La vita, le scoperte, l'eredità culturale. Estratti dall'omonimo volume di Giuseppe Montalenti, Editori Riuniti, 1982.
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Dall'Origine dell'uomoDiamo il sommario generale e la conclusione dell'Origine dell'uomo e la selezione in rapporto al sesso, traduzione di Franco Paparo, Roma, Editori Riuniti, 1966.Sommario generale e conclusione
Basterà un breve sommario per ricordare al lettore i punti più salienti di questo libro. Molte delle opinioni esposte sono a carattere speculativo e senza dubbio alcune risulteranno sbagliate; ma ho spiegato in ogni caso le ragioni che mi hanno portato ad un determinato modo di vedere piuttosto che ad un altro. Mi sembrava valesse la pena di provare fino a che punto il principio dell'evoluzione illumini alcuni dei problemi più complessi della storia naturale dell'uomo. I fatti falsi sono molto dannosi al progresso della scienza, perché spesso resistono a lungo; le opinioni false invece, se sostenute da qualche prova, fanno poco danno, perché ognuno si procura la legittima gioia di provarne la falsità; quando ciò avviene, si chiude un sentiero verso l'errore, e spesso nello stesso tempo, si apre la strada verso la verità. La conclusione principale a cui siamo giunti qui, ora sostenuta da molti naturalisti capaci di dare un giudizio obiettivo, è che l'uomo è disceso da qualche forma meno altamente organizzata. Le basi di questa conclusione non saranno mai scosse, data la intima somiglianza tra l'uomo e gli animali inferiori, nello sviluppo embrionale ed in infiniti punti di struttura e di costituzione, sia di grande che di lieve importanza; i rudimenti che l'uomo conserva e le anormali reversioni a cui è occasionalmente soggetto, son tutti fatti che non si possono confutare. Essi sono noti da lungo tempo, ma fino a poco fa non ci dicevano niente sull'origine dell'uomo. Ma ora, visti alla luce delle nostre conoscenze di tutto il mondo dei viventi, il loro significato non può sfuggire. Il grande principio dell'evoluzione domina chiaro e fermo, quando questi gruppi di fatti son considerati in rapporto con altri, quali le affinità reciproche dei membri dello stesso gruppo, la loro distribuzione geografica nel passato e nel presente, e la loro successione geologica. Non si può assolutamente pensare che tutti questi fatti dicano il falso. Chi non si accontenta di pensare (come un selvaggio) che i fenomeni naturali non sono collegati, non può credere che l'uomo sia l'opera di un atto separato di creazione. Egli sarà costretto ad ammettere che l'intima rassomiglianza dell'embrione umano con quello, ad esempio, di un cane, la struttura del cranio, delle membra, dell'intera forma somatica dell'uomo ripete lo stesso modello di quella degli altri mammiferi (indipendentemente dall'uso a cui le singole parti sono destinate), la ricomparsa occasionale di varie strutture, per esempio, di parecchi muscoli che normalmente non sono presenti nell'uomo, ma che sono normali nei quadrumani, ed una quantità di fatti analoghi, tutti portano nella maniera più evidente alla conclusione che l'uomo discende da un progenitore comune agli altri mammiferi. Abbiamo visto che l'uomo presenta continuamente differenze individuali in tutte le parti del corpo e nelle facoltà mentali. Queste differenze o variazioni dipendono dalle stesse cause generali e obbediscono alle stesse leggi che negli animali inferiori. In entrambi i casi valgono le stesse leggi dell'eredità. L'uomo tende a moltiplicarsi molto al di là dei suoi mezzi di sussistenza, e di conseguenza è soggetto occasionalmente ad una grave lotta per l'esistenza e la selezione naturale agisce su tutto ciò che è nel suo campo d'azione. Non è affatto necessaria una successione di variazioni molto spiccate di natura simile; piccole, fluttuanti differenze individuali bastano per l'azione della selezione naturale; non vi è ragione di pensare che nella stessa specie, tutte le parti dell'organizzazione tendano a variare nello stesso grado. Possiamo esser certi che gli effetti ereditari del continuo uso o disuso di parte agiscono intensamente nella stessa direzione della selezione naturale. Modificazioni dapprima importanti, anche quando non servono più in qualche funzione particolare, rimangono per lungo tempo ereditarie. Quando una parte si modifica, altre parti cambiano per il principio di correlazione, di cui abbiamo esempi in molti strani casi di mostruosità correlative. Si può attribuire qualche effetto all'azione diretta e definita delle condizioni ambientali, come l'abbondanza di cibo, il caldo o l'umidità; infine molti caratteri di leggera importanza fisiologica ed alcuni invece di notevole valore sono stati acquisiti per selezione sessuale. Senza dubbio l'uomo, come ogni altro animale, presenta strutture che appaiono alle nostre limitate conoscenze di nessuna utilità (e che non lo sono state neanche in passato) né per le condizioni generali di vita, né nei rapporti di un sesso con l'altro. Strutture tali non possono essere attribuite a nessuna forma di selezione e nemmeno agli effetti ereditari dell'uso o del disuso di parti. Sappiamo tuttavia che molte strane e spiccate particolarità di struttura compaiono casualmente negli animali domestici, e se le loro cause sconosciute agissero con maggior uniformità, diverrebbero probabilmente comuni a tutti gli individui della specie. Possiamo sperare di comprendere in seguito qualche cosa circa le cause di tali modificazioni casuali, specialmente attraverso lo studio delle mostruosità. Quindi i lavori sperimentali di certi scienziati. come quelli di Camille Dareste, sono pieni di promesse per l'avvenire. In verità possiamo dire che le cause delle leggere variazioni e delle mostruosità si trovano più nella costituzione dell'organismo che nella natura delle condizioni ambientali (sebbene il cambiamento delle condizioni di vita giochi un ruolo importante nel suscitare variazioni organiche di vario tipo). Mediante i mezzi prima detti e con l'aiuto forse di altri non ancora scoperti, l'uomo si è elevato al suo stato attuale. E dal momento in cui ha raggiunto il suo posto di uomo, si è distinto in razze, o, come si possono chiamare più propriamente, sottospecie differenti. Alcune di queste, come i negri e gli europei, sono così diverse tra di loro, che, se si portassero ad un naturalista degli esemplari, senza nessun'altra notizia, egli le giudicherebbe senza dubbio come specie differenti. Nondimeno tutte le razze umane concordano in tanti insignificanti dettagli strutturali e in tante particolarità mentali, da poterle soltanto attribuire all'eredità da un comune progenitore; un progenitore con queste caratteristiche avrebbe probabilmente meritato il posto di uomo. Non è da supporre che si possano rintracciare le divergenze di ogni razza dalle altre e di tutte da uno stipite comune, fino ad una singola coppia di progenitori. Al contrario, in ogni studio del processo di modificazione, tutti gli individui in qualche modo più adatti (sebbene in grado differente) alle loro condizioni di vita, saranno sopravvissuti in un numero maggiore di quelli meno adatti. Il processo deve essere stato simile a quello che segue l'uomo, quando egli non sceglie intenzionalmente individui particolari, ma alleva tutti gli individui migliori e trascura i peggiori. In questo modo egli lentamente ma sicuramente modifica lo stipite e, senza saperlo, forma una nuova razza. Così per quanto riguarda le modificazioni acquisite indipendentemente dalla selezione, e dovute a variazioni derivanti dalla natura dell'organismo e dall'azione delle condizioni ambientali, oppure dovute alle modificate abitudini di vita, nessuna singola coppia sarà stata modificata molto più delle altre coppie che abitano lo stesso paese, perché tutte si mescolano continuamente con il libero incrocio. Se consideriamo la struttura embriologica dell'uomo, le analogie con gli animali inferiori, i rudimenti che conserva, e la reversione cui è soggetto, possiamo in parte immaginare la condizione primitiva dei nostri progenitori e possiamo approssimativamente collocarli in un posto appropriato nella serie zoologica. Impariamo così che l'uomo è disceso da un quadrupede peloso, provvisto di coda, probabilmente con l'abitudine di vivere sugli alberi e che abitava il vecchio continente. Se un naturalista avesse esaminato l'intera struttura di questo essere, l'avrebbe classificato tra i quadrumani, con la stessa sicurezza con cui avrebbe classificato l'ancora più antico progenitore delle scimmie del vecchio e del nuovo continente. I quadrumani e tutti i mammiferi più elevati derivano probabilmente da qualche antico marsupiale e questo, attraverso una lunga discendenza di forme che andavano divergendo, da qualche creatura simile agli anfibi, e questi ancora da qualche animale simile ai pesci. Nella profonda oscurità del passato, possiamo intravedere che il primo progenitore di tutti i vertebrati deve essere stato un animale acquatico, provvisto di branchie, coi due sessi riuniti nello stesso individuo e con la maggior parte degli organi più importanti (come il cervello e il cuore) imperfettamente o per nulla sviluppati. Questi animali dovevano essere più simili alle attuali ascidie di mare, che a qualsiasi altra forma conosciuta. Dopo essere giunti a questa conclusione sull'origine dell'uomo, la più grande difficoltà che si presenta rimane l'alto livello delle nostre facoltà intellettuali e morali. Chiunque ammetta l'evoluzione sa che le facoltà mentali degli animali superiori, le quali sono della stessa specie di quelle dell'uomo, sebbene di grado così differente, sono suscettibili di progredire. Così il divario tra le facoltà mentali di una delle scimmie più elevate e quelle di un pesce, oppure quelle di una formica e di un coccus, è immenso; inoltre il loro sviluppo non offre nessuna speciale difficoltà; infatti negli animali domestici le facoltà mentali sono variabili e le variazioni sono ereditarie. Nessuno dubita che le facoltà mentali sono della massima importanza per gli animali allo stato naturale. Vi sono quindi tutte le condizioni per il loro sviluppo mediante la selezione naturale. La stessa conclusione si può estendere all'uomo: l'intelletto deve essere stato molto importante per lui anche in un periodo molto remoto, perché gli ha permesso di inventare e usare il linguaggio, di costruire armi, utensili, trappole, ecc., in modo che con l'aiuto della sua abitudine di vivere in società, egli molto tempo fa riuscì a dominare tutti gli esseri viventi. Un grande passo nello sviluppo dell'intelletto si ebbe non appena entrò in uso il linguaggio, per metà arte e per metà istinto; infatti il continuo uso del linguaggio deve aver agito sul cervello e determinato un effetto ereditario; e questo a sua volta ha agito sul miglioramento del linguaggio. La grandezza del cervello dell'uomo, relativamente al corpo, in confronto agli animali inferiori, può attribuirsi in massima parte, come ha giustamente osservato Chauncey Wright, ad un primitivo uso di una semplice forma di linguaggio, quel congegno meraviglioso che assegna parole ad ogni sorta di oggetti e di qualità, e suscita una serie di pensieri che non sorgerebbero mai dalla pura impressione dei sensi, o anche se si formassero non avrebbero alcun seguito. Le facoltà intellettuali più elevate dell'uomo, come il ragionamento, l'astrazione, la consapevolezza, ecc., probabilmente derivarono dal continuo miglioramento ed esercizio delle facoltà mentali. Un problema più interessante è lo sviluppo del senso morale; esso si basa sugli istinti sociali, comprendendo con questo termine anche i legami familiari. Questi istinti sono molto complessi, e, nel caso degli animali inferiori, determinano speciali tendenze verso certe azioni definite; ma gli elementi più importanti sono l'amore e la simpatia, che è un'emozione diversa. Gli animali dotati di istinti sociali hanno piacere della compagnia dei loro simili, si avvertono del pericolo, si difendono e si aiutano reciprocamente in ogni maniera. Questi istinti non sono estesi a tutti gli individui della specie, ma soltanto a quelli della stessa comunità. Poiché sono di gran beneficio alle specie, con tutta probabilità sono stati acquisiti per selezione naturale. L'essere morale è capace di riflettere sulle sue azioni passate e sui loro motivi, di approvare alcune azioni e di disapprovarne altre; l'uomo merita di esser considerato tale: questo rappresenta la sua più grande differenza dagli animali inferiori. In un precedente capitolo ho cercato di dimostrare che il senso morale deriva, primo dalla natura durevole e continua degli istinti sociali; secondo dalla considerazione in cui l'uomo tiene l'approvazione o la disapprovazione dei suoi compagni; terzo dalla superiore attività delle sue facoltà mentali, con il vivo ricordo del passato. Sotto questo aspetto l'uomo differisce dagli animali inferiori. A causa di queste particolarità mentali, egli non può fare a meno di pensare al passato e all'avvenire, e di paragonare le impressioni ricevute. Così, dopo che un desiderio o passione passeggera ha dominato i suoi istinti sociali, l'uomo riflette e confronta l'ormai indebolita impressione di tali impulsi con gli istinti sociali sempre presenti; allora prova quel senso di scontento che tutti gli istinti insoddisfatti lasciano dietro di sé, e perciò decide di agire differentemente per il futuro. Questa è la coscienza. Qualsiasi istinto, stabilmente più forte e più durevole di un altro, dà origine a un sentimento che noi esprimiamo dicendo che non possiamo fare a meno di obbedirgli. Un cane pointer, se fosse capace di riflettere sulla sua condotta in passato, direbbe a se stesso: avrei dovuto (come in verità noi diciamo di lui) puntare quella lepre, e non cadere alla fugace tentazione di darle la caccia. Gli animali che vivono in società in generale sono mossi in parte dal desiderio di aiutare i membri della loro comunità, ma più comunemente da quello di compiere certe azioni definite. L'uomo è spinto dallo stesso desiderio generale di aiutare i suoi compagni; ma ha pochi o nessun istinto speciale. Egli differisce dagli animali inferiori anche per la facoltà di esprimere i suoi desideri con le parole, che così diventano il mezzo di richiedere l'aiuto e di concederlo. Il vero motivo per cui l'uomo aiuta gli altri si è molto modificato: esso non è più soltanto un cieco impulso istintivo, ma è molto influenzato dalla lode e dal biasimo dei compagni. Il tenere in considerazione e il concedere lode e biasimo dipendono dalla simpatia, e questa emozione, come abbiamo visto, è uno degli elementi più importanti degli istinti sociali. La simpatia, sebbene originata come un istinto, è molto rafforzata dall'esercizio o dall'abitudine. Poiché ogni uomo desidera la propria felicità, si concedono la lode oppure il biasimo ad azioni e a moventi, secondo che conducono o no a questo fine; dato che la felicità è una parte essenziale del benessere generale, il principio di una più grande felicità serve indirettamente come la vera misura del bene o del male. Man mano che la facoltà di ragionare si perfeziona e si acquista esperienza, si intravedono gli effetti remoti di certe linee di condotta sul carattere dell'individuo e sul bene generale; e allora le virtù personali che corrispondono agli scopi della comunità sono lodate, mentre vengono biasimate quelle contrarie. Ma nei popoli meno civili, spesso la ragione sbaglia e molti cattivi costumi e meschine superstizioni vengono compresi tra gli scopi della comunità, e di conseguenza considerati come elevate virtù, e la loro infrazione come grave delitto. Le facoltà morali sono generalmente stimate da tutti di maggior valore delle facoltà intellettuali. Ma dovremmo tenere presente che l'attività della mente nel richiamare con vivacità impressioni del passato è una fase fondamentale, benché secondaria, della coscienza. Questo è un argomento molto valido per educare e stimolare in tutti i modi possibili le facoltà intellettuali di ogni essere umano. Senza dubbio un uomo di mente lenta, se ha affetti e simpatie sociali ben sviluppati, sarà senza dubbio portato alle buone azioni, e potrà avere una coscienza abbastanza sensibile. Ma qualsiasi cosa renda più vivace l'immaginazione e rafforzi l'abitudine di richiamare e confrontare impressioni ricevute in passato, renderà la coscienza più sensibile e può anche compensare gli affetti e le simpatie sociali più deboli. La natura morale dell'uomo ha raggiunto il livello attuale in parte per il progresso del ragionamento e quindi per la formazione di un giusto senso comune, ma specialmente perché le sue simpatie son divenute più sensibili e più diffuse per effetto dell'abitudine, dell'esempio, dell'istruzione e della riflessione. Non è improbabile che le buone tendenze, dopo una lunga pratica, possano divenire ereditarie. Nelle razze più civili la convinzione dell'esistenza di una entità onniveggente, ha avuto una forte influenza sul progresso della moralità. In definitiva l'uomo non accetta la lode o il biasimo dei suoi compagni come unica guida, sebbene pochi possono sfuggire a questa influenza, ma le sue abituali convinzioni, controllate dalla ragione, gli danno la regola più sicura. La coscienza diviene allora giudice e consigliere supremo. Nondimeno la prima base od origine del senso morale sta negli istinti sociali, compresa la simpatia, e questi istinti senza dubbio furono originariamente acquistati, come nel caso degli animali inferiori, per selezione naturale. Il credere in Dio è stato spesso considerato come la più grande e la più profonda differenza tra l'uomo e gli animali inferiori. Ma è impossibile, come abbiamo visto, affermare che la fede è innata o istintiva nell'uomo. D'altro canto una credenza in forze spirituali onnipresenti sembra universale, e apparentemente deriva da un considerevole progresso della ragione umana, e da un ancora maggior progresso delle sue facoltà d'immaginazione, curiosità ed entusiasmo. So che l'istintiva fede in Dio è stata addotta da molte persone come prova della sua esistenza. Ma questo è un argomento sconsiderato, poiché in tal modo saremmo costretti a credere nell'esistenza di spiriti crudeli e maligni, solo di poco più potenti dell'uomo, poiché è molto più diffuso il credere in essi che non in un ente benefico. L'idea di un creatore universale e benefico non sembra sia sorta nella mente dell'uomo, finché egli non si è elevato per una continua educazione intellettuale e morale. Chi crede che l'uomo sia originato da una forma a bassa organizzazione, naturalmente si domanderà come questo può stare con la fiducia nell'immortalità dell'anima. Le razze barbare dell'uomo non hanno, come ha dimostrato sir J. Lubbock, una chiara credenza di tale specie. Ma gli argomenti derivati dalle credenze primitive dei selvaggi, sono, come abbiamo visto ora, di scarso o minimo valore. Poche persone sono preoccupate dall'impossibilità di stabilire in modo preciso il periodo dello sviluppo individuale in cui l'uomo diviene un essere immortale, né vi è maggior ragione di preoccuparsi, perché non si può determinare un periodo di questo tipo nella scala gradualmente ascendente degli esseri viventi. Sono sicuro che le conclusioni cui son giunto in questo libro saranno denunciate da alcuni come altamente irreligiose; ma si è obbligati a dimostrare perché lo spiegare l'origine dell'uomo come specie derivata da qualche forma inferiore, per le leggi della variabilità e della selezione naturale, è più irreligioso che lo spiegare la nascita dell'individuo con le leggi della riproduzione ordinaria. La nascita sia delle specie che dell'individuo sono ugualmente parti di quella grande catena di eventi che la nostra mente rifiuta di accettare come risultato del cieco caso. La ragione si ribella a tale conclusione sia che crediamo o no che ogni lieve variazione di struttura, l'unione di ogni coppia in matrimonio, ogni semina, ed altri simili eventi siano stati tutti disposti per qualche fine particolare. Riguardo alla selezione sessuale, so che molte cose rimangono ancora dubbie, ma io ho cercato di dare una chiara visione dell'intera questione. Nelle divisioni più basse del regno animale, la selezione sessuale sembra non avere avuto alcun effetto; certi animali sono fissi per tutta la vita nello stesso luogo, oppure hanno i due sessi riuniti nello stesso individuo, o, ciò che è ancora più importante, le loro facoltà percettive ed intellettuali non sono sufficientemente progredite da permettere sentimenti di amore e di gelosia, o una scelta. Quando tuttavia arriviamo agli artropodi ed ai vertebrati, anche nelle classi più basse di questi due grandi sottoregni vediamo che la selezione sessuale ha operato intensamente. Nelle varie classi del regno animale, nei mammiferi, negli uccelli, nei rettili, nei pesci, negli insetti e, persino nei crostacei, le differenze tra i sessi seguono quasi le stesse regole. I maschi sono quasi sempre gli amanti conquistatori, ed essi sono provvisti di armi speciali per combattere i rivali. In generale sono più forti e più grandi delle femmine, e son forniti delle qualità richieste di coraggio e di combattività. Sono muniti, sia esclusivamente che in maggior misura delle femmine, di organi adatti alla musica, sia vocale che strumentale, e di ghiandole che producono secrezioni odorose. Sono adornati di appendici molto varie, e dei più vivaci e brillanti colori, spesso disposti in fogge eleganti, mentre le femmine sono disadorne. Quando i sessi differiscono in strutture più importanti, è il maschio quello che è fornito di organi di sensi, speciali per rintracciare la femmina, di organi locomotori per raggiungerla e sovente di organi di prensione per tenerla ferma. Queste varie strutture per assicurarsi la femmina ed attrarla, spesso si sviluppano nel maschio soltanto durante un periodo dell'anno vale a dire nella stagione dell'accoppiamento. In molti casi si sono trasmesse in maggiore o minor misura alle femmine; allora sono ridotte a semplici rudimenti. Tali strutture, inoltre, sono perdute e non più riguadagnate dai maschi in seguito alla castrazione. In generale esse non si sviluppano nel maschio durante la prima gioventù, ma appaiono un po' prima dell'età della riproduzione. Quindi nella maggior parte dei casi i giovani dei due sessi si somigliano; e la femmina somiglia per tutta la vita alla sua prole giovane. Quasi in ogni grande classe vi sono alcune specie anomale, nelle quali vi è una trasposizione quasi completa dei caratteri ai due sessi; sono le femmine che presentano i caratteri che appartengono normalmente ai maschi. La sorprendente uniformità delle leggi che regolano le differenze tra i sessi in tante classi distinte, si comprende se ammettiamo l'azione di una causa comune, cioè la selezione sessuale. La selezione sessuale dipende dal successo di certi individui sopra altri dello stesso sesso in relazione alla propagazione delle specie, mentre la selezione naturale dipende dal successo di entrambi i sessi, a tutte le età, in relazione alle condizioni generali di vita. La lotta sessuale è di due specie; una è la lotta tra individui dello stesso sesso, generalmente maschi, onde allontanare e uccidere i rivali, mentre le femmine rimangono passive; l'altra è pure tra individui dello stesso sesso per attrarre od eccitare quelli del sesso opposto, e qui le femmine non sono più passive, ma scelgono il compagno più piacevole. Quest'ultima specie di selezione è intimamente analoga alla scelta che l'uomo fa inconsapevolmente, ma efficacemente, tra i suoi prodotti domestici quando, per un tempo lungo, continua a scegliere gli individui più belli e più utili, pur senza alcun desiderio cosciente di modificare la razza. Le leggi dell'eredità determinano se i caratteri acquisiti per selezione sessuale da un sesso saranno trasmessi allo stesso sesso oppure ad entrambi; come pure l'età in cui si svilupperanno. Sembra che le variazioni che compaiono a tarda età si trasmettano ad un solo e medesimo sesso. La variabilità è la base necessaria per l'azione della selezione, ed è del tutto indipendente da essa. Da ciò deriva che variazioni della medesima natura generale si sono accentuate e accumulate per selezione sessuale, in relazione alla propagazione della specie, e per selezione naturale, in relazione alle necessità generali della vita. Quindi i caratteri sessuali secondari, quando si trasmettono egualmente ad entrambi i sessi, possono essere distinti dai caratteri ordinari della specie solo alla luce dell'analogia. Le modificazioni acquisite per selezione sessuale sono spesso cosi spiccate che i due sessi sono di frequente classificati come specie distinte, o persino come generi distinti. Tali differenze spiccate devono essere importanti; e sappiamo che in certi casi sono state acquisite non solo a prezzo di qualche inconveniente, ma a rischio di esporsi a un pericolo reale. Si deve credere al potere della selezione sessuale principalmente per le seguenti considerazioni. Certi caratteri sono limitati ad un sesso; e questo solo fatto rende probabile, nella maggioranza dei casi, che essi siano connessi con l'atto della riproduzione. Questi caratteri, quasi sempre, si sviluppano pienamente solo nell'età adulta: e sovente solo durante una parte dell'anno, che è sempre la stagione dell'accoppiamento. I maschi (tranne casi eccezionali) sono più attivi nel corteggiare; sono i meglio armati e sono più attraenti in vari modi. Giova osservare che i maschi mostrano le loro attrattive con grande cura in presenza delle femmine; e che raramente o mai ne fanno pompa quando è trascorsa la stagione degli amori. Non si può credere che tutto questo sia senza scopo. Infine abbiamo la prova, in alcuni quadrupedi ed uccelli, che gli individui di un sesso possono sentire una forte antipatia oppure una preferenza per certi individui del sesso opposto. Tenendo presente questi fatti e non dimenticando i risultati evidenti della selezione inconsapevole, praticata dall'uomo negli animali domestici e nelle piante coltivate, mi pare quasi certo che se gli individui di un sesso durante la lunga serie di generazioni preferissero riunirsi con certi individui dell'altro sesso, con qualche caratteristica particolare, la prole andrebbe lentamente, ma sicuramente modificandosi nello stesso senso. Non ho cercato di nascondere che, tranne i casi in cui i maschi sono più numerosi delle femmine o prevale la poligamia, non si sa come avviene che i maschi più attraenti generano un numero di figli che ereditano la loro superiorità negli ornamenti o in altre attrattive, maggiore che i maschi meno attraenti; ma ho dimostrato che ciò si deve principalmente alle femmine (specialmente a quelle più robuste le quali sono le prime a riprodurre) perché esse preferiscono i maschi non solo più attraenti, ma anche più robusti e vittoriosi. Sebbene abbiamo una qualche prova positiva che gli uccelli apprezzino gli oggetti belli e brillanti, come per le clamidee dell'Australia, e quantunque essi apprezzino certamente la potenza del canto, tuttavia confesso che è un fatto meraviglioso che le femmine di molti uccelli e di alcuni mammiferi siano fornite di sufficiente gusto per apprezzare ornamenti che abbiamo ragione di attribuire alla selezione sessuale; e ciò e anche più sorprendente nel caso dei rettili, dei pesci e degli insetti. In realtà conosciamo pochissimo intorno all'intelligenza degli animali inferiori. Non si può pensare, per esempio, che i maschi degli uccelli di paradiso o dei pavoni si prendano tanta pena di sollevare, allargare e far vibrare le loro belle piume agli occhi delle femmine senza qualche scopo. Possiamo ricordare il fatto, riferito da un bravo scienziato, che varie pavonesse, quando furono separate da un maschio loro preferito, rimasero vedove per un'intera stagione piuttosto che accoppiarsi con un altro maschio. Nondimeno non conosco nella storia naturale nulla di più meraviglioso del fatto che la femmina del fagiano argo possa apprezzare la delicata sfumatura degli ornamenti a forma di occhio e l'elegante modello delle penne delle ali del suo maschio. Chi crede che il maschio sia stato creato qual è oggi, deve riconoscere che le grandi piume che impediscono alle ali di essere usate per il volo e sono schiuse soltanto durante il corteggiamento, in modo tutto particolare a questa sola specie, gli sono state date per ornamento. Se è così, egli deve pure ammettere che la femmina è stata creata provvista della facoltà di apprezzare tali ornamenti. Io la penso differentemente, per la sola ragione che credo che il fagiano argo acquisti gradualmente la sua bellezza in conseguenza al fatto che le femmine preferirono per molte generazioni i maschi meglio adornati; e la facoltà estetica della femmina si sviluppò per l'esercizio e l'abitudine, così come il nostro gusto che è gradualmente migliorato. Nel maschio, per il caso fortunato che poche penne non si sono modificate, possiamo vedere chiaramente come certe semplici macchie con una lieve ombra rossiccia da un lato, si sono sviluppate, grado a grado, in meravigliosi ornamenti a forma di occhio; ed è probabile che si siano realmente sviluppate in questo modo. Chiunque ammetta l'evoluzione, ma senta una grande difficoltà ad ammettere che le femmine dei mammiferi, degli uccelli, dei rettili e dei pesci abbiano acquisito L'alto livello di gusto che si può dedurre dalla bellezza dei maschi, e che coincide in generale col nostro proprio gusto, deve pensare che le cellule nervose del cervello, tanto nei membri superiori che inferiori della serie dei vertebrati, sono derivate da quelle del progenitore comune di questo grande regno. In tal modo si comprende come certe facoltà mentali si sono sviluppate in gruppi di animali molto differenti quasi nella stessa maniera e quasi nello stesso grado. Chi ammette la selezione sessuale, deve arrivare alla notevole conclusione che il sistema nervoso non solo regola la maggior parte delle funzioni attuali del nostro corpo, ma ha influenzato indirettamente il progressivo sviluppo di varie strutture somatiche e di certe qualità mentali. Il coraggio, la combattività, la perseveranza e la forza, la grandezza del corpo, le armi di ogni sorta, gli organi musicali (vocali e strumentali), i colori vivaci, le appendici ornamentali sono stati indirettamente acquisiti da un sesso o dall'altro per l'esercizio di una scelta, per l'influenza dell'amore e della gelosia, per l'apprezzamento della bellezza, del suono, del colore o della forma. Queste facoltà della mente dipendono evidentemente dallo sviluppo del cervello. L'uomo ricerca con cura il carattere e la genealogia dei suoi cavalli, del suo bestiame e dei suoi cani, prima di accoppiarli; ma quando si tratta del suo proprio matrimonio, di rado o meglio mai, si prende tutta questa briga. Egli è spinto quasi dagli stessi motivi che valgono per gli animali inferiori quando li si lascia liberi nella scelta, sebbene egli sia tanto superiore ad essi da apprezzare moltissimo le virtù e le attrattive intellettuali. D'altra parte egli è fortemente attratto dalla ricchezza e dalla posizione sociale. Eppure l'uomo potrebbe mediante la selezione fare qualcosa non solo per la costituzione somatica dei suoi figli, ma anche per le loro qualità intellettuali e morali. I due sessi dovrebbero star lontani dal matrimonio, quando sono deboli di mente e di corpo; ma queste speranze sono utopie, e non si realizzeranno mai, neppure in parte, finché le leggi dell'eredità non saranno completamente conosciute. Chiunque coopererà a questo intento, renderà un buon servigio all'umanità. Quando i principi della razza e dell'eredità saranno meglio compresi, non ascolteremo più certi membri ignoranti del nostro parlamento respingere sdegnosamente un progetto per accertare se i matrimoni tra consanguinei siano o no dannosi agli uomini. Il progresso del benessere del genere umano è un problema difficile da risolvere; quelli che non possono evitare una grande povertà per i loro figli dovrebbero astenersi dal matrimonio, perché la povertà non è soltanto un gran male, ma tende ad aumentare poiché provoca l'avventatezza nel matrimonio. D'altra parte, come ha notato Galton, se i prudenti si astengono dal matrimonio, mentre gli avventati si sposano, i membri inferiori della società tenderanno a soppiantare i migliori. L'uomo, come tutti gli altri animali, ha senza dubbio progredito fino alla sua condizione attuale ad opera della lotta per l'esistenza, frutto del suo rapido moltiplicarsi; e, se egli deve progredire ed elevarsi ancora di più, deve rimanere soggetto ad una dura lotta. In altro modo egli cadrebbe in breve nell'indolenza, e gli uomini molto dotati non avrebbero più successo nella vita che i meno dotati. Quindi la nostra velocità naturale di accrescimento, sebbene determini molti mali evidenti, non deve essere diminuita con nessun mezzo. Deve rimanere aperta la competizione per tutti gli uomini; e le leggi e i costumi non debbono impedire ai più capaci di riuscire meglio e di allevare un numero più grande di figli. Per quanto importante sia stata e sia ancora la lotta per l'esistenza, tuttavia, per lo sviluppo delle qualità più elevate della natura umana, vi sono altri agenti più importanti. Infatti le qualità morali sono progredite, sia indirettamente che direttamente, molto più per opera dell'abitudine, del ragionamento, dell'istruzione, della religione, ecc., che non per selezione naturale; sebbene si possano sicuramente attribuire a quest'ultimo agente gli istinti sociali, che costituiscono la base per lo sviluppo del senso morale. Mi rincresce pensare che la fondamentale conclusione, alla quale sono giunto in questo libro, cioè che l'uomo è disceso da qualche forma a bassa organizzazione, riuscirà sgradevole a molte persone. Ma non vi può essere dubbio che noi discendiamo dai barbari. Non dimenticherò mai la meraviglia che provai nel vedere per la prima volta un gruppo di indigeni della Terra del Fuoco, su una spiaggia selvaggia e scoscesa; mi venne subito alla mente che simili erano i nostri antenati. Quegli uomini erano nudi, imbrattati di pitture; i loro lunghi capelli erano arruffati, avevano la bava alla bocca per l'eccitamento e la loro espressione era selvaggia, spaventata, e diffidente. Non avevano quasi nessuna arte, e, come gli animali selvatici, vivevano di quello di cui potevano impadronirsi; non avevano alcun governo, ed erano senza misericordia per chiunque non fosse della loro piccola tribù. Chi ha visto un selvaggio nella sua terra nativa, non sentirà molta vergogna ad ammettere che il sangue di qualche creatura più umile gli scorra nelle vene. Per quanto mi riguarda, mi piacerebbe essere disceso da quella eroica scimmietta che affrontò il suo terribile nemico per salvare la vita al suo custode, o da quel vecchio babbuino, che, sceso dalla montagna, strappò trionfante il suo giovane compagno da una muta attonita di cani, più che da un selvaggio che si compiace nel torturare i suoi nemici, offre sacrifici di sangue, pratica l'infanticidio senza rimorso, tratta le sue mogli come schiave, non conosce la decenza, ed è preda delle più grossolane superstizioni. L'uomo va scusato se prova un certo orgoglio di essersi elevato, sebbene non per merito suo, alla sommità della scala dei viventi; ed il fatto di essere salito così in alto, invece di esservi stato collocato in origine, può dargli speranza per un destino ancora migliore in un lontano avvenire. Ma non si tratta qui né di speranze, né di timori, ma solo della verità, per quanto la nostra ragione ci permette di scoprirla. Io ho cercato di darne la prova con tutto il mio ingegno. Dobbiamo riconoscere, mi sembra, che l'uomo con tutte le sue nobili qualità, con la simpatia che sente per gli esseri più degradati, con la benevolenza ch'egli estende non solo agli altri uomini, ma anche alla più umile delle creature viventi, con un intelletto quasi divino che è penetrato nel movimento e nella costituzione del sistema solare - con tutte queste potenti facoltà - l'uomo conserva ancora nella sua struttura somatica il segno indelebile della sua origine da una forma inferiore. Dall'Espressione delle emozioni nell'uomo e negli animaliDiamo l'introduzione (pag. 185-206) tratta da The Expression of the Emotions in Man and Animals, 1872, nella traduzione di Giovanni Canestrini e Michele Lessona, pubblicata per la prima volta in Italia dalla Utet alla fine dell'Ottocento. Qualche lieve modifica è stata apportata nel caso di espressioni e parole ormai in disuso, in modo da rendere il testo di più immediata comprensione.Molti libri furono scritti sulla espressione materiale delle emozioni, e un numero anche maggiore sulla fisionomia, vale a dire sul mezzo di riconoscere il carattere con lo studio dello stato abituale dei lineamenti. Di quest'ultimo argomento qui non mi occuperò. Gli antichi trattati ch'io consultai m'hanno giovato poco o nulla. Le famose Conferences del pittore Le Brun, pubblicate nel 1667, sono fra le opere antiche la migliore che si conserva, e contengono alcune buone osservazioni. Un altro saggio, piuttosto antico, i Discours, fatti dal 1774 al 1782 da Camper, celebre anatomico olandese, non possono essere considerati tali da aver fatto progredire notevolmente la questione. Le opere posteriori, invece, meritano la maggiore considerazione. Sir Charles Bell, tanto illustre per le sue scoperte in fisiologia, pubblicò nel 1806 la prima edizione, e nel 1844 la terza della sua Anatomia e Filosofia della Espressione. Lo si può dire per giustizia: egli ha gettato le basi dell'argomento che c'intrattiene, ne ha fatto un ramo della scienza, e, ben più, ha elevato un bell'edificio. La sua opera è profondamente interessante sotto ogni riguardo; essa contiene pittoresche descrizioni di parecchie emozioni, ed è mirabilmente illustrata. In generale si ammette che il suo merito principale consista nell'aver provato l'intimo rapporto che sta fra i movimenti dell'espressione e quelli della respirazione. Uno dei punti più importanti, per quanto insignificante possa a prima vista apparire, è questo: i muscoli che attorniano gli occhi si contraggono energicamente durante gli sforzi respiratori, allo scopo di proteggere questi organi delicati contro la pressione del sangue. Il professore Donders, d'Utrecht, ebbe la bontà di studiare completamente questo fatto dietro mia richiesta, il quale getta, come vedremo più avanti, una viva luce sulle espressioni principali della fisionomia umana. L'opera di sir Charles Bell non venne apprezzata, o anche fu ignorata da molti autori stranieri. Alcuni gli hanno reso giustizia, ad esempio Lemoine che dice con molta ragione: «Il libro di Charles Bell dovrebbe essere meditato da chiunque tenti di far parlare la fisionomia dell'uomo, così dai filosofi che dagli artisti, in quanto sotto una leggera apparenza e col pretesto dell'estetica, è uno dei più bei monumenti della scienza dei rapporti del fisico e del morale». Sir Charles Bell, per motivi che devono essere esposti, non cercò di spingere le sue idee così lontano come avrebbe potuto fare. Egli non tenta di spiegare perché muscoli differenti siano messi in azione sotto l'impulso di differenti emozioni; perché, ad esempio, le estremità interne delle sopracciglia si elevino e gli angoli della bocca si abbassino in una persona tormentata dall'angoscia e dall'ansietà. Nel 1807, il Moreau fece un'edizione del trattato di Lavater sulla Fisiognomonia, dove incorporò molti dei suoi saggi con eccellenti descrizioni dei movimenti dei muscoli della faccia e un gran numero di buone note. Tuttavia egli rischiara poco la parte filosofica dell'argomento. Ad esempio il Moreau, parlando dell'aggrottamento del sopracciglio, vale a dire della contrazione del muscolo chiamato dagli autori francesi il sopracciliare (corrugator supercilii), osserva a buon diritto che: «Quest'azione dei sopracciliari è uno dei sintomi più spiccati dell'espressione delle affezioni penose o concentrate». Quindi egli aggiunge che «questi muscoli, per il loro attacco e la loro posizione, sono atti a restringere, a concentrare i principali lineamenti della faccia, come conviene in tutte queste passioni veramente oppressive o profonde, in queste affezioni di cui il sentimento sembra portare l'organizzazione a ripiegarsi su se stessa, a contrarsi, a rimpicciolirsi, come per offrir meno attacco e meno superficie ad impressioni formidabili o moleste». Se qualcuno trova che osservazioni di tale natura chiariscano il significato o l'origine delle differenti espressioni, egli mostra di comprendere l'argomento ben altrimenti che non lo faccia io stesso. Il passo precedente segna un leggero progresso, se pur ce n'è uno, nello studio filosofico del soggetto, rispetto a ciò che scriveva il pittore Le Brun nel 1667, descrivendo l'espressione dello spavento: «Il sopracciglio ch'è abbassato da un lato ed innalzato dall'altro, fa vedere che la parte elevata sembra volerlo accostare al cervello per garantirlo dal male che l'anima scorge, e il lato ch'è rivolto in basso e sembra rigonfio ci fa scorgere in questo stato per gli spiriti che vengono abbondanti dal cervello, il proposito di coprire l'anima e di difenderla dal pericolo ch'ella teme. La bocca molto aperta fa veder l'ambascia del cuore a causa del sangue che si ritira verso di lui; il che l'obbliga, volendo respirare, a fare uno sforzo, per cui la bocca si apre esternamente; e quand'esso passa per gli organi della voce, produce un suono del tutto inarticolato; che se i muscoli e le vene sembrano gonfiati, ciò dipende solo dagli spiriti che il cervello manda a quelle parti». Ho creduto valesse la pena di citare le frasi precedenti come esempio delle strane follie che furono scritte sull'argomento. La Physiology or Mechanism of Blusing del dottor Burges apparve nel 1839, e io farò spesso allusione a quest'opera nel terzo capitolo. Nel 1862 il signor dottor Duchenne pubblicò due edizioni in-folio e in-ottavo del suo Mécanisme de la Physionomie humaine, dove egli analizza, per mezzo della elettricità, e rappresenta con magnifiche fotografie i movimenti dei muscoli della faccia. Egli mi ha generosamente permesso di copiarne quante volessi. Le sue opere vennero poco considerate e anche affatto trascurate da alcuni suoi compatrioti. È possibile che il dottor Duchenne abbia esagerato l'importanza della contrazione dei singoli muscoli nella produzione dell'espressione, dato che, se ci riportiamo alle intime connessioni dei muscoli rappresentati dai disegni anatomici di Henle, i migliori, ritengo, che siano stati pubblicati finora, è cosa difficile credere alla loro azione separata. Ma nondimeno è certo che il dottor Duchenne si è messo in guardia contro questa e altre cause d'errore, e siccome è perfettamente riuscito a determinare la fisiologia dei muscoli della mano con l'aiuto della elettricità, è molto probabile che dica in generale il vero anche relativamente ai muscoli della faccia. A mio avviso, il dottor Duchenne col proprio lavoro ha fatto fare un gran passo alla questione. Nessuno ha più attentamente studiato la contrazione di ogni singolo muscolo in particolare ed il conseguente increspamento della pelle. Inoltre egli ha reso un servizio importante col dimostrare quali muscoli dipendano meno dall'azione della volontà. Entra poco in considerazioni teoriche e cerca raramente di spiegare perché certi muscoli e non altri si contraggano sotto l'influenza di certe emozioni. Un distinto anatomico francese, P. Gratiolet, tenne alla Sorbonne una serie di lezioni sulla Espressione, e le sue note furono pubblicate (1865) dopo la morte di lui sotto il titolo: De la Physionomie et des Mouvements d'Expression. Si tratta di un'opera assai interessante e piena di preziose osservazioni. La sua teoria è un po' complessa e per quanto può dirsi con una sola frase, essa è la seguente: «Da tutti i fatti da me richiamati risulta che i sensi, l'immaginazione e il pensiero medesimo, per quanto elevato e astratto si supponga, non possono essere esercitati senza risvegliare una correlativa emozione, e che questa emozione si traduce direttamente, simpaticamente, simbolicamente e metaforicamente, in ogni sfera degli organi esterni, i quali tutti la riportano secondo il proprio modo di azione, come se ciascun d'essi fosse stato direttamente impressionato». Pare che Gratiolet trascuri l'abitudine ereditaria, e fino a un certo punto anche l'abitudine individuale; da ciò risulta, mi sembra, la sua impossibilità a spiegare giustamente e in qualunque altro modo molti atti ed espressioni. Come esempio di ciò ch'egli chiama i movimenti simbolici, citerò le sue note tolte a Chevreul, a proposito di un uomo che gioca al bigliardo: «Se la palla devia leggermente dalla direzione che il giocatore intende imprimerle, non l'avete visto cento volte dirigerla con lo sguardo, con la testa e fin con le spalle, come se questi movimenti, puramente simbolici, potessero modificare il suo corso? Movimenti non meno espressivi si producono quando la palla manca di un sufficiente impulso. E, nei giocatori novizi, essi sono talora così pronunziati, da muovere il sorriso sulle labbra degli spettatori». Tali movimenti, pare a me, possono essere attribuiti semplicemente all'abitudine. Tutte le volte che un uomo ebbe desiderio di muovere un oggetto in una certa direzione, egli l'ha sempre spinto da quella parte; per farlo avanzare, l'ha cacciato innanzi; volendo arrestarlo, l'ha tratto all'indietro. Per conseguenza, allorché un tale vede la sua palla correre in una falsa direzione ed egli desidera vivamente ch'essa ne prenda un'altra, non può, a causa di una lunga abitudine, non fare inconsciamente quei movimenti di cui in altre occasioni ebbe a provare l'efficacia. Come esempio di movimenti simpatici, Gratiolet riporta il fatto seguente: «Un giovane cane, ad orecchie diritte, al quale il padrone presenta da lontano qualche appetitosa vivanda, fissa con ardore gli occhi su quest'oggetto, ne segue tutti i movimenti, e mentre gli occhi guardano, le due orecchie si portano in avanti, come se l'oggetto potesse essere udito». In questo caso, senza ricorrere alla simpatia tra le orecchie e gli occhi, ecco ciò che mi pare più semplice ammettere: i cani per molte generazioni, allorquando guardavano un oggetto con molta attenzione, hanno rizzato le orecchie per non lasciar fuggire alcun rumore, e nello stesso tempo han guardato attentamente nella direzione di tutti i rumori che udivano; i movimenti di questi organi sono stati definitivamente associati da una lunga abitudine. Il dottor Piderit pubblicò nel 1859 un lavoro sulla Espressione, ch'io non ho mai letto, ma nel quale egli pretende di aver preceduto il Gratiolet in molte idee. Nel 1867 diede alla luce il suo Wissenschaftliches System der Mimik und Physiognomik. È quasi impossibile dare in poche parole una chiara idea delle sue opinioni; forse le due proposizioni che seguono ne diranno brevemente quanto basti: «I movimenti muscolari di espressione sono in parte relativi a oggetti immaginari, in parte a impressioni sensorie immaginarie. Questa proposizione tiene in sé la chiave che permette di comprendere tutti i movimenti muscolari espressivi». E ancora: «I movimenti espressivi si manifestano soprattutto nei numerosi muscoli mobili della faccia; ciò è dovuto e al fatto che i nervi, i quali li mettono in movimento, nascono molto vicino all'organo pensante, e a quell'altro che questi muscoli sono annessi agli organi dei sensi». Se il dottor Piderit avesse studiato l'opera di sir C. Bell, non avrebbe probabilmente detto che un riso violento produce un aggrottamento di sopracciglia, perché s'avvicina al dolore; o che nei fanciulli le lagrime irritano gli occhi, eccitando così la contrazione dei muscoli circostanti. Parecchie buone note sono sparse in questo volume, e io vi farò allusione più avanti. In varie opere si potranno trovare brevi dissertazioni sulla Espressione, delle quali non è il caso che noi qui c'intratteniamo. Il signor Bain, per altro, in due suoi lavori, ha trattato il soggetto con qualche sviluppo: «Io considero - egli dice - ciò che si chiama l'espressione, semplicemente come una parte della sensazione; io credo legge generale dell'intelletto che vi sia un'azione o un'eccitazione sparsa sulle parti del corpo, nello stesso tempo che si effettua la sensazione interna o la coscienza». In un altro passo aggiunge: «Un gran numero di fatti potrebbero essere riuniti sotto il principio seguente: ogni stato di piacere corrisponde a un aumento, ogni stato di dolore a una parziale o totale depressione delle funzioni vitali». Ma la legge precedente sulla dispersione delle sensazioni sembra essere troppo generale per gettar qualche luce sulle espressioni in particolare. Herbert Spencer, trattando delle sensazioni nei suoi Principles of Psychology (1855), fa le osservazioni seguenti: «Lo spavento, quand'è forte, è espresso da grida, da sforzi per celarsi o per fuggire, da palpiti e da tremore; questo è ciò precisamente che viene provocato dalla presenza del male temuto. Le passioni distruttive si manifestano per una tensione generale del sistema muscolare, lo stridere dei denti, lo sporgere degli artigli, la dilatazione degli occhi e delle narici, i borbottamenti; ora, tutte queste azioni riproducono in grado minore quelle che accompagnano il sacrificio di una preda». Io credo che in ciò noi abbiamo la vera teoria di un gran numero di espressioni; ma il principale interesse e la difficoltà del soggetto stanno nel riconoscere lo straordinario complesso dei risultati. Io congetturo che un autore (ma non potrei precisare quale) abbia di già avanzata un'opinione, pressoché simile, dato che sir C. Bell scrive: «Fu sostenuto che ciò che si chiama i segni esteriori della passione non sia che l'accompagnamento di quei movimenti volontari, che la struttura del corpo rende inevitabili». H. Spencer inoltre ha pubblicato un bello studio sulla fisiologia del riso, nel quale insiste su «questa legge generale che la sensazione, quando sorpassa un certo grado, si trasforma d'ordinario in azione corporale»; e su questo fatto «che un afflusso di forza nervosa senza un agente regolatore prende manifestamente e subito le vie più abituali, e che se queste non bastano, esso si riversa dappoi verso le vie non abituali». Questa legge, io credo, è della più alta importanza per la luce che getta sul nostro argomento. Tutti gli autori che scrissero sulla Espressione, eccettuato Spencer, il grande interprete del principio evolutivo, sembra abbiano avuto la ferma convinzione che le specie, compresa, ben inteso, anche l'umana, siano apparse nello stato attuale. Sir C. Bell, penetrato da questa convinzione, sostiene che molti dei nostri muscoli facciali sono «unicamente strumenti della espressione»; o «sono specialmente disposti» per questo solo scopo. Ma il semplice fatto che le scimmie antropomorfe posseggono i nostri stessi muscoli facciali, rende molto improbabile l'idea che questi nell'uomo servano esclusivamente all'espressione; dato che nessuno, io ritengo, sarà disposto ad ammettere che le scimmie siano state provviste di muscoli speciali unicamente per eseguire le loro orride smorfie. Usi distinti, indipendenti dalla espressione, possono infatti essere assegnati con molta verisimiglianza a quasi tutti i muscoli della faccia. Sir C. Bell aveva il desiderio evidente di stabilire una distinzione possibilmente profonda tra l'uomo e gli animali; e affermava, di conseguenza, che «nelle creature inferiori non vi è nessun'altra espressione all'infuori di quella che si può riferire con più o meno certezza ai loro atti volitivi o ai loro necessari istinti». E più in avanti sostiene che le facce di essi «sembrano soprattutto capaci di esprimere la rabbia e il terrore». Ma l'uomo stesso non può esprimere con segni esteriori l'amore e l'umiltà così bene come fa il cane allorquando con le orecchie rilassate, con le labbra pendenti, col corpo ondulante e dimenando la coda, viene davanti al suo diletto padrone. Ed è altrettanto impossibile spiegare questi movimenti nel cane ricorrendo agli atti volitivi o alla fatalità degli istinti, com'è impossibile spiegare a questa maniera il raggiar degli occhi ed il sorridere del volto in un uomo che s'imbatte in un vecchio amico. Se si fosse domandato a sir C. Bell com'egli spiegasse l'espressione dell'affezione nel cane, ecco, senza dubbio, ciò che avrebbe risposto: «Questo animale è stato creato con istinti speciali che lo rendono atto ad associarsi all'uomo, e ogni ricerca ulteriore su questo argomento riesce superflua». Quantunque Gratiolet neghi espressamente che un muscolo qualunque sia stato sviluppato unicamente in vista dell'espressione, sembra tuttavia che egli non abbia mai riflettuto sul principio della evoluzione. A quel che pare, egli riguarda ciascuna specie come il prodotto di una creazione separata. E così è anche di altri autori che scrissero sulla Espressione. Per esempio, il dottor Duchenne, dopo aver parlato dei movimenti delle membra, si riporta a quelli che danno l'espressione alla faccia, e fa l'osservazione seguente: «Il Creatore non ha quindi avuto a preoccuparsi qui dei bisogni della meccanica; egli ha potuto, con la sua saggezza, o, mi si perdoni questo modo di parlare, per una divina fantasia, mettere in azione tale o tal altro muscolo, uno solo o più muscoli alla volta, allorquando volle che i segni caratteristici delle passioni, anche le più fugaci, fossero momentaneamente scritti sulla faccia dell'uomo. Questo linguaggio della fisionomia una volta creato, gli è bastato per renderlo universale e immutabile, da dare a ogni essere umano la facoltà istintiva di esprimere sempre i propri sentimenti con la contrazione dei muscoli stessi». Molti scrittori considerano l'Espressione un soggetto affatto inesplicabile. Anche l'illustre fisiologo Mueller dice: «L'espressione dei lineamenti affatto differente nelle diverse passioni è una prova che gruppi assai distinti delle fibre del nervo facciale sono impressionati secondo la natura della sensazione prodotta. Quanto alla causa di questo fatto, noi la ignoriamo completamente». Non c'è dubbio che finché l'uomo e gli altri animali saranno considerati come creazioni indipendenti, sarà messo un ostacolo forte al nostro desiderio naturale di spingere il più lontano possibile la ricerca delle cause della Espressione. Con questa dottrina, tutto potrebbe e può ugualmente essere spiegato; ed essa s'è mostrata funesta tanto relativamente alla Espressione, quanto a tutte le altre branche della storia naturale. Nella specie umana certe espressioni, come i capelli che si rizzano sotto l'influenza di un estremo terrore o i denti che si scoprono nel trasporto della rabbia, riescono quasi inesplicabili senza ammettere che l'uomo abbia vissuto altra volta in una condizione molto inferiore e vicina alla bestialità. La comunanza di certe espressioni in specie distinte, quantunque affini, come i movimenti dei medesimi muscoli della faccia durante il riso nell'uomo e in diverse scimmie, vien resa un po' più chiara se si crede alla loro discendenza da antenati comuni. Chi ammette in modo generale il graduato sviluppo della struttura e delle abitudini in tutti gli animali, vedrà tutta la questione dell'Espressione schiarirsi d'una luce nuova e interessante. Lo studio della Espressione è difficile, vista l'estrema delicatezza e la fugacità dei movimenti. Può darsi che un cambiamento venga chiaramente percepito, senza che tuttavia sia possibile dire in che cosa consista. Ciò almeno è capitato a me. Quando siamo testimoni di una profonda emozione, la nostra simpatia è così vivamente eccitata che si dimentica l'osservazione rigorosa o la cosa ci è resa quasi impossibile: io posseggo molte prove curiose di questo fatto. La nostra immaginazione è un'altra sorgente di errori ancora più gravi; se noi ci aspettiamo, in una data situazione, di vedere una certa espressione, immaginiamo immediatamente ch'essa esista. Il dottor Duchenne, malgrado la sua grande esperienza, dice di essersi figurato per lungo tempo che molti muscoli si contraggano sotto l'impulso di certe emozioni, mentre più tardi s'è convinto che il movimento era limitato ad un muscolo solo. Ecco i metodi di studio da me adottati col maggiore profitto per avere un punto di partenza quanto buono altrettanto possibile, e per verificare, senza tener conto dell'opinione ricevuta, fino a qual punto i vari cambiamenti dei lineamenti e dei gesti traducano in realtà certi stati dell'animo.
L'osservare le espressioni non è cosa facile, e le persone che pregai di osservare alcune particolarità se ne accorsero ben presto. Le ragioni sono la vacillante natura di certe espressioni (ché spesso il cambiare dei lineamenti è di un'estrema delicatezza!); la facilità con la quale la nostra simpatia si risveglia a vedere una forte emozione e la distrazione che ne deriva; le illusioni prodotte dalla fantasia allorquando sappiam vagamente ciò che deve avvenire, benché senza dubbio pochi di noi conoscano esattamente il gioco della fisionomia; in ultimo potrei aggiungere la lunga abitudine che abbiamo del soggetto. È dunque cosa difficile determinare con certezza quali siano i lineamenti e le abitudini che caratterizzano abitualmente certi stati dell'animo. Checché ne sia, alcuni punti dubbi e talune difficoltà sono state, io spero, chiarite, osservando i fanciulli, gli alienati, le diverse razze umane, i lavori artistici, e in ultimo luogo studiando l'azione della elettricità sui muscoli della faccia, come ha fatto il dottor Duchenne. Resta una difficoltà ancora più grave: comprendere la causa o l'origine delle varie espressioni e giudicare se esista una spiegazione teorica degna di fede. Anche quando ci siamo del nostro meglio applicati, senza preconcetti, per giudicare se fra due o tre spiegazioni ve ne sia una più soddisfacente delle altre o se non ve ne sia alcuna, io non vedo che un sol mezzo di controllare le nostre conclusioni: osservare se gli stessi principi generali possano venir applicati in modo soddisfacente all'uomo e agli animali. Inclino a credere che quest'ultimo metodo giovi più di tutti gli altri. La difficoltà di giudicare una spiegazione teorica qualunque e di controllarla con un determinato metodo di ricerca è ciò che diminuisce maggiormente l'interesse cui questo studio sembra così adatto a eccitare. Infine, quanto alle mie proprie osservazioni, devo notare ch'esse ebbero principio nell'anno 1838; e da allora sino a oggi m'occupai frequentemente della questione. A quell'epoca inclinavo già a credere al principio evolutivo, vale a dire alla produzione delle specie da altre forme inferiori. Per conseguenza, quando lessi la grande opera di sir C. Bell, fui colpito dall'insufficienza della sua teoria, secondo la quale l'uomo venne creato con certi muscoli speciali adatti all'espressione dei propri sentimenti. Mi parve probabile che l'attitudine di esprimere le nostre sensazioni per mezzo di dati movimenti avesse dovuto essere in una maniera qualunque gradualmente acquisita, sebbene adesso sia divenuta innata. Ma scoprire come queste abitudini fossero state acquistate non era facile compito. Bisognava considerare tutta la questione sotto un nuovo punto di vista e dare razionale spiegazione di ogni espressione. Tale è il desiderio che m'indusse a intraprendere questo lavoro, per quanto imperfetta ne possa essere l'esecuzione. Passo ora a citare i nomi di coloro che meritarono la mia riconoscenza fornendomi informazioni sull'espressione nelle diverse razze umane; contemporaneamente accennerò parecchie circostanze nelle quali ciascuna osservazione fu fatta. Grazie alla benevolenza ed all'alta influenza dei signori Wilson, di Hayes Place, Kent, io non ricevetti dall'Australia meno di tredici serie di risposte alle mie domande. E me ne sono particolarmente rallegrato, perché gl'indigeni australiani stanno fra le più spiccate razze umane. Si vedrà che le osservazioni si fecero soprattutto nel Sud, al di fuori delle frontiere della colonia di Victoria; tuttavia alcune eccellenti risposte mi sono venute dal Nord. Dyson Lacy mi fornì con ampi dettagli alcune preziose osservazioni fatte a molte centinaia di miglia nell'interno del Queensland. Il signor R. Brough Smyth di Melbourne mi fu utilissimo per le sue personali osservazioni e per avermi inviato molte lettere scritte dalle seguenti persone: il reverendo M. Hagenauer, del lago Wellington, missionario a Gippsland, Victoria, che menò lunga vita fra gli indigeni; Samuel Wilson, proprietario residente a Langerenong, Wimmer, Victoria; il reverendo George Taplin, direttore dello Stabilimento industriale indigeno a Porto Macleay; Arcibald G. Lang, di Coranderick, Victoria, professore alla Scuola dove gli indigeni, giovani e vecchi, sono accettati da tutte le parti della colonia; H. B. Lane di Belfast, Victoria, funzionario dell'Amministrazione giudiziaria, le osservazioni del quale, ne sono sicuro, meritano la massima fiducia; Templeton Bunnet, di Echuca, ch'è stabilito sui confini della colonia di Victoria, ebbe agio di osservare molti indigeni, i quali non avevano avuto che scarsi rapporti con i bianchi, e che ha confrontato le proprie osservazioni con quelle di altri signori che da lungo tempo abitavano nei dintorni; finalmente J. Bulmer, missionario in una zona remota di Gippsland, Victoria. Vado altresì debitore al dottor F. Mueller, distinto botanico di Victoria, di alcune osservazioni fatte da lui stesso; egli me ne ha per giunta spedito altre dovute al signor Green, e m'ha inviato parecchie delle lettere precedenti. Relativamente ai maori della Nuova Zelanda, il reverendo J.W. Stack non ha risposto che a piccola parte delle mie domande; ma le risposte furono notevolmente complete, chiare e nette, con menzione delle circostanze nelle quali vennero fatte le osservazioni. Il principe indiano Brooke m'ha dato alcune informazioni sui dayaki di Borneo. In rapporto ai malesi, fui ben favorito; infatti F. Geach (al quale m'aveva presentato il signor Wallace), durante il suo soggiorno, in qualità d'ingegnere delle miniere, nell'interno di Malacca, osservò molti indigeni che non avevano avuto in precedenza alcuna relazione coi bianchi. Egli mi scrisse due lunghe lettere, dettagliate e piene di ammirabili osservazioni sulla loro espressione. Ed osservò allo stesso modo i cinesi che migrano nell'Arcipelago Malese. Il celebre naturalista Swinhoe, console di S. M. Britannica, osservò pure per conto mio i cinesi nel loro paese natale, e trasse informazioni da altre persone degne di fede. Nell'India, durante la sua residenza con titolo ufficiale nel distretto Admednugur della Presidenza di Bombay, H. Erskine rivolse l'attenzione sull'espressione degli abitanti, ma ebbe a incontrare gravi difficoltà per giungere a risultati sicuri, dato che in presenza degli europei essi dissimulano qualunque specie d'emozione. Ottenne inoltre per me dei cenni dal signor West, giudice a Canara, e prese informazione su certi punti da intelligenti persone, nate nella colonia. A Calcutta, J. Scott, direttore del Giardino botanico, studiò con cura le varie tribù a cui appartenevano gli uomini che v'erano impiegati da tempo considerevole: nessuno m'ebbe a spedire dettagli così completi e preziosi. L'abitudine all'attenta osservazione che egli deve ai suoi studi sulle piante fu messa a profitto del nostro argomento. Quanto a Ceylon, devo molto al reverendo S. O. Glenie, il quale rispose a parecchie delle mie questioni.
Per l'Africa, riguardo ai negri non fui fortunato, quantunque Winwood Reade m'abbia aiutato per quant'era in suo potere. Mi riuscì relativamente facile ottenere informazioni sui negri schiavi in America, ma siccome da tempo furono mescolati ai bianchi, queste osservazioni avrebbero avuto poco valore. Nella parte meridionale di questo continente, Barber considerò i cafri ed i fingoes, e mi spedì molte esplicite risposte. J.P. Mansel Weale fece pure alcuni studi sugli indigeni e mi fornì un curioso documento, cioè l'opinione sulle espressioni dei suoi compatrioti, scritto in inglese da C. Gaika, fratello del capo sandilli. Nelle regioni settentrionali dell'Africa, il capitano Speedy, che stette a lungo con gli abissini, rispose alle mie domande, in parte servendosi dei suoi ricordi, in parte da osservazioni fatte sui figli del re Teodoro, che era allora sotto la sua custodia. Il professor Asa Gray e sua moglie rimasero colpiti da alcune particolarità nell'espressione degli indigeni che essi stessi osservarono rimontando il Nilo. Sul grande continente americano, Bridges, catechista che abita coi fuegini, rispose ad alcune domande sulle loro espressioni, che gli erano state indirizzate da molti anni. Nella metà settentrionale del continente, il dottor Rothrock studiò le espressioni degli atnah e degli espyox, tribù selvagge della Riviera Nasse verso il nord-ovest dell'America. Washington Matthews, aiutante maggiore dell'armata degli Stati Uniti (dopo aver viste le mie domande stampate nello Smithsonian Report), osservò con cura particolare parecchie tribù occidentali degli Stati Uniti, cioè i tetoni, i grossiventri, i mandani e gli assinaboini; e si riscontrò che le sue risposte sono del più grande valore. Per ultimo, oltre a queste fonti speciali di informazioni, io riunii alcuni fatti esposti per caso nei libri di viaggi. Siccome avrò spesso occasione, specialmente nell'ultima parte di questo volume, di parlare intorno ai muscoli della faccia umana, colloco qui un disegno (fig. 1) copiato e ridotto dall'opera di sir C. Bell, insieme a altri due, nei quali i dettagli sono più accurati (figg. 2 e 3), tolti dal noto lavoro di Henle: Handbuch der systematischen Anatomie des Menschen. Le stesse lettere si riferiscono ai medesimi muscoli nelle tre figure, ma indicai solo i nomi dei più importanti cui dovrò fare allusione. I muscoli facciali si uniscono molto fra loro e, a quel che mi dicono, appaiono difficilmente tanto distinti in una dissezione come lo sono in questi disegni. Alcuni autori descrivono tali muscoli come formati da diciannove pari ed uno impari; secondo altri, il loro numero è molto più grande, e sale sino a cinquantacinque, al dire di Moreau. Tutti quelli che scrissero su questo argomento ammettono che la loro disposizione sia variabilissima; e Moreau nota che difficilmente si trovano identici sopra una mezza dozzina di individui; e sono parimenti variabili nelle loro funzioni. Così la facoltà di scoprire il dente canino di un lato varia molto nelle diverse persone. La facoltà di allargare le narici è pure soggetta, secondo il dottor Piderit, a variazioni notevoli, e molti altri esempi potrebbero essere citati. Infine avrò il piacere di esprimere la mia riconoscenza a Rejlander per la briga che s'ebbe a fotografare per me diverse espressioni ed attitudini. E sono del pari debitore a Kindermann di Amburgo, che m'ha prestato eccellenti impronte stereotipate di fanciulli piangenti; devo anche al dottor Wallich una graziosa impressione di sorridente bambina. Ho di già esternato le mie obbligazioni al dottor Duchenne per il generoso permesso concessomi di far copiare e ridurre alcune delle sue grandi fotografie, le quali vennero incise col metodo della eliotipia, che garantisce la fedeltà della copia. Sono anche debitore di T.W. Wood, che si sobbarcò la grave fatica di riprodurre dal vero le espressioni di vari animali. Un distinto artista, Rivière, ebbe la bontà di darmi due disegni di cani: l'uno con intenzioni ostili, umile e carezzevole l'altro. A. May mi ha pur fornito abbozzi simili di cani. Cooper fece incisioni in legno molto accurate. Parecchie fotografie e alcuni disegni, cioè quelli di May e di Wolf, che rappresentano il cinopiteco, furono subito, grazie a Cooper, riprodotti sul legno con la fotografia, e incisi poi; possiamo cosi essere sicuri di una esattezza quasi assoluta. |
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