dirigente della locale Chiesa di Scientology condannato per estorsione [Poi assolto in appello nel 2010] Testo integrale della sentenza
N. 1555/2003 R.G. TRIB.
Il Tribunale Penale di Cagliari Sez. 1°, composto dai sigg.
1) Dott. Francesco Sette Presidente
ha pronunciato la seguente
Nel procedimento penale
CA. G., nato a Cagliari il [omissis], domiciliato in Cagliari, [omissis]; libero presente
del delitto di cui agli artt. 110, 81 cpv., 629, 10 e 20 comma (in relaz. all'art. 628 ult. cpv.), C.P., perché, anche in concorso con altre persone non identificate, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, mediante minacce, costringeva ripetutamente De. R. a consegnargli svariate somme di danaro in contanti per un ammontare complessivo di circa cento milioni di lire, così procurandosi l'ingiusto profitto della predetta somma, con eguale danno della persona offesa.
Minacce consistite:
Commesso in Cagliari in date imprecisate anteriori e prossime al 18.02.1997 (giorno del suicidio del De.)
Pubblico Ministero
«Chiedo che il Ca. venga dichiarato colpevole del reato contestato e, concesse le attenuanti generiche prevalenti sulla contestata aggravante, ne chiedo la condanna alla pena di anni quattro di reclusione»
Difesa parte civile De. A. (avvocato Mario Canessa)
«Voglia l'Ecc.mo Tribunale, accertata la penale responsabilità dell'imputato, condannarlo altresì al risarcimento di tutti i danni patrimoniali, non patrimoniali e morali, subiti e subendi, in favore della parte civile costituita, da liquidarsi in separato giudizio, assegnando alla stessa una provvisionale non inferiore a 60.000,00 euro, oltre onorari e spese come da separata nota»
Difesa parte civile Ca. E. (avvocato Mariano Delogu)
«Il Tribunale Ill.mo voglia:
1) affermare la penale responsabilità del Ca. e condannarlo alla pena di giustizia;
2) condannare il Ca. a risarcire i danni, patrimoniali e non, derivati alla parte civile dal reato ascrittogli;
3) liquidare tali danni nella misura di 250.000,00 euro o in quell'altra, maggiore o minore, che riterrà di giustizia, ovvero rinviare a separato giudizio civile per la determinazione dei danni stessi, accordando alla parte civile Ca. E. una provvisionale immediatamente esecutiva pari 50.000,00 euro;
4) condannare lo stesso Ca. a rimborsare alla parte civile Ca. E. le spese del presente procedimento da liquidarsi sulla base della allegata nota spese.»
Difesa Ca. G. (avv. Guido Manca Bitti)
«Assoluzione dell'imputato perché il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto.»
Difesa Ca. G. (avv. Luigi Concas)
«In via principale, assoluzione dell'imputato con formula ampia. In subordine, chiede che venga riaperta l'istruttoria dibattimentale al fine di esaminare don Li. perché riferisca in ordine alle conversazioni con don Me..»
1.- Con decreto del 12 febbraio 2003, il giudice per l'udienza preliminare presso questo Tribunale ha disposto il giudizio nei confronti di G. Ca. in relazione al reato di estorsione specificato in epigrafe, commesso ai danni di R. De., deceduto il 18 febbraio 1997.
Nel corso del procedimento si sono costituiti parte civile i genitori della vittima, A. De. ed E. Ca., al fine di ottenere il risarcimento per i danni subiti a seguito della condotta delittuosa addebitata al Ca..
Il processo è stato istruito, in presenza dell'imputato, con sue dichiarazioni spontanee, prove documentali e testimoniali, il confronto tra A. De. e don O. Ut., l'acquisizione dei tabulati della TELECOM relativi all'utenza fissa dell'abitazione di A. De., nonché una perizia di trascrizione delle intercettazioni telefoniche effettuate durante le indagini.
Dalla relazione di servizio del 18 febbraio 1997, redatta a cura della Squadra Volante della Questura di Cagliari, si apprendono i primi particolari relativi al suicidio del giovane R. De. (era nato a Cagliari il 7 marzo 1977).
Il ragazzo abitava coi genitori A. De. ed E. Ca. e la sorella S. nella via [omissis], in un appartamento posto all'ottavo piano del palazzo.
Dopo la segnalazione della centrale operativa della Questura cagliaritana, il suo corpo privo di vita, riverso in terra, venne trovato dagli operanti della Squadra Volante intorno alle 05.45 del 18 febbraio 1977, all'altezza del civico [omissis].
R. indossava un pigiama. Si era buttato nel vuoto dal suo appartamento, precisamente dal terrazzino della sua camera da letto, andando a sbattere prima sul cornicione del balcone al primo piano dello stabile al civico 32 e quindi sull'insegna luminosa del market Margherita.
Dopo poco tempo giunsero sul posto alcuni familiari di R., tra cui il padre A. De., e la guardia medica di turno, che constatò il decesso del giovane.
Il gesto esiziale era avvenuto, a giudicare dal forte tonfo udito da alcuni vicini, intorno alle 04.30. Né gli inquirenti, né i familiari hanno rinvenuto alcun messaggio lasciato dal giovane R. per spiegare la sua decisione.
Lo sforzo istruttorio è stato rivolto alla comprensione di quanto accaduto nei giorni che avevano preceduto quella tragica scelta; ed a verificare se trovi una corrispondenza nelle risu1tanze probatorie l'impostazione accusatoria, secondo la quale nel periodo precedente al suicidio R. De. aveva subito le pressioni estorsive del cugino G. Ca..
A. De. (udienze del 2 maggio 2003, del 4 luglio 2003) è il padre di R. e il marito di E. Ca., coi quali viveva nella loro casa di Cagliari, nella via [omissis].
G. Ca. è nipote della moglie, in quanto figlio del fratello. Ca. aveva fatto iscrivere R. alla Chiesa di Scientology. Il De. lo seppe tramite R..
Inizialmente il figlio era molto contento dell'iscrizione, che era avvenuta mesi prima rispetto al suicidio di R..
Il De. ha soggiunto che il figlio frequentava il bar gestito dal cugino G. Ca., situato nella via [omissis] di Cagliari.
Un giorno, R. si lamentò coi genitori per il comportamento del cugino G. Ca., spiegando loro che presso la sede di Scientology gli avevano fatto il lavaggio del cervello: dal giorno R. manifestò preoccupazione.
Il giovane cominciò a sentirsi perseguitato dal cugino G., che a suo dire lo chiamava di sovente al telefono; in queste occasioni G. Ca. parlava soltanto se all'altro capo del telefono vi era R. De., mentre non lo faceva se rispondeva un altro parente di R. (A. De. sapeva delle chiamate di G. Ca. perché gliele riferiva R.).
Nell'ultimo periodo, prima di morire, R. rivelò al padre che il motivo delle persecuzioni era collegato alla richiesta di soldi, collegate a minacce di morte nei confronti dello stesso A. De.. La notte in cui si suicidò, R. si sfogò per l'ennesima volta col padre, lamentando di essere perseguitato dal cugino G.: era terrorizzato da G. Ca.. L'ultima notte disse al padre che il cugino, così come verificatosi spesso anche nei giorni precedenti, l'aveva pedinato tutto il giorno (la mattina era stata trascorsa da R. a tinteggiare un cancello), sino alla sera.
G. Ca., a detta del De., di frequente suonava il campanello della porta della loro casa e, in queste occasioni, come saputo da R., il giovane gli consegnava di volta in volta somme di danaro. La notte della morte, R., spaventato, fece nuovamente al padre delle confidenze: gli disse che gli avevano fatto il lavaggio del cervello, di essere stato messo sotto ipnosi e che, durante queste sedute, egli aveva rivelato quel che gli era accaduto durante la vita, compresi particolari intimi sulla sua vita sentimentale, sul possesso di danaro e sul posto in cui lo conservava (gli avevano anche fatto sentire la sua voce, registrata nel corso di tali sedute).
R., in lacrime, gli disse anche di essere fortemente impaurito e chiese al padre di portarlo via dalla casa di Cagliari.
Il padre allora si attivò cercando di rintracciare per telefono un cliente del bar, il dott. Va., al fine di reperire degli alloggi per il figlio, anche in località diverse da Cagliari.
Promise al figlio che l'indomani mattina sarebbero partiti. La difesa ha contestato al De. che il 4 dicembre del 1998, sentito dalla DIGOS di Cagliari, dichiarò sul punto «Dieci giorni prima della sua morte R. mi ha confidato che i soldi che gli avevo dato dieci giorni prima non gli erano serviti per acquistare la casa come mi aveva detto nel momento della richiesta, ma era stato costretto a darli a Ca. G. perché questi lo minacciava di morte oltre che a lui anche me e la mia famiglia».
Il De. ha confermato la circostanza, soggiungendo che il figlio gliela riferì il giorno prima del suicidio, e non dieci giorni prima del tragico gesto.
La sera, la famiglia De. (i genitori e R.) cenò in maniera tranquilla. Terminata la cena, A. De. si recò in bagno per lavarsi i denti e, al suo rientro in cucina, si accorse dell'assenza di R..
Il ragazzo, stanco per aver lavorato alla tinteggiatura del cancello della pasticceria e per il terrore infuso dai pedinamenti subiti durante la giornata, si era sdraiato nel letto della sua camera, dove venne raggiunto dal padre, che gli ribadì l'intenzione di partire per una località dell'entroterra: R. gli rispose che ne avrebbero riparlato la mattina seguente.
Nel cuore della notte, verso le quattro, A. De. sentì uno squillo del telefono e si alzò dal letto, senza verificare se il figlio si trovasse ancora in camera. Trascorsero venti minuti e dal citofono il fratello dalla pasticceria annunciò che il corpo del ragazzo si trovava, privo di vita, in strada: R. si era gettato dalla finestra.
A. De. ha spiegato che il figlio aveva versato ingenti somme di danaro (circa 100 milioni) a G. Ca. ed ha illustrato il motivo del possesso di una tale quantità di danaro: i soldi venivano periodicamente versati in contanti al giovane dal padre, per consentirgli l'acquisto di un appartamento ad Assemini, giacché dal 1988 il genitore (titolare di un bar) non aveva fatto più alcun versamento in banca e consegnava i soldi e gli utili della sua attività a R..
Il testimone ha più dettagliatamente asserito che le somme in contanti di cui disponeva derivavano dall' affitto del bar (concesso a tale La.) e dagli interessi relativi a conti correnti bancari.
Il De.o ha altresì riferito che il figlio conservava i soldi nella sua camera, all'interno di un cassetto.
Su domanda della parte civile, A. De. ha fornito ulteriori informazioni sulla sua situazione finanziaria. Negli anni dal 1964 al 1966 gestiva il bar di via Castiglione, che in seguito avevo dato in gestione; l'attività imprenditoriale si sviluppò negli anni successivi.
Nel 1976, il De. era proprietario del secondo piano nel fabbricato in via Castiglione, poi acquistò alla fine del 1966 l'attico sempre dello stesso palazzo, intestandolo al figlio più grande M..
Ebbe in gestione anche il bar del comune di Cagliari, negli anni '60.
I profitti di queste attività fino al 1995 in parte li depositava in banca e in parte li teneva.
Il De. effettuò una serie di prelevamenti nell'ordine di 20 milioni, 50 milioni, 30 milioni a distanze anche ravvicinate nel tempo e prossime al 1997: erano relativi agli interessi dei depositi bancari (Banco di Sassari e Banco di Roma), che venivano prelevati in contanti dallo stesso De..
Oltre a G. Ca., una volta si presentarono nella loro abitazione due personaggi, che, dissero, facevano parte di Scientology.
Anche in altre occasioni si erano recati nella loro casa, per cercare R., degli individui, i quali, secondo quello che R. rivelò al padre, erano stati inviati da G. Ca..
Dopo la morte del ragazzo, A. De. trovò nel portafoglio di R. due ricevute rilasciate al giovane dalla Missione Chiesa di Scientology di Cagliari ed una tessera di iscrizione all'associazione Scientology, l'allegato ad un modulo di iscrizione e un depliant relativo a Scientology.
L'uomo ha soggiunto che R. si era disfatto di altro materiale relativo alla sua affiliazione.
A. De. ha riferito che il figlio aveva confidato queste vicende ad alcuni amici, quali il signor De. e M. D'A.. Ne aveva parlato anche con la madre E. Ca., la quale si era recata da quella di G. Ca. per chiedergle che il figlio lasciasse in pace R..
Il De. ha altresì asserito che aveva intenzione di intestare l'attività del suo bar di via Castiglione a R. (col quale aveva un deposito bancario cointestato), una volta diplomatosi, giacché gli altri suoi figli, più grandi, erano tutti sistemati: al più grande (M., col quale ebbe una controversia di natura civilistica) ho comprato l'appartamento, il secondo la villa ad Assemini, mia figlia (S.) l'appartamento in viale America, L. e M. avevano il locale della pasticceria al numero 64, intestata a M. e a L..
Della sua intenzione di trasferire l'attività a R., il De. aveva parlato in famiglia e ne aveva informato anche R..
A domanda della difesa del Ca., il De. ha riferito che, l'anno in cui si suicidò, R. frequentava la quarta ragioneria presso l'istituto Leonardo Da Vinci: studiava e lavorava nel bar e nella pasticceria e, per questo motivo, il suo rendimento scolastico non era soddisfacente.
Nei giorni che seguirono il suicidio di suo figlio, A. De. non disse nulla agli inquirenti sul possibile collegamento tra la tragica decisione del figlio e la persecuzione attuata dagli appartenenti alla Chiesa di Scientology: nel momento non ero in grado di fornire nulla perché mi ha sconvolto completamente.
De. non riferì alla polizia alcunché circa minacce ed estorsioni subite dal figlio, né quando R. era in vita, né nel periodo immediatamente successivo alla sua morte.
In particolare, in occasione delle sue prime dichiarazioni rese a verbale (presso la Questura di Cagliari il 16 maggio del 1997), A. De. nulla disse sulle estorsioni di cui era stato vittima suo figlio e sulle correlate consegne di denaro: non le ho riferite perché ero stravolto dalla morte di mio figlio.
Sul presupposto che inizialmente il pubblico ministero avesse proceduto contro G. Ca. per il reato di istigazione al suicidio, con riferimento al quale nell'ottobre 1997 l'organo inquirente chiese l'archiviazione, la difesa di Ca. ha contestato al testimone, che ha confermato la circostanza, che nelle dichiarazioni del 16 maggio 1997 egli disse: «Dopo poco tempo, e precisamente venti giorni, mio figlio ha cominciato a non voler più vedere sia il cugino Ca. che gli altri appartenenti dell'associazione, che alcune volte venivano a trovarlo a casa, oltre che telefonargli. L'interessamento del Ca. G. verso mio figlio era dovuto al fatto che era mia intenzione intestare l'attività commerciale a quest'ultimo, come ho detto sopra, dopo alcune sedute alle quali mio figlio ha partecipato, si è accorto che il fine dell'associazione e del Ca. è quello di procacciare persone con disponibilità finanziaria ed immobiliare, che riuscivano ad acquisire, dopo averli plagiati, con pseudo sedute o con somministrazione di bevande di non meglio precisata natura (si sta facendo riferimento a fatti accaduti a danno di terzi). Infatti mio figlio, pur confidandosi con me dei suoi problemi riguardanti l'associazione alla quale era iscritto, mi diceva che non riusciva ad abbandonare quest'ultima perché continuamente controllato e perseguitato da Ca. G., unitamente ad altri. Durante un colloquio che ho avuto con R., quest'ultimo mi confidò che l'associazione era frequentata da personaggi che ha definito poco raccomandabili, per cui era sua intenzione abbandonarla. Inoltre riferiva che durante le sedute, gli adepti (venivano) sottoposti ad ipnosi ed in questo stato firmavano ricevute di donazioni volontarie e versamenti per le sedute effettuate.»
Anche in occasione di un secondo verbale (12 giugno 1997), quando De. consegnò le menzionate ricevute trovate nel portafoglio del figlio suicidatosi, non parlò delle somme che aveva consegnato a R. e che questi era stato costretto a consegnare al Ca..
Nel corso del suo esame, il De. ha giustificato di aver omesso questa parte del racconto perché non mi interessavano in quel momento i soldi, mi interessava fare giustizia di aver portato mio figlio al suicidio, il signor G. Ca..
Dopo la richiesta di archiviazione per il delitto di istigazione al suicidio, A. De. incaricò l'avvocato Canessa di chiedere copia degli atti del procedimento.
Quindi rese al legale una dichiaraziòne, che il professionista mise per iscritto, nella quale, per la prima volta, parlò delle minacce estorsive e delle consegne di danaro.
La difesa ha messo in evidenza che in quest'occasione il De. non descrisse sedute ipnotiche o lavaggi del cervello nei confronti del figlio e che le dichiarazioni riguardanti la decisione di lasciare Cagliari vennero rivelate la prima volta alla DIGOS il4 dicembre 1998.
Su contestazione del difensore del Ca., A. De. ha ammesso di aver appreso dalla cognata M., zia di G., che a quest'ultimo era stata volturata prima la proprietà del bar ubicato in via [omissis] da parte del padre F. e successivamente rivolturato come in precedenza, cioè il bar passa dal padre al figlio poi, ad un certo punto, dal figlio al padre.
Comunque, De. ha asserito di aver parlato di richieste di soldi e di minacce da parte di G. Ca. subito dopo (uno o due giorni) la morte del figlio: ne parlò con don Me., sacerdote della chiesa di San Sebastiano, e con don Ut., dal quale si recò su consiglio di don Me., dicendo loro che R. era iscritto a Scientology.
E. Ca. (udienza del 4 luglio 2003) è la madre di R. Ca..
Dopo aver saputo dell'iscrizione di R. alla chiesa di Scientology, E. Ca. si recò dalla cognata M.A., madre di G. Ca., perché facesse in modo, parlando col figlio, che R. uscisse dall'associazione: la cognata la rassicurò sul fatto che anche altri suoi figli erano tranquillamente iscritti a Scientology.
In un primo tempo R. si trovava bene nella chiesa di Scientology, successivamente il ragazzo cominciò a preoccuparsi: mamma, però ci vedo tutte facce brutte.
Un giorno si presentarono presso la loro casa due o tre ragazzi e R. aprì loro la porta, facendo in modo che la madre non assistesse all'incontro, si recò nella sua stanza (dove conservava i soldi), uscì con qualcosa in mano (la Ca. non vide di che si trattava), quindi rientrò nella stanza. Poi disse alla madre che quegli individui erano appartenenti a Scientology, senza specificare se avesse dato loro qualcosa.
La sera R. spiegò alla madre che l'aveva volutamente estraniata dall'incontro perché temeva per lei, soggiungendo che aveva consegnato loro del danaro (R. non le indicò la cifra).
La sera in cui si suicidò, R. le disse che gli avevano fatto il lavaggio del cervello e che lo avevano messo sotto ipnosi, facendogli poi ascoltare la cassetta in cui erano state registrate dichiarazioni riguardanti la sua vita, soggiungendo che lo perseguitavano e che non sarebbe potuto più uscire da quella situazione.
Il ragazzo disse anche ai genitori che non avrebbe potuto più vivere in quella casa e così, preoccupati, decisero di partire l'indomani. Vennero svegliati nel cuore della notte dalla telefonata del loro figlio che gestiva la pasticceria, il quale chiedeva di vedere se R. fosse in stanza, ma il ragazzo non c'era perché si era suicidato buttandosi dalla finestra.
Tra i suoi persecutori, R. aveva fatto il nome di G. Ca.. In particolare, lo accusava di non avergli consentito di uscire dall'associazione R. lamentava di aver dato tutti i soldi (non specificava l'importo, ma si trattava di grosse somme, perché il padre li versava periodicamente dei soldi) di cui disponeva agli Scientology.
Alla Ca. è stato contestato dal pubblico ministero che, nel verbale delle dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria il 4 dicembre 1998, lei disse che G. Ca., oltre a perseguitarlo, minacciava danni anche nei confronti dei genitori: la Ca. non ha ricordato la specifica dichiarazione relativa alle minacce destinate a lei ed al marito, soggiungendo che tutte le cose non me le ricordo, la memoria è persa, dopo morto mio figlio.
R. conservava i soldi (anche dieci milioni di lire aveva mio figlio) nella camera sua, chiusa a chiave. Dopo la sua morte, i genitori non trovarono più niente.
Il ragazzo si era confidato anche col fratello M., col quale aveva un rapporto più stretto rispetto a quello con gli altri fratelli (andavano a correre insieme).
Dopo il suicidio del giovane, la Ca., sconvolta dal tragico evento, lasciò la casa e Cagliari per recarsi in varie località della Sardegna, abbandonando anche l'attività lavorativa sin a quel momento svolta.
Il marito, che frequentava la chiesa di San Sebastiano, parlò dell'affiliazione di R. a Scientology col prete don Me. lo stesso giorno dei funerali (don Me. ha chiuso la chiesa ed è andato a sorreggere mio marito, in chiesa di San Paolo, quando è morto R.), il quale lo mise in guardia sulla pericolosità dell'associazione, invitandolo nel contempo a parlarne con Don Ottavio Ut., un sacerdote che insegnava religione nella scuola di R..
Anche E. Ca., dopo l'archiviazione delle indagini collegate al reato di istigazione al suicidio, ebbe a rilasciare delle dichiarazioni scritte al suo avvocato nelle quali, riferendosi all'episodio della visita di appartenenti a Scientology, riferì che, allontanatesi quelle persone, R. le aveva detto: «Sono quelle di Scientology, hanno voluto soldi e glieli ho dati.»
La Ca. ha spiegato che non parlò nell'occasione di G. Ca. perché questi non era tra le persone presentatesi quella volta, anche se, ha soggiunto la Ca., quello che comandava era lui.
Lei ed il marito non avevano pensato di rivolgersi ai carabinieri perché non credevamo mai di arrivare a questo punto, non pensavo mai che G. sarebbe arrivato a questo punto, non pensavo mai che questa
setta era pericolosa così!
Secondo la Ca., nel tesserino di iscrizione alla Chiesa di Scientology trovato tra i documenti di R. era indicata la percentuale spettante a G. Ca., tramite il quale R. si era iscritto.
A. Pa. (udienza del l0 ottobre 2003) è moglie di M. De., fratello di R., il quale frequentava M. e la sua famiglia.
Con M., R. aveva un buon rapporto e si vedevano di sovente perché insieme praticavano lo sport.
Poco tempo prima che R. morisse, seppe che il giovane cognato si era iscritto alla chiesa di Scientology.
Il fatto che R. avesse dei problemi venne percepito dalla Pa.: difatti, il ragazzo aveva intensificato le visite nella sua casa e si appartava a parlare col fratello M..
La Pa., che inizialmente pensava che i problemi di R. fossero quelli comuni a molti giovani della sua età, chiese al cognato cosa lo affliggesse: lui le disse solo: «Sì, mi sono iscritto a questa cosa», senza entrare nei dettagli.
Capitava qualche volta che R. stesse a dormire nella casa del fratello M.: una notte, la Pa. udì il marito ed il cognato discutere e, nell'ambito di questa discussione, la donna percepì il nome Scientology. A seguito di contestazione del pubblico ministero, la Pa. ha ricordato che, nell'occasione, R. disse a M. che doveva andar via da Scientology perché era pericoloso, ma che loro non gli permettevano di allontanarsi e che il ragazzo temeva che facessero del male alla mamma.
Un pomeriggio, la Pa. affrontò con R. il problema della sua affiliazione a Scientology: il cognato le confermò di essersi iscritto a questa associazione, soggiungendole di non preoccuparsi.
Solo dopo la morte di R., la Pa. seppe che lui «aveva avuto dei seri problemi, delle paure, delle minacce»: lo apprese perché nella famiglia si era discusso di episodi in cui lui cercava di proteggere la mamma, che era stata chiusa dal giovane dentro casa per tutelarla.
In seguito, la Pa. venne a conoscenza dal marito e dalla suocera di gravi minacce subite da R.. Emerse, secondo quanto saputo dalla Pa. dopo la morte di R., che gli aderenti di Scientology si presentavano a casa del giovane, terrorizzandolo, per ottenere dei soldi.
R. era uno studente e, secondo i ricordi della Pa., non svolgeva attività lavorativa.
Dal marito e dalla suocera la Pa. fu inoltre informata che, tra gli aderenti a Scientology presentati si a casa sua per perseguitare R., vi era un individuo di colore.
La Pa. ha riferito di dissapori, collegati a ragioni economiche, tra A. De. ed il figlio M., anche se lei si era sempre tenuta distante da queste questioni.
L. De. (udienza del 10 ottobre 2003) è il fratello pasticciere di R., che questi aiutò per un breve periodo di tempo nella sua attività commerciale.
R. gli disse che si era iscritto alla setta di Scientology.
Nell'ultimo periodo, prima di suicidarsi, il carattere di R. era cambiato: era triste e preoccupato e gli disse che aveva paura di alcune persone, senza specificare chi fossero, dalle quali si sentiva perseguitato.
A seguito di contestazione, L. De. ha confermato di aver detto durante le indagini, nel parlare del rapporto di R. con Scientology, quanto segue: «Dopo circa una settimana che si era iscritto all'associazione, R. ha iniziato a cambiare carattere, in un momento di sfogo mi confidò di essere pedinato da alcuni membri dell'associazione, tra i quali uno di colore, e mi disse che andavano a cercarlo anche a casa quando le sue frequentazioni della sede erano scarse.»
Il De. non seppe di preciso i motivi di questi pedinamenti, ma avvertì che il fratello aveva paura soprattutto per la famiglia e che potesse succedere qualcosa ai genitori. Pochi giorni prima della morte di R., dei suoi timori L. ne parlò con l'altro fratello M..
R. confidò a L. che G. Ca. era uno degli iscritti all'associ azione e la sua affiliazione a Scientology era stata determinata proprio da un invito di G. Ca..
Nonostante i timori manifestati da R., i familiari non sentirono la necessità di sollecitare l'intervento della polizia per ottenere la protezione del ragazzo e dei genitori, perché trascorse poco tempo tra quanto appreso da R. e la tragedia che lo colpì.
M. De. (udienza del 24 ottobre 2003) ha riferito che frequentava il fratello R. abbastanza spesso ed aveva con lui una discreta confidenza.
Seppe da R. che il giovane si era iscritto all'associazione di Scientology. Quando gliene parlò (ciò avvenne qualche giorno prima del suicidio), spontaneamente, era abbastanza preoccupato del fatto che forse aveva scatenato un qualcosa che poteva avere delle ritorsioni sulla mia famiglia, su mia madre.
R. gli disse di sentirsi minacciato perché riteneva di aver fatto una fesseria ad iscriversi alla chiesa di Scientology: lo perseguitavano, si sentiva pedinato ed in alcuni casi aveva ricevuto delle chiamate telefoniche da persone che appartenevano all'associazione; gli raccontò che avevano citofonato a casa e spaventato anche la loro madre con insistenza, perché volevano parlargli.
M., anche per l'inesperienza nella materia, non fu in grado di consigliargli di abbandonare subito l'associazione, soggiungendo che lì per lì non l'ho ritenuta una minaccia.
Il testimone non ha ricordato se il fratello gli avesse parlato di questioni di tipo economico.
A seguito di contestazione del pubblico ministero, sulla base del verbale di sommarie informazioni rese davanti alla DIGOS il 1O dicembre 1998, M. De. ha sostanzialmente confermato di aver appreso da R. quanto segue: «Mi disse che era successa una cosa gravissima che riassumeva in questo modo: mentre si trovava solo a casa alcune persone che lui disse di non conoscere citofonavano chiedendogli un'offerta in danaro, lui disse di aver aperto il portone, di averli visti sull'ingresso di casa e di aver gli dato dei soldi. Dopo tale racconto chiedevo a R. cosa ci fosse di strano e mi fece capire in modo implicito che non poteva non aderire a quanto richiestogli. Preciso che in tale occasione mi disse che una delle persone che salivano per i soldi era di colore, per cui capivo che le persone facevano parte di Scientology», anche se all'udienza dibattimentale non ha ricordato se il collegamento tra queste persone e Scientology fosse il frutto di una sua deduzione, per il fatto che tra gli individui menzionati dal fratello ve ne fosse uno di colore, R. gli disse, inoltre, che la sua iscrizione a Scientology era stata determinata dall'intervento del comune cugino G. Ca., che, peraltro, nei ricordi di M., non venne ricollegato alle pressioni e persecuzioni riferitegli dal giovane congiunto, M. De. ha inoltre asserito che, per la rapidità con cui arrivò il suicidio di R. ed anche per l'assenza di rapporti stretti con G. Ca., egli non si rivolse a questi per informarsi su quanto gli raccontava il fratello.
Egli non conosceva le disponibilità economiche di R.: noi vivevamo in due case separate, io ho una mia famiglia, lui viveva ancora con i miei genitori e quindi non abbiamo mai toccato questo argomento; anche se, ha soggiunto, riteneva che il padre, così come aveva aiutato economicamente gli altri figli (compreso lo stesso M., sostenuto dal genitore nella sua attività lavorativa), lo avesse fatto anche con R..
La mattina prima del suicidio, M. e R. andarono a correre insieme e si diedero appuntamento per farlo anche il giorno in cui R. decise di togliersi la vita.
Il pomeriggio del giorno in cui avvenne il suicidio, R. si sentì con M., il quale, impegnato per motivi di lavoro, non poté parlarci tanto tempo e così si ripromisero di sentirsi la mattina successiva.
M. D'A. (udienza del 10 ottobre 2003) frequentava R., col quale episodicamente praticava lo sport dal 1991 o 1992.
Il D'A. aveva maggiori rapporti col fratello M. De..
A seguito di contestazione, ha ricordato di aver saputo dell'iscrizione di R. all'associazione Scientology qualche tempo prima del suicidio.
Prima della morte, il D'A. notò un cambiamento nella personalità di R. e, in particolare, che il giovane manifestava un atteggiamento di insicurezza e di paura, tanto che il D'A. tentò di coinvolgerlo maggiormente nell'attività sportiva, senza successo.
In un'occasione, R. si rifiutò di accompagnare il D'A. alla banca (un'agenzia BNL nella via Castiglione di Cagliari), adducendo quale motivo che aveva paura di incontrare il cugino.
R. non precisò nient'altro e così il D'A. chiese al fratello M. le ragioni di quell'atteggiamento: gli rispose che R. aveva delle paure e che anche lui stava cercando di capire un po' di più, soggiungendo che il cugino era il responsabile di Scientology ed era stato colui che aveva iscritto R. all'associazione.
Il D'A. chiese allora a R. in cosa consistesse la sua partecipazione a Scientology e gli rispose che frequentava alcuni corsi che sarebbero serviti per sbloccare la personalità dell'individuo.
Al di là di generiche paure di essere seguito e di uno stato di agitazione, R. non gli parlò di episodi particolari.
Gli disse però che, una volta entrato a far parte di Scientology, aveva acquistato diversi libri pagandoli regolarmente.
D'A. seppe anche (non ha ricordato se direttamente da R. o dal fratello M. o per averlo sentito in una discussione tra i due fratelli) che gli erano state rivolte da parte del cugino Ca. e di altri dell'associazione richieste di denaro, con la minaccia che se non avesse pagato avrebbero ammazzato sia lui sia i genitori con i quali viveva.
Il D'A. in un'occasione sentì M. dire a R.: «Ma perché devi avere paura?» e lui rispose: «No mi hanno registrato, ho detto questo e quest'altro», facendo in particolare riferimento a cose personali.
Il testimone ha inoltre riferito di aver appreso che R. versava dei soldi a Scientology (per i libri o per i corsi).
A seguito di contestazione, il D'A. ha aggiunto sul punto quanto segue: «Ricordo che R. disse che le richieste di denaro ultimamente si erano fatte assidue e che non poteva far fronte perché ormai non aveva più soldi ed era preoccupato per le minacce rivolte principalmente ai genitori», anche se non ha ricordato se questa rivelazione gliela avesse fatta R. o l'avesse percepita da un dialogo tra i due fratelli.
Circa due mesi dopo la morte di R., il D'A., in una sorta d'indagine personale, per comprendere cosa fosse successo e per il rapporto di amicizia che lo legava a M. De., si recò presso la sede cagliaritana di Scientology, dove si informò su come aiutassero le persone, sostenendo nella visita di avere lui stesso problemi familiari e di aver disponibilità finanziarie: gli risposero, rivelando un chiaro interesse, che avrebbe dovuto seguire dei corsi. Quella fu l'unica volta in cui andò presso l'associazione.
Il D'A. ha ricordato che R. non lavorava, se non raramente, presso il bar De. di via Castiglione.
O. De. (udienze del 24 ottobre e del 5 dicembre 2003) è un vecchio amico di A. De. (è cliente da lungo tempo del bar De. di via Castiglione) e conosceva anche il figlio R., che gli parlò molto della sua frequentazione presso l'associazione di Scientology.
All'inizio il ragazzo era assai contento della sua affiliazione; in seguito iniziò a mutare atteggiamento: lo vedevo sempre triste e così ne abbiamo parlato.
R. gli parlò allora di un suo cugino, che, da quello che De. capì, era il manager. E gli raccontò anche di questioni di danaro: gli disse che gli chiedevano sempre soldi e che lui era terrorizzato, nel senso che, per causa sua, il padre si sarebbe rovinato.
Il ragazzo era preoccupato e diceva di sentirsi plagiato: quello che comandava ho sentito che parlava di soldi, parlava sempre di soldi, che gli cercavano sempre soldi, ed era per quello che era così triste, trasformato; infatti io gli dissi: «Coraggio allo scoraggiamento, ci sono tante vie, tante alternative per cambiare» - «Adesso non ne posso uscire più!»
R. disse inoltre al De. che aveva da parte diverse decine di milioni di lire (non so se fossero 150 o 160): «io so che lavorava con i fratelli e quindi lo pagavano, naturalmente, ha sempre lavorato» e che era titolare di un conto.
Né R., né altri gli parlarono di condotte in qualche modo violente esercitate dagli appartenenti a Scientology.
A seguito di contestazione, sulla base delle dichiarazioni rese durante le indagini il 17 novembre del 1998, De. ha confermato quanto segue: «Dopo alcune frequentazioni, R. mi disse di aver notato qualcosa in Scientology che non gli garbava, per cui aveva deciso di non frequentarla. A questo punto, sempre per quanto riferito da R., il cugino Ca. G. ed altri associati hanno iniziato a perseguitarlo con minacce di morte nei suoi confronti e nei confronti dei suoi genitori se non avesse versato a Scientology le somme di denaro richieste di volta in volta», soggiungendo di non ricordarsi delle minacce.
De. ha altresì confermato in dibattimento, per averlo appreso da R. che, il ragazzo «era costretto a nascondersi perché quelli di Scientology lo perseguitavano oltre che telefonicamente anche inseguendolo fermandolo per le richieste di denaro che mi disse ammontavano anche a volte in diversi milioni»; al suo invito a non dargli i soldi, R. gli rispose «che non poteva esimersi dal pagare per evitare che facessero del male ai suoi genitori anziani.»
R. una volta gli chiese di non parlare con alcuno delle minacce, per il timore di ritorsioni e che un giorno il cugino G. Ca. gli disse per telefono «Se parli con qualcuno ammazziamo te e tua madre .»
Il De. parlò comunque col padre, qualche mese prima della morte del ragazzo (comunque nel 1997), di quanto confidatogli da R., anche se non gli suggerì di rivolgersi all'autorità giudiziaria.
Sul punto, De. durante le indagini disse: «Ricordo che il periodo in cui R. mi ha fatto queste confidenze era la fine di gennaio 1997» (si veda la contestazione del pubblico ministero).
Con riferimento ai pagamenti effettuati da R., il De. ha confermato quanto detto durante le indagini: «Ricordo inoltre che temeva moltissimo per l'incolumità dei genitori anche perché, sempre a detta di R., non poteva più pagare le somme richieste dal Ca. G. avendo estinto il suo conto e buona parte di quello del padre A.".»
Quest'ultimo venne informato dall'amico De., prima della morte del giovane, dei timori di R.: gli disse che se il figlio glieli avesse chiesti, gli avrebbe dato i soldi.
Dopo la morte, non ebbe più a parlare con A. De. di questo argomento.
Il De. ha affermato di aver conosciuto persone che erano entrate in Scientology e che non ne riuscivano ad uscire, ma non ne ha fatto i nomi.
M.G. La. (udienza del 5 dicembre 2003) era compagna di classe di R. De. presso la scuola Leonardo Da Vinci di Cagliari, dalla seconda alla quarta.
Conosceva bene R., ma solo nell'ambito scolastico: egli aveva un profitto sufficiente e studiava normalmente; andava d'accordo con tutti.
L'anno scolastico in cui morì (il ragazzo frequentava la quarta) era cambiato moltissimo, dai mesi di novembre e dicembre 1996, prima delle vacanze natalizie: c'era in classe ma era sempre assente, si era un po' isolato nell'ultimo periodo della quarta, però gli scorsi anni era sempre allegro.
R. si interessò di una religione (Testimoni di Geova) cui la La. stava aderendo. Le disse che stava frequentando Scientology; lei trovò preoccupante che il ragazzo, che manifestava tanta voglia di vivere, le avesse parlato e così, un po' spiazzata, gli disse di non credere a tutto quello che gli dicevano.
S. An. (udienza del 5 dicembre 2003) era compagna di scuola, nonché éompagna di banco, di R. De..
La giovane era in rapporti di confidenza con R. e le capitava di parlarci.
Sino ad un mese prima di morire era un ragazzo abbastanza allegro, pieno di vita, mentre nell'ultimo mese si recava a scuola molto poco e se ne stava parecchio in disparte.
R. le disse che frequentava gli Scientology e che lo faceva con molto piacere. Parlava dei discorsi, un po' strani, che venivano fatti durante queste frequentazioni: parlava del bene, del male, della morte parlava tantissimo.
Il suo cambiamento d'umore non venne ricollegato dal ragazzo alla sua partecipazione a Scientology.
Non parlò mai alla An. di questioni economiche. La compagna sapeva che l'ultimo mese lui aveva lavorato presso la gelateria [omissis] della famiglia.
All'udienza del 5 dicembre 2003 è stata esaminata un'altra compagna di R., M. Fa.. Erano in confidenza sin quando, gli ultimi mesi prima della morte, vi era stato un certo distacco tra loro, giacché lui si era un po' isolato: prima era una persona abbastanza allegra e molto estroversa, almeno i primi anni, poi gli ultimi mesi si era un po' chiuso, molto spesso rimaneva... mi ricordo il fatto che lui si metteva sempre al primo banco e rimaneva perso, aveva lo sguardo spento, non aveva più la luminosità che poteva avere gli anni precedenti, si incantava, non si sapeva dove aveva la testa.
Gli vennero chieste le ragioni di questo cambiamento, ma R. non si scoprì più di tanto, anche perché delle sue cose personali era poco propenso magari ad esporle agli altri.
La Fa. seppe che negli ultimi tempi R. era stato iniziato ad un'associazione, la chiesa di Scientology. Ne parlò alla compagna vagamente, dicendole che la vita era divisa in varie fasi di felicità. Era contento della frequentazione nell'associazione.
R. non le manifestò mai preoccupazioni di carattere economico: aveva danaro da spendere, in quanto lavorava nella pasticceria di famiglia.
Un altro compagno di classe di R. fu G. Sa. (udienza del 5 dicembre 2003).
R., nei ricordi del Sa., era un ragazzo sicuramente aperto, intelligente ed aveva voglia di divertirsi, anche se un po' atipico perché aveva un carattere un po' particolare, sembrava un po' più grande dell'età che aveva.
All'inizio dell'anno notò dei cambiamenti in lui: non era più la stessa persona di prima ed era un po' distaccato ... non interessava né partecipare alla vita scolastica con gli altri studenti, né avere un buon rendimento di studio perché non si applicava.
Da lui il Sa. non ebbe alcuna confidenza che potesse consentire di comprendere le ragioni di questo cambiamento umorale.
Dagli altri compagni di scuola, dopo il suicidio, il Sa. venne a conoscenza del fatto che R. stava frequentando una nuova comunità e che faceva dei suoi ragionamenti molto particolari, molto strani.
Al Sa. non risultava che R. avesse problemi economici.
Tra i compagni di scuola di R. De., vi era M. Uc. (udienza del 5 dicembre 2003), che aveva un discreto rapporto confidenziale con R., col quale si frequentavamo, non spessissimo, anche fuori dalla scuola.
Nei ricordi di Uc., R. era un ragazzo estroverso, allegro ed intelligente ed aveva una buona propensione ai rapporti interpersonali.
Nell'ultimo mese, prima del suicidio, cambiò radicalmente comportamento: era un'altra persona.
In precedenza era molto contento della nuova esperienza, della frequentazione della chiesa di Scientology: ad esempio, gli aveva parlato della teoria relativa alla personalità (cercavano di riportarlo alla sua personalità originaria).
Era stato invitato a parteciparvi dal cugino.
L'Uc., che aveva una conoscenza, anche se non approfondita, della chiesa di Scientology, lo mise in guardia da questa frequentazione.
Nell'ultimo periodo, R. era molto spaventato e non parlava neanche più di Scientology: taceva i motivi di questi timori, nonostante le richieste di compagni e professori.
Il testimone non sentì mai R. ricollegare la frequentazione di Scientology a versamenti di danaro; inizialmente gli disse che era stato invitato a una riunione, poi parlò di un corso e di riunione, ma mai di cifre. In generale, R. non gli manifestò in alcuna occasione problemi di carattere economico.
All'udienza del 14 maggio 2004: è stata esaminata D. Lo., altra compagna di classe di R..
Dal 10 febbraio al 17 febbraio del 1997, tra i due intercorsero frequenti contatti telefoniche (l'utenza della casa di D. era 0704xxxxx), ma conversarono ben poco (forse al telefono ci ho parlato una volta mi sembra, le altre volte non l'aveva mai trovato a casa), giacché in alcuni casi alla ragazza, che chiamava, le venne detto che R. stava lavorando nella pasticceria.
La Lo. si ricorda di R. come di un ragazzo tranquillo. Non pensa che R. avesse avuto una particolare simpatia per lei e che avesse sofferto per una delusione di natura affettiva.
Trascorsero insieme parte della giornata del 14 febbraio 1997 e delle due che seguirono (il 14 febbraio si recarono da un compagno di classe comune ma non lo trovarono, il 15 andarono insieme al bowling; la mattina del 16, D. andò a trovarlo in pasticceria), poi non si videro più.
La ragazza gli telefonò il 16 ed il pomeriggio del 17 febbraio, il giorno prima del suicidio, ma non lo trovò in casa.
Alla Lo. non capitò di parlare con R. di Scientology. Seppe della sua appartenenza soltanto dopo la morte del ragazzo.
Nell'ultimo periodo prima del suicidio, in classe si percepiva che R. era molto pensieroso, mentre prima si presentava come una persona allegra.
Nella relazione della DIGOS 23 dicembre 1998 (acquisita su accordo delle parti all'udienza del 2 maggio 2003), è stato effettuato dall'ispettore Renzo Dessi (in servizio presso la Squadra Mobile di Cagliari, sentito all'udienza del 2 maggio 2003) un compendio delle informazioni assunte dai giovani compagni di scuola di R. De..
Il risultato delle indagini coincide con quello delle dichiarazioni dibattimentali dei ragazzi:
- R. non aveva un particolare rapporto confidenziale con i suoi compagni;
- le discussioni in materia religiosa avvenivano soprattutto con M.C. La, seguace dei Testimoni di Geova, con cui R. confrontò alcuni temi spirituali approfonditi dopo la sua iscrizione alla chiesa di Scientology;
- nell'ultimo periodo prima del suicidio, R., solitamente gioviale e disponibile, aveva manifestato un brusco cambiamento di carattere; pur non rivelando egli le ragioni di questo mutamento, alcune compagne (la An. e la Fa.) lo collegarono al suo ingresso in Scientology;
- i compagni Sa. ed Uc. sapevano che R. era stato indirizzato alla frequentazione di Scientology da un suo cugino, che lavorava in un bar tra via Dante e [omissis] (ovvero l'esercizio in cui lavorava G. Ca.);
- nell'ultimo periodo, tra R. ed il padre vi erano state delle incomprensioni ed il genitore controllava di persona se il figlio si recava a scuola;
- nessuno dei compagni apprese da R. di minacce o ricatti subiti per costringerlo a consegnare soldi.
Don G. Me. è stato sentito, ai sensi dell'art. 507 c.p.p., all'udienza del 27 settembre 2004.
E' il parroco della parrocchia di San Sebastiano in via Ignazio Serra, nel cui territorio rientra una parte di via Castiglione.
Il sacerdote conosce la famiglia di A. De. e molto bene il capo famiglia, da circa trent'anni, giacché per recarsi nella sua parrocchia passava quotidianamente davanti al suo bar, dove si fermava per prendere il caffè.
Conobbe anche R.. Prima del suicidio del ragazzo, né lui né il padre gli avevano parlato dell'iscrizione di R. De. a Scientology.
Dopo la morte, A. De. gli espose quello che era successo il giorno dei funerali o in quelli a ridosso, quindi quasi nell'immediatezza del tragico evento.
Don Me. intuì che la morte di R. fosse stata causata da uno sconvolgimento morale e mentale. Lo arguì dalle parole del sacerdote che officiò la messa del funerale di R., celebrata nella parrocchia di San Paolo, il quale disse che, dopo avere attraversato un periodo di difficoltà alla ricerca di se stesso e di una tranquillità che poi non era riuscito a trovare, aveva trovato la sua serenità con la morte.
Dopo i funerali, don Me. si recò in sagrestia, dove parlò col celebrante (era il parroco di San Paolo, probabilmente Don G. Li.), che gli disse che non aveva saputo niente (i rapporti tra il parroco e R. erano a livello di confessione e quindi sul loro contenuto il sacerdote non poteva che tacere), facendogli peraltro comprendere che R. andava in parrocchia a trovare un po' di tranquillità, quasi a sfogarsi, pressoché quotidianamente.
Parlando col padre del giovane, don Me. venne a sapere che il ragazzo era stato in qualche modo avvicinato dall'associazione Scientology ed allora, non essendo Me. esperto di queste associazioni, lo indirizzò al Caris, che è un centro diocesano di ascolto per le sette diretto da don O. Ut..
Prima che venisse indirizzato verso il Caris di don Ut., A. De. riferì a don Me. che il figlio non era più se stesso in quanto si chiudeva da solo in camera, era terrorizzato, riceveva telefonate, riceveva minacce.
Il De. non gli precisò gli autori di queste persecuzioni (erano probabilmente anche parenti ha soggiunto il Me.) e che ciò avveniva (mi pare di avere una volta sentito una cosa del genere) addirittura per estorcergli dei soldi, quindi questo ragazzino si è trovato travolto dalla situazione e ha concluso la vita.
Secondo il racconto di A. De., accadde che qualche volta R. versò delle somme di danaro. Queste rivelazioni, effettuate, come detto, nel contesto del funerale, vennero spesso ribadite successivamente in occasione dei soventi incontri tra i due.
Don Me. non suggerì a De. di segnalare i fatti all'autorità giudiziaria, ma soltanto di recarsi al Caris.
Il Me. non parlò mai con l'amico A. De. delle iniziative giudiziarie conseguenti alla morte del figlio.
Alla stessa udienza di don Me., è stato sentito, anch'egli ex art. 507 c.p.p., don O. Ut., attualmente parroco della parrocchia Madonna della Fede a Pirri ed insegnante presso lo stesso istituto tecnico commerciale frequentato da R. De..
Dalla sua fondazione, avvenuta nel 1996, don Ut. è anche direttore del Caris, che è un centro di ascolto sulla nuova religiosità.
In vita non conobbe R., che non era stato neppure suo allievo a scuola.
Venne a conoscenza del suicidio di R. dai genitori, che si erano recati presso il Caris per un colloquio.
A. De. raccontò la situazione del ragazzo, cercando una spiegazione a questo tragico gesto: gli venne dato un aiuto spirituale.
I genitori di R. volevano delucidazioni sul gruppo, Scientology, cui, gli dissero, il figlio aveva aderito.
Don Ut. non gli rispose niente se non in senso generale, anche perché il Caris non era una struttura per approfondire la conoscenza di gruppi religiosi e le sue finalità erano puramente di accoglienza e si esplicavano nell'aiutare le persone a reintegrarsi nella chiesa.
A. De. lo vide diverse volte nell'arco di circa un anno e mezzo: certamente ... lui aveva manifestato una certa incomprensione nel comportamento del figlio in rapporto a se stesso e alla sua famiglia negli ultimi tempi.
Secondo quanto detto gli dal De., vi era una relazione tra lo stato del figlio che l'aveva portato al suicidio e la frequentazione di quest'associazione: l'uomo diceva di aver notato un cambiamento da parte di R..
Dopo i primi incontri, in un secondo tempo, A. De. cercò anche una motivazione economica nella morte del figlio: parlò a don Ut. sicuramente di ricevute e di libri, ma non di altri versamenti.
Di minacce esplicite A. De. non parlò, anche se aveva notato uno stato di insicurezza del figlio. Così, in prossimità della morte di R. - gli disse il padre - i due erano partiti nel suo paese e si erano trattenuti qualche giorno con l'intento di recuperare il rapporto con il figlio.
A seguito di confronto con A. De., che ha ribadito di aver detto a don Ut. che il figlio era stato avvicinato da G. Ca. e che questi l'aveva perseguitato, chiedendo gli soldi perché sapevano della sua posizione finanziaria, il sacerdote ha ricordato che verosimilmente gli venne fatto il nome di G. Ca., anche se si è detto non in grado di riferire se De. gli avesse detto che erano state prese al figlio somme di danaro.
Don Ut. ha escluso che De. avesse usato la locuzione "lavaggio del cervello" per indicare il trattamento subito dal ragazzo all'interno dell'associazione.
Si è detto che, dopo la morte di R., il padre trovò tra le carte del ragazzo alcuni documenti indicativi della sua fresca iscrizione alla chiesa di Scientology (sono stati acquisiti all'udienza del 2 maggio 2003):
- la tessera di iscrizione all'associazione internazionale degli Scientologist, a nome di De. R. datata 6 gennaio 1997;
- un cedolino con l'indicazione dei benefici del tesseramento;
- due ricevute, in data 6 gennaio 1997, di lire 100.000 e di 48.000, sempre per De. R.: la prima è riferita ad una donazione per un corso di "integrità e valori personali", sempre per Scientology, e la seconda per l'acquisto di un pacco, probabilmente contenente dei libri;
- una sorta di cedolino, depliant, su un corso di Scientology, "Anatomia della mente umana".
Va subito posto in evidenza come tra i soci fondatori della Missione di Scientology di Cagliari, avvenuta nel giugno 1998, vi era G. Ca. (si veda l'atto costitutivo a rogito del notaio Porru).
L'ispettore Giuseppe Fois (udienza 5 dicembre 2003), all'epoca dei fatti in servizio presso la Questura di Cagliari in qualità di responsabile della Sezione Seconda Digos, si occupò delle indagini connesse alla morte di R. De. e, nell'aprile 1999, riportò i risultati investigativi in un'informativa.
Al personale incaricato delle indagini aveva impartito la direttiva di ricercare la documentazione che poteva dare un quadro più chiaro dell'associazione Scientology.
All'udienza del 24 ottobre 2003, l'ispettore Egidio Manca, nel 1997 in servizio alla DIGOS della Questura cagliaritana, ha dato conto, in generale, delle indagini eseguite dopo il suicidio di R. De.: intercettazioni telefoniche e perquisizioni.
Partecipò, in particolare, alla perquisizione nella sede di Scientology di via Sonnino a Cagliari: al momento dell'accesso della polizia giudiziaria, il fascicolo relativo a R. De. non si trovava nella sede, pur in presenza della specifica richiesta degli inquirenti.
Come si vedrà più avanti nell'esaminare le trascrizioni delle intercettazioni, nel corso di un dialogo tra alcuni iscritti all'associazione si fece riferimento al fatto che la polizia cercasse il fascicolo di R. De. e venne suggerito di dire agli inquirenti che il fascicolo era fuori dalla sede per essere fotocopiato.
Nella sede, secondo i ricordi dell'ispettore Manca, non c'era un fotocopiatore, ma un fax.
Ebbe esito negativo la ricerca di eventuali sostanze che potessero condizionare dal punto di vista psichico gli adepti.
Vennero effettuate anche indagini bancarie in diversi istituti di credito relativamente al Ca. e ad altri personaggi che rivestivano ruoli dirigenziali nella sede locale di Scientology.
La DIGOS, nel documentarsi sull'organizzazione di Scientology, attinse dagli strumenti informativi ormai d'uso comune, come i siti internet che trattavano dell'associazione, ed utilizzò anche un rapporto del Ministero dell'Interno, inviato alla DIGOS di Cagliari dalla Direzione Centrale Polizia di Prevenzione.
A seguito delle perquisizioni effettuate dalla DIGOS il 24 marzo 1999 nei confronti di G. Ca., vennero sequestrati diversi documenti.
Nella sua abitazione di Cagliari, nella quale era presente all'atto di polizia giudiziaria la moglie R. Qu., vennero posti in sequestro ricevute di versamento e ritenute d'acconto ricollegate, in generale, alla sua appartenenza alla chiesa di Scientology, ma nessun documento in quale modo relativo al cugino R. De.. Anche presso la sede di via Sonnino di Scientology vennero eseguiti dei sequestri: il prezziario degli "intensivi" di auditing (variante da 11 milioni a 24.900.000 milioni di lire); vari elenchi relativi ai costi di corsi organizzati presso Scientology e di materiale informativo, in particolare di libri; un manifesto "il ponte verso la libertà totale", contenente un quadro generale dei corsi di addestramento e delle loro finalità, e dei livelli, nonché la spiegazione delle definizioni utilizzate all'interno di Scientology; schede mediche in bianco, tra cui un "rapporto medico confidenziale"; una scheda in bianco di abilità mentale; documentazione relativa a servizi della Missione pagati a Nuoro; altri opuscoli relativi all'attività di Scientology.
Per quanto attiene specificamente a R. De., la perquisizione consentì di rinvenire:
- le stesse ricevute dei versamenti effettuati da R. e trovati in suo possesso dopo il suicidio, oltre ad un'altra del 2 gennaio 1997 di 14.000 lire per l'acquisto di un libro;
- i test somministrati (comprensivi di diagrammi e valutazioni su vari stadi emozionali e caratteriali) a R. De. da C. Sa. quando, per la prima volta, il 4 dicembre 1996, il ragazzo si presentò presso la sede di Scientology;
- la richiesta di iscrizione sottoscritta da R. il 6 gennaio 1997;
- le schede compilate da R. De. durante le sedute del "corso d'integrità e valori personali" nel periodo tra il 7 gennaio ed il 24 gennaio 1997: alla presenza di un supervisore (normalmente R. Qu., moglie di G. Ca.) il ragazzo descriveva di volta in volta episodi della sua vita o comunque vicende da lui osservate, spiegando se quanto vissuto in prima persona o visto fosse in linea con i principi etici della chiesa di Scientology e con gli insegnamenti di Ron Hubbard, il filosofo fondatore di Scientology, contenuti nel manuale acquistato, e se avrebbe dovuto comportarsi diversamente o in futuro l'avrebbe fatto;
- un "foglio di verifica" ("un modulo che indica l'esatta sequenza di gradini che uno studente deve studiare 6 eseguire durante il corso"), compilato sino al 24 gennaio 1997, riguardante R. De.: prima di rispondere durante le sedute del corso, lo studente deve leggere le diverse sezioni contenenti informazioni su Scientology ed i principi indicati nelle varie sezioni del manuale;
- due fax pervenuti il 17.26 e 17.29 del 4 settembre 1998 presso la sede cagliaritana di Scientology da parte di tali C. Me. ed A. Sp. ed inviati all'attenzione di M. Lo., uno dei responsabili della Missione: i mittenti, entrambi iscritti a Scientology, raccontarono lo stesso episodio, avvenuto il 10 settembre 1998 a Cagliari, quando, trovandosi insieme e con il padre della Me., vennero avvicinati da A. De., che si trovava in compagnia della moglie e che era conoscente del signor Me.; De. aveva esposto loro le stesse accuse, presentate nel suo esame dibattimentale, contro l'associazione ed i suoi membri, che a suo dire, dopo avergli estorto parecchi milioni, avevano condotto il figlio R. alla morte;
- due fax (10 settembre e 4 settembre 1998) inviati da M. Lo., usando il fax della Missione, a tale "Laura", coi quali il L. la informò delle accuse che A. De. ("il padre del tipo") stava movendo all'associazione e del fatto che lo stesso De. stava cercando di trovare testimoni che avallassero le sua accuse e mettendo in guardia i genitori di altri ragazzi iscritti; nell'occasione venne tracciato dal Lo. anche un profilo di A. De., descritto come rissoso ed in passato dedito al bere.
La DIGOS effettuò nuove perquisizioni nel corso del procedimento il 10 aprile 1999: interessarono, oltre la sede di Scientology, l'abitazione di M. Lo. (segretario esecutivo della sede di Cagliari della Missione) e di A.M. Co. (presidente legale della stessa sede).
Venne rinvenuto materiale, sia in forma di manoscritto, sia archiviato in floppy disc i cui dati sono stati successivamente riversati, relativo alla precedente perquisizione del 24 marzo 1999 e, in particolare, la minuziosa descrizione dell'attività svolta nell'occasione dagli inquirenti.
Nel corso del procedimento è stata acquisita documentazione bancaria relativa al conto corrente n. 3xxxx intestato alla Missione di Cagliari di Scientology, sul quale G. Ca. era autorizzato ad operare, e ad un deposito cointestato dei coniugi G. Ca. e R. Qu.: dall'esame delle numerose distinte di versamento compilate da G. Ca. non sono risultati versamenti significati, in qualche modo riconducibili a R. De..
Durante la fase dibattimentale, il perito M. Ci. ha trascritto, su incarico del tribunale, una serie di intercettazioni telefoniche effettuate nel corso delle indagini preliminari con riferimento all'utenza della sede di Cagliari di Scientology, sia in entrata sia in uscita.
Le parti hanno concordato sulla limitazione del compito del perito ad alcune delle telefonate intercettate: quelle undici specificamente indicate nella relazione, avvenute tra il 29 gennaio ed il 25 marzo 1999.
In generale, si nota che, quando parlano di questioni attinenti all'associazione, gli interlocutori di Scientology utilizzano termini, anche in lingua inglese, ed abbreviazioni il cui significato non è comprensibile se non a coloro che hanno conoscenza dell'organizzazione interna della chiesa.
Nella telefonata nr. 223/224 del 29 gennaio 1999, in arrivo sull'utenza della Missione, due adepti parlano di un iscritto che nascondeva alla madre, di cui si sapeva la contrarietà a Scientology, la sua appartenenza: dicevano che bisognava maneggiare lui e che lui poi doveva maneggiare la madre.
Nella telefonata nr. 220 del 29 gennaio 1999, in arrivo sull'utenza di Scientology, due adepti sembra che parlino di un tizio che avrebbe dovuto dare una notevole somma a sua volta ottenuta dal padre (il quale non gli avrebbe dato più di venti milioni) e, inoltre, fanno nuovamente riferimento al termine "maneggiare" con un evidente riguardo a soggetti che devono versare delle somme di danaro.
Nella telefonata nr. 562 del 5 febbraio 1999, in arrivo sull'utenza di Scientology, Fabrizio ed un altro uomo parlano di un debito del primo (700.000 lire), fanno riferimento al suo pagamento e Fabrizio dice: «tutt'al più si maneggia qualcuno, sette persone che danno cento mila lire a testa, poi io li mando ...».
Si parla di "maneggiamento" («questo ciclo vedo di maneggiarlo»; «praticamente stanno maneggiando ... per la libertà religiosa»; «io comunque mi prendo un impegno scritto di maneggiarlo in due, tre mesi») anche nella telefonata nr. 563 del 5 febbraio 1999, in partenza dall'utenza di Scientology, così come nella telefonata nr. 109 del 23 marzo 1999, in partenza dalla stessa utenza («tu stessa riuscirai a maneggiare lui da un punto veramente cause»; «poi la separazione serve a te, per il tuo maneggiamento»).
Nella telefonata nr. 186 del pomeriggio del 24 marzo 1999, in partenza dall'utenza di Scientology, un uomo ed una donna fanno un evidente riferimento alla concomitante perquisizione della DIGOS, presso la sede della Missione, alla ricerca di documenti relativi a R. De.: l'uomo, che è in possesso di tali documenti ("ricevute, iscrizioni, moduli"), suggerisce alla donna (che evidentemente si trova nella sede) di dire che i documenti si trovano fuori dalla Missione perché devono essere fotocopiati per essere spediti all'avvocato («magari noi possiamo tenerci le fotocopie e loro gli originali!») giacché «il padre si era lamentato e quindi noi voi volevamo tutelarci ... e fare qualcosa verso il padre!...».
Nelle telefonate nr. 368 e 369 del 25 marzo 1999, gli interlocutori, nel riferirsi alle indagini ormai note alla Missione ed al coinvolgimento di "Giorgio", parlano di decisioni già assunte in passato dalla magistratura, tutte favorevoli a Scientology.
E' stato acquisito al fascicolo per il dibattimento un grafico prodotto dalla difesa dell'imputato con riferimento alla percentuale del numero di telefonate delle quali il pubblico ministero ha chiesto la trascrizione (11) rispetto a quelle complessive intercettate (3.409).
Nel corso del procedimento sono stati acquisiti i tabulati TELECOM relativi all'utenza telefonica fissa di A. De., per il periodo compreso tra il lO gennaio 1997 ed il 25 febbraio 1997.
Dall'esame del tabulato sono emersi alcuni contatti tra l'utenza intestata al padre di R. e quella installata presso la sede di Scientology di via Sonnino, anche se non sono trovati riscontri con quanto dichiarato dai genitori di R. relativamente al giorno del suo suicidio ed a quello precedente: difatti, il 18 febbraio, nelle ore precedenti al suicidio, non risultano pervenute telefonate dall'apparecchio telefonico installato nella sede di Scientology.
Si rileva una telefonata pervenuta alle ore 05.38 dalla pasticceria "[omissis]" di via Castiglione xx ed altre successive, la prima delle quali, alle ore 08.26, da parte del dottor G.M. Fi..
Il giorno 17 febbraio, invece, risultano due sole telefonate effettuate da utenze che peraltro non appaiono da mettere in relazione con l'omicidio, e precisamente:
- ore 14.32 dal nr. 070/4xxxxx, intestato a C. Se. via [omissis] Cagliari;
- ore 15.07 dal nr. 070/5xxxxx, intestato ad A. An., piazza [omissis] Cagliari
Dal tabulato delle telefonate in entrata si rilevano le seguenti chiamate effettuate dalla sede di Scientology:
- 4 febbraio - ore 18.12: durata 92 secondi
- 31 gennaio - ore 16.24: 11 secondi . 24 gennaio - ore 18.04: 57 secondi
- 22 gennaio - ore 16.12: 64 secondi; ore 10.38: 22 secondi; ore 10.37: 22 secondi.
Da quelle del tabulato delle telefonate in uscita dall'apparecchio telefoico del De. si rilevano le seguenti chiamate alla sede di Scientology:
- 02 gennaio - ore 12.03: durata 53 secondi
- 06 gennaio - ore 17.46: 24 secondi; ore 19.34: 85 secondi
- 14 gennaio - ore 17.34: 87 secondi
- 22 gennaio - ore 16.49: 77 secondi
Sono stati inoltre individuati gli intestatari dei giorni immediatamente prima il giorno del suicidio, dai quali non emergono contatti con soggetti aderenti alla Chiesa di Scientology.
All'udienza del 20 febbraio 2004, R. Se. e T. Po. (impiegati della Telecom) hanno risposto in relazione ai tabulati Telecom relativi all'utenza fissa dell'abitazione di A. De. per il periodo gennaio - febbraio 1997.
Successivamente è pervenuta al tribunale la risposta della Telecom Italia Mobile, in cui la stessa comunica, come ipotizzato dal Po., che per il periodo richiesto non erano tenuti alla conservazione dei dati relativi al traffico telefonico. Risposta negativa è altresì giunta al collegio da parte dei gestori Vodafone Omnitel e Wind.
Il testimone C. Sa. (udienza del 19 dicembre 2003) nel 1996 - -1997 faceva parte dello staff della Missione della Chiesa di Scientology.
Conobbe R. De. perché, incuriosito da volantino pubblicitario distribuito in quel periodo, si presentò insieme ad un amico (di cui Sa. non ha indicato le generalità, né che sarebbe in grado di riconoscere) presso la sede a metà dicembre del 1996.
Venne informato da Sa. in che cosa consisteva Scientology e disse che ci avrebbe pensato; un po' di tempo dopo vi tornò per acquistare un libro e poi, uno o due giorni dopo, chiese di essere iscritto a un servizio della missione.
A seguito dell'esame del documento intitolato "foglio delle risposte" datato 4 dicembre 1996, il Sa. ha detto trattarsi di un questionario che si fa compilare generalmente alle persone che, agli inizi, frequentano e seguono la religione di Scientology.
L'iscrizione avvenne, come si evince dal documento esaminato, il 6 gennaio 1997.
Dopo l'iscrizione, R. De. non comunicò al Sa. che non intendeva più far parte della Missione, i due ebbero una o due conversazioni telefoniche per concordare un orario per la sua frequentazione del corso, che prevedeva lo studio e l'apprendimento di una serie di scritti di Ron Hubbard.
In generale, ha spiegato Sarigu, chi frequenta i corsi ha questi materiali, li studia in una classe ed è assistito da una persona che non è un docente, ma è un supervisore che semplicemente aiuta l'individuo a capire lui quello che c'è scritto, e verifica che l'applicazione tramite esercizi scritti, saggi, comunque anche esercizi pratici, sia soddisfacente. Il corso consiste in questo: l'individuo, comunque la persona, una volta che ha studiato tutto, si sente soddisfatta di riuscire a applicare nella sua vita questi principi, termina il corso, si ha un attestato ... nel corso dell'integrità valori personali, una persona, una volta che studia un principio, è portata per l'esercizio del corso a magari vedere una volta nella sua vita in cui poteva applicare quel principio o cosa potrebbe succedere di positivo applicandolo e lo mette per iscritto, fa un esercizio pratico, una specie di saggio su quel principio, sicuramente poterlo applicare. Quindi esistono sicuramente, esistono per forza, per chiunque faccia quel tipo di corso dei fogli scritti che attestano, dimostrano che la persona ha fatto quel tipo di esercizio.
All'interno di una missione, ha soggiunto Sa., si possono approfondire diversi aspetti della vita e della conoscenza spirituale, per cui esistono diversi corsi e diverse cose che una persona che vuole fare questo cammino può fare. In particolare, è previsto un corso di auditing, che può essere paragonato a quella che è la confessione in altre religioni, semplicemente lì il parrocchiano, che è assistito da un ministro, che è la persona che ha studiato approfonditamente le scritture di Hubbard riguardo a questo soggetto, si libera quelli che possono essere i suoi travagli interiori, semplicemente questo.
Chi decide di fare il percorso di Scientology, quindi intraprendere questo cammino spirituale, fa dell'auditing ... il ministro prende degli appunti su quelle che sono le cose che il parrocchiano dice, questo perché potrebbero esserci delle aree che hanno bisogno di ulteriori sedute, di ulteriori momenti per essere alleviate, e quindi l'uditor per sapere esattamente su che cosa puntare, su che cosa aiutare la persona prende degli appunti, e questi sono scritti su dei fogli che sono confidenziali, possono essere esaminati solo e esclusivamente dai ministri... i resoconti, vengono archiviati in una cartella nominativa della persona, vanno a finire lì, quindi ogni persona che fa dell'auditing ha una sua cartella.
Sa. ha precisato che R. De. non fece nessun tipo di auditing e, pertanto, come gli associati che non svolgevano un siffatto corso, aveva solo la cartella relativa al percorso di studente delle scritture.
Il testimone conosceva G. Ca. in quanto avevano collaborato per circa cinque anni all'interno della missione. Sapeva da R. De. che i due erano cugini, giacché il giovane, quando tornò per iscriversi, gli disse: «Qui mi pare comunque che ci lavori un mio cugino»: da ciò Sa., che nell'occasione li fece salutare, capì che non avevano uno stretto rapporto, nonostante la parentela.
Su domanda del pubblico ministero, Sa. ha affermato che la struttura di via Sonnino era aperta tutti i giorni, dal pomeriggio alle quattro fino alle dieci - undici di sera.
Tra la documentazione in sequestro è presente, come visto, un "Rapporto medico confidenziale", che Sa., nella specie, non aveva mai visto.
Le persone che intendono frequentare il corso deve farsi visitare da un medico individuato da Scientology. Sa. ha spiegato al riguardo che, essendo quello previsto un programma di miglioramento spirituale, se l'interessato ha dei problemi fisici che pensa di curare con questo programma, non può farlo, per cui si fanno degli accertamenti medici e il medico stabilisce lo stato di salute fisica della persona.
Quanto ai versamenti effettuati da R. De., Sa. ha affermato che per seguire il corso di integrità ai valori è necessario fare una contribuzione.
Nell'esaminare gli appunti manoscritti in sequestro a pagine 19 (appunti che secondo il collegio si riferiscono certamente a R. De., sia perché riferito dalla teste Ze., supervisore della Missione, sia perché c'è una corrispondenza tra le date indicate e le date che risultano dal corso integrità ai valori del ragazzo, nonché tra le telefonate indicate nel foglio manoscritto e quelle pervenute presso l'abitazione di R.: «Il 24 gennaio '97 alle ore 18 chiamato per venire a studiare da Pamela, durata circa quattro minuti», e dal tabulato risulta effettivamente il 24 gennaio '97 una chiamata intorno alle ore 18; egualmente risulta un'altra chiamata del 4 febbraio '97, intorno alle 18 e l0, e anche questa è riscontrata dal tabulato del traffico telefonico), con l'indicazione di date ed orari, la dicitura «presenze corso integrità e valori personali», Sa. ha spiegato che la scritta "First start" si riferisce al primo servizio di una persona in Scientology, soggiungendo di non aver mai visto detti specifici appunti, presi in relazione ai vari incontri con l'iscritto.
Sa. ha ricordato che nella sede di via Sonnino all'epoca vi era un fax.
In generale, Sa. ha asserito che il costo dei corsi non è fisso, ma può essere inferiore o addirittura non esserci, in relazione a quei soggetti che, nel fare opera di proselitismo, contribuiscono ad accrescere il numero dei fedeli di Scientology.
All'epoca, per l'iscrizione era richiesto un versamento di 160 o 150 mila lire all'incirca, e poi, se la persona voleva proseguire, erano previste ulteriori contribuzioni.
L'importo per la partecipazione ai corsi era variabile (in funzione di quello che era anche l'impegno della chiesa per consegnare questo tipo di servizio, o comunque in funzione sempre di un miglioramento spirituale che la persona poteva ottenere da quello che faceva): poteva costare centomila lire, poteva costare un milione, poteva costare di più.
Nel caso concreto, R. De. gli risulta aver effettuato un versamento per il corso, pari che erano 150 - 160 mila lire.
Sempre in relazione all'aspetto economico, Sa. ha illustrato gli altri servizi ed il relativo costo menzionati nel documento foglio 17 in sequestro ("Scala di slittamento del prezzo dell'auditing": "Quattro intensivi 11 milioni e 100, sei intensivi 15 milioni e sei; otto intensivi 19 milioni e 400, dieci intensivi 22 milioni e 500, dodici intensivi 24 milioni e 900"): si tratta di costi per un percorso spirituale ed intensivi è una parola che si riferisce alle ore di auditing, ossia di consulenza che la persona riceve.
Quattro sta per quattro serie di ore, in tutto cinquanta ore. Il periodo in cui si svolgono questi corsi è varabile.
Il Sa. ha escluso che, da quando lui frequenta Scientology, ci sia mai stata una persona di colore nella missione.
Lo scopo di Scientology è ottenere di essere libero ed il raggiungimento di questo scopo passa per una confessione iniziale su tutti quegli aspetti (familiari, di lavoro, economici, sessuali e così via) che la persona sente che rappresentino un travaglio per sé.
Durante i corsi quale quello cui prese parte R. De., lo studente legge da solo il libro scritto dal fondatore di Scientology, mentre il supervisore (nel caso di R., probabilmente era P. Ze.) si assicura che gli studenti abbiano comprensione di quello che studiano.
Il termine "maneggiare", usato dai dirigenti di Scientology con riferimento ai contatti con le persone che aderiscono alla Missione, è - ha spiegato Sa. - una traduzione dall'inglese del termine handling, che sta a significare portare la persona a capire.
Secondo il Sa., R. De. si presentava come un ragazzo normale, con i problemi tipici dei giovani della sua età; registrò anche un leggero miglioramento nel suo comportamento: era un po' più tranquillo, un po' più fiducioso in se stesso.
Nell'ultimo mese, prima della morte, Sa. non vide più R. presso la sede della Missione.
All'udienza del 19 dicembre 2003 è stata esaminata E. Ar., moglie di Sa., dal dicembre 1996 all'interno della Missione cagliaritana di Scientology, dove si occupava della tesoreria: contributi e pagamenti vari, che venivano effettuati sulla base del corso che ogni associato faceva: ad ogni associato che entrava, innanzi tutto gli veniva descritto un po' che cosa è logicamente la religione, dopodiché decideva di intraprendere o meno appunto questo cammino, per cui si iscriveva a un corso con iscrizioni con la modulistica che fa parte dell'iscrizione.
Il corso di auditing, ha spiegato la Ar., è un cammino spirituale: una persona, attraverso l'auditing, impara a conoscere meglio se stessa, a conoscere le sue maggiori capacità, a vivere bene con se stesso e soprattutto a poter vivere meglio con gli altri.
La Ar. conobbe R. De., col quale scambiò due chiacchiere; il corso seguito dal De. era lo stesso che precedentemente aveva seguito lei, ovvero il corso di integrità e valori personali.
Non c'era un fotocopiatore nella sede della Missione, mentre esisteva un fax.
In relazione all'ammontare dei contributi, la Ar. ha riferito che lei, fermatasi al primo livello, versò la somma di due milioni di lire. In generale, seguire tutti i corsi aveva un costo di quindici - venti milioni di lire e mediamente la loro durata era da sei mesi a due anni.
Le cartelle relative ai dati individuali delle persone che aderiscono all'associazione sono riservate e non possono essere portate all'esterno.
G. Do. (udienza del 19 dicembre 2003) dal luglio 1984 è iscritto nell'associazione Scientology, nella quale, come parrocchiano, ha partecipato a diversi corsi.
Ha effettuato anche l'auditing, che consiste nell'ascolto, da parte di un ministro della chiesa, delle confessioni di un fedele, che vengono riportate in una cartella da conservare presso un archivio.
Quanto ai versamenti eseguiti dai parrocchiani, ha asserito: noi contribuiamo a sostentare la nostra chiesa con le nostre donazioni e in cambio riceviamo dei servizi che noi chiediamo di ricevere.
Il testimone ha inoltre riferito di aver speso all'inizio 300 - 400 mila lire, e poi, nel corso dell'attività di frequentazione dei successivi in vent'anni, una trentina di milioni.
Partecipò a diversi corsi e poi decise di acquistare anche delle sedute di auditing.
Quando conobbe G. Ca., negli anni 1994/1995, questi aveva un ruolo all'interno della chiesa come responsabile della classe.
Il Bo. complessivamente ha versato a Scientology, in otto anni, una somma sull'ordine dei cinquanta - sessanta milioni di lire.
La testimone P. Se. (udienza del 20 febbraio 2004) era un membro dello staff della missione, dal 1996 al 2000 e, segnatamente, era il supervisore dei corsi.
Nello svolgimento della sua attività all'interno della missione cagliaritana di Scientology, conobbe R. De., che vide alcune volte.
Non le risulta che De. avesse seguito un corso di auditing. Dopo che R. De. cominciò a staccarsi dall'associazione, la Se. gli telefonò (due o tre volte) per sapere i motivi per cui non partecipava più al corso: il giovane le rispose che lui aveva la sua religione cattolica e che preferiva seguirla.
Da allora non lo sentì più.
In un registro tenuto presso la Missione venivano segnati l'orario, la persona che veniva chiamata e il motivo per cui veniva chiamata, per due motivi: il primo è che le persone non venissero tempestate di telefonate, per cui sapere che quella persona era già stata chiamata ed evitare che altre persone la richiamassero inutilmente e la seconda era un discorso di controllare la gestione dei costi, nel senso che comunque tante telefonate portano ad una bolletta che ha il suo valore.
Nella sede di Scientology a Cagliari, tra il '96 e il '97, c'era un apparecchio fax, ma non un fotocopiatore.
Il documento a cart. 19 (già menzionato) era inserito nella cartella di D.: è un resoconto di ciò che R. De. aveva fatto nella missione di Scientology.
Nel 1996 - inizio 1997, G. Ca. era uno dei coordinatori della sede; solo dopo la morte di R. De., la Se. seppe dei rapporti di parentela tra i due.
A. Ca. (udienza del 20 febbraio 2004) dal 1992 è un parrocchiano della Missione cagliaritana di Scientology e, in quanto tale, conosce G. Ca..
Tra la fine del 1996 e l'inizio del 1997, il ministro che si occupava di auditing ero M. Sa., mentre il Ca. non si occupò mai di questi corsi.
E' risultata dimostrata la tesi esposta nell'imputazione.
Le testimonianze di maggior impatto accusatorio, perché provenienti dai soggetti che, vicini a R., ne hanno raccolto direttamente i timori e le confidenze, portandole all'attenzione dell'autorità giudiziaria dopo la morte del giovane, sono quelle dei genitori; e, quelle di A. De. ed E. Ca., sono state dichiarazioni che, nel corso del dibattimento, hanno avuto una serie di confortanti e solidi riscontri.
Si è già detto che la ricostruzione della vicenda che ha coinvolto il giovane R. presenta una difficoltà oggettiva, dovuta al fatto che, con la sua morte, il ragazzo ha portato con sé i segreti e le ragioni che lo tormentavano; così che l'analisi dei mesi che hanno proceduto il suo tragico gesto, non potendo essere affidata alla voce di R., deve necessariamente essere svolta sulla base dei ricordi delle persone che hanno avuto rapporti con lui.
Ebbene, sia il padre, sia la madre di R. hanno ricollegato il suicidio del loro figlio alla sua iscrizione a Scientology, alle rivelazioni sulla sua vita che, durante i corsi organizzati dall'associazione, il ragazzo aveva fatto e, soprattutto all'influsso negativo del cugino G. Ca., che, dopo aver spinto R. ad iscriversi, lo intimorì, con minacce dirette di morte (estese ai suoi genitori) e con quelle di divulgare particolari privati appresi da R., ottenendo il versamento di cospicue somme di danaro, che il giovane conservava nella sua stanza.
E questo collegamento non è il frutto di una generica accusa, fondata sulla ricerca di un colpevole purché sia per dare spiegazione ad un gesto che li aveva privati del loro ultimogenito, e magari per sfuggire - perché no - ai rimorsi che accompagnano naturalp1ente il doloroso cammino dei genitori che assistono impotenti al suicidio di un loro figlio, ma il risultato di circostanze oggettive, allegate (anche se non sempre in maniera lucida e fredda, come d'altronde non si può pretendere da parte di genitori che hanno vissuto dei fatti che hanno provocato in loro ferite tanto laceranti ed ancora aperte) in modo sufficientemente dettagliato e coerente e dotate, come si vedrà, di confortanti riscontri.
Dopo un periodo di iniziale soddisfazione per la nuova esperienza (i primi contatti ufficiali con Scientology risalgono, come visto, ai primi di dicembre 1996 e la sua iscrizione ai primi di gennaio), R. mutò atteggiamento col passare del tempo, incupendosi sempre più, sino a confidare ai genitori che il cugino G. Ca. lo perseguitava, minacciandolo di morte e di propalare particolari intimi della sua vita privata che il ragazzo aveva riferito durante la sua frequentazione nella Missione.
R. veniva intimorito da G. Ca. con pedinamenti e telefonate e spinto a versare somme di danaro di notevole entità, facenti parte di una provvista che il padre, il quale aveva aiutato economicamente tutti i figli, aveva messo a disposizione anche dell'ultimogenito.
In questo periodo, si verificò l'episodio della presentazione, a casa di R., di alcuni personaggi, tra cui uno di colore (persone che il giovane disse alla madre appartenere a Scientology), cui il ragazzo consegnò delle somme; nell'occasione, per paura che la madre potesse essere in qualche modo danneggiata o coinvolta, R. fece in modo che la donna non assistesse al loro incontro.
La situazione degenerò gli ultimi giorni prima del suicidio.
Il 17 febbraio, R., ormai in preda ad un palpabile terrore, confidò al padre di essere stato pedinato per tutto il giorno da G. Ca.; a seguito di una consultazione familiare serale, prese corpo l'intenzione di trasferirsi qualche tempo fuori città per tutelare R.. Nelle ore successive notturne, vinto dallo stato di angoscia che l'aveva pervaso, il ragazzo si determinò al suicidio.
Un argomento difensivo di importanza centrale attiene alla credibilità dei genitori di R., i quali, nei giorni successivi alla sua morte, nulla riferirono agli inquirenti circa i versamenti di danaro da parte del figlio, limitandosi a puntare il dito contro G. Ca., ritenuto causa del suicidio.
E non lo fecero neanche prima, giacché, dopo aver appreso da R. delle minacce estorsive, non denunziarono il fatto all'autorità giudiziaria.
Introdussero l'argomento danaro soltanto dopo che le indagini videro sfumare l'iniziale ipotesi accusatoria dell'istigazione al suicidio, quando i due si rivolsero alloro legale di fiducia, cui esposero anche dei versamenti ai quali era stato costretto il figlio.
L'istruzione dibattimentale, oltre a confermare nel suo complesso la tesi accusatoria, non soltanto ha fornito delle valide motivazioni del ritardo con cui la fattispecie estorsiva venne portata all'attenzione dell'autorità inquirente da parte dei genitori, ma ha permesso di stabilire che, sin dal giorno dei funerali di R. e quindi nell'immediatezza del suicidio, il padre rivelò che il figlio, ricattato da G. Ca., gli aveva consegnato somme di danaro.
Vediamo di sintetizzare gli elementi di riscontro alle dichiarazioni accusatorie dei genitori; elementi che, come si avrà modo di apprezzare, costituiscono in alcuni casi, di per se stessi, prova della condotta estorsiva addebitata a G. Ca..
* Fu G. Ca., socio fondatore e dirigente della Scientology di Cagliari, ad invitare il cugino R. De. all'interno dell'associazione.
A fronte del dato formale che la sua iscrizione venne curata da C. Sa., infatti, le concordanti dichiarazioni dei genitori sul punto sono state confermate dai seguenti testimoni:
- L. De., il fratello a cui R. confidò che G. Ca. era uno degli iscritti all'associazione e che la sua affiliazione a Scientology era stata determinata proprio da un invito di G. Ca.;
- anche all'altro fratello M. De., R. disse che la sua iscrizione a Scientology era avvenuta a seguito dell'intervento del comune cugino G. Ca.;
- i compagni Sa. ed Uc. sapevano che R. era stato indirizzato alla frequentazione di Scientology da un suo cugino, che lavorava in un bar tra via Dante e [omissis] (ovvero l'esercizio in cui lavorava G. Ca.)
* Tutti i testimoni più vicini a R., dai familiari agli amici ai compagni di scuola, hanno confermato che il cambiamento d'umore del giovane, il quale normalmente aveva un carattere gioviale anche se non incline alle confidenze, si verificò negli ultimi tempi prima del suicidio, in coincidenza, deve essere sottolineato, con la sua iscrizione a Scientology: R. si chiuse in se stesso in maniera sempre più accentuata, si estraniava e manifestava un'evidente preoccupazione.
Il compagno di scuola Uc. ha detto che nell'ultimo mese, prima del suicidio, R. cambiò radicalmente comportamento: era un'altra persona.
Occorre ricordare, al riguardo, che il giovane operò un brusco distacco anche rispetto all'associazione, giacché, dopo il 24 gennaio 1997, smise di seguire il corso "di integrità e valori personali", ben prima della sua fine programmata (si veda il calendario del corso).
Quindi, più di un elemento rafforza il collegamento tra il mutamento d'umore di R. e la sua partecipazione all'associazione e, soprattutto, il suo rapporto con G. Ca.; collegamento sul quale i suoi genitori, come visto, hanno espressamente riferito, per aver appreso dei timori di R.o dallo stesso ragazzo.
* Deve ritenersi dimostrato che le preoccupazioni di R. vennero determinate dalle insistite richieste di danaro da parte di G. Ca. (e di personaggi a lui collegati), che, forte delle sue conoscenze in ordine alle capacità economiche del giovane e della sua famiglia di appartenenza e giovandosi anche di quanto appreso da R. durante le sue partecipazioni ai corsi e la sua frequentazione nella Missione, terrorizzò R. minacciando rivelazioni su quanto appreso e ripercussioni negative per i suoi genitori.
Vediamo, infatti, quali sono al proposito le risultanze dibattimentali.
- La circostanza che R. conservasse nella sua camera da letto cospicue somme di danaro (asserita come visto dai genitori), frutto delle periodiche elargizioni del padre, trova conferma nelle dichiarazioni di M. De., il quale ha riferito che il padre aveva aiutato economicamente tutti i figli, di tal che deve ritenersi lo avesse fatto anche con l'ultimogenito, nonché nella intestazione congiunta, a nome di A. e R. De., di un deposito bancario presso la Banca di Sassari (si veda il relativo documento, datato 19 marzo 1996).
- A. Pa., cognata di R., ha ricordato di aver sentito R. dire a M. che doveva andar via da Scientology perché era pericoloso, ma che loro non gli permettevano di allontanarsi e che il ragazzo temeva che facessero del male alla mamma. Secondo quanto saputo dalla Pa. dopo la morte di R., gli aderenti di Scientology si erano presentati a casa del giovane, terrorizzandolo, per ottenere dei soldi.
- A Lu. De., cui R. appariva triste e preoccupato, il fratello disse che aveva paura di alcune persone, senza specificare chi fossero, dalle quali si sentiva perseguitato. Ha soggiunto che gli confidò di essere pedinato da alcuni membri dell'associazione, tra i quali uno di colore. L. avvertì che il fratello aveva paura soprattutto per la famiglia e che potesse succedere qualcosa ai genitori. Ha infine spiegato che trascorse poco tempo tra quanto appreso da R. ed il suo suicidio, insufficiente per maturare la decisione di rivolgersi alla polizia.
- M. De. seppe da R., qualche giorno prima del suicidio, della sua iscrizione a Scientology; era abbastanza preoccupato per le ritorsioni sulla famiglia, sulla madre, si sentiva minacciato e pedinato ed in alcuni casi aveva ricevuto delle chiamate telefoniche da persone che appartenevano all'associazione; gli raccontò che avevano citofonato a casa e spaventato anche la loro madre con insistenza, perché volevano parlargli. R. gli riferì della volta che dovette consegnare del denaro a delle persone presentatesi a casa sua.
- M. D'Am. notò un cambiamento in R. e, in particolare, che il giovane manifestava un atteggiamento di insicurezza e di paura. Riveste particolare importanza la circostanza che, in un'occasione, R. si rifiutò di accompagnare il D'Am. in banca, adducendo quale motivo cheaveva paura di incontrare il cugino. D'Am. sentì M. dire a R.: «Ma perché devi avere paura?» e che lui rispose che lo avevano registrato mentre diceva cose personali. Pur non ricordando se glielo avesse detto R. o l'avesse captato da una conversazione tra i due fratelli, D'Am. ha confermato che R. disse che le richieste di denaro ultimamente si erano fatte assidue e che non poteva farvi più fronte perché ormai non aveva più soldi ed era preoccupato per le minacce rivolte principalmente ai genitori.
- O. De., nel parlare con R. della sua frequentazione presso l'associazione di Scientology dopo aver notato un cambiamento d'umore del ragazzo, apprese che gli chiedevano sempre soldi e che lui era terrorizzato, perché, per causa sua, il padre si sarebbe rovinato. R. gli disse inoltre che aveva da parte diverse decine di milioni di lire.
De. ha confermato che il protagonista delle persecuzioni e delle minacce era, secondo R., il cugino G. Ca..
Le testimonianze fin qui esaminate hanno posto in evidenza, nel loro complesso, l'attuazione da parte di G. Ca. di una perdurante attività estorsiva (collocabile nei primi 45 giorni del 1997), mediante la quale intimorì il giovane cugino R., inducendolo a versare notevoli somme di danaro.
Molti dei fatti riferiti dai testimoni provengono dalle confidenze fatte loro da R.; quindi da una parte presentano una confortante valenza probatoria dovuta al ricevimento di queste notizie dalla vittima della condotta di estorsione e dall'altra consentono di superare l'osservazione difensiva circa la tardività della denunzia in genere (poteva essere fatta quando era in vita R., ha osservato la difesa) e di quella di estorsione in particolare, trapelata soltanto dopo che le iniziali accuse di minacce e persecuzioni, unicamente legate al suicidio del ragazzo, avevano perso concretezza.
Si è inoltre avuto modo di vedere, quanto alla mancata denuncia dell'estorsione prima della morte di R., come fosse dovuta al breve divario temporale tra le prime rivelazioni ed il suicidio, così che (come spesso capita in questi casi) la situazione precipitò nel volgere di pochi giorni non dando tempo ai familiari di meditare se presentare una denuncia.
In relazione all'originaria, unica, accusa di istigazione al suicidio, giustificata dai genitori di R. col forte turbamento che li aveva colpiti dopo la morte del ragazzo e li aveva portati a non sottilizzare pur di vedere punito G. Ca. (ed è questa un'affermazione indicativa di spontaneità e credibilità dei genitori), le testimonianze appena esaminate hanno chiarito come il ragazzo si fosse lamentato dei rilevanti esborsi a favore del cugino G., causati dalla sua condotta intimidatoria.
La deposizione di don Me. in primo luogo, ed anche quella di don Ut., hanno offerto ulteriori conferme del fatto che, sin nei giorni immediatamente successivi al suicidio, A. De. rivelò che R. era stato costretto da G. Ca. al versamento di somme di danaro.
Don Gi. Me. ha esposto che il giorno dei funerali, o in quelli a ridosso, A. De. gli disse che il ragazzo era stato introdotto nell'associazione Scientology, puntualizzando che R. non era più se stesso, in quanto era terrorizzato e subiva minacce. Gli autori di queste persecuzioni (probabilmente anche parenti) le attuavano per estorcergli dei soldi e così qualche volta R. aveva versato delle somme di danaro. Le accuse di A. De. vennero ripetute anche in occasione dei loro incontri successivi.
Don O. Ut., che ricevette i genitori indirizzati a lui dal don Me., non ebbe confidenze su minacce subite dal giovane, anche se il padre gli disse che aveva notato uno stato di insicurezza del figlio. Ha ricordato che, in prossimità della morte di R., il padre ed figlio erano partiti fuori città (in effetti, si è visto che l'idea di allontanarsi da Cagliari era rimasta soltanto tale, perché maturata soltanto la sera prima del suicidio).
Inoltre, dopo il confronto con A. De., il sacerdote ha ricordato che verosimilmente gli venne fatto il nome di G. Ca., anche se si è detto non in grado di riferire se De. gli avesse detto che erano state prese al figlio somme di danaro.
Gli elementi sin qui esaminati confluiscono nella dimostrazione della condotta di estorsione raffigurata nel capo d'imputazione e, considerata la pluralità ed eterogeneità (e per alcuni testimoni uno spiccato disinteresse) delle fonti probatorie di accusa, rendono inconsistente l'ipotesi di una montatura calunniosa e, nel contempo, di inattendibilità dei principali testimoni a carico, i genitori di R. De..
Né l'interesse collegato alle richieste risarcitorie delle parti civili, né i precedenti penali di A. De. (su richiesta della difesa è stato acquisito il suo certificato penale, dal quale risultano condanne per false dichiarazioni sulla propria identità e truffa) hanno minato la credibilità dei genitori dello sventurato ragazzo: difatti, il racconto di A. De. ed E. Ca., contrassegnato a volte (si vedano soprattutto le dichiarazioni del padre) da intemperanze e qualche esagerazione, peraltro in parte giustificate dal particolare stato emotivo con cui un genitore affronta vicende che hanno condotto al suicidio dei proprio figlio, ha trovato rassicuranti e robusti sostegni dalle complessive risultanze dibattimentali.
Non sono affiorate causali alternative del suicidio rispetto a quella emersa, in maniera nitida, dall'esito istruttorio.
R. De. era certamente un ragazzo emotivamente instabile: quando aveva 16 anni venne seguito per un breve periodo dalla dott.ssa L.S. Fa. (udienza dell' 11 ottobre 2004), psicologa psicoterapeuta e mediatrice familiare, la quale ha un vago ricordo del minore e dei genitori, che non vide più dopo una o due sedute, e che ha escluso di aver attivato un percorso terapeutico per R..
I compagni di scuola hanno negato che il ragazzo avesse particolari problemi nello studio e, prima del suo ingresso in Scientology, era cordiale ed allegro.
Anche l'ipotesi di una delusione amorosa non ha avuto conferme istruttorie.
Su richiesta della difesa dell'imputato, all'udienza del 2 aprile 2004 si è proceduto all'esame testimoniale di V.R. Sc., della figlia G. Ro. e di P. Lo., titolari di utenze telefoniche che, nei giorni precedenti al suicidio di R., erano entrate in contatto con quella di casa De.: è emerso che il marito di V. R. Sc. era conoscente di A. De. e che quindi ben può avere effettuato delle conversazioni telefoniche col padre di R.; la figlia G. non conosceva affatto R.; quanto al Lo., la figlia D. era la compagna di scuola di R., la quale ha, come visto, escluso di aver avuto un rapporto sentimentale col giovane.
Il problema che assillava il ragazzo era quindi collegato alla condotta persecutoria e ricattatoria esercitata dal cugino G. Ca., sulla quale hanno concordato diversi racconti testimoniali (il D'Am. ha addirittura ricordato che R. non volle accompagnarlo in banca per il timore di incontrare il cugino), ed era costituito dalla preoccupazione per le consegne di danaro, che avevano prosciugato la cospicua provvista messagli a disposizione dalla famiglia, e per possibili ripercussioni negative sui genitori (è significativo l'episodio della presentazione nella sua casa di persone che gli chiedevano soldi e del fatto che nell'occasione R. avesse tutelato la madre, tenendo la al di fuori dall'incontro).
L'esiguità di telefonate tra la sede di Scientology e l'abitazione del De., come risulta da un (peraltro incompleto, si è detto) tabulato del traffico telefonico, non attenua la credibilità del racconto del ragazzo riportato dai diversi testimoni d'accusa in ordine alle persecuzioni telefoniche, giacché i contatti telefonici ben potevano avvenire anche attraverso altre utenze, fisse o mobili.
Nel corso del processo è stato approfondito l'esame del rapporto tra R. De. e l'associazione Scientology, dalla sua iniziazione fino alla tormentata fuoriuscita dalla chiesa.
L'istruzione dibattimentale non era finalizzata ad accertare se l'associazione nella quale era iscritto R. integrasse di per sé una fattispecie di reato. Né questa indagine era richiesta dal tipo di delitto contestato - l'estorsione - essenzialmente monosoggettivo e non necessariamente plurisoggettivo, qual è l'ipotesi associativa.
E non è questa la sede per sottoporre a valutazione critica l'istituzione religiosa Scientology, i suoi metodi organizzativi, i servizi offerti dall'associazione ed i prezzi richiesti agli adepti che tendono alla ricerca del miglioramento spirituale.
Anche se può lasciare perplessi il termine "maneggiare", specie se riferito, come emerge dalle intercettazioni, a stimolare gli associati a versamenti di danaro o a non discostarsi dalla Missione, il collegio non è chiamato neppure a giudicare se un individuo tendenzialmente sano e adulto faccia buon uso del suo danaro allorquando, per seguire i corsi e partecipare alle sedute di auditing, versi a Scientology somme di rilevante entità (come verificatosi per i parrocchiani G. Do. e S. Bo.).
Nella fattispecie, occorre inoltre rammentare come non si sia trovato alcun nesso tra le consegne di denaro da parte di R. De. ed i versamenti periodicamente effettuati da G. Ca. sul conto corrente dell'associazione, sul quale l'odierno imputato era autorizzato ad operare.
E deve inoltre essere ricordato che gli unici versamenti di danaro di cui vi è traccia documentale sono quelli effettuati da R. per la sua iscrizione, per l'acquisto del materiale didattico (il libro di Ron Hubbard) e perseguire il corso di "integrità e valori personali".
Non è neanche trapelato che, durante la perquisizione della sede o in epoca precedente o successiva, gli aderenti all'associazione della quale faceva parte Ca. lo avessero coperto, dimostrando una censurabile unità di intenti in qualche modo riconducibile alla comune appartenenza religiosa: non sono significativi di un intralcio all'attività della polizia giudiziaria né la conversazione intercettata relativa alla fotocopia dei documenti relativi al giovane R., né i resoconti dei parrocchiani sulle perquisizioni, né le segnalazioni degli associati su quanto andava a dire in giro A. De. su Scientology.
Infine, non è risultato dimostrato che altri singoli appartenenti a Scientology abbiano concorso nella condotta di intimidazione posta in essere da G. Ca., il quale certamente si giovò anche di altre persone per impaurire ed estorcere danaro al cugino (tra cui l'uomo di colore menzionato da E. Ca. ed altri testimoni), seppure non può dirsi con altrettanta sicurezza che i concorrenti fossero interni all'associazione religiosa.
L'analisi del collegio, con riferimento all'istituzione Scientology, è approdata nel caso in esame, considerata la prospettazione accusatoria e le risultanze dibattimentali, a ritenere invece provato che, dopo la sua iscrizione all'associazione (dovuta, come visto, all'invito di G. Ca.), R. divenne maggiormente esposto alle pressioni psicologiche del cugino ed alle sue minacce estorsive.
G. Ca., che frequentava stabilmente la sede di Scientology della quale era uno degli esponenti, si giovò della conoscenza personale su R. e sulle sue possibilità economiche, ebbe modo di approfondire tale conoscenza durante il periodo di appartenenza del cugino a Scientology e, sfruttando la naturale fragilità del ragazzo (sì estroverso e gioviale, ma anche emotivamente instabile), mise in atto la condotta estorsiva descritta dai diversi testimoni.
Per il Ca. non ci fu bisogno di apprendere notizie riservate su R. in corsi particolari (come quello di auditing, una sorta di confessione cui il De., pare, non si sottopose), giacché il rapporto di parentela e la pregressa conoscenza, alimentati, per lo meno i primi tempi, dalla fiducia che egli doveva infondere nel giovane congiunto, che all'inizio manifestava soddisfazione per l'iscrizione a Scientology, gli consentirono di acquisire un patrimonio di conoscenze personali e familiari sulla vita di R., in seguito usate per terrorizzare il ragazzo e spingerlo al versamento di rilevanti somme di danaro.
L'apertura di R. De. su vicende private, utilizzate dal Ca. per ricattare il cugino, come asserito dai genitori di R., confortati anche sul punto da testimonianze imparziali, come quella del D'Am., avvenne certamente nel contesto della sua iscrizione a Scientology.
Le intercettazioni (seppure relative a soggetti differenti dai protagonisti della vicenda in esame), nell'illustrare il ricorso dei responsabili di Scientology al "maneggiamento" delle persone che dovevano effettuare versamenti di danaro o che si temeva potessero uscire dall'associazione, costituiscono un ulteriore riscontro circa le accuse dei genitori, perché - al di là di un coinvolgimento nelle estorsioni di altri aderenti - ben si armonizzano con l'uso, da parte di Ca., interno alla chiesa, di metodi di persuasione mutuati da quelli seguiti in diverse occasioni dagli altri adepti.
E sono questi mezzi di pressione che, a loro volta, presuppongono una conoscenza delle vicissitudini personali degli associati acquisibile non soltanto nei corsi di auditing, ma anche attraverso altri momenti di partecipazione, quali quelli dei corsi (R., come visto, descrisse durante il suo corso alcuni episodi privati della sua vita), oppure nella fase dell'ingresso degli associati (è significativo che era richiesta ai neofiti una visita medica, da parte di un sanitario di fiducia di Scientology, con un'anamnesi particolare: si vedano il "rapporto medico confidenziale" a cart. 94 ed il certificato a cart. 96, con una parte riservata al medico), fermo restando che - come detto - la parentela con R. già consentiva al Ca. di essere al corrente di vari aspetti dei trascorsi del ragazzo.
In conclusione, l'iscrizione a Scientology ed il conseguente approfondimento della conoscenza di R. furono i mezzi usati da G. Ca. per entrare in confidenza col parente e realizzare la condotta estorsiva che fruttò rilevanti profitti per il Ca. e che gettò nel più cupo sconforto il ragazzo quando si accorse di non poter far più fronte alle richieste del cugino, se non mettendo a repentaglio la sicurezza personale ed economica sua e della sua famiglia.
La fattispecie criminosa emersa all'esito delle risultanze istruttorie rientra in quella astratta dell'estorsione continuata.
Del reato previsto dall'art. 629 c.p. presenta anzi tutto l'elemento oggettivo: è questo costituito delle minacce (persecuzioni telefoniche, pedinamenti, intimidazioni con la prospettazione di danni per la vittima ed il suoi genitori o con quella di rivelare particolari intimi appresi dal ragazzo), utilizzate dall'agente per coartare la volontà del De. e costringerlo alle periodiche elargizioni di danaro, sino al completo prosciugamento della cospicua provvista via via formata con le elargizioni familiari.
Risulta inoltre integrato l'elemento soggettivo della consapevolezza e volontà di usare la grave e pressante condotta minatoria al fine di procurare l'ingiusto profitto sopra indicato. Dalle circostanze apprese durante il dibattimento, che hanno fatto luce su una prolungata attività intimidatoria realizzata ai danni di un giovane fragile ed alla ricerca di un miglioramento spirituale, si risale in maniera diretta alla prova del dolo della ricettazione.
La compresenza di più persone nel corso dei distinti episodi estorsivi realizzati in danno del De. rende configurabile l'aggravante delle più persone riunite.
Così come correttamente contestato dal pubblico ministero, i diversi atti intimidatori e le conseguenti sistematiche consegne di somme di danaro rientrano sicuramente in un'unica matrice criminosa; onde trova applicazione la disciplina del reato continuato.
Trovano spazio le attenuanti generiche a favore dell'imputato, per dare rilevanza, in punto di pena, al suo stato di incensurato.
Nel giudizio di bilanciamento di cui all'art. 69 c.p., dette attenuanti devono essere considerate prevalenti sull'aggravante contestata, sulla base delle considerazioni appena svolte.
Con riferimento ai criteri guida dettati dall'art. 133 c.p., deve essere ora modulata la pena nei confronti del Ca..
Ciò posto, appare equo condannarlo alla pena di quattro anni e sei mesi di reclusione e cinquecento euro di multa.
La pena base, con riferimento al più grave degli episodi di estorsione, deve essere determinata tenendo conto delle gravi modalità del delitto, della notevole entità delle somme versate e della rilevante intensità del dolo, considerato che il Ca. pose in essere la condotta ricattatoria nei confronti di un ragazzo del quale conosceva la fragilità e considerato, inoltre, che la vittima, angosciata per le persecuzioni subite (i pedinamenti di G. Ca. si verificarono anche l'ultimo giorno di vita di R.), si determinò infine al suicidio.
E pertanto, la pena base deve essere fissata in maniera che si discosti significativamente dal minimo edittale = sei anni di reclusione e 600,00 euro di multa; diminuzione per le attenuanti generiche = quattro anni e 400,00 euro; aumento per la continuazione = quattro anni e sei mesi e 500,00 euro.
L'imputato deve essere anche condannato, ex art. 535 c.p.p., al pagamento delle spese processuali.
Il Ca. deve infine essere dichiarato interdetto dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.
Per ciò che attiene alla richiesta di risarcimento dei danni proposta dai genitori di R. De., costituitisi parte civile nel presente processo, sussistono indubbiamente i presupposti per condannare il Ca. al ristoro del pregiudizio subito dal padre e dalla madre, conviventi di R., a seguito della reiterate estorsioni subite dal figlio, il quale via via depauperò l'ingente somma messagli a disposizione dagli stretti familiari.
Svolte queste premesse, ritenuto di non avere a disposizione gli elementi necessari per liquidare il danno complessivamente sofferto dalle parti civili, l'imputato deve essere condannato al risarcimento dei danni a favore delle stesse, da liquidarsi in separato giudizio civile.
Inoltre, il tribunale ritiene che la prova del danno sin qui raggiunta renda equa la determinazione di una somma di 10.000,00 euro, a titolo di provvisionale, a favore di ciascuna delle parti civili.
Le spese processuali si liquidano nella complessiva somma di € 4.000,00, oltre IVA e CPA come per legge, a favore di A. De. e nella complessiva somma di € 2.500,00 oltre IVA e CPA come per legge, a favore di E. Ca..
Visti gli artt. 62 bis, 69 c.p., 533, 535 c.p.p., dichiara CA. G. colpevole del reato ascrittogli, con le attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante contestata, e lo condanna alla pena di quattro anni e sei mesi di reclusione e 500,00 euro di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.
Visti gli artt. 28 e ss. c.p., dichiara CA. G. interdetto dai pubblici uffici per la durata di anni cinque.
Visti gli artt. 538 e segg. c.p.p., condanna CA. G. al risarcimento dei danni ed alla rifusione delle spese, in favore di DE. A. e CA. E., costituitisi parte civile, danni da liquidarsi con separato giudizio, accordando a ciascuna delle predetti parti civili una provvisionale di 10.000,00 euro, e spese che si liquidano nella complessiva somma di € 4.000,00, oltre IV A e CPA come per legge, a favore di DE. A. e nella complessiva somma di € 2.500,00 oltre IVA e CPA come per legge, a favore di CA. E..
Visto l'art. 544 c.p.p., indica in giorni novanta il termine per il deposito della sentenza.
Cagliari, 8 novembre 2004.
con provvedimento del 5.2.2005 il Presidente del Tribunale CA proroga di gg. 30 il termine di deposito della sentenza.
Depositato in Cancelleria
|
Copyright © Allarme Scientology. L'utilizzo anche parziale dei materiali di questo sito - testi, traduzioni, grafica, immagini,
digitalizzazione e impaginazione - con qualsiasi mezzo e su qualsiasi supporto, non è consentita senza il preventivo consenso
scritto del gestore del sito. Per richieste e chiarimenti contattare: allarmescientology@email.it |