inseguimento utilizzando gli estratti conto della banca e delle carte di credito, oltre che le informazioni personali rilasciate alla chiesa in merito al loro passato, ai parenti e agli amici. Una volta individuati e messi a confronto, ai lavoratori veniva detto che se non fossero tornati nella Sea Org la loro possibilità di "eternità" - rinascere in un nuovo corpo dopo ogni morte – sarebbe sfumata. In realtà dipendeva tutto da Scientology. Se cedevano e tornavano nella Sea Org, alcuni ricevevano un trattamento ancora peggiore. Venivano messi a lavorare in isolamento nel cosiddetto Rehabilitation Project Force, sottoposti a settimane o mesi di lavoro fisico, limitazioni nel riposo e nell'alimentazione, costretti al silenzio. In un caso l'ex membro della Sea Org Don Jason ha raccontato al Times che dopo avere accettato di tornare è stato tenuto sotto sequestro in una cabina chiusa a chiave a bordo della Freewinds, la nave di Scientology, con una telecamere puntata su di lui anche quando dormiva. Alla fine riuscì a scappare dalla nave, e adesso racconta la sua storia.
Nel momento in cui gli ex staff alzano il velo di segretezza che per anni ha avvolto le operazioni interne della Chiesa di Scientology, emerge un nuovo mistero: perché le autorità di governo si girano dall'altra parte? L'Internal Revenue Service ha molti motivi per riconsiderare la decisione di concedere l'esenzione fiscale a Scientology in quanto religione. L'Ufficio del Lavoro dovrebbe determinare se sono state commesse violazioni in merito a salario e condizioni di lavoro, e le autorità dovrebbero indagare se le restrizioni della chiesa sulla libertà di movimento dei suoi membri hanno oltrepassato i limiti di legge. La Chiesa di Scientology proclama la sua portata globale, l'espansione in comunità grandi e piccole di tutta l'America. La sua presenza può essere distruttiva, come ha appreso Clearwater da quando la chiesa si è trasferita qui in gran segreto e vi ha fondato la sua sede spirituale oltre 25 anni fa. Il Governo non può permettersi compiacenza e quei politici e leader della comunità che hanno rapporti normalizzati con Scientology non possono più dire di ignorare la natura della chiesa e il trattamento che riserva ai suoi dipendenti. |
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