(A cura del Prof. Assunto Quadrio - Università Cattolica di Milano)
È capitato anche a me come, credo, a molti altri colleghi che si occupano di psicologia sociale di essere interpellato ogni tanto per qualche conferenza in tema di "comunicazione persuasiva" oppure di essere richiesto come consulente per qualche campagna pubblicitaria o propagandistica di tipo commerciale o politico. Ogni volta che mi sono state rivolte delle richieste di questo genere non ho potuto evitare una certa ambivalenza ed un certo disagio. Da un lato, infatti, riconosco di aver provato un certo compiacimento per essere ritenuto appartenente alla categoria di coloro che conoscono ed usano le "armi della persuasione"; dall'altra mi sono sentito colpevole, vuoi di presunzione vuoi, al contrario, di truffa ai danni delle persone da persuadere.
Ogni volta, poi, che, a posteriori, mi sono stati illustrati i risultati efficaci di qualche azione o campagna persuasiva, mi sono trovato nuovamente a disagio ed ho cercato in ogni modo di trovare una spiegazione "eccezionale" del fenomeno di influenzamento perché, in sostanza, mi disturba dover constatare che, negli anni 2000, l'umanità così esperta e tecnologicamente progredita continui a manifestare tanta ingenuità e tante debolezze.
Probabilmente l'illusione razionale che mi porto dietro sin dai tempi del liceo ha resistito bene a tutta la psicologia che ho studiato e praticato; ha esorcizzato tutte le diavolerie regressive di cui parla la psicologia sociale o clinica: conformità, imitazione, suggestione, identificazione, plagio e via dicendo. Così io continuo a pensare che millenni di storia, di filosofia, di cultura non siano passati invano e che l'umanità debba pure decidersi a mostrare che ha imparato a riconoscere quei meccanismi che ha visto tante volte rappresentati in tragedie o commedie. Non può essere quindi che l'ignoranza e la dipendenza ipocritica siano tanto ampiamente diffuse come ci raccontano gli psicologi o i persuasori occulti: la suggestionabilità non può essere che un fenomeno di minoranza che avrà vita breve.
Partendo da queste premesse è comprensibile come io non simpatizzi né con i persuasori e neppure con i persuasi che mi appaiono, in qualche modo, colpevoli anch'essi; e come io continui a sperare che almeno i nostri posteri siano un po' meno eterodiretti e riescano a liberarsi di tutti quei manipolatori del consenso che sfruttano le loro debolezze ed il loro narcisismo.
Ho scritto questa premessa "personalizzata" per poter confessare che ho affrontato la lettura del volume di Cialdini con molti pregiudizi pensando di trovarlo divertente ma con qualche pecca di superficialità. Invece ho dovuto ricredermi: il volume è davvero divertente e per niente superficiale. È chiaro, non saccente né cinico ma ampiamente documentato su quel che dice, con un continuo riferimento ad esperienze di laboratorio o sul campo.
Cialdini illustra gli abissi dell'umana persuadibilità, ma lo fa in modo che l'umanità stessa non ne esca priva di dignità. L'ambizione del volume è dichiarata esplicitamente dall'autore: dimostrare che le varie tecniche di "acquiescenza" (come egli le chiama) sono riconducibili a sei diverse categorie, ognuna delle quali corrisponde ad un principio psicologico di base, un fattore che «...orienta e dirige il comportamento umano e pertanto dà alle tattiche usate il loro potere».
I sei principi che compongono questa sorta di sistema persuasorio sono elementi ben conosciuti dell'universo psicosociale: la coerenza-impegno, la reciprocità, la riprova sociale (o imitazione), l'autorità, la simpatia, la scarsità (o timore di restare privi di qualcosa). Ciascuno di questi principi, nelle sue molteplici incarnazioni teoriche e pratiche, rappresenta un fattore motivazionale molto importante, un elemento portante del comportamento individuale e sociale in ogni sfera della convivenza e dell'azione, un dato, quindi, di abitudine, consueto e rassicurante. Non meraviglia dunque che noi siamo sempre pronti ad accettare esempi o argomentazioni, situazioni anche nuove che si riferiscano ad uno di tali fattori.
Se un persuasore fa appello alla mia coerenza non mi trascina affatto su un terreno nuovo e quindi ansiogeno; al contrario, egli mi dà l'illusione di combattere sul mio terreno abituale, di mantenere o ricostituire un equilibrio consueto. Basta che egli inserisca la sua argomentazione con un minimo di abilità per trovarmi disponibile a pensare od agire come egli vuole. Lo stesso accade per ogni altro fattore; pensiamo al meccanismo della reciprocità: è talmente abituale e diffuso che non ho difficoltà a lasciarmi guidare da esso. Anzi, è la sua mancanza a pormi in crisi, ad indebolire le mie difese e le mie diffidenze ed è proprio su questo che il persuasore fa leva.
Il sistema proposto da Cialdini è scientificamente attendibile. Ma lo stesso autore ci pone in guardia contro di esso proprio sottolineandone l'attendibilità. La sua argomentazione, che chiude il volume in un ultimo capitolo critico, parte da premesse che la psicologia cognitiva ci ha abituato a considerare: l'uomo è un risparmiatore di energie cognitive, un abile scopritore di euristiche e altre scorciatoie di ragionamento; sa trarre conclusioni da un minimo di informazioni e compiere sintesi fulminee su pochi dati presenti. Se questo è vero, afferma Cialdini, dobbiamo stare in guardia doppiamente contro i persuasori occulti; probabilmente essi conoscono le nostre abitudini cognitive e soprattutto la necessità ineliminabile di procedere in modo "economico", di cogliere segnali parziali ed incompleti, informazioni sommarie. Può darsi che essi siano tentati di colpirci proprio "lungo le scorciatoie" del pensiero per indurci ad azioni e decisioni sbagliate; quelle scorciatoie a cui non possiamo affatto rinunciare perché ormai il rapporto fra informazioni possibili e capacità di elaborazione mentale è divenuto quasi impossibile.
Occorre quindi un "contrattacco": non indiscriminato, non generalizzato ma limitato a quei persuasori che «falsificano, adulterano o fabbricano di sana pianta quei segnali che naturalmente attivano le nostre risposte automatiche…». Ma vi sono anche coloro che «si comportano lealmente» e possono essere considerati «alleati in un proficuo gioco di scambio…». Sono quegli informatori sociali che lavorano su dati reali e che quindi svolgono un proficuo ruolo di guida ed orientamento del comportamento altrui
Introduzione
Ormai posso ammetterlo tranquillamente. Per tutta la vita sono stato un ingenuo. Per quel che riesco a ricordare, sono stato facile preda di venditori, esattori, rappresentanti, operatori d'ogni genere. È vero, solo alcune di queste persone avevano scopi disonesti: gli altri - per esempio, gli inviati di certe istituzioni benefiche - erano animati dalle migliori intenzioni. Fa lo stesso. Con una frequenza imbarazzante, mi sono trovato in possesso di abbonamenti a riviste che non desideravo affatto, o di biglietti per un ballo di beneficenza. Probabilmente questo antico status di vittima designata spiega il mio interesse per lo studio dell'acquiescenza. Quali sono esattamente i fattori che inducono una persona a dire di sì alle richieste di un'altra? E quali sono le tecniche che sfruttano con più efficacia questi fattori? Perché una richiesta formulata in un certo modo viene respinta, mentre una richiesta identica presentata in maniera leggermente diversa ottiene il risultato voluto?
E così, come psicologo sociale, ho cominciato a fare ricerche sulla psicologia dell'acquiescenza. Dapprima il lavoro di ricerca prese la forma di esperimenti eseguiti per lo più in laboratorio su studenti universitari. Volevo scoprire i principi psicologici che intervengono nella tendenza ad accondiscendere alle richieste. Oggi gli psicologi ne sanno abbastanza su questi principi, quali sono e come agiscono. Io li ho definiti "armi di persuasione"; alcune delle più importanti le descriverò nei capitoli di questo libro.
Dopo qualche tempo, però, cominciai ad accorgermi che il lavoro sperimentale, benché importante, non bastava. Non mi permetteva di giudicare l'importanza di quei principi fuori delle mura del laboratorio e dell'università dove li esaminavo. Mi resi conto che se volevo capire appieno la psicologia dell'acquiescenza, avrei dovuto allargare il mio campo d'indagine. Avrei dovuto studiare i professionisti della persuasione, le stesse persone che spesso avevano usato quei principi su di me con tanto successo. Loro sanno che cosa funziona e che cosa non funziona: lo garantisce la legge della sopravvivenza. Il loro mestiere è farci acconsentire alle richieste e i loro mezzi di sostentamento dipendono proprio da questo. Quelli che non sanno portare la gente a dire di sì ben presto escono di scena, quelli che lo sanno fare rimangono e prosperano.
Naturalmente, i professionisti della persuasione non sono i soli a conoscere e usare questi principi a proprio vantaggio. Noi tutti li utilizziamo e ne cadiamo vittime in qualche misura, nei nostri rapporti quotidiani con i vicini, gli amici, la donna o l'uomo amato, i figli. Ma lo specialista ha molto più della nostra vaga e dilettantesca cognizione di ciò che funziona o no. Pensandoci, mi sono convinto che queste persone rappresentavano la fonte più ricca d'informazione cui potessi accedere. Per quasi tre anni, ho combinato i miei studi sperimentali con un programma decisamente più divertente di immersione sistematica nel mondo dei professionisti della persuasione: venditori, esattori, addetti alla selezione del personale, pubblicitari ed altri ancora. Lo scopo era osservare dall'interno le tecniche e le strategie usate dagli specialisti. Il mio programma di osservazione ha preso varie forme: interviste, a volte con i professionisti della persuasione, a volte coi loro nemici naturali (per esempio, poliziotti della squadra antitruffe, associazioni di consumatori); in altri casi l'analisi dei materiali scritti mediante i quali le tecniche della persuasione vengono tramandate da una generazione all'altra, manuali di vendita e simili.
Ma soprattutto ho adottato l'osservazione partecipante, un metodo di indagine in cui il ricercatore funge quasi da spia.
Con intenzioni e identità contraffatte, il ricercatore si infiltra nell'ambiente che gli interessa e diventa un membro a pieno titolo del gruppo che intende studiare. Così, quando volevo capire le tattiche di persuasione delle organizzazioni di vendita di enciclopedie (o aspirapolvere, o ritratti fotografici, o lezioni di ballo), rispondevo a un annuncio che ricercava aspiranti venditori da sottoporre a un corso di addestramento e mi facevo quindi insegnare i loro metodi. Con strategie simili ma non identiche, sono riuscito a introdurmi in agenzie di pubblicità, di pubbliche relazioni, di raccolta di fondi, per esaminare le loro tecniche. Gran parte dei dati che riferisco in questo libro proviene quindi dalla mia esperienza nelle mentite spoglie di professionista della persuasione, o aspirante tale, nelle più varie organizzazioni dedite a ottenere l'assenso delle persone.
Un aspetto di ciò che ho imparato in questi anni di osservazione partecipante è stato molto istruttivo. Benché esistano migliaia di tattiche diverse che gli specialisti dell'acquiescenza usano per ottenere l'assenso, la maggior parte rientra in sei categorie base. Ciascuna di queste categorie è governata da un principio psicologico fondamentale che orienta e dirige il comportamento umano e pertanto dà alle tattiche usate il loro potere. il libro è organizzato intorno a questi principi, uno per capitolo. I principi - coerenza, reciprocità, riprova sociale, autorità, simpatia e scarsità - sono esaminati ciascuno alla luce della funzione che svolgono nella società e dei modi in cui la loro enorme forza può essere utilizzata dai professionisti della persuasione, che sanno introdurli abilmente nelle loro richieste di acquisti, donazioni, concessioni, voti, assenso, ecc.
Vale la pena di notare il fatto che non ho incluso, fra i sei principi sopra citati, la semplice regola dell'interesse materiale, secondo la quale le persone intendono ottenere il massimo del vantaggio con il minimo del costo. Da questa omissione non è affatto lecito inferire che io ritenga ininfluente, nei nostri processi decisionali, il desiderio di ottimizzare il rapporto tra costi e benefici: anzi, dai dati di cui dispongo, i professionisti della persuasione sembrano ben consapevoli del potere di questa regola. Nelle mie ricerche, infatti, mi è spesso capitato di osservare specialisti che facevano uso (talvolta in modo onesto, talvolta no) dell'irresistibile approccio che consiste nel far subodorare un buon affare. Ho scelto di non trattare separatamente in questo libro la regola dell'interesse materiale semplicemente perché la considero niente più che un dato motivazionale, un fattore implicito in ogni scelta, che va indubbiamente riconosciuto come importante ma che non necessita di una descrizione dettagliata.
Infine, di ogni principio si esamina l'attitudine a produrre un certo tipo preciso di acquiescenza automatica e distratta, cioè la disponibilità a dire di sì senza rifletterci prima. I dati fanno pensare che il ritmo sempre più accelerato della vita moderna e l'ingorgo d'informazioni renderanno sempre più diffusa in futuro questa forma particolare di acquiescenza inconsulta. Sarà quindi sempre più importante per la società capire il come e il perché della persuasione automatica.
È passato ormai del tempo da quando la prima edizione di questo libro è stata pubblicata. Nel frattempo, sono intervenuti alcuni cambiamenti di cui, in questa nuova edizione, ritengo si debba tener conto. In primo luogo, adesso sappiamo di più sulla persuasione. Lo studio dell'acquiescenza, dell'influenza e dei mutamenti decisionali ha compiuto molti progressi, e i capitoli che seguono sono stati adattati in modo da riflettere l'avanzamento della ricerca. Oltre ad aggiornare il vecchio materiale, mi è parso comunque opportuno tenere in qualche considerazione le reazioni dei lettori della prima edizione delle Armi della persuastione. Molte persone, dopo la lettura del libro, mi hanno scritto per comunicarmi come alcuni dei principi da me illustrati avevano agito su loro stessi in qualche particolare circostanza concreta: ne sono risultate delle brevi descrizioni di fatti quotidiani che ho inserito in una serie di appendici alla fine di ogni capitolo, e che illustrano chiaramente con quale facilità e frequenza possiamo essere vittime delle armi della persuasione nella nostra vita quotidiana.
Desidero ringraziare le seguenti persone che, sia direttamente sia tramite i loro esercitatori universitari, hanno dato il loro contributo al materiale riportato in tali appendici: Pat Bobbs, Mark Hastings, James Michaels, Paul R. Nail, Alan J. Resnik, Daryl Retzlaff, Dan Swift e Karla Vasks. Infine, vorrei invitare anche i lettori di questa nuova edizione a farmi pervenire (presso il Dipartimento di Psicologia della Arizona State University, Tempe, Arizona, 85287-1104) simili esempi e descrizioni, che potrebbero venire inseriti in un'eventuale terza edizione del volume.
Robert B. Cialdini