La categoria concettuale del plagio già eliminata nel 1981 dal nostro codice
penale, non costituisce oggi un punto di riferimento né giuridico né
psichiatrico: i suoi elementi costitutivi peraltro, come appare dal caso riportato,
possono ritrovarsi in situazioni valutabili in termini psicodinamici-psicopatologici,
con tutta la varietà delle diverse situazioni cliniche, senza dovere rappresentare
una entità a sé stante.
Un caso di follia indotta
Margherita è una ragazza di 14 anni, indirizzata al Servizio di Salute Mentale
per una sintomatologia caratterizzata da fobia per la scuola, tendenza all'isolamento,
dismorfofobia, tratti di tipo anoressico. Il nucleo familiare è composto dalla
ragazza, dalla madre e dalla nonna materna. Margherita è nata da una relazione
occasionale della madre con un militare.
La madre, nata da un rapporto incestuoso, ricoverata più volte in O. P., presentava
all'epoca una sintomatologia psicotica con aspetti difettuali, ritiro autistico, perdita
della iniziativa, dipendenza dalla propria madre per quanto attiene alle necessità
della vita quotidiana.
La nonna è il capofamiglia ed ha chiesto e ottenuto i sussidi sociali per la
figlia e la nipote: oltre ad accudire la casa, lavora come lavascale, nonostante abbia
73 anni. Controlla in ogni aspetto della vita quotidiana la figlia e la nipote. Queste
sono chiuse in casa e a suo dire si rifiutano di vedere chiunque. Margherita passa
molte ore nel bagno dove alleva due canarini in gabbia, con i quali parla a lungo
e che considera "i suoi bambini", non si affaccia mai alla finestra, tanto che la
nonna ha potuto raccontare ai vicini di casa che la nipote lavora in un'altra città.
La nonna supplica gli operatori "per evitare disastri", di non insistere a voler visitare
le due donne recandosi presso la loro abitazione. Questa situazione di immobilità
del quadro familiare si è protratta per circa cinque anni, e si è modificata
quando terapeuti, riesaminando il caso, hanno deciso di intervenire in modo più
attivo, condizionando il proseguimento dei contributi economici ad una possibilità
di entrare in relazione diretta con Margherita e la madre nella loro abitazione.
Dopo un atteggiamento iniziale di grosso timore e sfiducia i colloqui sono stati possibili
ed hanno evidenziato la possibilità della ragazza di entrare in contatto con
l'esterno. Le visite furono poi ben accolte ed aspettate da Margherita che di volta
in volta appariva meno rigida e più desiderosa di comunicare. Il desiderio
di uscire fu verbalizzato: "Non starò mica tutta la vita in casa come mia mamma
che non è più uscita da quando sono nata io?".
Dopo un anno e mezzo la nonna ha subito un grave trauma (la rottura del femore) che
ha reso indispensabile il ricovero; con il suo allontanamento da casa si è
determinato un repentino e sorprendente cambiamento del comportamento della ragazza;
Margherita si è messa in contatto direttamente con il Servizio, è uscita
di casa, ha cominciato ad occuparsi in prima persona della gestione familiare, anche
per i contatti con enti o agenzie di servizi (installazione del telefono e del citofono,
domanda per assegnazione di case popolari, ecc.).
Questo comportamento si è mantenuto su di un buon livello di efficienza anche
dopo il ritorno a casa della nonna, al punto che dopo circa due anni si è potuto
ritenere concluso il rapporto con il Servizio, di comune accordo con Margherita.
Commento al caso
I processi fisiologici di separazione ed individuazione propri della età adolescenziale
di Margherita, hanno suscitato un grande allarme della nonna: si può ipotizzare
dalla consultazione dei risultanti dei dati namnestici, che lei stessa non abbia potuto
sperimentare positivamente un processo di autonomizzazione nella propria adolescenza.
Anche la scelta di un partner incestuoso sottolinea la sua difficoltà ad un
investimento d'amore esterno alla famiglia di origine. Si è inoltre rilevato
dalla storia clinica dei precedenti ricoveri in O. P. della madre di Margherita, come
la nonna avesse interferito attivamente nel processo di sviluppo della figlia, limitandone
fortemente l'autonomia. Aveva quindi la necessità di ostacolare la crescita
della nipote, organizzando e presentando come malattie invalidanti aspetti fisiologici
della problematica adolescenziale come la dismorfofobia, le variabili del comportamento
alimentare e relazionale.
Gli operatori avevano colto solo successivamente il significato assistenziale e non
terapeutico del loro intervento che rifletteva l'impossibilità propria della
nonna a riconoscere ed elaborare i bisogni di autonomia di Margherita con un atteggiamento
volto più ad un mantenimento dello status quo che alla possibilità di
un processo trasformativo. D'altra parte anche Margherita aveva colto in questo atteggiamento
della nonna, rinforzato dall'intervento del Servizio, la possibilità di evitare
il dolore e le difficoltà che accompagnano il processo di crescita e di trasformazione
propria della adolescenza.
Successivamente, il diverso modello di identificazione proposto dagli operatori ha
consentito a Margherita di poter riprendere il processo di separazione ed individuazione
che era stato differito così a lungo.
Un caso di plagio
Presentiamo ora un caso estratto da una recente sentenza pronunciata a una corte di
Assise Ligure. Riportiamo brevemente i fatti che vedono implicati Marta, 34 anni all'epoca
dei fatti, casalinga, madre di tre figli e Carlo, 37 anni cognato di Vittorio, marito
di Marta.
Carlo e Marta vengono riconosciuti colpevoli di "... aver cagionato volontariamente
e con premeditazione la morte del rispettivo cognato e marito Vittorio...".
La vicenda si svolge agli inizi degli anni '80 nell'entroterra Ligure: Vittorio viene
trovato cadavere in campagna, deceduto a seguito di colpi di arma da fuoco. Il cognato
Carlo viene incriminato di tale omicidio dopo il ritrovamento nella sua abitazione
dell'arma del delitto, malamente occultata insieme ad alcuni biglietti scritti di
pugno dalla cognata Marta, su uno dei quali, datato 9/11/81, si leggeva: "Pomeriggio
andrà in campagna - perciò non andare a lavorare - ti aspetto con tanta
ansia - tanti bacioni dalla tua M. Ti aspetto a casa mia"; ed altro biglietto, datato
16/11/81 con scritto: "Oggi vai in campagna e spero che sistemerai tutto bene altrimenti
non sei un uomo - ciao ti abbraccio - capito? - vai altrimenti non farti più
vedere da me - ciao F.to M.".
Nel corso dell'istruttoria Carlo rendeva ampia confessione e dichiarava di avere una
relazione con Marta da circa 9 anni. Successivamente Marta ammetteva "... di aver
preventivamente concordato con Carlo..." l'uccisione del marito Vittorio, adducendo
a motivazione del fatto, successivamente accertato dalla Corte, la sua "... vita di
tormento e di tortura... " con il marito.
Il perito stabiliva, tra l'altro, che "... al momento di commettere il fatto Marta
era pienamente in grado di intendere e di volere; Carlo, al momento in cui commise
il fatto si trovava in stato di infermità mentale tale da scemare grandemente
senza tuttavia escluderla, la sua capacità di intendere e di volere; Marta
non era attualmente inferma di mente; attualmente Carlo era da ritenere "persona volubile
in gracile di mente...". Il perito evidenziava inoltre che Marta si era resa conto
che su Carlo il racconto delle sue sofferenze (relative alla sofferta vita coniugale)
faceva particolare presa e ricorrente era il motivo delle sue lamentele circa il comportamento
del marito.
Dalla perizia si legge inoltre: "... abbiamo potuto rilevare il lavoro psicologico
fatto dalla donna sull'uomo. Le continue lamentele, i continui pianti erano argomenti
che influenzavano negativamente Carlo, lo suggestionavano e lo spinsero al gesto delittuoso.
Gracile di mente, non ha saputo e potuto resistere alle insinuazioni della cognata,
che armava la mano di Carlo con una prolungata condotta di suggestione, battendo sul
tasto della commiserazione che aveva intuito avere forte risonanza nell'animo dell'amante.
Nei suoi confronti si è verificato quello che il PM ha chiamato "ricatto sessuale";
la minaccia di non avere più rapporti si ricollega all'invito a recarsi a casa
sua per un rapporto d'amore la sera stessa del delitto; se non uccideva Vittorio la
donna se ne sarebbe andata a vivere lontana presso dei parenti abitanti in altra nazione".
La Corte seguendo la relazione peritale, inquadrava il comportamento di Marta in quello
di una personalità psicopatica disaffettiva: ("... gli psicopatici disaffettivi
sono individui crudeli, aridi di risonanza affettiva, spietati e poveri di compassione...");
la Corte tenuto conto del comportamento e dei fatti relativi ai due imputati, ritiene
equo infliggere ad entrambi il massimo della pena edittale per il reato di omicidio
non aggravato: 24 anni di reclusione.
Tale pena va ridotta di un quarto per Carlo per la diminuente del vizio parziale di
mente; "Carlo è personalità volubile in gracile di mente ed al momento
del fatto era in stato di infermità tale da scemare grandemente, senza tuttavia
escluderla la sua capacità di intendere e di volere... , ... Carlo ha una deficienza
di critica e di giudizio che non gli permettono di valutare appieno l'entità
e la gravità del reato commesso... ma egli mantenne vivo nel tempo il proposito
criminoso, se pure per la continua suggestione di Marta...".
Commento al caso
Sugli elementi forniti dagli atti processuali, vogliamo ora formulare alcune ipotesi
interpretative sotto il profilo psicodinamico psichiatrico. Rileviamo in Marta, i
meccanismi di difesa psicotici propri delle psicopatia. La donna non è in grado
di recidere il suo legame matrimoniale attraverso una separazione legale: può
separarsi solo provocando la morte del marito. Si ha il passaggio dalla impossibilità
di elaborare una separazione, in termini emotivi, all'atto concreto di annullamento
della persona dell'altro.
D'altro canto la "volubilità e la gracilità mentale" di Carlo possono
essere espressione di quegli aspetti emotivi su cui può avere fatto leva Marta.
Possiamo supporre che Carlo sia una persona con una immagine di sé fragile,
che attraverso la identificazione con il Sé idealizzato ed onnipotente (uomo
forte che difende la sua donna) proposto da Marta perviene alla costruzione di un
falso Sé momentaneamente soddisfacente. Anche qui sono presenti modalità
di funzionamento psicotico: l'onnipotenza e la negazione di aspetti di realtà,
non solo per l'incapacità di valutare la gravità dell'atto commesso,
ma anche nella grossolana incapacità ad occultare le prove della sua colpevolezza.
Vogliamo sottolineare come
la categoria concettuale del plagio già eliminata
nel 1981 [1] dal nostro codice penale, non costituisce
oggi un punto di riferimento né giuridico né psichiatrico: i suoi elementi
costitutivi peraltro, come appare dal caso riportato, possono ritrovarsi in situazioni
valutabili in termini psicodinamici-psicopatologici, con tutta la varietà delle
diverse situazioni cliniche, senza dovere rappresentare una entità a sé
stante.
Note
[1] Sentenza Corte Costituzionale 8/6/81 n. 96, pubblicata
sulla Gazzetta Ufficiale n. 158 del 10/6/1981.