Credere è reato? E' questa la domanda che si pone una recente collettanea (2012) curata dal sociologo Luigi Berzano in merito alla incessante proposta di reintrodurre nel nostro ordinamento penale il reato di plagio/manipolazione mentale. Volume edito dalla Edizioni Messaggero Padova, ISNB 978-88-250-2842-3, euro 24. A novembre 2012 è uscito l'interessante volume curato da Luigi Berzano, ordinario di sociologia dei processi culturali all'Università di Torino, che raccoglie i contributi di 23 tra sociologi, giuristi, psicologi, antropologi, filosofi e dirigenti di Nuovi Movimenti Religiosi in merito alle proposte di legge per reintrodurre il reato di plagio/manipolazione mentale che si sono succedute fin dalla sua storica abrogazione nel 1981. I media sono sempre pronti ad accogliere la preoccupazione e l'allarme generato da una manciata di micro associazioni "antisette", quei circoli privati che la Squadra Antisette della Polizia di Stato e la sua dirigente Dott.sa Maria Carla Bocchino ritengono essere delle fonti attendibili e privilegiate, nonostante gli errori di valutazione fatti in passato che hanno comportato abusi giudiziari e di altra natura agli ingiustamente presi di mira. Televisioni, giornali, pseudo-inchieste giornalistiche danno molto risalto a un presunto "dilagare" di "sette sataniche, pseudo-religiose e psicosette" che costituirebbero un vero e proprio "cancro sociale", cioè un imminente quanto concreto pericolo per l'individuo, la famiglia e la società. A loro modo di vedere, un mezzo utile e necessario per contrastare questo presunto "dilagare" sarebbe il ripristino del reato di plagio (nella sua nuova formulazione di "manipolazione mentale"). A prima vista, e volendosi accontentare di una descrizione fortemente emotiva, parziale e pregiudizievole di una realtà molto più complessa, si potrebbe essere tentati di accogliere quelle proposte come giuste e sacrosante. Ma il reato di plagio fu abrogato per una serie di motivi molto seri, primo fra tutti la sua incostituzionalità. Le successive proposte di reintrodurlo non hanno risolto quei gravi problemi, esponendo perciò ogni singolo cittadino italiano ai potenziali e gravi pericoli così ben esplicitati nella collettanea curata da Berzano. Ho raccolto nelle pagine che seguono alcuni estratti degli interventi che - per una serie di motivi - mi sono parsi più interessanti, ma consiglio vivamente la lettura integrale del libro a chiunque voglia andare oltre la spinta emotiva suscitata dal presunto "dilagare delle sette". L'auspicio è che i sostenitori della reintroduzione del plagio scendano nell'arena della discussione scientifica e contestino con gli strumenti delle scienze sociali - non con quelli dell'emotività - le conclusioni a cui sono giunti gli autori di Credere è Reato? Simonetta Po
Il reato di plagio e la provaPietro Nocita (pagg. 117-119)Nel Codice penale italiano del 1930, tra i delitti contro la libertà individuale, nella sezione intitolata «Delitti contro la personalità individuale, con il titolo «Plagio» compare l'art. 603: «Chiunque sottopone una persona al proprio potere, in modo da ridurla in totale stato di soggezione, è punito con la reclusione da 5 a 15 anni». Il testo della norma venne inserito nel Codice nonostante il parere contrario della Commissione parlamentare espresso anche attraverso un preciso ordine del giorno che fu votato a grande maggioranza. La Sentenza 96/1981 della Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità della norma sopra richiamata per contrasto con il principio di tassatività che governa la fattispecie penale; la decisione della Corte costituzionale è stata l'obbligato epilogo di un'opinione generalizzata, diffusa e concorde. La magistratura ordinaria, infatti, durante la vigenza della norma mostrò di fatto l'impraticabilità della stessa attraverso il sistema più efficace, vale a dire disattendendola, pervenendo in cinquant'anni di vigenza del reato a un solo caso di condanna. La nuova formulazione del reato che si intenderebbe introdurre nel Codice pende, secondo gli estensori, purgata della indeterminatezza rilevata dalla Corte costituzionale, non potrà mai tuttavia superare l'aporia che permane sotto l'aspetto probatorio. Così come l'abrogato reato di plagio, l'articolato del nuovo plagio riguarda una fattispecie non verificabile nella condotta di reato, né sotto l'aspetto dell'evento di reato. Il fatto non accettabile e non individuabile consiste nel provare l'invasione della personalità del soggetto attivo del reato nella personalità del soggetto passivo e nell'annullamento della personalità di quest'ultimo che è l'evento della condotta di reato. I tre dati fattuali da dimostrare, l'invasione della personalità altrui, l'appartenenza al soggetto plagiante della personalità del soggetto plagiato e l'annientamento della personalità del soggetto passivo del reato possono basarsi su un giudizio personale e non obbiettivo: non vi è infatti possibilità alcuna di accertare giudizialmente la condotta e l'evento del reato che si vuole introdurre con il rispetto e la garanzia delle norme processuali. La condotta plagiante ha natura psichica e pertanto la sua individuazione sfugge a ogni percezione di elemento costitutivo e a ogni modalità di accertamento; la decisione verrebbe affidata, e non potrebbe essere differente, a uno scientismo equivoco e immotivato. L'unica via di soluzione per la valutazione sarebbe quella di ricorrere ad accertamenti peritali. La perizia potrebbe soccorrere il giudice nella ricerca dei dati costitutivi del reato, vale a dire condotta, evento e nesso causale. Nel nostro ordinamento, però, non sono ammesse (Codice di procedura penale, art. 220) perizie sulle attitudini criminali, personalità, carattere e ogni dato psichico non patologico, ed è giusto che sia così perché le attività introspettive non ispirano fiducia, dissonano dallo stile accusatorio e, infine, sono dannose per la libertà collettiva e individuale. L'uso per ragioni di potere politico della norma è il pericolo maggiore che bisogna evitare, non inserendosi la stessa tra le regole da imporre per il rispetto e la non lesione delle altrui convinzioni o diritti. Sarebbe facile incriminare di plagio ogni associazione della quale non si condividono le idee; ogni cittadino dello Stato liberale deve al contrario avere la certezza che non sarà discriminat o perseguitato per le sue idee. A ogni cittadino deve essere garantita dallo Stato la libertà di coscienza, di culto e di espressione e la libertà di scelta spirituale e religiosa, con la correlata libertà di poterla cambiare o di rinunciare alla stessa. La natura fondamentale dello stato laico non può essere aggirata attraverso sofismi giuridici dall'accusa indimostrabile. D'altro canto, il contratto sociale che sta alla base dello stato liberale non può spingersi a regolamentare comportamenti individuali che concernono l'ambito personale, fisico o psichico. Non è punibile l'accordo tra due o più persone allo scopo di commettere un reato; non è punibile il tentato suicidio; non sono punibili, nel rispetto delle altrui convinzioni, l'adulterio e la relazione adulterina, l'aborto legale, l'uso personale di sostanze nocive per la salute. Emerge, dunque, chiaramente che il libero arbitrio individuale deve essere tutelato da ogni forma d'ingerenza e di costrizione morale e materiale in uno Stato laico nel quale si vuole e si deve coniugare laicità e democrazia. Il paradigma del controllo per una società trasparenteQuando lo stato demonizza il nemico per asservire le masseEnrica Perucchietti (pagg. 231-243) In virtù del modo con cui ha sviluppato la propria base, il modello di società contemporanea tende a essere totalitario. L'organizzazione economico-tecnica ha operato, infatti, anche in Italia una manipolazione collettiva dei bisogni degli individui che compongono la società civile: è un processo che parte dalla formazione e dall'inserimento dei nuovi nati nella collettività e investe ogni aspetto del corpo sociale. Alla fase primaria di indottrinamento si aggiunge la funzione di controllo globale, che comprende ormai ogni settore e accompagna ogni individuo dalla nascita alla morte. Questo sistema preclude dalle fondamenta qualunque forma di protesta o di opposizione. La società, come ricordava Gadamer, «ha perso la dimensione del dialogo» [1] in virtù di un livellamento sugli interessi dei governanti. Non si dialoga più ma si monologa o si urla. A imporre direttive su cosa è bene fare sono coloro che sono stati più indottrinati degli altri: sono coloro che Elias Canetti definiva «cristalli di massa». Il potere sull'uomo che questa società ha consolidato dietro la facciata del pluralismo e della democrazia trova, infatti, giustificazione quotidiana nella difesa dello Stato e della produttività. Partendo dal presupposto che il reale è razionale, e che l'attuale forma della civiltà occidentale è il migliore dei modelli possibili, l'asservimento dell'individuo alla società di massa serve ad alimentare la sua alienazione in modo da farne un soggetto manipolato, indottrinato e controllato fin dalla nascita. Si alterano i bisogni dell'uomo creandone di falsi e sempre nuovi, in modo da renderlo schiavo di una società basata sull'immagine e sulla produzione. Si introducono nuove attrazioni virtuali che hanno il compito di scollare le coscienze dalla realtà rendendole parte dell'ingranaggio. Si fa credere loro di appartenere a una società basata sul pluralismo, mentre ogni fazione tende a essere ricompresa nell'orientamento imposto dall'alto, in modo che l'opposizione al sistema sia illusoria. L'indottrinamento non avviene però con la fase mediatica: essa è secondaria, nel senso che viene dopo l'indottrinamento culturale, il livellamento sociale e l'asservimento lavorativo. Il pluralismo è, infatti, un valore ingannevole, in quanto puramente ideologico. Esso non può sussistere e svilupparsi in una società in cui ricerca, speculazione e cultura vengono boicottate direttamente dallo Stato. Né tantomeno può accettare forme di culti isolati che non si allineano con le direttive della collettività. Una società «aperta» che accetti il pluralismo culturale, politico e religioso dovrebbe stimolare le capacità critiche dell'individuo, riconoscere e proteggere le diversità: questo non solo non avviene ma, al contrario, si concede ai cittadini solo l'illusione della libera scelta anche in materia religiosa. I movimenti religiosi che si oppongono al sistema o ne criticano alcuni aspetti vengono perseguitati pubblicamente. Non sono rari anche in Italia i casi di vere e proprie crociate mediatiche indotte dal sistema per screditare i movimenti considerati deviati. Il termine non indica alcun reato o specifica condotta morale, quanto semplicemente un comportamento che devia dalle linee guida imposte dai governi. Il termine evoca semmai una devianza ipotetica, del tutto virtuale, che alimenta la paranoica cultura del sospetto. Tocca poi al gruppo condividere la diffidenza, dando impulso a ripetute cacce alle streghe. La demonizzazione della cultura comporta, infatti, un suo appiattimento sui meri interessi promossi dalla società materiale. Dopo aver livellato le classi sociali e aver garantito a tutti l'accesso allo studio, la cultura è stata svuotata progressivamente dall'interno con un'azione criminale tesa a rendere ignoranti gli studenti e incapaci di pensiero critico i futuri soggetti della società civile. Spirito critico e immaginazione vengono abbattuti fin dalla nascita in modo da creare cervelli in serie che si adeguino al consenso popolare. Anche il rifiuto o il senso di rivolta divengono puramente ideologici e riportati all'interno del sistema. Le zone di disturbo vengono isolate o distrutte e gli elementi di rottura posti sotto controllo. Non è un caso che i «liberi» pensatori non trovino nessuno disposto a pubblicare i propri lavori o a finanziare i propri progetti, e che i ricercatori debbano riparare all'estero. Privilegiando la mediocrità e il tipico nepotismo all'italiana, si scoraggiano le nuove generazioni a investire sulla cultura e a perseguire i propri sogni.
La frustrazione indotta nella «produzione» di individui in serie, massificati fino alla loro reificazione, crea forme di disagio controllabili. La paura di una reazione da parte del regime poliziesco, di conseguenze come la perdita di lavoro, casa, famiglia, reputazione, induce le persone a non schierarsi apertamente, a preferire semmai un lamento continuo, che mai si concretizza in azione. Le zone di disturbo vengono marchiate come rifiuti della società, rigurgiti di anarchia e stroncate sul nascere. Le «lettere scarlatte» assumono forme nuove per infamare i «traditori» del sistema. Per legittimare l'aumento del controllo si adottano invece nuovi «Nemici» per creare terrore nella popolazione: dopotutto, «nulla l'uomo teme di più che essere toccato dall'ignoto» [2]. I Nemici invisibili - pandemie, attentati, guerre chimiche, crollo dei mercati, crisi finanziarie, nuovi movimenti religiosi, ecc. - destabilizzano l'opinione pubblica e la ricompattano contro i pericoli che possono venire dall'esterno come dell'interno. Lo shock di una minaccia imminente serve a rendere irrazionale il consenso pubblico che si dirà pronto a legittimare qualsiasi intervento deciso dall'alto. Si giustificano così guerre, tasse, vaccini, controlli. L'irrazionalità legittima gli interessi dello Stato. La crescita dei nemici è temibile per la sopravvivenza del gruppo. La minaccia del contagio e del disordine che da esso promana crea la massa aggressiva, «aizzata», che spinge all'espulsione o punizione dei responsabili del pericolo. Il gruppo cerca di espellere il diverso facendone un capro espiatorio e alimentandosi del sacrificio di espulsione. La persecuzione però rende più forti e uniti i membri di un gruppo «nemico», come dimostrano le «religioni del lamento». I martiri consolidano, infatti, le minoranze che si intendevano sopprimere. Nel 1964 Herbet Marcuse notava che la società come un tutto diventa una società fondata sui bisogni della difesa. Perché il Nemico è un dato permanente. Non fa parte della situazione di emergenza ma del normale stato di cose. Esso avanza minacce in tempo di pace non meno che in tempo di guerra. La minaccia sempre più inconsistente assume invece la forza di coesione all'interno del sistema per delegittimare, da un lato, le azioni di autodeterminazione, dall'altro per controllare la popolazione. Le masse destabilizzate iniziano a diffidare di tutto ciò che le circonda e che non si livella sul consenso comune: qua si generano episodi di follia collettiva, crimini motivati da un sospetto condotto all'esasperazione. Il nemico, infatti, per diventare capro espiatorio, dev'essere un individuo all'apparenza comune, dotato però di caratteristiche «diverse» che lo rendano «pericoloso». Il capro espiatorio appartiene al gruppo, ma al contempo lo trascende: per questo la minaccia è altrettanto subdola, si può annidare Ovunque. Rimane il problema di come far rientrare nel sistema le forze oppositive o le componenti che tendono a isolare l'individuo. Esso, infatti, non può e non deve essere isolato, pensare con la propria testa e agire secondo coscienza: deve determinare le proprie scelte in modo passivo, mantenendo però l'illusione della libertà. Per contenere il mutamento ed evitare che le tensioni sociali degenerino in sommosse o semplicemente producano il seme del dubbio, il sistema si trova a dover estendere i propri tentacoli onnipresenti e onnicomprensivi come l'occhio del Grande Fratello orwelliano. Tutto è controllato, giudicato e punito secondo schemi decisi e imposti in base agli interessi di Stato. Così le «schegge impazzite» devono essere ricondotte sotto il controllo dell'insieme. Se, come dimostrano i crimini di guerra quotidiani, «la follia del tutto giustifica le follie particolari e trasforma i delitti contro l'umanità in un'impresa razionale» [3], la difesa assurge a scusante per evitare mali maggiori. Così, nel nome della prevenzione, si compiono guerre e si limitano le libertà degli individui.
Ora, si vorrebbe limitare l'autodeterminazione degli italiani reintroducendo il reato di manipolazione mentale. Nonostante l'ordinamento giuridico italiano abbia eliminato il reato di plagio in quanto giudicato incostituzionale, tredici senatori hanno proposto il Disegno di legge n. 369, 2008, alla Commissione Giustizia con l'evidente obiettivo di far rientrare dalla finestra ciò che dalla porta era stato legalmente fatto uscire. Costoro chiedono di resuscitare il reato di plagio nella forma della «manipolazione mentale», senza tener conto che già esiste il reato di circonvenzione d'incapace. In primis, si dovrebbe spiegare che cosa si intenda per «manipolazione mentale»: tutto nella nostra società è sottoposto a manipolazione, inganno, ipnosi. In che modo un organismo, una persona, un movimento religioso si discosterebbe dalle tecniche adottate normalmente per l'indottrinamento delle masse? Quando, cioè, la manipolazione diventa reato? Evidentemente la chiamata in causa di un pericolo - il Nemico nascosto che agisce anche in periodo di pace - serve a diffondere la ragionevolezza che esista una minaccia occulta e che sia meglio stroncarla sul nascere piuttosto che farla germogliare. Quali siano poi le «plurime occasioni» in cui questo pericolo è emerso (come accennato nel disegno di legge), sarebbe da chiarire. Dopo aver ricordato i delitti delle Bestie di Satana, i sottoscrittori accennano a fantomatici attentatori manipolati da terzi e pronti a farsi saltare in aria manco fossimo a Gerusalemme o Kabul. Sarebbe interessante - mancando i riferimenti storici - sapere a quali dei «plurimi» attentati nel nostro Paese (l'Italia!) si riferiscano gli onorevoli firmatari. La cronaca dimostra che è più facile che una strage avvenga per mano di un ex marito geloso che per un imam agitatore di fanatici. È evidente che la proposta di legge intende ricorrere a un pretesto per consolidare il potere dell'insieme sull'individuo, sfumando l'accezione di manipolazione e controllo - che invero sono proprio gli strumenti usati dal sistema per indottrinare e asservire le masse. Da qui deriva una forma d'ipocrisia schizoide che solleva il pericolo di cellule terroristiche e sette manipolatrici in una realtà che è ben diversa da quella americana o dell'Estremo Oriente. Quello che emerge dal disegno di legge non è un orientamento donchisciottesco volto a salvaguardare i più deboli, quanto un progetto di controllo globale di una società che sta diventando sempre più trasparente e «aperta», non al pluralismo e all'inclusione, ma al contrario, all'ingerenza dell'insieme sull'individuo. La sentenza, infatti, «relega qualcuno in un gruppo d'inferiori, e ciò presuppone che il sentenziante appartenga a un gruppo di migliori. Ci si eleva svilendo gli altri» [4]. Applicando cioè una classificazione dualistica si divide il mondo in buoni (il sistema) e cattivi (i nemici) da combattere. Tutto ciò è tanto più paradossale, trattandosi di materie «religiose» in cui la verità ultima non può essere dimostrabile nei fatti, ma può essere solo creduta intimamente, dietro adeguato sostegno della ragione. E anche se quest'ultima venisse a mancare, non si potrebbe utilizzare un metro quantitativo per arginare l'eccesso di devozione dei fedeli: il modello di homo religiosus, secondo Søren Kirkegaard [5], individua il suo «cavaliere della fede» nel patriarca Abramo pronto, senza esitazione alcuna, a sacrificare il figlio Isacco. La vita religiosa, infatti, impone al fedele di abbandonarsi completamente a Dio e alla sua chiamata.
La fase di controllo del sistema, invece, si effettua su molteplici fronti, dalla sottomissione degli individui a un'ottica di consumismo, all'invasione della privacy da parte dell'opinione pubblica, all'apertura della camera da letto ai mezzi di comunicazione. Telecamere, carte di credito, chip, decoder, cellulari, ecc, tracciano una mappa completa dei vizi e dei consumi, rendendo ognuno di noi controllato e controllabile. L'eliminazione progressiva della carta moneta e lo studio dell'inserimento di microchip sottocutanei stanno traghettando il sistema verso una «trasparenza» della società che non era stata presa in considerazione neppure da Orwell. Se in 1984 esistevano ancora delle zone dove l'occhio del Grande Fratello non poteva arrivare, tra pochi anni quelle zone franche non esisteranno più. Alla sorveglianza fisica dei nostri movimenti si associa il controllo su ciò che pensiamo, crediamo, professiamo. I social network aiutano i Guardiani a tenere sotto controllo le nostre riflessioni, i contatti e il nostro tempo libero. Telefoni, cellulari, email possono essere messi sotto controllo in qualsiasi momento. Se si accettasse una legge che limiti anche la nostra autodeterminazione in fatto di professione religiosa, tanto varrebbe farci impiantare un chip sulla fronte o sulla mano, come il marchio della Bestia. L'elemento più inquietante della proposta di legge è che il potere di controllo e di decisione verrebbe affidato a una categoria la cui oscurità professionale non è dovuta tanto ai metodi repressivi cruenti (del passato) quanto al legame con i gruppi di potere. Delegare, infatti, gli psichiatri a decidere se e come una persona sia manipolata, significa adottare anche nell'ambito della fede un metodo empirico. Come se fosse possibile introdurre il calcolo e ricondurre la credenza al funzionamento delle sinapsi. Ciò accade quando si ricorre a positivismo ed empirismo come criteri unici per trattare concetti e risolvere problemi. [...]
La creazione di zombie è la conseguenza della manipolazione delle masse e della castrazione dei temperamenti giudicati «ribelli». Come ricordava Marcuse: Il pensiero a una dimensione è promosso sistematicamente dai potenti della politica e da coloro che li riforniscono di informazioni per la massa. Il loro universo di discorso è popolato da ipotesi autovalidantisi, le quali, ripetute incessantemente da fonti monopolizzate, diventano definizioni o dettati ipnotici [6]. Quando l'azione di indottrinamento non basta, il sistema si vede costretto a zittire e livellare le trame che sfuggono all'insieme. Il processo di costituzione della falsa coscienza include, infatti, un indottrinamento che, come aveva spiegato Marcuse, prevede il livellamento del pensiero e delle forme di comportamento a una dimensione: essi cioè vengono definiti e imposti dal sistema, in secondo luogo introiettati dagli individui come se fossero «"naturali», spontanei, addirittura istintivi. Idee, aspirazioni e obiettivi che trascendano invece le direttive statali vengono respinti, schiacciati o ricondotti all'interno del sistema. Ciò avviene perlopiù con facilità, in quanto l'individuo è abituato fin dall'infanzia a plasmare i propri interessi, pensieri e azioni su ciò che è richiesto dal sistema. L'individuo, cioè, attraverso una forma di mimesi, si identifica come parte del tutto. L'immedesimazione del singolo con la sua società lo conduce, infatti, a identificarsi di riflesso con il tutto, senza il quale non può vivere. Ogni cittadino per risiedere nella società deve essere accettato dal gruppo, sentirsi incluso e agire all'interno di esso come parte dell'organismo. Ciò ovviamente porta all'alienazione degli individui che si identificano con l'esistenza che è loro imposta e trovano in essa compimento e soddisfazione. Questa identificazione non è illusione ma realtà. La realtà, d'altra parte, costituisce uno stadio più avanzato di alienazione. Quest'ultima è diventata completamente oggettiva; il soggetto dell'alienazione viene inghiottito dalla sua esistenza alienata [7]. Al «paradigma della violenza» [8] del Novecento elaborato da Hans Georg Gadamer, si sostituisce il «paradigma del controllo», come se dopo aver distrutto, umiliato e terrorizzato la popolazione fosse ora di gettare la basi per la sua sorveglianza. Il controllo sociale è radicato proprio nei falsi bisogni che esso ha indotto nelle nuove generazioni.
Il processo di alienazione dell'individuo non comincia però, come alcuni ricercatori credono, con la manipolazione ipnotica prodotta dai mezzi di comunicazione. Vi è un processo di indottrinamento che inizia a monte e che, al contrario, culmina nell'accentramento del controllo di tali mezzi: Quando si arriva a questa fase, le persone sono esseri condizionati da lungo tempo; la differenza decisiva dell'appiattimento del contrasto (o del conflitto) tra il dato e il possibile, tra i bisogni soddisfatti e quelli insoddisfatti [...] Il trapianto dei bisogni sociali nei bisogni individuali è così efficace che la differenza tra i due sembra essere puramente teorica. È mai possibile tracciare una vera distinzione tra i mezzi di comunicazione di massa come strumenti di informazione e di divertimento, e come agenti di manipolazione e indottrinamento? [9].Alterando e reindirizzando le scelte degli individui - dopo averli resi incapaci di essere autonomi - si controlla una società che solo in apparenza si può dire democratica, in cui la libertà non è di scelta, ma un ingannevole consenso a ciò che il gruppo impone. Non esistono scelte aperte, ma la libertà di è sostituita dalla sua negativa controparte (anch'essa limitata e controllata): libertà da. Si ha solo l'illusione di essere creature libere, ma non si è più né autonomi né tantomeno liberi di determinarsi. In questo modo la libertà intellettuale è stata estirpata dalla radice e sostituita con un più rassicurante consenso pubblico: la libertà intellettuale equivarrebbe alla restaurazione del pensiero individuale, ora assorbito dalla comunicazione e dall'indottrinamento di massa, ed equivarrebbe pure all'abolizione dell'«opinione pubblica», assieme con i suoi produttori [10]. Il processo parte da lontano: si estirpano individualità e immaginazione, si creano falsi bisogni che si inculcano fin nell'istinto, si spinge l'individuo a identificarsi con la sua società, con il tutto. La libertà a questo punto è stata trasformata in uno strumento di dominio. La quotidiana, martellante azione dei media a inculcarci la verità del sistema ci plasma secondo l'immagine che i governanti vogliono che noi si assuma. Dopo l'indottrinamento culturale, sociale e religioso, la trasmissione di notizie false, censurate e manipolate svuota le notizie di contenuto, ossessionando le masse con gossip, banalità, violenza e pornografa. L'intontimento quotidiano ha la funzione di anestetico: impossibile ormai distinguere tra informazione e intrattenimento. La notizia, per quanto il più possibile obiettiva, non è mai specchio della realtà: la stampa «libera» si censura da sola. La verità finisce sempre per essere distorta dal punto di vista individuale e puramente soggettivo. All'indolenza dei giornalisti si aggiunge la pressione esercitata da un editore che decide la linea editoriale anche in base a un ritorno economico: i finanziamenti viaggiano in parallelo con i «favori» politici. Stiamo assistendo da anni a una globalizzazione dell'informazione e delle coscienze, a cui si sottraggono poche persone. Costoro sono gli anelli deboli dell'ingranaggio statale e devono essere ricondotti nel sistema. Già vent'anni fa Gadamer spiegava che la retorica dei mass media consiste nel «potere dell'ovvio»: il filosofo di Marburgo accennava persino alla «funzione politica della televisione consistente nell'addomesticare le masse, nell'addormentare la capacità di giudizio e il gusto delle idee» [11], in modo da rendere gli individui passivi. Apatici alle notizie trasmesse, passivi alle ovvietà, alla violenza, alle ingiustizie, ai progetti sotterranei che solo in parte vengono accennati. Ed è in questo orizzonte di ovvietà, di passività, di carenza di dialogo in cui il pubblico guarda solo al lato meramente estetico, volgare, appariscente degli eventi, che certi messaggi possono essere trasmessi lavorando sul subconscio sopito di ognuno di noi: «la televisione è la catena degli schiavi alla quale è legata l'odierna umanità», constatava Gadamenr nel 1995 [12] Ed è, infatti, il modo migliore per raggiungere il più vasto numero di persone da un capo all'altro del mondo, condizionandole, plasmandole, ammaliandole.
La tirannide dei media troverà anche questa volta una giustificazione per far accettare alla massa l'ennesimo disegno di legge che mina la libertà degli individui. Il Leviatano dell'informazione creerà i presupposti per indurre la collettività a credere nell'urgenza di una legge anti-manipolazione. Ora, dopo aver individuato l'ennesimo Nemico che complotta nell'ombra, non rimane che far passare un disegno di legge in modo da poter incrementare il potere di controllo sui cittadini. Ma dove inizia il reato di manipolazione mentale, se l'intera società è strutturata in modo da indottrinare, controllare e soggiogare i suoi componenti su tutti i livelli, attraverso quegli stessi «meccanismi persuasivi e suggestivi» che il disegno di legge vede agire nelle cosiddette «sette»? Se da un lato è evidente l'ipocrisia di una legge anti manipolazione, quando è proprio il sistema post-capitalistico contemporaneo a vivere grazie al controllo e alla manipolazione dei cittadini, il disegno di legge è doppiamente ipocrita nel dimenticare che esistono da decenni (se non da secoli) organizzazioni settarie di carattere occulto che permeano la società creando soldati della fede. Questi circoli non sono i gruppi di satanismo acido e non raccolgono neppure proseliti tra i giovani. Non sono i «nuovi movimenti religiosi». Non si servono di malati psichici o di soggetti mentalmente deboli. Permeano al contrario l'élite della società, i gruppi di potere, persino la vecchia aristocrazia. Condividono il «segreto» solo tra «confratelli», praticano neo-spiritualismo e occultismo. Decidono l'agenda economica e politica dei governi. Se dovesse essere applicata alla lettera la legge, prepariamoci a vedere i palazzi istituzionali dimezzati, gli ospedali, le caserme e i tribunali vuoti. Massonerie, logge deviate, affiliazioni segrete di carattere occulto, Club Bilderberg [13]: sono questi i cancri da estirpare. Sono questi i movimenti segreti che manipolano gli affiliati dai più bassi gradi rendendoli pedine per gli interessi globali di pochi. A partire dai delitti del Mostro di Firenze, anche in Italia è emerso il legame occulto della Massoneria o della Rosa Rossa con numerosi casi di cronaca nera. Così come nel più recente omicidio Rea, è affiorata persino l'infiltrazione di logge deviate dedite a manipolazione mentale e della filiale napoletana del Tempio di Set all'interno dell'Esercito italiano [14]. Se si volesse davvero liberare la popolazione dal giogo della manipolazione e del «satanismo» si dovrebbe partire da qui. Ma coloro che dovrebbero votare il disegno di legge e poi attuarlo nei fatti, si troverebbero scalzati dal ruolo di controllori a quello di controllati. Quanti di quelli che siedono in Parlamento o in senato, infatti, vantano affiliazioni «segrete»? Quanti di loro, smesso il doppio-petto, vestono il grembiule e le insegne di congreghe massoniche o circoli occulti? In fondo, come si era già chiesto Karl Popper nel 1945, chi controlla i controllori? La manipolazione mentale non si combatte a colpi di leggi ma si previene culturalmente, rendendo critici e autodeterminati i soggetti civili a partire dall'età infantile. Tornando a sviluppare il pensiero individuale. Rendendo cioè le nuove generazioni, in due parole, libere e responsabili. Ma forse questo è proprio ciò che temono i vertici del potere... Note:
1. H.G. GADAMER, Schiavi alla catena. Sui pericoli della società televisiva, Intervista al settimanale «Die Woche», 10febbraio 1993, p. 33.
2. E. CANETTI, Massa e potere, Adelphi, Milano 1981, p. 17.
3. H. MARCUSE, L'uomo a una dimensione, Einaudi, Torino 1964, p. 71.
4. CANETTI, Massa e potere, p. 358.
5. Cf. S. KIERKEGAARD, Timore e tremore, Mondadori, Milano 1991.
6. MARCUSE, L'uomo a una dimensione, p. 34.
8. E. TRAVERSO, Auschwitz e gli intellettuali, Il Mulino, Bologna 2004, p. 228.
9. CANETTI, Massa e potere, p. 28.
11. GADAMER, Schiavi alla catena, Intervista al settimanale «Die Woche», 10 febbraio 1995.
13. Cf. E. PERUCCHIETTI, L'altra faccia di Obama, Uno Editori, Orbassano 2011.
14. L.L. ZAGAMI, Confessioni di un Illuminato, 2 voll., Uno Editori, Orbasssano 2012. La questione del «lavaggio del cervello»Massimo Introvigne (pagg. 201-217)[...] Verso un superamento delle polemiche (1997-2012)? La storia della controversia negli ultimi anni - per le ragioni che ho appena illustrato - si presenta in modo diverso nell'Europa continentale (e in Giappone) rispetto al mondo di lingua inglese. Nell'Europa continentale, così come in Giappone, la vulgata antisette sul lavaggio del cervello è minoritaria nel mondo universitario, ma è ancora presa sul serio da ambienti politici, da tribunali (dove peraltro non mancano reazioni di segno contrario), da esponenti delle chiese maggioritarie, e anche da psicologi e psichiatri (in genere peraltro lontani dal circuito universitario). Nel mondo di lingua inglese, e in particolare negli Stati Uniti, a dieci anni dalla svolta del 1987 la mitologia del lavaggio del cervello ha ancora un posto nei media, ma anche i suoi più convinti sostenitori nella comunità scientifica sono consapevoli di occupare una posizione di minoranza e di difendere una teoria da lungo tempo screditata. Negli ultimi anni, nei Paesi di lingua inglese e in parte anche altrove, si è pure sviluppato un dialogo fra ambienti anti-sette e studiosi dei nuovi movimenti religiosi ostili alle tesi sulla manipolazione mentale. Questo dialogo merita di essere proseguito. Infatti, demolito il mito del lavaggio del cervello - dietro cui si cela un mito più universale, forse eterno, secondo cui le minoranze, quanto più sono «diverse» dalle maggioranze, sono sempre e comunque sgradevoli, cattive e criminali - non è inesistente il rischio della costruzione, da parte di studiosi certamente bene intenzionati, di un contro-mito secondo cui le minoranze - nel nostro caso le minoranze religiose - sono sempre "buone", oneste e dedite soltanto alla ricerca del bene dei loro seguaci e della società. Sfuggire sia al mito che al contro-mito non è facile, e presuppone un confronto sulla possibilità che gli studiosi - senza venire meno ai canoni propri delle loro discipline - possano dire qualcosa sulla «autenticità» dei cammini religiosi che sono proposti [24]. Per quanto mi riguarda, io penso che sia il mito sia il contro-mito dipendano da una visione radicalmente relativistica delle scelte umane, secondo cui tutte le scelte libere sono ugualmente buone - e le scelte palesemente non buone devono essere, per definizione, non libere. Viceversa, scelte ugualmente libere (o ugualmente condizionate) possono avere conseguenze utili o dannose per le persone e per la società, ed essere oggetto di valutazioni etiche radicalmente diverse. Superata la falsa problematica del lavaggio del cervello, il problema non si chiude, ma si apre. Si possono così esaminare i gradi di quelli che rimangono meccanismi normali di influenza e di persuasione. Si rileveranno così, anzitutto, proposte spirituali di cui si può dire tranquillamente che mancano di «autenticità», in quanto riposano su menzogne di fatto empiricamente verificabili. La transustanziazione nell'eucarestia cattolica o il carattere increato del Corano non sono empiricamente verificabili: ma se qualcuno - come accade non di rado in certi nuovi movimenti religiosi - afferma di essere stato iniziato da un prestigioso maestro indiano che in realtà non ha mai conosciuto, la persuasione dei suoi seguaci poggia su una menzogna fattuale, che anche lo studioso ha il diritto - e forse il dovere - di denunciare. Se in questi casi la denuncia può difficilmente assumere una valenza giuridica, vi sono invece in certi nuovi movimenti religiosi - non in tutti - casi di maltrattamenti, minacce, abuso dello stato di debolezza di minorenni o di incapaci di intendere o di volere, ovvero la messa in opera di strategie di persuasione che, di per sé lecite, diventano illecite per l'oggetto, per esempio, quando i fedeli sono persuasi al suicidio o a compiere atti di terrorismo «religioso». In questo caso l'applicazione attenta delle norme esistenti del diritto penale comune è auspicabile e necessaria, senza che sia necessario né opportuno creare nuovi «delitti di setta» o incriminare la fantomatica ed elusiva manipolazione mentale. La dialettica fra tolleranza delle minoranze e rigore nell'applicazione del diritto comune ci pone sempre più spesso di fronte - in una società in cui le minoranze di tutti i tipi si moltiplicano - a momenti di polemica, a scelte non facili e spesso dolorose. Si tratta di uno dei prezzi da pagare quando si vive in una società pluralista e complessa.
Note:
24. Cf. M. INTROVIGNE, Il cortile dei gentili. La Chiesa e la sfida della nuova religiosità: «sette», nuove credenze, magia, San Paolo, Cinisello Balsamo 2010. |
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