Sentenza della Commissione Tributaria Regionale
per l'Emilia Romagna. Da Il Fisco N. 8 del 22 Febbraio 1999. - Aggiornamento luglio 2002: sentenza annullata con rinvio, vedi testo integrale -
Ad avviso del giudice regionale, i principi religiosi non possono violare i precetti statali costituzionalmente garantiti al pari della libertà religiosa. L'attività della Chiesa di S. non è religiosa ma economica. La circostanza che manchino scritture contabili rende impossibile dimostrare che l'attività svolta sia non commerciale. Il riconoscimento pubblico, quale indice di giudizio suggerito dalla Corte Costituzionale, non può essere costituito dalle sentenze penali di assoluzione mosse alla Confessione ma deve consistere nel riconoscimento della personalità giuridica.
(Oggetto della Controversia: avviso di accertamento Iva; anno 1992) - (COMM. REGIONALE di Bologna, Sez. XI - Sent. n. 56/11/98 del 29 Aprile 1998, dep. il 30 Settembre 1998) L'ufficio aveva proceduto alla determinazione induttiva del volume d'affari pari all'importo di lire 38.728.000 e all'imposta di lire 7.358.000 in ragione dell'aliquota del 19 per cento - oltre sanzioni - e ciò sulla base di dati e notizie emergenti dal processo verbale di constatazione della Guardia di finanza, per omessa registrazione di corrispettivi, omessa presentazione della dichiarazione annuale, mancata tenuta dei registri previsti dal D.P.R. n. 633/1972. La Commissione tributaria di I grado adita dichiarava, alla luce degli indici di giudizio suggeriti dalla Corte di Cassazione penale con sentenza n. 163/95 e dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 195/93, l'Associazione denominata Chiesa di S. di Ravenna meritevole dei benefici fiscali invocati, previsti dall'art.4 del D.P.R. n. 633/1972, per essere essa una confessione religiosa sia sulla base dei precedenti riconoscimenti pubblici identificati nelle pronunce di numerose magistrature, ordinarie e tributarie, sia sulla base della disamina analitica dello statuto; vi trovava l'esistenza di tutti i più importanti elementi costitutivi e identificativi di una confessione religiosa come: un'organizzazione dei fedeli, un messaggio, un insegnamento ed una pratica salvifica, attività queste corrispondenti alle finalità istituzionali della "Confessione-associazione" in questione. Nell'opera della Chiesa la Commissione-tributaria di I grado comprendeva la vendita di libri e quant'altro inerente alla divulgazione della "verità" e del "credo" della Confessione. Le "entrate" conseguite erano da intendersi come risorse necessarie per garantire ai fedeli il "servizio religioso" pagandone i relativi fattori, al di fuori di ogni ottica e di ogni logica commerciale o mercantile. Nessuna prova contraria, secondo il primo giudice tributario era stata data dall'ufficio Iva in ordine alle dette attività e finalità istituzionali. L'ufficio Iva di Ravenna, con l'appello proposto, esprime I'avviso che le "entrate" dell'Associazione non coprano le spese del servizio religioso e siano, al contrario, dirette a far conseguire un profitto, vero scopo dell'asserita attività religiosa. Porta a prova un opuscolo denominato "Bollettino internazionale di Management n. 7" rinvenuto dalla Guardia di finanza in sede di verifica, nel quale si leggono consigli agli operatori per l'acquisizione dei "clienti". A parere dell'ufficio le cessioni di beni e le prestazioni di servizi, a prezzi esorbitanti, svolte dall'Associazione non sono dotate dei requisiti richiesti dall'art. 108 del D.P.R. n. 917/1986. Definisce la Chiesa di S.. un vero e proprio business messo in atto con l'intento di fare falsamente apparire una causa deI tutto diversa da quella effettiva. Chiede che, in riforma dell'impugnata decisione, sia confermato il proprio avviso di accertamento. L'Associazione denominata Chiesa di S. di Ravenna ha fatto pervenire una memoria, corredata di documentazione, con la quale contesta i motivi di appello. Ribadisce ed osserva che:
2) l'ufficio non deduce fatti rilevanti ai fini dell'eccepita simulazione circa lo scopo dell'Associazione; 3) l'intera fase istruttoria è totalmente ultronea. 1. L'esercizio di attività economica è svolgimento di attività diversa da quella religiosa. È disciplinata e tutelata dallo Stato. L'art. 7 pone a carico degli aderenti il pagamento di una quota di associazione non precisata; nello statuto non si fa cenno ad altri cospicui versamenti dovuti per "praticare" la religione medesima, partecipando ai riti e alle tecniche (terapie, non ortodosse) e acquistando le scritture religiose costituite, queste ultime, a quanto pare, dai libri pubblicati e venduti dall'Associazione. Alla luce dell'art. 3 dello statuto la religione si presenta senza culto e senza fede in un Essere trascendente l'uomo: a quest'ultimo è concesso, solo attraverso quanto ha creato il fondatore (riti e tecniche sui generis). di rendersi consapevole di essere uno spirito immortale. Il primo giudice tributario ha letto, erroneamente, in chiave ideologica lo statuto, trovandovi principi religiosi di rilevanza civile. Essendo laico il nostro Stato (cfr; sentenza Corte Cost. n. 203/89), incompetente in materia dottrinale religiosa, non rilevano i principi (asseriti) religiosi, ma ha viceversa rilevanza, ai fini del giudizio, la condotta dell'Associazione, ispirata da quei principi, in rapporto alla libertà religiosa e al nostro ordinamento giuridico e costituzionale. Un noto cultore di diritto ecclesiastico ha giustamente affermato che il concetto di libertà ha natura relazionale e si definisce in rapporto alle facoltà godute dagli altri soggetti, cioè dalle altre confessioni, nei confronti delle quali vale la distinzione tra attività religiosa e attività diverse ai fini fiscali (cfr. art. 16 della L. n 222/1985 e Intesa tra Stato e Confessioni cattoliche). Dalla verifica eseguita dalla Guardia di finanza di Ravenna è emerso che l'Associazione della religione di S. svolgeva un'attività economica non dichiarata, disattendendo la legislazione tributaria e civilistica vigente; a nulla rileva l'autoqualificazione religiosa data dall'Associazione stessa a quella attività. Principi religiosi non possono violare precetti statali costituzionalmente garantiti al pari della libertà religiosa. La Suprema Corte di Cassazione penale, Sez. Il con sentenza 9 Febbraio 1995, n. 5838, si è espressa in tal senso. Inoltre dopo avere evidenziato l'esercizio da parte di operatori di S. di attività (asserite) curative, osserva che esso deve essere svolto da personale sanitario qualificato, diversamente è esercizio abusivo della professione medica. Si è in presenza di un'azienda commerciale. Si cita l'art. 108 del D.P.R. n. 917/1986, richiamato dall'ufficio Iva. Manca la prova contraria tratta dai libri, prescritti dal D.P.R. n. 633/1972 e dai libri civilistici stabiliti per le associazioni. L'avviso di accertamento Iva trova la sua legittimità nella posizione anomala assunta dall'Associazione. Gli enti sono soggetti passivi a prescindere dal fine istituzionale, in quanto non è escluso che essi possano esercitare attività economica, esempio, i partiti politici. La dottrina più recente ritiene compatibile lo svolgimento di attività d'impresa da parte degli enti diversi dalle società. Il riconoscimento della qualità di imprenditore si fonda su dati oggettivi che prevalgono sugli intenti dichiarati del soggetto agente, associazione. Più autorevolmente, Cass., Sez. I civ., sentenza 29 Marzo 1990, n. 2573 in tema di Irpeg: «Se da un lato ciò che qui rileva è l'attività esercitata e non il fine dichiarato… occorre che nell'atto costitutivo l'attività, che il soggetto si propone di esercitare, sia esaurientemente descritta e ne sia precisamente indicato l'oggetto» oggetto nel caso di specie apparentemente religioso, sotto il quale si svolgeva esclusiva attività economica, sottratta illegittimamente al controllo, alla tutela, alla disciplina dello Stato, in forza di invocati inesistenti "superiori" precetti religiosi. Dall'esame documentale della Guardia di finanza è risultato che l'Associazione Chiesa di S. non teneva alcuna contabilità organizzata, né è stata in grado di esibire libri, registri, scritture e documenti, la cui tenuta è obbligatoria in relazione alla vigente normativa fiscale. La Commissione di I grado accoglieva la tesi del ricorrente, peraltro non suffragata da alcuna documentazione, per la quale non esisteva in alcun modo un utile mercantile e le plusvalenze conseguite erano tutti riversate nella Chiesa onde essa potesse continuare a fornire agli associati i propri servizi e pagarne tutti i costi. Tale assunto, però, doveva essere dimostrato dal prospetto delle rendite e delle spese che non esisteva o che, comunque, non è stato né esibito dal ricorrente né rinvenuto dalla Guardia di finanza. Alla Commissione tributaria di I grado è sfuggita la lettura degli artt. 12 e 16 dello statuto dell'Associazione Chiesa di S. dove è statuito che il consiglio direttivo delibera in ordine al consuntivo e preventivo e all'ammontare delle quote sociali (art. 12) e che l'assemblea delibera sul bilancio consuntivo e preventivo sugli indirizzi e direttive generali della Chiesa (art. 16). Non esistendo libri contabili, ne consegue che non siano stati mai redatti né il bilancio preventivo né il bilancio consuntivo. Ricordando che il bilancio preventivo stabilisce gli obiettivi da raggiungere in un esercizio, dati i mezzi a disposizione, e il bilancio consuntivo verifica alla fine dell'esercizio la correttezza delle previsioni e fa il punto sulla situazione patrimoniale e finanziaria alla data di bilancio, la mancata redazione di tali documenti non prova le affermazioni del ricorrente. Infatti non essendo possibile ricostruire con dati certi le operazioni svolte giorno per giorno dall'Associazione Chiesa di S. non è assolutamente possibile affermare che I'attività da essa svolta sia non commerciale. I libri contabili degli enti non commerciali possono essere più o meno analitici e sofisticati in relazione al tipo e alla complessività dell'attività svolta dagli stessi. Non avendo gli enti non commerciali finalità di lucro, ma di realizzare le finalità proprie (culturali, religiose, di beneficenza, eccetera),sancite nei propri statuti, gli obiettivi dei libri contabili non saranno, come nelle imprese, orientati a misurare la formazione di nuova ricchezza (reddito) ma tenderanno invece a verificare che l'ente stia perseguendo gli obiettivi che si è posto nei propri programmi. Per tutti gli enti non commerciali prevalentemente a fini probatori dell'attività svolta, fondamentali appaiono i libri contabili che consentono di formare periodicamente bilanci e rendiconti, e cioè il libro giornale e quello degli inventari: il bilancio non è un prospetto a sé stante, ma deriva da un insieme di rilevazioni contabili raccolte in ordine temporale sul libro giornale ed elaborate in modo sistematico. ll bilancio consuntivo in particolare si basa sull'inventario, vale a dire che è una sintesi dello stesso, che fa un più analitico esame degli elementi del patrimonio dell'ente. Per gli enti non commerciali si ritiene necessaria sempre la tenuta del libro giornale ove saranno riportate le rilevazioni contabili secondo le regole proprie dell'ente, eventualmente fissate dalla legge istitutiva o regolante l'ente stesso e del libro degli inventari ove saranno riportati i bilanci preventivi e consuntivi dell'ente, eventualmente seguendo le regole proprie dell'ente. Dalla lettura del libro giornale si devono poter ricostruire tutte le operazioni dell'ente non commerciale. Il codice civile al proposito, agli artt; 2214 e seguenti, prescrive che nel libro giornale devono essere indicate giorno per giorno le operazioni relative all'esercizio dell'impresa. Nel libro inventari devono essere trascritti l'inventario iniziale e gli inventari annuali coi relativi bilanci e conti profitti e perdite. Per l'ente non commerciale occorrerà rilevare sul libro giornale le operazioni svolte giorno per giorno e nel libro degli inventari una situazione patrimoniale, come per le imprese, e un prospetto delle rendite e delle spese anziché il conto profitti e perdite, che appare più idoneo per misurare la formazione del reddito delle imprese. Il conto profitti e perdite sarà redatto per le attività commerciali eventualmente esercitate. Per la dottrina non è fiscalmente commerciale quell'attività nella quale "sia programmata e concretamente attuata la copertura di tutti i costi attraverso contributi dei soci e liberalità. In tal caso sì è di fronte ad attività di mera erogazione che si risolvono in prestazioni e cessioni gratuite e che restano estranee all'area della commercialità anche se normalmente e tipicamente organizzate in forma d'impresa. Ma nella fattispecie non esistono documenti comprovanti tale programmazione di attività non commerciale. Quindi, anche se si volesse far prevalere il criterio formale e quindi la rilevanza dello statuto e di tutti i documenti dell'ente, nell'Associazione Chiesa di S. i documenti non esistono e gli artt. 12 e 16 dello statuto sono stati disattesi. L'operato dell'ufficio Iva è, pertanto, legittimo. 2. Non è un'associazione religiosa Oggetto di agevolazioni fiscali ex art. 4 del D.P.R. n. 633/1972 sono le associazioni religiose e non le confessioni. Tra confessioni e associazioni religiose la Corte Costituzionale ha segnato una demarcazione con due sentenze: n. 195/93 con la quale vengono forniti i criteri identificativi di una confessione ai fini dei benefici contributivi; n. 58/59, la quale reca la distinzione tra confessione e associazione a finalità religiosa, distinzione che, afferma la Corte Costituzionale, trova il suo positivo fondamento giuridico negli artt: 5 e 19 della Costituzione: uno inserito nei "Principi fondamentali" I'altro nel "Titolo dei rapporti civili" (Diritte e doveri dei cittadini). L'asserita "Confessione chiesa di S." di Ravenna e l'Associazione avente la stessa denominazione vanno riguardate sotto due diversi profili giuridici: la prima è una istituzione con un'organizzazione, normazione, dottrina non derivate dallo Stato; la seconda (l'Associazione) nasce e vive, viceversa, secondo le corrispondenti norme dello Stato il, quale ha la competenza di intervento e di giudizio su tale formazione sociale. Le associazioni religiose sono previste dall'art. 19 della Costituzione; le altre dall'art. 18. I soggetti che danno vita alle associazioni sono gli uomini, secondo i loro ideali e interessi, essendo i destinatari delle disposizioni degli artt. 18 e 19; non le confessioni. La libertà religiosa prevista dall'art. 19 si riferisce alla libertà riconosciuta a tutti, come singoli, di professare la propria fede in forma associata. La fede comune dà luogo all'associazione e non viceversa, come nel caso dell'associazione in questione, nella quale possono confluire e convivere uomini di fedi diverse perché l'adesione all'associazione non comporta la ritrattazione della fede professata e non significa non poterla vivere ed esprimere più. L'adesione è da considerarsi sotto tre aspetti che conducono a negare all'Associazione in questione finalità religiose:
2) l'Associazione non tiene conto delle diverse fedi professate dai suoi aderenti: manca, quindi, la comunanza di scopo dell'associazione ex art. 19; 3) l'Associazione persegue uno scopo diverso da quello religioso dei suoi aderenti: in tal caso tutti possono confluire e convivere, versandosi in un'ipotesi di figura di istituzione religiosa fittizia, come ritiene l'ufficio Iva. Assolti i versamenti, gli aderenti non trovano coinvolta la fede costituendo lo scopo dell'Associazione la vendita di libri (quelli elencati dalla Guardia di finanza riguardano, in prevalenza la psiche umana) e lo svolgimento di terapie (si veda sentenza Cass. pen. n. 5838 citata) con l'uso di strumenti di alto costo. Lo statuto dell'Associazione non realizza una formazione sociale religiosa come luogo di svolgimento della personalità dell'uomo. Non esistono, per la nostra Costituzione, diritti della formazione volontaria (Associazione) che abbiano un fondamento costituzionale diverso dal puntuale riconoscimento di specifiche situazioni giuridiche soggettive. La nostra Costituzione tutela l'uomo anche nella formazione sociale religiosa, non potendo essa essere indifferente alla religione dei suoi componenti, oppure attraverso il ricorso alla volontà collegiale, comprimere, anziché coltivare, il comune sentimento religioso, scopo della formazione. L'Associazione in questione «offre un'abbondanza di tecnologia che conduce verso una consapevolezza spirituale più elevata», senza proporsi «alcun tentativo di cambiare le convinzioni di una persona o di persuaderla ad allontanarsi da qualsiasi religione alla quale lei appartenga» od «alcun dogma per quanto riguarda Dio». ("Che cosa è S." - Milano; 1993, pagg. 544-545, il libro propagandistico citato nella sentenza del Tribunale di Torino, Sez. ,IV pen., 23 Aprile 1996, in "Corr.trib."n. 10/1997, pag.1204). Tutto ciò si traduce in "agnosticismo" per il giudice di Torino. Ciò comprova che lo statuto dell'Associazione resta indifferente verso il sentimento religioso dei suoi aderenti. L'Associazione non è religiosa, per autoqualificazione, in base alla propria ideologia: lo è se ed in quanto, sotto il profilo giuridico, adempie al modello di formazione sociale previsto dalla nostra Costituzione. Le leggi ordinarie si commisurano a quelle costituzionali. Conseguentemente l'Associazione Chiesa di S. non è religiosa. 3. Gli indici di giudizio suggeriti dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 195/93 L'Associazione in questione, d'origine straniera, si è costituita ai sensi e per gli effetti degli artt. 14 e seguenti del codice civile, degli artt. 8, 19 e 20 della Costituzione. Quindi sembra essere un'Associazione-confessione basata contemporaneamente su norme civilistiche e su norme della Costituzione. Con sentenza n. 58/59, un po' lontana' nel tempo, la Corte Costituzionale ha sottolineato la distinzione tra lo statuto della confessione ex art. 8 della Costituzione e lo statuto dell'Associazione religiosa ex art. 19. Questo collegio, chiamato a dichiarare la qualificazione dell'associazione ai fini dell'applicabilità della norma tributaria agevolativa in materia di Iva alle associazioni religiose, art. 4 del D.P.R. n 633/1972, si è soffermato, sotto il profilo giuridico, sull'Associazione, negandole la qualificazione di associazione religiosa ai sensi dell'art. 19 della Costituzione. Sennonché il primo giudice ha emesso il suo giudizio sulla confessione-istituzione utilizzando, non esattamente, i criteri suggeriti dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 195/93; quindi il giudice di secondo grado osserva che la confessione (asserita) non è in discussione ai sensi dell'art. 8 della Costituzione. L'agevolazione dell'art. 4 del D.P.R. n. 633/1972 riguarda l'Associazione come associazione religiosa, art. 19 della Costituzione, distinzione rispettata come da sentenza n. 58/59 citata. Comunque al primo giudice è sfuggito il presupposto dal quale è discesa la sentenza n. 195/93; la presenza territoriale in Umbria e in Italia della Confessione reclamante i contributi regionali, contributi che vanno concessi anche senza la preventiva intesa tra Stato e Confessione. Il presupposto della presenza territoriale della Confessione di cui si tratta è stato trascurato, né si può quantificare in mancanza di dati. Dello statuto si è già detto; i riconoscimenti pubblici non sono costituiti dalle sentenze penali di assoluzione dalle accuse mosse alla confessione, ma il riconoscimento della personalità giuridica. Infine, le considerazioni: si intendono quelle degli aderenti [non "fedeli", perché la Confessione (asserita) non ha una fede in un Essere trascendente I'uomo né un culto]. Tali considerazioni provenienti dagli associati si leggono nelle sentenze del Tribunale di Torino (1996), della Corte d'appello di Milano (1997) della Corte d'appello di Trento (1990). Considerazioni che coinvolgono problemi psicologici ed esistenziali degli aderenti, trovare cioè soluzioni come ad esempio; "avere una casa", "avere una maggiore comunicatività con le donne"; "liberare Io spirito dell'uomo dai condizionamenti interiori ed esteriori". In conclusione manca l'aspetto coesivo delle adesioni per scopi religiosi. Un cultore straniero di storia delle religioni scrive che la storia religiosa della nostra epoca «è curiosamente contesa, nella misura in cui ha volto le spalle alle religioni tradizionali, fra l'agnosticismo e l'occultismo». I motivi del contribuente, di cui alla memoria, sono assorbiti da quanto svolto sopra. Sanzioni: stante il comportamento omissivo del soggetto passivo, si confermano. Spese compensate. Con la sentenza in rassegna si registra un'interessante inversione rispetto ad un atteggiamento, abbastanza consolidato, che aveva costituito il fondamento di numerose pronunce dei giudici tributari sulla questione di S. [1]. La maggior parte delle Commissioni aveva falcidiato, con argomentazioni tautologiche, gli accertamenti degli uffici, rei di non avere offerto la prova del fine di lucro che avrebbe caratterizzato l'attività della Chiesa di S. Si tratta di un ragionamento che è emanazione diretta del principio secondo cui «la motivazione è qualcosa di meno rispetto alla prova, perché serve ad informare il contribuente, mentre la prova serve a convincere il giudice; provare vuol dire necessariamente motivare, mentre motivare può non voler dire provare» [2]. Conseguenza dell'assunto di cui sopra potrebbe essere che la motivazione deve essere fornita subito, con l'atto di accertamento, mentre la prova può essere esibita in un secondo momento, durante la successiva, eventuale, fase processuale. Sembrerebbe, così, quasi inevitabile il collegamento con la concezione materialistica della prova, intesa come un documento, un reperto tangibile; sennonché, nel diritto tributario, l'aspetto interpretativo e concettuale della prova e l'elaborazione logica sul giudizio di fatto si presentano particolarmente importanti dal momento che reperire "i pezzi di carta" è evenienza alquanto rara. Nel caso di S., per forza di cose, appare ancora più evidente il rilievo della componente intellettuale della prova, come conseguenza dell'elaborazione delle informazioni disponibili da parte di chi deve stabilire, nel singolo caso, se un'affermazione di fatto sia sufficientemente dimostrabile "al di là di ogni ragionevole dubbio". La Commissione tributaria regionale di Bologna, perviene a negare la natura religiosa dell'Associazione Chiesa di S. basandosi sugli stessi fatti (mancanza delle scritture contabili) che avevano portato il giudice di prima istanza ad accogliere la tesi di S., ma fornendone una lettura assolutamente speculare. Il giudice di Bologna asserisce che «non essendo possibile ricostruire con dati certi le operazioni svolte giorno per giorno dall'Associazione Chiesa di S.; non è assolutamente possibile affermate che l'attività svolta sia non commerciale». Si potrebbe osservare che proposizioni siffatte sono pure tautologie, non servono, cioè, ad ampliare il "contenuto" del conoscere ma solo a strutturarlo. Ma, a contrastare il prevedibile attacco, la Commissione regionale sottolinea che, «non avendo gli enti non commerciali finalità di lucro, ma di realizzare le finalità proprie (culturali, religiose, di beneficenza, eccetera) sancite nei propri statuti, gli obiettivi dei libri contabili non saranno, come nelle imprese, orientati a misurare la formazione dì nuova ricchezza (reddito) ma tenderanno a verificare che l'ente stia perseguendo gli obiettivi che si è posto nei propri programmi». II giudice regionale non si sottrae, infine, allo spinoso compito di pronunciarsi sulla religiosità (rectius, sulla carenza di religiosità) che contraddistingue la Chiesa di S. Senza mezzi termini e superando le dispute garantistiche sulla questione, la Commissione afferma che, a fare di S. un'associazione religiosa, non basta l'autoqualificazione in tal senso contenuta nello statuto [neretto aggiunto]. L'assenza di aspetti confessionali risulterebbe particolarmente evidente a causa dell'indifferenza dell'associazione Chiesa di S. alle possibili diverse fedi professate dai suoi aderenti, circostanza che, ad avviso del giudice tributario, farebbe propendere per esclusione di S. dal novero delle associazioni tutelate dall'art. 19 della Costituzione, non ammettendo tale norma la figura del "fedele contestuale di due religioni". Si aggiunga, inoltre, che anche la Commissione tributaria regionale rimane negativamente colpita dalla concezione, predominante nella "filosofia" di S., del denaro considerato come mezzo e fine di affrancazione dello spirito umano. Va segnalata, infine, l'intelligente posizione del giudice tributario sulla questione del riconoscimento pubblico, quale indice di giudizio suggerito dalla Corte Costituzionale: S. non può continuare seriamente a sostenere la tesi che le sentenze penali di assoluzione - oltretutto non costanti - costituiscono riconoscimento pubblico del carattere religioso dell'associazione, occorrendo a tale scopo l'esplicito riconoscimento della personalità giuridica da parte dello Stato [neretto aggiunto]. Non può certo dirsi, come impressione generale ricavabile dalla lettura della sentenza in questione, che i giudici di Bologna nel timore, pure fondato, di attentare ai sacrosanti principi costituzionali di libertà di pensiero e di espressione, abbiano emesso una pronuncia poco coraggiosa. Ma qui soccorre, a giustificare la perentorietà di certe affermazioni contenute nella sentenza, un'osservazione squisitamente psicologica. E cioè che, se l'aggressività
non paga, S. si trova oggi a subire la legge del contrappasso, lo scotto
di anni di attacchi virulenti contro le istituzioni, smascherata nella
sua reale, pericolosa, natura di vera e propria setta, secondo l'idea che
di questa parola dava un uomo alieno da tutti i fanatismi: «Non si
lotta se non per le cose di cui non si è del tutto sicuri»
[3].
Note [1] C. Montuori, Associazioni religiose non riconosciute ed imponibilità fiscale: il caso della "Chiesa di S.". Tra libertà costituzionale e supermarket del divino, in Il Fisco n. 39/1998, pagg. 12721 e seguenti. [2] La prova nell'accertamento tributario, dispensa "Corso dì formazione tributaria/amministrativa-base" S.C.T., Bologna,1998. [3] Voltaire, Dizionario filosofico, voce Setta, Rizzoli, ed: 1979.
In nome del popolo italiano La Corte Suprema di Cassazione Sezione quinta civile Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. Giovanni Olla - Presidente R.G.N. 21086/99
Ha pronunciato la seguente: Sul ricorso proposto da: Associazione Chiesa di Scientology di Ravenna, elettivamente domiciliata in Roma, via (omissis) presso l'avvocato (omissis), che la rappresenta e difende giusta delega in atti in unione con gli avv. (omissis) e (omissis); ricorrente Amministrazione delle Finanze dello Stato, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l'Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende per legge controricorrente Avverso la sentenza n. 57/11/98, depositata il 30/9/1998 dalla Commissione Tributaria Regionale dell'Emilia Romagna. OGGETTO: Iva. Operazioni imponibili. Associazioni religiose. Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/10/2001 dal Relatore Cons. Francesco Tirelli;
Osserva quanto segue. Con avviso di accertamento n. 819202/95, l'Ufficio Iva di Ravenna contestava alla locale associazione Chiesa di Scientology di non aver tenuto i dovuti registri e di non aver annotato i corrispettivi conseguiti nel 1993, omettendo altresì di presentare la dichiarazione annuale e di pagare la conseguente imposta di £. 6.786.000. La Commissione Tributaria Provinciale di Ravenna annullava l'avviso di rettifica, ma la relativa sentenza veniva totalmente riformata in appello. L'associazione Chiesa di Scientology ricorreva allora per cassazione, deducendo con cinque motivi la violazione e falsa applicazione di norme di diritto, nonché il difetto di motivazione su tutti i punti decisivi della controversia. Esponeva, infatti, la ricorrente che l'art. 4 del DPR. N. 633/1972 non escludeva, ma anzi presupponeva la possibilità dello svolgimento di attività economiche da parte delle associazioni religiose, che anche in tal caso non sarebbero affatto rientrate nel campo di applicazione dell'Iva qualora si fossero limitate, come nel caso in esame, ad erogare beni e servizi a favore dei soli soci. La Commissione Tributaria Regionale si era però accontentata di osservare che si era in presenza di un'attività economica, giungendo in prosieguo a negarle anche il carattere di associazione religiosa per effetto di una fuorviante interpretazione dello statuto, valutato alla luce di personali opinioni che non avevano tenuto alcun conto della copiosa documentazione prodotta allo scopo di comprovare la comune considerazione ed i riconoscimenti già ottenuti sia in Italia che all'estero. Sempre la Commissione Tributaria Regionale, poi, aveva completamente ignorato l'eccezione di nullità dell'accertamento perché fondato sulle risultanze istruttorie di un processo penale inerente a fatti avvenuti in un diverso contesto spazio-temporale ed, oltretutto, conclusosi con l'annullamento della sentenza della Corte di Appello di Milano eletta a giustificazione dell'accertamento che risultava, perciò, illegittimo per violazione del diritto di difesa e mancanza di una motivazione adeguata. Su tali problematiche, i giudici di secondo grado non si erano minimamente pronunciati, incorrendo così non soltanto nella violazione dell'art. 112 cpc, ma anche in quello dell'art. 115 cpc, in quanto avevano finito col fondare il loro convincimento su fatti estranei al processo, che avevano per di più deciso addossando alla parte privata un onere probatorio che sarebbe, semmai, gravato sull'Ufficio. Tenuto conto di quanto sopra e ribadita, nel merito, l'infondatezza della pretesa da quest'ultimo avanzata, concludeva pertanto per l'annullamento della sentenza impugnata con ogni correlata statuizione. L'intimata resisteva con controricorso e la controversia veniva decisa all'esito della pubblica udienza del 23/10/2001. Prima di passare all'esame del ricorso, giova preliminarmente rammentare che in base all'art. 1 del DPR n. 633/1972, l'imposta sul valore aggiunto si applica sulle cessioni di beni e sulle prestazioni di servizi effettuate, fra l'altro, nell'esercizio di imprese, che in base al successivo art. 4/1, nella formulazione all'epoca vigente, consisteva a sua volta nello svolgimento, per professione abituale ancorché esclusiva, delle attività commerciali od agricole di cui agli artt. 2135 e 2195 cc. Fatta questa premessa di ordine generale, l'art. 4 proseguiva, e prosegue tutt'ora, precisando che dovevano considerarsi come avvenute nell'esercizio d'imprese tutte le cessioni e le prestazioni eseguite, anche nei confronti dei propri soci o partecipanti, dalle società di qualunque tipo (escluse quelle semplici), nonché dagli altri enti pubblici o privati che avevano come scopo esclusivo o prevalente lo svolgimento di attività commerciali od agricole. Per tutti i restanti enti, dovevano invece considerarsi come effettuate nell'esercizio d'imprese soltanto le cessioni o le prestazioni svolte nell'ambito di attività agricole o commerciali, tra le quali rientravano, per presunzione assoluta di legge, quelle aventi ad oggetto, fra l'altro, la alienazione di beni nuovi prodotti per la vendita, escluse le pubblicazioni cedute prevalentemente ai propri associati dalle associazioni politiche, sindacali, religiose, assistenziali, culturali e sportive. Tali ultime organizzazioni, poi, fruivano (e fruiscono ancora) di un ulteriore privilegio, in quanto sia pure la precisazione di cui sopra, non si consideravano fatte nell'esercizio di attività commerciali le cessioni di beni e le prestazioni di servizi ad esse erogate in favore dei loro associati ed in conformità alle proprie finalità istituzionali (art. 4/4). Integrando simile trattamento un'eccezione alla regola generale (le cui deroghe debbono essere interpretate sempre restrittivamente: v., in tal senso, Corte giustizia CEE, sent. 15/6/1989 in causa n. 348/87), ne conseguiva che una volta dimostrata dall'Ufficio l'esecuzione di cessioni o prestazioni riconducibili ad una delle attività cui agli artt. 2135 0 2195 cc, sarebbe toccato all'associazione che avesse voluto contestarne l'imponibilità, l'onere di fornire la prova che si era, in realtà, trattato di operazioni eccettuate ai sensi dell'art. 4/4 sopra citato. Per ottenere, in altre parole, l'annullamento dell'avviso di rettifica, l'associazione avrebbe dovuto ad esempio dimostrare di avere carattere religioso o di essersi limitata ad intrattenere rapporti soltanto con soci pienamente titolari dei correlativi diritti ed obblighi, fornendo loro delle prestazioni conformi alle finalità istituzionali e, cioè, in un rapporto di strumentalità talmente immediata e diretta con gli obiettivi che la connotavano come religiosa (Corte cost. 1992/00467), da dover essere correttamente escluso in ogni caso di attività che per la loro intrinseca natura e portata, esorbitavano dal puro e semplice proselitismo o dalla pratica confessionale o dal mero procacciamento dei mezzi economici a tal fine strettamente occorrenti (C. Cass. 1990/02573, 1995/01633 e 1995/02705). Ciò posto, e premesso, altresì, che ai fini della qualificazione come religiosa di un'associazione che non abbia stipulato un'intesa con lo Stato non sono affatto decisive le clausole dell'atto costitutivo, le quali rappresentano, al pari di eventuali riconoscimenti pubblici e della comune considerazione (Corte cost. 1993/00195), soltanto uno degli elementi da valutare anche alla luce dell'attività in concreto esercitata dall'ente, devesi rilevare che nella fattispecie in esame, la Commissione Tributaria Regionale ha dato innanzitutto atto che dalla lettura dello statuto non traspariva "alcun esercizio di attività economica" che tuttavia, secondo quanto accertato dalla G.d.F., rappresentava ugualmente l'obiettivo esclusivo della ricorrente, la quale svolgeva proprio un'attività commerciale "non dichiarata, disattendendo la legislazione tributaria e civilistica vigente". Ci si trovata, quindi, in presenza di una vera e propria azienda, atteso che l'associazione in questione non aveva nulla di religioso, perché lungi dall'essere caratterizzata da una comunanza di fede, si presentava come un'organizzazione priva di culto e di fede in un Essere superiore, nonché del tutto indifferente al credo dei suoi aderenti, che potevano entrare a far parte del sodalizio senza essere costretti a ritrattare le proprie convinzioni. Eseguiti i dovuti versamenti, gli adepti erano invero liberi di continuare a professare la propria religione in quanto lo scopo dell'associazione consisteva nella vendita di libri e nello svolgimento di terapie con l'uso di strumenti d'alto costo. Lo statuto dell'ente non mirava, infatti, ad una "formazione sociale religiosa come luogo di svolgimento della personalità dell'uomo", ma offriva unicamente "un'abbondanza di tecnologia per giungere ad una consapevolezza spirituale più elevata", senza nessun tentativo di cambiare le idee delle persone o di persuaderle ad allontanarsi dalla confessione di appartenenza. Il riconoscimento della personalità giuridica non vi era, d'altronde, mai stato, né potevano avere alcun valore le sentenze penali di assoluzione dalle accuse via via subite o gli eventuali attestati conseguiti in altri paesi che non conoscevano il diritto ecclesiastico sviluppatosi in Italia. Quanto alla comune considerazione, bastava infine leggere le sentenze del Tribunale di Torino e delle Corti di Appello di Milano e di Trento, dalle quali emergeva che le aspettative degli associati si risolvevano nella speranza di trovare la soluzione di problemi psicologici od esistenziali, quali avere una casa od una maggiore comunicatività con le donne od uno spirito libero da condizionamenti interni ed esterni. Tenuto conto di quanto sopra, la Commissione Tributaria Regionale ha confermato l'operato dell'Ufficio con una decisione che la Chiesa di Scientology di Ravenna ha criticato, deducendo con il primo ed il quarto motivo, da esaminare congiuntamente per via della loro intima connessione, che nel concludere per l'imponibilità delle operazioni sul presupposto della natura economica dell'attività e del carattere non religioso del sodalizio, i giudici di secondo grado avevano sostanzialmente finito per violare l'art. 4 del DPR n. 633/1972 con una motivazione carente e contraddittoria. La doglianza è fondata in quanto la Commissione Tributaria regionale si è, come si è detto, limitata ad osservare che l'appellante svolgeva attività economica, sembrando così voler dire che si trattava di un'organizzazione tesa al perseguimento di un profitto anziché al procacciamento dei mezzi economici occorrenti per il raggiungimento di effettive finalità religiose. Tale affermazione risulta, in definitiva, apodittica, in quanto non supportata dall'indicazione di sufficienti elementi concreti da parte dei giudici a quo, che oltre a non essersi soffermati neppure sulle obiezioni mosse dall'associazione in ordine alla natura strettamente "interna" delle cessioni e delle prestazioni, e, cioè, della destinazione delle medesime ai soli soci, hanno poi affrontato la questione della religiosità o meno dell'ente omettendo di considerare ed, anzi, volutamente ignorando che il medesimo si correlava a quella Church of Scientology che già riguardata come movimento religioso nel suo paese d'origine, aveva in seguito ottenuto ulteriori conferme in altri paesi della Comunità europea. La Commissione Tributaria Regionale, inoltre, ha ricordato soltanto alcune sentenze, trascurando di verificare se accanto a quest'ultime non ve ne fossero state altre, eventualmente di legittimità, (C. cass., Sez. VI, 8/10/1997, Bandera) che contenendo adeguati spunti se non la sostanziale affermazione del carattere confessionale del movimento di Scientology, potevano essere apprezzate come un pubblico attestato della natura religiosa delle dottrine hubbardiane e delle associazioni ad esse ispirate. Anche sulla pubblica considerazione, poi, i giudici a quo si sono in realtà limitati alla generica menzione degli obiettivi perseguiti da un non meglio precisato numero di aderenti ad altre associazioni di Scientology, sorvolando del tutto sull'opinione eventualmente formatasi in seno alla società e sui giudizi espressi dai cultori e dagli osservatori della materia. La sentenza della Commissione Tributaria Regionale risulta perciò adottata in mancanza di un'adeguata verifica della sussistenza o meno dei presupposti stabiliti dall'ordinamento per fruire dell'esclusione di cui all'art. 4 del DPR n. 633/1972. Analogamente, perciò, a quanto già statuito da questa stessa Sezione in altra controversia relativa all'IRPEG ed all'ILOR richieste al gruppo milanese di Scientology (v, sentenza in data 13/10/2000), la decisione impugnata va pertanto cassata, con rinvio degli atti, anche per le spese del presente giudizio, ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale dell'Emilia Romagna. La Corte, accoglie per quanto di ragione il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale dell'Emilia Romagna. Roma, il 23/10/2001 |
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