Come venivano trattati bambini e bambinaie nella Sea Org, prima del divieto di fare figli? Ce lo spiega una ex tata che ha vissuto l'esperienza in prima persona. Di © JustSheila, gennaio-febbraio 2016, tratto da Ex Scientologist Message Board, novembre 2015
© Traduzione di Simonetta Po, aprile 2016
Nota della traduttrice: il testo è pieno di termini gergali del movimento. In caso di necessità potete consultare il glossario non ufficiale di termini e sigle interne.
Un giorno all'appello delle 15,00 ci dissero che c'era una situazione urgente alla Child Estates Org (CEO). [1] Mancava personale adeguato e cercavano volontari. La mia amica cercò di dissuadermi, mi disse che non ne sai mai più uscita, ma mi offrii per quel posto. Avevo 16 anni, ero scappata di casa e non sapevo assolutamente niente di Scientology.
Il primo giorno alla CEO c'erano talmente tanti EPFer che gli staff faticavano ad addestrarli e a organizzare tutto. Mi dissero che intanto potevo fare un giro per andare a vedere le nursery [nido per i bimbi – NdT]. All'epoca Scientology possedeva ancora il palazzo sulla Melrose Avenue [in seguito tutte le nursery e i bambini furono trasferiti su Fountain Avenue] e ci accompagnavano tutti i giorni avanti e indietro dal Big Blue [foto a destra] in bus. Le nursery si assomigliavano un po' tutte: stanze con file di lettini con le sponde dove i bimbi trascorrevano la maggior parte del tempo, locali drammaticamente sovraffollati con bambini col biberon appoggiato a fianco e puzza di candeggina, urina e pannolini sporchi. Girai per i corridoi e infilai la testa in ogni stanza. Una però era del tutto diversa, nel vederla rimasi a bocca aperta e mi si illuminarono gli occhi. Lì c'erano pochi bambini, era assolutamente calma e tranquilla. I corridoi del Melrose Child Care avevano la moquette dal colore indefinito, sporca, lisa e scolorita. I bambini vi correvano o camminavano a piedi nudi. Nei bagni mancavano alcune piastrelle, altre erano staccate, i tubi e i gabinetti perdevano. C'era muffa nelle fughe delle piastrelle e anche tra il pavimento e le pareti. Tutto l'edificio era infestato dagli insetti. Gli scarafaggi erano tenuti a bada dalla candeggina, ma si dovevano mettere stracci nelle fessure sotto le porte per evitare che arrivassero alle nursery. La manutenzione era inesistente. All'ora del bagno le tate usavano vaschette in plastica per non dover usare quelle a muro. Le stanze avevano pavimenti di linoleum consunto con gli angoli scollati. Tutto l'edificio era una vera topaia. Non riuscivo a capacitarmi, mi girava la testa. Perché i bambini venivano tenuti in un posto così orribile? mi chiesi. Ma c'era una nursery stranamente bella. La stanza immediatamente prima era quella di Dory (anche lei una EPFer di una ventina d'anni), 5 o 6 bimbi che dormivano beatamente. Lei era amichevole ma tesa. Mi salutò. Le chiesi se doveva badare solo a quei bambini e mi rispose di no, ne aveva altri 5 in fondo al corridoio, doveva andarli a controllare e uscì. Come ho detto prima, la nursery dopo quella di Dory era eccezionale, quasi non fosse nemmeno nella stessa struttura. E' strano pensare come a volte certi ricordi si fissano. Ricordiamo le prime volte: il primo giorno di scuola, il primo bacio, la prima litigata. Ricordiamo gli shock, come per esempio quando muore un familiare; ricordiamo i terremoti, le alluvioni, gli incendi. E ancora il profumo della rugiada sull'erba, l'odore del cancro o della cancrena. Ricordiamo i momenti di imbarazzo, di gioia, di vittoria o di perdita. In mezzo a tutte quelle cose c'è la routine, che però dimentichiamo. Ma ricordiamo l'insolito e, a volte, anche il profondo. Su una sedia fuori dalla nursery era seduto un ragazzo. Stava scrivendo, ma si accorse che mi avvicinavo. Ssst, mi accennò in silenzio, stanno dormendo. Mi scusai e gli chiesi se potevo dare un'occhiata veloce. Mi guardò di traverso ma alla fine acconsentì controvoglia. Ricordo quel giorno come fosse ieri. Ricordo quel ragazzo, quella nursery e quei bambini come fossi ancora lì. Nel corso del tempo le altre nursery, salvo quella di Dory, sono diventate un ricordo confuso, ma ricordo quella perché ciò che vidi era troppo bello per poterlo dimenticare. C'erano 5-6 bambini tutti profondamente addormentati. Mi colpirono le espressioni dei loro volti, il modo in cui i corpi erano disposti. Erano stati amorevolmente avvolti nelle lenzuola. Sui loro faccini non c'era preoccupazione, sorridevano. Avevano tutti accanto un pupazzetto, o un cuscino o un giocattolo – ogni lettino era personalizzato come un piccolo mondo fatto su misura per quel bambino. Non c'era puzza di disinfettante o di detersivo, solo l'odore dolce e pulito di bambino. Il ragazzo cominciò a spiegarmi che questo bambino amava quel peluche, quell'altro preferiva un giocattolo, e tutti i piccoli dettagli di ogni creatura, ma lo ascoltavo a malapena. Non riuscivo a staccare gli occhi dai loro volti. Erano felici, calmi, addirittura beati. Sapevano di essere amati e al sicuro. Ogni singolo volto in quella stanza esprimeva quella sicurezza, quel conforto, quella pace e tranquillità. Era una sensazione profonda e in quell'edificio, in quelle condizioni, sembrava un miracolo, un pezzetto di paradiso estraneo a quell'orribile corridoio. Poi il ragazzo mi spinse fuori. Era molto protettivo verso i suoi cuccioli. Mi disse che dovevo andarmene e lui aveva dei rapporti da scrivere. Gli chiesi come si chiamava. "Michael" rispose lui, e di non chiamarlo "Mike". Tutti si rivolgevano comunque a lui con il cognome. Solo quando salimmo tutti sull'autobus che ci riportava al complesso mi resi conto che anche Michael Hobson (Hobs) era un EPFer come me. Avevo pensato fosse un tato permanente, ero stupita perché in tutta la giornata avevo visto solo cinque bambinaie permanenti. Tutto lì, per tutti quei bambini? Tutto lì, prima che arrivassero gli EPFer? Eppure il numero degli staff amministrativi era altissimo. Solo qualche settimana dopo scoprii che quasi tutte le bambinaie erano scappate, che scappavano regolarmente perché nella Sea Org era il lavoro più duro e più emotivamente straziante. L'org che si prendeva cura dei bambini aveva un tasso di fuga tre volte superiore a tutte le altre org, come lessi più tardi in Evals [altro dipartimento – NdT] quando, a fine EPF, mi mandarono lì in missione e potei leggere i fascicoli. Sull'autobus c'erano molti posti vuoti e vidi Hobs occuparne due, era ancora concentrato a scrivere rapporti. All'arrivo facemmo la doccia, andammo in classe a studiare, poi la cena e ulteriore studio dei materiali dell'EPF. [Quel che segue è un commento dell'autrice a quanto scritto da un'altra utente del forum - NdT] Ciao Deanna. Sneakster ha ragione. Alcuni di noi lottarono duramente per migliorare la situazione e per questo ci prendemmo un sacco di insulti e di tensione. Era questo che rendeva quel lavoro così straziante. La situazione era altalenante, un continuo su e giù.Sull'EPF si facevano moltissime "verifiche di categoria stella". [2] Nella struttura principale del Big Blue c'era una grande area destinata alle classi dell'EPF con ancora sparsi in giro monitor cardiaci ed altre attrezzature ospedaliere fisse. Una delle aule ricordava ciò che un tempo era stata probabilmente una specie di biblioteca con divisorie tra una postazione e l'altra, lunghi tavoli e una serie di stanzette interconnesse. Ero una studentessa veloce perciò cercavo di continuo qualcuno che mi desse la verifica, entrando e uscendo di continuo dalle aule con il mio materiale del corso. Sebbene Michael avesse quell'espressione da "non scocciatemi", mi avvicinai a lui perché trovare chi mi desse verifiche era sempre più difficile. Grosso errore! La prima che feci con lui fu la verifica più approfondita che mi abbiano mai dato, mi chiese moltissime definizioni di parole e mi fece spiegare anche i concetti più elementari. Prima di darmi l'ok mi bocciò tre volte. Era moltometicoloso e non si lasciò impietosire. Non fu sgradevole o cattivo, ma nemmeno gentile. Questo era semplicemente il modo di Hobs faceva le cose, ma ancora non lo sapevo. Quando infine superai la verifica dissi al supervisore che avevo il ciclo e corsi in bagno per poter piangere da sola. Avevo 16 anni, per me era tutto nuovo e prima di allora non avevo mai incontrato nessuno come Michael Hobson. Mi asciugai gli occhi, indossai un sorriso e tornai in classe. Almeno quella verifica era fatta. Per la seconda volta in una giornata Michael Hobson si era distinto come una di quelle persone che non scorderò mai (Hobs, se mi leggi spero che tu stia ridendo con me). Postato da Prosecco Fu subito chiaro che nella Sea Org tutto aveva un ordine gerarchico. Anche sul EPF, chi stava per terminare era di status superiore ai nuovi arrivati, e gli EPFer reclutati nelle org del management o del GO venivano trattati con rispetto referenziale ancor prima di assumere l'incarico. Dopotutto, un giorno avrebbero potuto ricordarsi quanto gli stavi antipatico e mandarti sul RPF senza apparente motivo. Nella gerarchia delle org "Estates" [proprietà immobiliari – NdT] era la più bassa e la CEO era parte di Estates. Anche nella CEO c'erano comunque degli status, come appresi la prima settimana di lavoro. Nella mia nursery c'erano 32 bimbi tra gli 1 e i 2 anni, lettini da parete a parete così fitti tra loro che c'era appena lo spazio per muoversi, una piccola zona cucina con sei seggioloni e la zona gioco che conteneva al massimo dieci bambini. All'inizio fu abbastanza semplice, oltre a me c'erano una tata veterana e Dory, ma Dory aveva altri 12 bambini in due nursery dall'altra parte del corridoio per cui la vedevamo poco. Ma c'era questa cosa dello status, quindi Dory doveva darmi gli ordini su cosa fare semplicemente perché aveva fatto più Scientology di me. A nessuna delle due andava bene, lei aveva sempre qualche bambino in braccio. Ma doveva funzionare così, c'era questa gerarchia da rispettare, anche tra EPFer temporanei e part time. Uno dei nostri bambini non lo avevo ancora visto, era in infermeria (una stanza dove un "funzionario di collegamento medico" senza alcuna formazione medica isolava i malati) e nel momento stesso in cui presi servizio fu tutta una corsa frenetica. Pannolini, lenzuola, pulire, fare il bagnetto, preparare i pasti e tutti i giochi che riuscivamo a incastrare tra i turni dei bambini, perché la cucina e lo spazio giochi erano troppo piccoli per tutti. Vidi Michael Hobson di sfuggita all'ora del pisolino, mentre portavo fuori la spazzatura. Era in piedi nel corridoio davanti alla sua nursery e stava ancora scrivendo. Gli chiesi perché e che cosa scriveva di continuo e mi spiegò che cosa sono i "rapporti per conoscenza", che io non avevo ancora studiato. Non gli domandai perché li scrivesse, ero semplicemente contenta che qualcuno lo facesse, convinta che quando quei rapporti fossero arrivati alla dirigenza le cose sarebbero migliorate. Michael non aveva più la sua sedia. Mi disse che non gli permettevano di tenerne una nel corridoio e gliel'avevano portata via. Nella classe di studio dell'EPF, intanto, il supervisore del corso (Don) doveva aver notato il mio turbamento dopo la verifica che mi aveva dato Michael Hobson e immagino gli avesse parlato, perché alla successiva "verifica categoria stella" mi mandò di nuovo da lui. Quella volta Michael fu molto dolce e gentile, quasi avesse lasciato cadere il muro che si era costruito intorno. Penso non si fosse reso conto di avermi così ferita fino a che Don non glielo fece presente, e credo che Hobs si fosse sentito in colpa. Però non lo disse. Non era il tipo da perdersi in chiacchiere, ma quella volta fu incoraggiante e aperto, mi fece venire in mente i suoi angioletti alla nursery. Addirittura mi sorrise... ☺ La verifica fu veloce, appena cinque minuti. Quella sua piccola azione mi fece sentire in pace. Era un tipo a posto. Pensai tra me che se un adulto riusciva a mantenersi così dolce, gentile e totalmente disponibile, allora riuscivo a comprendere come una persona del genere dovesse proteggersi con una facciata burbera, dura. Era bello che al mondo esistessero persone come Hobson, persone che riuscivano a preservare intatta la parte migliore e più importante di se stesse, che mostravano solo in certi momenti. Mi chiesi se anche io ero riuscita a preservare una parte di me intatta e pura, ma non ne ero troppo convinta. Una persona come Hobs può farti osservare le cose in modo diverso. Il resto della mia storia alla CEO è così terribile che non ho voglia di raccontarla adesso. Vorrei invece dirvi qualcosa di più di Sneakster [lo pseudonimo che Michael Hobson usa sul forum EXSCN Members da cui ho tratto questi interventi – NdT]. Se Michael aveva una nursery di dimensioni più ridotte, la sola della CEO che rispettava i termini di legge, un motivo c'era. La prima e più importante ragione era che lui rifiutava di prendersi cura di un numero superiore di bambini. Per quelle creature Michael avrebbe sfidato chiunque. Faceva rapporti su ogni outness e citava le policy a memoria. La CEO non aveva mai avuto un nanny junior che rifiutava così tenacemente il compromesso o la resa. Hobs godeva di un certo appoggio, anche se tutti quei suoi "rapporti per conoscenza" avevano generato gelosie e si era fatto dei nemici. Anche io ero un po' invidiosa di lui, visto il gran numero di bambini di cui mi dovevo occupare. Ma la nursery di Michael era prossima all'ideale che si poteva ottenere in un posto orribile come quello, e lo era soltanto perché lui si impegnava anima e corpo e voleva che fosse così – ogni singolo giorno era una battaglia per tenere il fronte dell'accettabile. Michael adesso aveva la nursery dei figli dei VIP. Erano i bambini dei registrar e dei dirigenti tenuti in più alta considerazione, quelli che potevano permettersi di acquistare bei vestitini equalche extra. Un giorno vidi Hobs che faceva il bagnetto a una bambina. Mi dava la schiena e non sapeva che lo stavo osservando. La teneva nella vaschetta con grande e tenera sicurezza e le diceva sottovoce: «adesso laviamo il faccino» e cose del genere, le chiedeva se la temperatura dell'acqua fosse giusta e «va bene se ti lavo la schiena?». La bimbetta gorgogliava di piacere, poi Hobs la tolse dall'acqua deponendola su una salvietta pulita con cui la asciugò teneramente. Sorrisi. Stava per girarsi con la piccola in braccio e non volevo che mi vedesse, rischiando così di rovinare quel bel momento. Mi affrettai verso la mia nursery. Quando finalmente realizzai che quei bambini vivevano in realtà nella nursery giorno e notte rimasi scioccata. Era un posto piccolissimo e praticamente privo di stimoli. Quasi tutti i pochi giocattoli che avevamo erano rotti o incompleti, alcuni impossibili da disinfettare. Era un gruppo numeroso in uno spazio chiuso e minuscolo, perciò molto vulnerabile al contagio. Per mancanza di spazio, i bambini stavano quasi sempre nei loro lettini. Molti di loro non vedevano i genitori per settimane se non mesi di fila, alcuni li incontravano di rado. Gli staff che venivano a trovare i loro figli tutti i giorni erano pochi. E so che farlo significava per loro una guerra continua con i superiori, interessati unicamente alle statistiche e alla produzione, perciò quei genitori avevano sicuramente il cuore al posto giusto, il che si manifestava nella salute migliore e nell'atteggiamento più forte dei loro bambini. Quando compresi che i bambini stavano quasi sempre rinchiusi lì dentro, mi resi conto che non erano mai stati all'aria aperta, al sole. Le finestre delle nostre nursery erano piccole e la luce diretta era quasi totalmente bloccata dal palazzo di fronte, che era più alto del nostro. Tra i due edifici c'era solo un vicoletto e l'altra parte della nursery non aveva finestre. Lo feci presente alla tata anziana (che chiamerò Sue). Anche lei era preoccupata ma mi disse che ogni tanto li portavano fuori. In seguito ammise che nella sua nursery non era mai successo e si organizzò affinché il nostro minibus accompagnasse noi e bambini al vicino parco. Eccitate, preparammo l'uscita per due settimane: cestini da picnic, tate supplementari, coperte, pannolini, seggiolini, box per bebè, vestiti di ricambio e generi d'emergenza. Quando finalmente arrivò il gran giorno Sue, Dory, io e un'altra tata chiacchieravamo felici immaginando entusiaste quanto sarebbero stati felici i bambini. Era una di quelle belle giornate tipiche della California, soleggiata ma tiepida. Finalmente arrivammo al parco, stendemmo le coperte all'ombra e vi adagiammo i bambini, che a occhi spalancati si guardavano intorno. Pensai che lo shock sarebbe passato presto e già li immaginavo sgambettare allegramente sull'erba, mentre noi avevamo il nostro daffare per tenerli a bada. Non successe nulla di tutto questo. I bambini osservavano impauriti le chiazze che il sole disegnava sul prato filtrando tra i rami, terrorizzati all'idea di avvicinarsi. Quando cercavamo di incoraggiarli a esplorare, scoppiavano a piangere e si aggrappavano a noi. Il meglio che riuscirono a fare fu disporsi sulle coperte all'esatta distanza dei loro lettini, quasi vi fossero ancora rinchiusi nella nursery, uno di fianco all'altro. Mi sentii morire. Alla loro età, compresa tra i 12 e i 24 mesi, il loro "mondo sicuro" era la dimensione dei loro lettini con le sbarre. Non ci trattenemmo a lungo, forse un'oretta. Sue insistette per tornare perché i bambini erano troppo spaventati. Erano addirittura terrorizzati dai chiaroscuri del sole sull'erba. Salimmo sul minibus in silenzio, guardavamo fuori dal finestrino con i bambini in braccio, ognuna persa nei suoi pensieri. Quella giornata di sole cominciata con tanta speranza, promesse e buone intenzioni era improvvisamente diventata cupa. I bambini sono imprevedibili, spesso nel migliore dei modi. Risultò che l'avventura nel parco aveva insegnato molto, anche se non nel modo che ci saremmo aspettare. Il giorno dopo e per settimane a venire i bimbi furono molto vigili e turbolenti. Ogni volta che Damien girava la testa, Molly gli rubava il cibo dal piatto. Ora Tiffany riusciva ad arrampicarsi fuori dalle sponde del lettino, Brandon si strappava di dosso i pannolini, Jason aveva imparato a lanciare con precisione i suoi peluche. Jessica era impegnata nell'esplorazione dei diversi sapori e densità di legno, plastica e cotone e nessuno di loro riusciva più a stare a lungo confinato nel lettino. I tre più grandicelli erano ora affascinati dalla finestra, che avevamo bloccato con un'apertura di 8 centimetri. Improvvisamente erano diventati molto espressivi e dall'adolescente energica che ero, adoravo ogni minuto trascorso con loro. Sue la pensava diversamente. Dopo la nostra gita deludente al parco non fu più la stessa. Oggi so che si trattava di dissonanza cognitiva. Per Sue fu l'inizio della fine. Era in Sea Org da nove anni e aveva lavorato quasi sempre come tata. La statistica del suo incarico era "abilità riguadagnata"; le facevo notare tutti quei progressi meravigliosi dei nostri bambini, ma nulla la faceva sorridere. Avevamo ancora un bambino in infermerie, e lei era preoccupatissima per lui. Poi un giorno Brandon si tolse il pannolino e riuscì a spingerlo fuori dalla finestra. Il suo tempismo fu impeccabile – il Direttore Esecutivo della CEO stava giusto entrando nel palazzo con alcuni uomini in abito scuro quando il pannolino gli si schiantò davanti. Giuro che è vero! ☺ «Chinati!», urlai a Sue così che non ci potessero vedere alla finestra, e spostai Brandon. Ridevo a crepapelle, noi due piegate sotto il davanzale per nasconderci mentre ancora tenevo stretto Brandon, il lanciatore di pannolini. Poi qualcuno nel corridoio cominciò a battere sulle porte urlando «Condizione Uno! Condizione Uno! Chiudere a chiave le porte!» Sue mi spiegò che era l'esercitazione per l'arrivo degli ispettori. Dovevamo tenere tranquilli i bambini, non fare rumore e se qualcuno avesse bussato alla porta, dire che eravamo sotto la doccia. Durò un quarto d'ora, poi qualcuno urlò «Via libera!» L'ispettore non bussò mai alla nostra porta. Nonostante Brandon gli avesse lanciato un pannolino praticamente sulla testa, indicando chiaramente la posizione della nostra caotica nursery, non venne a bussare. Forse una bustarella? Nelle sue direttive o altrove, L. Ron Hubbard non ha mai scritto che le tate avevano il diritto legale di portare i bambini ammalati dal medico. Solo i genitori potevano farlo. Il nostro bimbo (che chiamerò Joshua) era in infermeria da almeno tre settimane, ma forse da mesi. Era già malato prima del mio arrivo. Sue era molto preoccupata e un giorno mi chiamò e mi chiese di portarlo nel palazzo di fronte, dove c'era un ambulatorio pediatrico gratuito. Si raccomandò che fingessi che fosse mio e che non parlavo inglese, e di fargli prescrivere degli antibiotici. Non riuscivo a credere alle mie orecchie e fui travolta da una serie di emozioni: rabbia che quella decisione non fosse stata presa prima, grande preoccupazione per il bambino, shock nel constatare che sua madre, l'ufficiale di collegamento medico (MLO) e l'organizzazione non avessero voluto o potuto farlo, e totale incredulità. «Dov'è sua madre?», domandai a Sue. «E' in missione. Abbiamo cercato di metterci in contatto con lei, ma non ci siamo riusciti», mi rispose. Il bimbo era febbricitante, sottopeso e pallidissimo. Buon Dio, pensai, povera stellina. E mi si riempirono gli occhi di lacrime. L'ambulatorio era piccolo, c'erano quasi solo mamme ispaniche con i loro bebè. Non dovetti attendere a lungo. Quando il medico vide le condizioni del piccolino sgranò gli occhi e si arrabbiò. Quale medico non l'avrebbe fatto? Mi sgridò per non averlo portato prima e mi chiese come si era ammalato. Chinai la testa e alzai le spalle dicendo qualche parola in un inglese stentato e qualche parola in spagnolo, con il miglior accento che ricordavo dalla scuola. Non avevo idea di come si fosse ammalato né perché non lo avessero portato prima, quindi non sarei comunque riuscita a rispondergli. L'esperienza fu umiliante. Non avrei mai permesso che un bambino si ammalasse a quel punto senza sentire un medico, ma lasciai che mi strigliasse e se la prendesse con le madri adolescenti che non sanno quel che fanno. Era un modestissimo prezzo da pagare per far guarire Joshua, un bambino innocente. Il medico gli fece subito una iniezione e mi spiegò severamente che dovevo dargli le medicine due volte al giorno, altrimenti sarebbe morto. Me ne andai sollevata all'idea di avere i farmaci per farlo guarire. Trovai Sue nell'ufficio del MLO che spiegava alla funzionaria di avermi mandata all'ambulatorio per avere degli antibiotici. La funzionaria di collegamento medico era una bionda alta con la voce roca e i capelli che sembravano un alveare. Porsi Joshua a Sue, che lo rimise dolcemente nel suo lettino. Poi le diedi gli antibiotici e spiegai a entrambe quanto fossero importanti, il medico si era raccomandato di darglieli due volte al giorno, altrimenti Joshua poteva morire. Il seguito della storia mi dette gli incubi per anni. La MLO (che chiamerò Marion) disse a Sue di consegnarle le pastiglie e guardò l'etichetta. «Proprio come pensavo», commentò. Aprì il rubinetto e cominciò a gettare le medicine nel lavandino. «Che cosa sta facendo!?», urlai. «Il dottore mi ha detto che senza quelle medicine il bimbo morirà! Si fermi!» e cercai di afferrarle, ma era troppo tardi. Marion l'arrogante, l'autoproclamata guru so-tutto-io della medicina alternativa (che possa bruciare all'inferno) balbettò qualcosa sul fatto che sapeva quel che faceva. E i preziosi antibiotici di cui il bimbo indifeso per cui avevo appena mentito aveva assolutamente bisogno finirono tutti nello scarico. Ciao Face.Anche Sue rimase turbata dal fatto che la MLO avesse gettato gli antibiotici nello scarico. Il giorno dopo scrisse per due ore un "rapporto per conoscenza". Io ero ancora fresca e molto "wog", quindi totalmente disgustata da ciò che avevo visto fare. Grazie all'iniezione che gli aveva fatto il medico, nelle 24 ore successive Joshua ebbe un leggero miglioramento. La febbre scese e il colorito migliorò, ma continuava ad avere una terribile diarrea. Marion-la-stronza lo rimandò subito alla nostra nursery con la debole scusa che l'ufficio del MLO "non aveva posto". Sue era furibonda, il bambino non stava bene, era ancora in pericolo così scrisse ulteriori rapporti. Joshua fu isolato dagli altri bambini, il suo lettino spostato dietro al nostro già piccolo spazio giochi. Quel poco che sapevo di antibiotici era sufficiente per prevedere che se il bimbo non avesse seguito la terapia sarebbe peggiorato. Infatti dopo alcuni giorni era nelle stesse condizioni di quando lo avevo portato dal medico e continuava a peggiorare, nonostante gli strani preparati "magici" della MLO. Poi sulla mia testa arrivò la seconda tegola. Sue annunciò che sarebbe andata in vacanza per tre settimane e che toccava a me occuparmi di due nursery. Mi disse che non si prendeva le ferie da 8 anni. Organizzò tutto così che la potessi sostituire. Dory era corresponsabile di Joshua, la MLO doveva controllarlo due volte al giorno, sarebbero venuti degli staff amministrativi a dare una mano, ecc. Sembrava che fosse tutto sotto controllo e che avrei avuto molto aiuto. Dory doveva badare da sola a 12 bambini, quindi si fece vedere soltanto una volta. Nessun altro venne a darmi una mano e per l'intero periodo non potei allontanarmi neanche per cinque minuti. Quando ero arrivata alla CEO non avevo nessuna formazione di pronto soccorso né di bambini, e lì non mi avevano insegnato nulla. Sapevo pulire, cambiare i pannolini e le lenzuola, riscaldare le pappe e i biberon e cucinare cose semplici. Sapevo che i bambini adorano le coccole e che i quelli malati dovevano essere visitati da un pediatra, e lì finiva la mia "formazione". Non avevo nemmeno i numeri di telefono o gli indirizzi a cui contattare i genitori o chi ne aveva responsabilità legale. Mi muovevo veloce, ma faticavo a tenere il passo. Le giornate erano tutte un cambiare pannolini. A mio favore posso dire che riuscii a mantenere una buona igiene e a nutrirli tutti. Nessuno dei miei circa 30 bimbi si ammalò, nemmeno un'irritazione da pannolino. Ma Joshua continuava a peggiorare e ogni giorno diventava più debole. Era apatico e pallido, aveva ancora la diarrea e non riusciva nemmeno a reggere il biberon. Feci sapere alle altre tate che era molto malato, qualcuna riusciva a contattare sua madre? Una volta mi trattenni fino a tardi, persi l'autobus degli EPFer per il Big Blue, così da sostituire la tata notturna che intanto cercava di contattare la madre. Quella tata non sembrava per niente preoccupata, quasi che non avesse visto quanto Joshua era peggiorato, e anche quel suo atteggiamento mi turbò parecchio. Col senno di poi era quell'atteggiamento illusorio che porta a credere che tutto in Scientology è bellissimo e che impedisce di vedere l'ovvio. Ma era una brava persona e aiutava come poteva. Per tornare al Big Blue presi il bus dei genitori, arrivai con due ore di ritardo, persi l'appello e ovviamente mi mandarono in Etica. Durante la notte Joshua peggiorò visibilmente. Quando il mattino dopo arrivai respirava a fatica, aveva una diarrea spaventosa, era debole e leggero come una bambola di pezza. Ero veramente infuriata. Gli altri bambini riuscivano a piangere e a urlare, ma questo stava morendo e aveva urgente bisogno di attenzioni, DOVE CAVOLO ERA SUA MADRE? Joshua era ammalato da almeno sei settimane, forse da mesi, e non si riusciva a trovarla. Gli diedi del succo di mela con acqua, non mi fidavo del beverone della MLO. Avrebbe trattenuto almeno un po' di liquidi? Lo tenni stretto al petto, lo cullai, pregai. E gli dissi: «Joshua, devi tenere duro. Qualsiasi cosa facciano i bambini per indurre le loro madri a proteggerli, devi farla. Devi farlo subito. Abbiamo bisogno di tua madre subito, così che tu possa guarire.» Non osavo metterlo giù, ero terrorizzata per questo bambino e non sapevo assolutamente che cosa fare. Poi entrò nella nursery, tutta agghindata nel suo splendore missionario di falsa divisa della Marina. Ero lì, ancora con Joshua tra le braccia, e me la trovai davanti. Cominciò con un tono arrogante da «come osi interrompere una missionaria con il tuo dev-t», ma a metà della frase guardò il bambino malato tra le mie braccia e riconobbe subito suo figlio. La voce perse quella qualità di comando e di arroganza, diventò incerta. Dopotutto era una madre. Amava il suo bambino e la voce tradiva quell'amore. Aveva detto qualcosa del tipo «Sono in missione e mi hanno interrotto per venire qui. Che accidenti vuoi?», ma erano solo parole. Vidi i suoi occhi e lei vide i miei. Vidi come guardava Josh e il cambiamento in lei mentre il valore delle sue priorità cambiava improvvisamente. Alcuni di voi conoscono quello sguardo. Anons lo ha descritto. E' come se il velo cadesse, se il condizionamento si sgretolasse all'improvviso e l'immagine pubblica Scientology si dissolvesse. E ciò che resta è un vero essere umano. Davanti a me c'era adesso una madre che soffriva una pena infinita – una madre che amava il suo bambino e da cui era stata indotta ad allontanarsi con l'inganno, presa in un mondo illusorio in cui davvero credeva di fare il meglio per se stessa e per suo figlio. Davanti a lei c'era adesso la terribile evidenza che non era vero niente. Era stata ingannata, suo figlio l'adorava, si stava consumando per lei, era stato terribilmente ingannato. Improvvisamente la mia rabbia svanì. Evitai di farla sentire in colpa – stava già soffrendo terribilmente, e le misi tra le braccia il piccolo Josh. Trasalì nel rendersi conto delle sue condizioni e di quanto fosse leggero. «Devi fare in fretta, non c'è un minuto da perdere», le dissi. «Devi andare immediatamente al pronto soccorso dell'Ospedale Pediatrico. Corri. Se la polizia ti ferma digli che tuo figlio sta morendo e che ti devono accompagnare all'ospedale. Fai in fretta, subito!» «Non posso portarlo all'ambulatorio?» «No! Non possono fare niente per lui, sta troppo male. Se non lo porti immediatamente all'ospedale morirà. Spero che tu faccia in tempo. Svelta!» La donna se ne andò e io non ho mai più visto Josh. Per quel che so possono pure essere fuggiti da Scientology. Nessuno sembrava sapere che ne era stato di loro. Poiché non mi hanno mai interrogata sul grosso flap che avevo provocato o sul fatto che il figlio di una missionaria della Sea Org era morto, posso solo concludere che la donna corse all'ospedale e che che Josh sia sopravvissuto. Forse quella donna scrisse qualcosa di carino su di me per la mia cartella di etica, perché quando terminai l'EPF ero stata raccomandata per una missione alla CEO: La missione CMO per trasferire la CEO dal palazzo sulla Melrose al palazzo sulla Fountain. Nel 1983, quando ero sul FP AOLA [Financial Planning – Advanced Org Los Angeles – NdT] con l'incarico di Exec Esto, per ogni bambino in custodia la CEO fatturava ad AOLA 65 dollari a settimana, che coprivano oltre 16 ore di affidamento per 7 giorni la settimana, senza addebiti extra. Quei 65 dollari dovevano pagare le spese per: Dopo la vicenda di Josh io e il resto dei bambini ce la cavammo. Stavano bene, non ci furono problemi di salute o di altra natura. Ho un ricordo confuso di pannolini, pasti, biberon e pulizie senza nulla di significativo. Sue tornò dopo quattro settimane o più, ben oltre le tre che le avevano concesso dopo 8 anni di lavoro. Quando vide che Josh non c'era più diede di matto e scoppiò a piangere. Temeva il peggio. Durante le vacanze in famiglia era stata bene, ma non aveva mai smesso di preoccuparsi per lui. La abbracciai e le dissi che era venuta sua madre a prenderlo. Ne fu molto sollevata. Poi mi chiese che cosa avevo detto a sua madre. Quando glielo raccontai parola per parola, sgranò gli occhi nel sentire quanto il piccolo fosse peggiorato e quanto ero stata irrispettosa con una missionaria. In fondo mi ero comportata da adolescente molto "wog" e, ignorando tutta la "catena di comando" di Scientology, le avevo detto di correre in ospedale. Ne fu veramente turbata e non mi parlò mai più di Josh. Non sapevo se mi ero cacciata nei guai e non mi importava. Volevo soltanto tornare sul EPF. Non ero ancora pronta per fare la madre, in particolare di tanti bambini, era troppo duro, in tutti i sensi. Ero anche diventata del tutto consapevole della mia mancanza di istruzione, educazione, esperienza e limiti. Non mi sentivo una eroina, solo una fallita e volevo gettarmi tutto alle spalle. Prima dell'esperienza nella CEO il bambino più piccolo a cui avevo fatto da baby-sitter aveva sei anni. E' vero che avevo cercato di fare del mio meglio, ma per me era del tutto insufficiente e tristemente inadeguato. Il giorno dopo Sue mi disse che la MLO era stata sottoposta a "Commissione di inchiesta" [tribunale interno di Scientology - NdT] ed espulsa. Era stata alla CEO per nove mesi, tutti i bambini malati erano rimasti malati e non aveva mai fatto ispezioni nelle nursery per verificare l'igiene ecc. Sue agfgiunse che dovevo tornare sul EPF e che non aveva saputo nulla di Josh. Qualche mese dopo tornai alla CEO come missionaria, ma Sue non c'era più. Nessuno mi seppe dire dov'era andata, quindi con ogni probabilità aveva "fatto blow" [era scappata – NdT]. Al suo posto c'era una nuova tata con molti meno bambini. Quelli che vidi mi riconobbero e mi fecero le feste. Poi trasferimmo la CEO nell'edificio sulla Fountain. Hai ragione sugli antibiotici, Sneak.Prima di raccontarvi la "missione per il trasferimento da Melrose" vi dirò qualcosa di più su una delle tate, o meglio dei tati: Michael Hobson o Hobs, aka Sneakster. Tornare al lavoro manuale dell'EPF, senza lo stress e le preoccupazioni per la salute dei bambini, mi fece sentire sollevata. Dory era rientrata la settimana prima ed ero l'ultima EPFer rimasta alla CEO, salvo ovviamente Michael Hobson. Con l'arrivo continuo delle nuove reclute, le classi dell'EPF erano state divise e trasferite. Adesso c'era una grande classe per il Prodotto Zero e un'altra per il Prodotto Uno e Due. La mia org era la PAC Training Org che addestrava gli EPFer di Estates, perciò conoscevo bene il personale e mi intrattenevo con alcuni di loro a fine giornata. Una sera ero sola con il supervisore del corso (Don) e cercavo di trascinarlo via per suonare il piano e cantare un po', ma arrivò l'altro supervisore (che chiamerò Nancy) per chiedere il suo aiuto con uno studente, Michael Hobson. Don non ne fu contento. Le chiese se avesse fatto questo e quello, cose da supervisori, Nancy continuava a rispondere di sì e a pregare Don di lavorare con lui, perché lei aveva esaurito le risorse. All'epoca nella classe c'era ancora un piccolo ufficio a vetri. Don mi disse di attendere fuori che non ci sarebbe voluto molto. Dubitai seriamente di quel "non ci vorrà molto". Restò con Hobs per parecchio tempo. I nostri amici Dave e Mickey arrivarono e se ne andarono, io ero seduta vicino alla porta e sentivo tutto. Pensai che Hobson, con tutta la sua intelligenza e caparbietà, non l'avrebbe spuntata su Don che era un vero genio, membro del Mensa da quando era piccolo, da quando ancora significava qualcosa. Hobs stava studiando un nastro, all'epoca avevamo pochissime trascrizioni nessuna delle quali ufficiale. Non era riuscito a capire una parola detta da Hubbard e non accettava quella che Don gli aveva suggerito e che calzava con la frase di L. Ron. Insisteva che si trattava di un'altra parola con una definizione rara e oscura, e da lì cominciarono a discutere di astronomia, di parti di una nave e di come funziona il motore di una nave. Hobs aveva imparato da solo e nel dettaglio tutte quelle cose, mentre faceva chiarimento di parole. Adorava imparare, soprattutto i particolari. La sua educazione non era al livello di quella di Don, ma poteva tenergli testa e mi stavo perdendo nella meccanica specifica di una nave. Non ricordo che sull'EPF sia mai sceso nulla in quei dettagli estremi. Ogni volta che Don cercava di riportare la discussione alla parola del nastro e come si incastrasse nel discorso di L. Ron, Hobs tornava a un qualche altro dettaglio. La pazienza del supervisore si stava esaurendo. Lo vidi tirarsi i capelli dietro le orecchie, cosa che di solito faceva quando era stressato. Andò avanti così per oltre un'ora. Bussai per dire a Don che ero stanca e me ne andavo. Lui mi disse «ancora due minuti», ma continuarono a discutere per altri 20. Alla fine Don si tirò in piedi, alzò la voce e disse a Michael che la parola era quella, il suo significato era quello, la sua applicazione era quella e non c'è altro. Fine. La cosa più memorabile fu l'espressione sul viso di Michael quando Don alzò la voce. Era chiaro che fino a quel momento non si era reso conto di quanto lo aveva infastidito. Improvvisamente si sentì in colpa, si scusò per averlo trattenuto così tanto e lo fece con tale dolcezza che Don non poteva sentirsi arrabbiato. Non c'era più tempo per suonare il piano. Hobs se ne andò, io e Don ci augurammo la buona notte e ci incamminammo verso i nostri rispettivi dormitori. Alla fine del 1977 o i primi del 1978 ero sull'ultimo corso del Prodotto 2 del EPF, addestramento da Missionario di 3a classe. Un giorno una missionaria di CMO mi chiamò fuori dall'aula. Si chiamava Sonny o Sidney, uno dei due. Penso Sydney Koppel. Era alta, magra, con lunghi capelli dritti e biondi e un approccio pratico, credo che fosse sulla ventina. Mi chiese se volevo andare in missione, aggiungendo che ero stata raccomandata per quell'incarico. Non mi avrebbe fornito i particolari fino a che non avessi accettato, mi disse solo che si trattava della CEO e che lei era il capo missione. Accettai e diventai il terzo della missione. Il secondo era Barbara Yarbrough, che è ancora in Scientology. Quando sentii che stavano trasferendo la CEO nel palazzo sulla Fountain la mia reazione fu: «PERCHE' LI'?» Conoscevo bene quello stabile, era una scelta orribile, era anche molto più piccolo di Melrose. Era un condominio vecchio e fatiscente con un lungo corridoio d'ingresso. Quasi tutti gli appartamenti avevano una sola camera da letto, la moquette era indecente. Inoltre l'adiacente parcheggio multipiano lo teneva sempre un ombra su un lato. Era infestato dagli scarafaggi, l'impianto elettrico era scadente e quello dell'acqua perdeva da tutte le parti. La moquette era lercia e consumata, chissà quali schifezze nascondeva. In breve, era una bettola. Syd mi disse «Lo so», ma non era stata lei a scegliere quel posto. Era l'unico edificio disponibile nelle vicinanze e sarebbe stato temporaneo. Per qualche motivo la dirigenza superiore riteneva che i bambini dovessero essere vicino al Big Blue, ma non dentro il complesso. Il palazzo sulla Melrose sarebbe stato venduto. Quello sulla Fountain era in affitto e all'epoca i proprietari non volevano vendere. Syd era contenta che i bambini sarebbero stati molto più vicini ai genitori e disse che alla fine sarebbero riusciti ad andare a casa con loro. Quella parte mi piaceva molto, ma per i piccoli il palazzo sulla Fountain era la peggior scelta possibile. Ricordo qualche passaggio dell'ordine di missione, che ho già citato altrove. Tra le altre cose, mi dissero che come tate sarebbero venute le EPFer perché quelle che c'erano non erano adeguate ed erano state spostate altrove (tra cui due che molestavano i bambini, una tata e una no). Si spiegavano in dettaglio anche le pessime condizioni delle nursery: scarafaggi, infestazione di parassiti, malattie epidemiche, cibo di scarsa qualità, condizioni insalubri, mancanza di esercizio fisico per i bambini, ecc. Era tutto lì, nero su bianco, cose note all'altissima dirigenza (si legga L. Ron e Mary Sue Hubbard). Gli Ordini di Missione e le istruzioni su basavano su una Eval [valutazione]. Ciò che però mancava nei briefing della missione erano i particolari delle ricerche fatte su altri edifici dalla "missione edifici" che aveva trovato strutture migliori e più adeguate, che però erano state scartate da L. Ron Hubbard in persona.
Il palazzo sulla Fountain era una topaia, totalmente inadatto a dei bambini. Come ha scritto Face [altro utente del forum – NdT], Hubbard aveva bocciato gli immobili raccomandati dalla missione di ricerca e aveva bocciato i costi per il trasporto e i tempi di trasferimento, che avrebbero distolto i genitori dal loro lavoro. Aveva scelto di sistemarli nella topaia sulla Fountain solo per risparmiare e per far lavorare di più i genitori. Hubbard era l'unico che poteva approvare l'acquisto o l'affitto degli edifici. E quello non era il posto giusto per la nursery. Hubbard voleva tagliare i costi, punto. Il mio compito consisteva nel coordinare le tate per il trasferimento. Non mi piaceva dare ordini, men che meno alle tate. Lavoravo meglio con la gentilezza e l'aiuto. Le tate fecero un lavoro stupendo, il trasferimento andò via liscio e tutte le missionarie ricevettero il massimo dei voti. Il palazzo sulla Fountain era stato ridipinto e avevano cambiato la moquette, ma cessata l'eccitazione per la novità, in meno di due mesi era tornato un posto orribile e i bambini erano infelici. La mia parte della storia termina qui. Altri sanno e hanno visto che cosa succedeva sulla Fountain, così lascio la parola a loro. 1. L'organizzazione Scientology che si occupava dei figli dei membri della Sea Org. Dal 1991 i membri della Sea Org non possono più avere figli e le coppie che desiderano portare a termine la gravidanza vengono sospese e declassate. Si veda I bambini in Sea Org – la soluzione finale e Vietato avere bambini.
2. "Perfetto al cento per cento alla lettera nella conoscenza e comprensione, e che dimostra ed è in grado di ripetere i materiali senza alcun ritardo di comunicazione." Tratto da Dizionario Tecnico di Scientology, ed. 1998.
|
Copyright © Allarme Scientology. L'utilizzo anche parziale dei materiali di questo sito - testi, traduzioni, grafica, immagini,
digitalizzazione e impaginazione - con qualsiasi mezzo e su qualsiasi supporto, non è consentita senza il preventivo consenso
scritto del gestore del sito. Per richieste e chiarimenti contattare: allarmescientology@email.it |