Undicesimo capitolo dell'imponente lavoro istruttorio del giudice milanese Guicla Mulliri e le sue conclusioni.
Il 10 ottobre 1988 il giudice milanese Guicla Mulliri rinviò a giudizio 140 scientologist - per lo più dirigenti e staff operanti in praticamente tutte le organizzazioni di Dianetics/Scientology (e Narconon) sul territorio nazionale. Le imputazioni erano le più diverse, si andava dalla truffa alla violenza privata, dalla circonvenzione di incapace all'esercizio abusivo della professione medica, fino all'associazione per delinquere.
Il procedimento si concluse soltanto nell'autunno 2000. Per ripercorrere tutte le fasi di quel lunghissimo procedimento giudiziario, si prega di consultare l'apposita sezione. Il lavoro istruttorio del giudice Mulliri fu davvero imponente: 1200 pagine che toccano ogni aspetto dell'organizzazione. Al di là dei circa 40 capi di imputazione contestati, che riguardavano casi che avevano viste coinvolte persone in evidente stato di difficoltà mentale, il rinvio a giudizio analizza innumerevoli comportamenti che, seppur non inquadrabili in alcuna fattispecie di reato, scattano però una inquietante fotografia dello stato dell'organizzazione "Chiesa di Scientology" italiana (all'epoca meglio conosciuta come Dianetica, o Hubbard Dianetics Institute) della metà degli anni Ottanta. Il giudice, dopo una indagine durata alcuni anni e dopo aver escusso centinaia di testimoni, ascoltato migliaia di ore di intercettazioni telefoniche (alcuni estratti qui e qui per quanto riguarda la chiesa di Scientology, aver vagliato decine di migliaia di documenti sequestrati nelle varie sedi e presso gli avvocati del gruppo (alcuni estratti qui), stila le sue conclusioni sull'attività dell'organizzazione. Il documento che vado a presentarvi riguarda la responsabilità, la polverizzazione del potere all'interno dell'organizzazione, il continuo "palleggiamento" della responsabilità tra un imputato e l'altro, la mancanza di trasparenza e della capacità di prevedere le conseguenze delle proprie azioni, illustra cioè una situazione, emersa dal materiale probatorio e dalle tesi difensive degli imputati, sicuramente in netta contraddizione con un'organizzazione che dice di basarsi su una dottrina che predica l'importanza della "responsabilità" e sostiene che "mani pulite rendono la vita felice". Come rivela infatti il giudice istruttore, «Di qui l'impressione molto forte fornita da questo procedimento di aver lasciato impuniti una notevole quantità di fatti che avrebbero meritato censura. Come si diceva in premessa, tuttavia, non si deve mai incorrere nel rischio di sovrapporre la censura penale a quella morale. Effettivamente molte delle condotte riferite dalle centinaia di testi escussi destano un palese senso di indignazione...». Dall'istruttoria del giudice Mulliri sono passati quasi 20 anni e ci si augura che i comportamenti della Chiesa di Scientology italiana siano cambiati. Ma è davvero così? Lascio il giudizio alla vostra personale esperienza. Martini
Come si diceva nei cenni introduttivi a questa parte seconda, le obiezioni alle accuse mosse nel presente procedimento vertono, oltre che sul carattere religioso delle attività di Scientology, sui rilievi secondo cui, anche ammesso che in seno all'associazione in esame siano state poste in essere condotte criminose, è giusto e doveroso che di tali fatti siano chiamati a rispondere esclusivamente i loro autori materiali e non anche, in concorso, i responsabili dell'associazione stessa; ad ogni buon conto per tutto quanto effettivamente fatto si invoca uno stato di buona fede assoluto. Il primo rilievo è piuttosto importante se si considera che, appunto, una buona percentuale degli odierni imputati è stata incriminata sulla sola base del fatto di essere stati ai vertici dell'associazione (in qualità di presidente e/o vicepresidente) all'epoca di commissione dei fatti delittuosi contestati. Si tratta dunque di approfondire e verificare, una volta per tutte, le ragioni sostanziali e giuridiche di questa scelta accusatoria. Ma, prima di entrare nei termini più strettamente giuridici del discorso, non si può mancare di sottolineare alcuni aspetti, in punto di fatto, che illuminano notevolmente il quadro probatorio sull'argomento. Come già anticipato nella motivazione del mandato di cattura (cfr. vol. 132), questo tipo di contestazione, indipendentemente dalle ragioni giuridiche che possono legittimarla, è, per così dire la spia luminosa, ed il portato inevitabile di una ben precisa situazione riscontrabile all'interno dell'associazione in esame. Alla luce di quanto già visto e di ciò che si dirà tra breve, sembra infatti possibile affermare che all'interno dell'associazione di Scientology tutto sia strutturato in modo tale da determinare l'esistenza di un spessa cortina fumogena che impedisca di osservare l'associazione nella sua reale essenza.
Giunti a questo punto della trattazione sembra che tale ultima sia quanto mai legittima e comprovata. Nel discorso appena ultimato sub punto A) di questa seconda parte, e si è infatti visto come, pur essendo partiti dalla premessa che l'associazione di Scientology vuole essere una entità religiosa priva di scopi di lucro, all'esame ravvicinato dei suoi documenti e delle sue attività, ciò che si trova è di ben altra natura e finalità. Né del resto la cosa può sorprendere più di tanto se si pensa che lo stesso ARMSTRONG (cfr. vol. 120) con cognizione di causa, visto lo stretto rapporto di collaborazione avuto con Hubbard, ha riferito che un importante aspetto della vita della "Sea Org" era rappresentato dall'uso di "storie di sostegno". Si potrebbe cominciare subito con il far notare che lo stesso uso della denominazione di "Sea Org", è un'ennesima riprova di questo "essere multiforme" che è Scientology. Tale "organizzazione del mare" altro non era (ed è) che il gruppo degli scientologi più di "élite" che lavorava direttamente a contatto con Ron Hubbard, ma, a chi sia estraneo al fenomeno, potrebbe ben apparire ben altra cosa. Le forme di manifestazione di Scientology sono molteplici e con diverse denominazione sì da ingenerare immediata confusione o quantomeno impedire di cogliere subito il collegamento con Scientology (si accennava, in precedenza, alla realtà Narconon, al Criminon, al W.I.S.E., alla New Era). In Scientology si specula sulle apparenze quasi che un nome possa cambiare la sostanza. Uno degli esempi più eclatanti, si è visto, è rappresentato dall'abitudine di qualificare "donazioni" dei versamenti di denaro che hanno un carattere sostanziale esclusivo di "corrispettivo". E sempre sui nomi ha "giocato" l'associazione quando approdò in Italia (v. retro cap. 4) evitando cioè la denominazione di "chiesa". Ma ancora sul nome ha giostrato, come visto, lo stesso Hubbard quando, dopo un anno dalla fondazione della sua associazione, messo in difficoltà legali dall'AMA (Associazione Medica Americana) commutò la denominazione in Chiesa di Scientology. (v. retro cap. 4). Ritorna alla mente a tale proposito la definizione, di verità contenuta nel dizionario di Scientology (Modern Management Technology Defined) del termine verità: La verità è ciò che è vero per noi. Ed è dunque in questa ottica che Hubbard, come ha documentalmente provato ARMSTRONG nella causa vinta contro M.S. Hubbard, si è costruito un alone di mistero e di personaggio eroico, al limite della santità, attribuendosi titoli, cariche e qualità mai avuti. Potrebbe apparire eccessivo riportare in questa sede le molte pagine delle dichiarazioni di ARMSTRONG, sul punto, corredate di volta in volta dalle fonti di prova, ma è un fatto che la loro lettura è talmente interessante da apparire addirittura divertente (se non fosse che di questo mentire a sé stesso ed altri agli Hubbard ha finito per farne un sistema di vita così forte da trasfonderlo nell'associazione da lui ideata e costituita). "Esso contiene numerose affermazioni su Hubbard e sulla Scientologia che mi avevano convinto a proposito dell'uomo e dell'argomento. quindi possono essere riottenuti da medici esperti se lo si desidera; B. Non aveva una educazione in fisica avanzata; genitori e soci del periodo ed ero in grado di stabilire piuttosto accuratamente che cosa c'era di vero dietro le affermazioni che aveva fatto su questo periodo. E. Non ricevette 21 medaglie e palme; ed una infezione alle articolazioni dell'anca contratte come risultato di un passaggio dai tropici al freddo invernale in oriente. Nell'ottobre 1947 scrisse alla Veteran Administration chiedendo cure psichiatriche affermando «Non riesco a capire perché non mi riprendo da lunghi periodi di cupezza e di tendenze suicide». Nel dicembre 1947 durante un esame della Veteran Administration egli sostenne di aver riportato delle ferite nel 1942 essendo caduto da una biscaglina. Nel 1948 riuscì ad ottenere un aumento della sua pensione d'invalidità del 40% per ulcera duodenale, infezione oculare, borsite alla spalla destra e artrite di numerose articolazioni. In un documento scritto di suo pugno in questo periodo Hubbard rivela cosa si celava dietro le sue pretese di invalidità. Egli affermava: «Il tuo male allo stomaco che usavi come scusa per evitare che la marina ti punisse... La tua anca è una posa... Il tuo piede era un alibi... quando dici alla gente che sei malato, questo non ha alcun effetto sulla tua salute. E all'esame della Veteran Administration racconterai loro quanto sei malato; avrai un aspetto malato in quel momento, ritornerai a star bene un'ora dopo l'esame e riderai alle loro spalle. Non importa quali bugie racconterai agli altri, esse non hanno alcun tipo di effetto fisico.» La trascrizione inserita come documento nel Procedimento Church of Scientology of California v. Armstrong a Los Angeles in California è allegata al presente come Documento N. Nel luglio e nell'agosto 1951 Hubbard faceva un'altra serie di esami medici alla Veteran Administration e sosteneva di trovarsi nelle stesse condizioni per le quali stava ricevendo una pensione d'invalidità (e da cui sosteneva nella letteratura promozionale di Dianetics e della Scientologia di essersi curato da solo). Allegate come documento O vi sono delle copie dei risultati degli esami medici di Hubbard, i rapporti della Veteran Admnistration, e i documenti relativi dal 1941 al 1951. Allegata come Documento P vi è una lettera della Veteran Administration in cui si afferma che Hubbard riceveva ancora il risarcimento del 40% per l'invalidità nel 1973. Il Documento G, la corrispondenza tra diverse persone del GO, tra cui Mary Sue Hubbard, mostra che l'organizzazione e la Sig.ra Hubbard erano in possesso dei documenti navali di L. Ron Hubbard almeno dal 1976".Ed è dunque in quest'ottica che Hubbard e la sua associazione non esitano a creare "storie di copertura" per fornire all'esterno la realtà che si vuole appaia. La prima di queste è stata, come visto, proprio la denominazione della sua associazione come "Chiesa di Scientology" e la strutturazione, via via, di figure e ruoli assimilabili a quelli di una chiesa: il "cappellano" (una delle cariche associative) la "Consulenza pastorale" (=l'auditing) lo "strumento liturgico" (= E-Meter), le "donazioni" (= i prezzi dei corsi e dei servizi). Ma quale fosse il reale intento nel fare ricorso alla veste religiosa, si è ampiamente riscontrato nel capitolo 4 come pure, nei successivi, dovrebbero essere stati posti in luce adeguatamente gli effettivi scopi di lucro di tutta l'azione di Scientology. Tutto in Scientology è strutturato in modo tale da far sembrare vero ciò che non è; e la forza e l'insistenza con cui affermano concetti falsi sono tali da convincere inducendo in un palese errore di prospettiva. E, quindi, cade in tale inevitabile errore chi venga avvicinato dall'associazione perché la visuale dei fatti che gli viene offerta è tale che esso non può non credere che sia vera (oltretutto, ad un primo approccio, ne vede solo una piccolissima porzione). Quando poi il soggetto si sia fatto convincere ed entra nel sistema, rimane, per così dire "impigliato nell'ingranaggio" e finisce per perdere di vista sempre più il senso critico e della realtà, convincendosi che tale sia solo quella prospettatagli inizialmente e che continua ad essergli proposta all'interno dell'associazione. E ciò fa non solo perché sarebbe difficile il contrario (in un sistema totalizzante ove tutto viene proposto in termini di certezza e di assolutamente indiscutibile) ma anche per una sorta di autodifesa nel non ammettere, in primo luogo a sé stesso, di aver... preso un abbaglio molto spesso costato qualche mese o anno della propria vita. Tutto ciò è tanto vero che, gli stessi ARMSTRONG (cfr. vol. 33), VOSPER (cfr. vol. 117/118), ATACK (cfr. vol. 117/118), WHITEFIELD (cfr. vol. 33), JEFFERSON (cfr. vol. 31 cart. 2) e numerose altre persone che ora denunciano pubblicamente le menzogne di Hubbard e Scientology, si sono fatte, per anni, assertori delle stesse teorie salvo poi dissociarsene dopo lunghi travagli psicologici ed esistenziali. Basti pensare, ad esempio a ciò che riferisce ARMSTRONG a proposito delle bugie inventate da Hubbard, e da lui sostenute, in relazione alla nave Apollo (della quale si è ampiamente detto nei capitoli precedenti): "... ricevetti direttive e fui preparato sulla storia di copertura che dovevo usare durante il viaggio. Dovevo essere un impiegato della Operation and Transport Corporation Limited (OTC), una società di gestione commerciale. Non potevo usare alcun termine della Scientologia durante il trasferimento e dovevo negare di essere uno scientologo. Sull'Apollo mi fu dato un plico di materiale sulla nave e sull'OTC da studiare e fui esaminato ed interrogato su questo materiale e dovevo essere in grado di eludere le domande rivoltemi dal Capitano di Porto, l'ufficiale responsabile per far credere la storia di copertura alla gente del luogo, prima che mi fosse permesso di andare a riva. Dovevo negare qualsiasi connessione tra l'OTC e la Scientologia. Dovevo fingere di ignorare la posizione di L. R. Hubbard a bordo o il fatto che controllasse l'operazione e, se possibile anche che fosse a bordo."Come si vede dunque Hubbard e la sua dottrina fanno spesso ricorso a questi "paludamenti definitori" e, per renderli più credibili, non si esita a commettere anche dei falsi materiali. Si veda infatti cosa soggiunge ARMSTRONG: "... per legge comunque una tale imbarcazione - da crociera n.d.r. - poteva portare solo un esiguo numero di passeggeri, cioè le persone che pagano per il viaggio e che non fungono da personale, e noi portavamo molta più gente del limite. Le persone che si imbarcavano sulla nave per dei corsi o per l'auditing pagavano per salire a bordo e non erano l'equipaggio. Per aggirare i regolamenti sulle navi da passeggeri, comunque, facevamo firmare a queste persone i formulari richiesti come equipaggio e venivano loro date delle posizioni sulla nave sulla lista dell'equipaggio e preparavamo falsi moduli per i marinai.Soggiunge ancora ARMSTRONG che anche nei confronti delle loro famiglie ed amici nonché tra loro stessi venivano usate "storie di copertura". Esso sono, dunque, un sistema di vita imposto all'interno dell'associazione del quale sembra sia significativa testimonianza l'abitudine (cui si è già fatto cenno), piuttosto ossessiva e pleonastica, riscontrata nella copiosa documentazione in sequestro, di terminare ogni scritto con le parole "questo è vero", quasi a voler conferire artificiosamente a tutto ciò che si afferma un -"marchio di verità" molto spesso assente nei contenuti. Né si obietti che questa è un'osservazione di ordine extra processuale che non compete in questa sede perché, anzi, essa è in linea con ciò che si va dicendo e cercando di dimostrare che, cioè, in Scientology si fa leva sulle apparenze. Lo testimonia, peraltro, anche l'ampio spazio dato alla pubblicità ed alle attività di "public relation" in genere. Si rammenti, a tale proposito, quanto evidenziato nel capitolo 6 par. 6 ovvero quanto riscontrato nelle intercettazioni telefoniche a proposito dell'impegno svolto nella preparazione di conferenze o "event" (come si usa chiamare le "feste" che l'associazione spesso organizza). L'aspetto esterno, le attività "ad pompam", sono sempre curate al massimo perché ciò che più conta in Scientology é ciò che sembra non ciò che è. In modo analogo si spiega il vero e proprio terrore della stampa e dei giornalisti (per la loro potenzialità offensiva contro l'organizzazione) di cui vi è ampia traccia nella documentazione sequestrata comprendente, tra l'altro, rassegne stampa nutrite nonché segnalazione o denuncia di ogni giornalista che abbia scritto articoli contro Scientology (e si rammenti cosa hanno riferito, in proposito, testi come VE., DA. o BU.). Significativo è, peraltro, il fatto che dalle testimonianze sia emerso anche come un tipo di punizione (e quindi di emendamento) fosse quello di trovare un giornalista disposto a scrivere un articolo favorevole all'associazione. In buona sintesi si può affermare che scopo dell'associazione è di agire in modo tale da far apparire all'esterno solo ciò che si vuole e come si vuole. Il tutto, in perfetta armonia con la teoria delle "storie di copertura" di Hubbard, indipendentemente dal fatto che l'immagine offerta risponda o meno al reale. Semmai sembra proprio che la regola sia nel senso opposto di mascherare i contenuti attraverso una serie di vuote forme. Nel corso della presente trattazione si è avuta, più volte, occasione di sottolineare l'efficacia suggestiva, deviante ed elusiva, di molti aspetti operativi all'interno dell'organizzazione di Scientology. L'opera di trasformismo camuffatorio inizia infatti già nel fatto di presentarsi al pubblico con un lessico particolare esclusivo, che, come dice la parola stessa, ...esclude. Senza voler sembrare di giocare con le parole occorre dire che la realtà è proprio questa: a cominciare dalla terminologia, Scientology filtra la propria immagine all'esterno. Chi non conosca il pittoresco e sgrammaticato lessico americaneggiante di Scientology trova in questo primo fattore una barriera di conoscenza a seguito della quale ha due alternative: o ignorare il fenomeno o cercare di conoscerlo. In entrambi i casi l'associazione ha buone probabilità di successo ai propri fini elusivi in quanto, nella prima ipotesi, l'ignoranza del fenomeno è un buon veicolo per lasciarlo dilagare indisturbato, nella seconda ipotesi è l'associazione stessa che "pilota" il soggetto che decida di approfondire la conoscenza del suo lessico e del suo fenomeno affinché egli possa apprendere e capire solo ciò che al suo interno si ritiene giusto. Indubbiamente, l'istruttoria ha posto anche in luce casi di soggetti che, nonostante tutto, sono riusciti a prendere le distanze dal fenomeno ed a giudicarlo con una certa obiettività, ma si è trattato di casi rari e, spesso, frutto di un travaglio logico e psicologico. L'attività di "paludamento" prosegue poi attraverso la proposizione di una struttura articolata ed alquanto complessa. Essa non è certamente impenetrabile tanto è vero che in tutti i rapporti della Guardia di Finanza, prima o poi si è riferito in modo abbastanza completo dell'organigramma (si veda, per tutti, quello della G. di F. di Milano del 23.2.88 vol. 44), ma è un fatto che in questi meandri di Dipartimenti, Divisioni e Sezioni (peraltro tutti denominati con sigle pronunciate all'inglese) in cui si suddivide la struttura operativa di Scientology, l'aspetto meno chiaro è sempre quello essenziale vale a dire quello del soggetto preposto alla carica (ammesso e non concesso che sia chiaro l'ambito delle competenze della carica stessa). A tale proposito non può sfuggire, a chi voglia fare una lettura complessiva e comparata di tutti gli interrogatori, il fatto che tra gli stessi imputati vi sono miriadi di contraddizioni sui ruoli e sulle competenze di ciascun ruolo. Basterebbe cominciare con il dire che mentre per alcuni imputati (....) non esisteva alcuna direttiva sulla quale basare e definire i compiti del presidente e del vicepresidente, a detta di altri (...) era espressamente previsto dalle "policies" dei libri verdi di Hubbard mentre, per altri ancora (...) pare che tali compiti dovessero essere indicati da disposizioni dell'O.S.A il quale, però, a sua volta, non si sa bene per quale motivo non lo aveva fatto ancora (almeno fino ad una certa data). Insomma, la confusione regna sovrana anche nelle parole degli imputati ma sarebbe riduttivo e semplicistico riferire tutto ciò a mera disorganizzazione.
In buona sostanza, ciò che si è cercato di dimostrare con il lungo discorso appena fatto è che tutta la struttura di Scientology è fisiologicamente predisposta per il "camuffamento". E la confusione di ruoli, competenze, cariche e soggetti che le ricoprono fa parte di un preciso disegno volto ad alimentare quella cortina fumogena della quale si è detto grazie alla quale sfuggire tra le maglie di qualsiasi censura vuoi sostanziale vuoi legale. Il sistema accertato in Scientology è infatti tale per cui, come ampiamente già visto in precedenza, il soggetto che voglia protestare per un qualsiasi disservizio si trova nell'impossibilità materiale di farlo per... mancanza di interlocutore. Quello apparentemente rinvenuto di volta in volta, infatti, non è mai quello giusto: si assiste ad un costante rinvio a qualche altro soggetto che o è momentaneamente assente ovvero, a sua volta, non è la persona "addetta". E si perpetra così quel terribile meccanismo di rinvio defatigatorio già visto per le procedure di rimborso (v. retro cap. 6 par. 5) al quale resistono solo i più tenaci con successi peraltro abbastanza effimeri. Di testimonianze di questo genere la presente istruttoria è stracolma e, in primis, vi sono (ed è il momento di menzionarle) proprio quelle delle parti lese le quali appunto perché estenuate da questa logica di "rinvii senza fine" hanno finito per rivolgersi all'A.G. o, comunque, essere da questa agevolmente individuate. Questa gravissima mancanza di trasparenza nelle strutture dell'associazione di Scientology era, inoltre, già stata sottolineata anche nell'interessante rapporto della Guardia di Finanza di Milano del 17.7.81 pag. 39, e segg. (cfr. vol. 1) e se ne riparla, a distanza di anni, in quello della G. di F. di Torino del 25.5.87 (cfr. vol. 51) o ancora in quello di Brescia del 20.5.87 (cfr. vol. 52). Il tutto a dimostrazione del fatto che l'estrema difficoltà riscontrata nella presente istruttoria di individuare i responsabili a qualsiasi livello, non è un fatto occasionale o momentaneo ma il risultato inevitabile di una realtà ben precisa. A titolo puramente esemplificativo di una situazione che dovrebbe ormai essere chiara sotto più profili si rammenti ancora cosa riferiscono i seguenti testi: BU. (cfr. vol. 31) "... quando sono andata in via Zurigo ho chiesto di parlare con il capo ma la cosa mi è stata sempre molto difficile perché lì c'era un via vai di ragazzi e sembra che vi siano tanti capi per vari settori ma nessuno che comanda sugli altri" successivo questi già non c'era più e così via dicendo".E, paradossalmente, l'inconveniente di non sapere a chi rivolgersi per far valere le proprie ragioni capita all'associato convinto come dimostrano l'esperienza di LI. (cfr. vol. 35) e quella di TE. (cfr. vol. 36): "... Il punto però era che in quella organizzazione non si trovavano mai un interlocutore né una risposta precisa ma solo tanti modi evasivi"Il quadro che deriva, da questa e da numerosissime altre testimonianze, è di una vera e propria polverizzazione del potere la qual cosa è tanto più allarmante se si pensa che essa è il frutto di un piano ben preciso o, per meglio dire, essa è istituzionalizzata. L'affermazione, tutt'altro che azzardata alla luce di tutto quanto già detto a proposito del sistematico atteggiamento di tendenziale paludamento riscontrabile in Scientology, trova ulteriori riscontri in ciò che si dirà tra breve. Riferisce dunque il MA. (cfr. vol. 35): "... mi fu manifestata l'intenzione di nominarmi direttore della sede... per tale motivo partecipai anche ai corsi di "mangement" o "Priority Pack". Nel corso di "Management" si insegnava a fare il capo ed il concetto fondamentale era che il capo non fa niente, ma allorché si crea un'emergenza o una disfunzione, interviene, rileva l'incarico di chi ha provocato la disfunzione stessa, risolve il problema e ritorna a non far niente".Questa affermazione apre il campo a moltissime considerazioni da associare anche al materiale probatorio offerto dagli stessi imputati con le loro dichiarazioni. Non sfuggirà certamente dalla lettura dei verbali, che quasi tutti gli imputati, infatti, richiesti di chiarire da chi o in quale modo fossero stati preposti alla carica di presidente o di vice presidente siano stati a dir poco evasivi ed abbiano dato vita a scene di confusione veramente avvilenti, desumibili dalla verbalizzazione e talvolta imbarazzanti per i loro stessi difensori. Sembrerebbe infatti che in Scientology nessuno comandi ma al contempo è un fatto che, da un momento all'altro, si possa essere destituiti dalla carica per ordini di provenienza mai meglio identificata (cfr. ad esempio int. BE. vol. 142). Tutto questo è solo apparentemente contraddittorio. In realtà è appunto il risultato di un programma in cui la conoscenza di tutti i meccanismi è patrimonio di pochi. Ed a rendere tutto ciò ancora più "funzionale" gli ordini vengono sempre dati "a voce" di talché è impossibile individuare chi li abbia promanati. Analogamente, nell'articolato organigramma, si assiste ad un frenetico avvicendamento di soggetti del quale non resta traccia, sia perché non vi sono disposizioni scritte di conferimento o di revoca dell'incarico, sia perché non vi sono registri dai quali desumere il succedersi di più persone nella stessa carica. Una ricostruzione in tal senso, sulla base di qualche lettera o documento, oltre che estremamente onerosa, sarebbe incompleta e si risolverebbe in una vera e propria "probatio diabolica" (cfr. per tutti, dep. TO.). La regola, come visto, è l'obbedienza cieca ed assoluta, ogni deroga viene punita con rapporti da parte di chiunque pertanto non si deve mai sapere troppo di niente, mai fare troppe domande: eseguire e non commentare. E se arriva l'ordine di assumere una certa carica essa va assunta come pure va accettata altrettanto supinamente la destituzione, ma non si sa se, per omertà o per effettiva ignoranza, quasi nessuno è in grado di dire chi realmente gli abbia dato una certa carica o gliela abbia tolta. Si rammenti ciò che dice a riguardo la FI. (cfr. vol. 35) che, oltre ad aver operato a lungo in ruoli di responsabilità nell'associazione, sostanzialmente condivide il "credo scientologo": "... notai un avvicendamento sempre più frequente e mi giungevano disposizioni affinché facessi ricoprire dei ruoli da persone che non ne avevano la preparazione... mi venivano imposte persone che, palesemente, non avevano la professionalità per certi ruoli... questo avvicendamento di persone poco qualificate portò, a mio giudizio, anche a questo proliferare di disposizioni sempre più rigide e mutevoli allo stesso tempo..."E che tra le disposizioni vi sia quella dell'evasività, insegnano non solo le parole già lette di ARMSTRONG a proposito delle direttive ricevute espressamente in tal senso da Hubbard ma lo testimonia la gran parte dei testi acquisiti nel presente procedimento ai quali si è fatto appena cenno. Tale ordine di evasività porta addirittura alla negazione del proprio ruolo come testimonia, tra gli altri la PI. (cfr. vol. 35): "... altra cosa che mi colpì fu che il giorno dell'intervento della Finanza nessuno degli appartenenti allo "staff" ammise tale sua carica, ivi compresi la S. TE. che invece io sapevo, per averla vista, essere una delle responsabili, ed un'altra persona inviata come supervisore per controllare la sede di Verona. Tutti questi si dichiararono appartenenti al "pubblico" "Analogo episodio è occorso al MU. quando, successivamente alle chiusure disposte dalla magistratura, si recò nella nuova Sede associativa di via Padova in Milano, a rappresentare le doglianze poi espresse all'A.G.; pur avendo incontrato gli stessi volti che erano in via Zurigo e le persone che egli ben conosceva (tanto da averle menzionate per nome nella sua deposizione), si è sentito rispondere che si trattava di una... organizzazione diversa. Stessa replica è stata fatta alla FR. quando si è rivolta a persone a lei note della nuova sede della ex Futura, al fine di farsi rendere i soldi dell'E Meter da lei inutilizzato. In quest'ultimo caso, a conferma di quell'atteggiamento delegante di ogni responsabilità (del quale si riparlerà tra breve anche con particolare riferimento alle ipotesi in cui si è ritenuto di rappresentare questa A. G. come "responsabile" di ogni inadempienza dell'associazione - v. più avanti par. 4), la FR. si è sentita anche testualmente replicare "vai dalla Guicla" (nome di battesimo di questo G.I.). Un simile atteggiamento è, ancora una volta, sintomatico di quel senso di "coscienza sporca" cui si è già accennato in capitoli precedenti. Pur comprendendo che un'irruzione delle forze dell'ordine è un evento mai gradito che può destare paure di vario genere, è un fatto che in un'organizzazione lineare e chiara che pratica esclusivamente gli scopi teorizzati non vi dovrebbe essere ragione alcuna di temere, al punto da negare persino il proprio ruolo nell'associazione stessa. Sia consentito rammentare che, invece, l'esperienza giudiziaria offre numerosi esempi di tal genere proprio negli ambienti tipici della malavita ove la prima regola è negare anche l'evidenza. C'è da dire, poi, che l'episodio segnalato dalla teste PI. non differisce molto da quello che, a quanto visto, doveva fare ARMSTRONG durante la sua permanenza sull'APOLLO: negare Scientology e persino Hubbard. Dunque: un unico filo conduttore lega comportamenti e soggetti diversi negli anni e nello spazio e cioè l'impostazione logica e sistematica data da Hubbard alla sua creatura (Scientology). Infatti, come rammenta il teste FLYNN (cfr. vol. 120): "... in termini di flusso di informazioni a diverse persone, nelle scale gerarchiche dell'organizzazione, le direttive informative, le tecniche di Ron Hubbard che sono illustrate dettagliatamente nel suo manuale non cesseranno mai di essere applicate, non possono perché Hubbard nelle sue direttive ha stabilito che quanto stabilito da lui non può essere cambiato".In tale contesto particolarmente significative ed illuminanti sono anche le esitazioni mostrate da non pochi imputati nel definire la propria occupazione. Sembra di rammentare ciò che Hubbard raccomandò ad ARMSTRONG qualora taluno gli avesse chiesto il suo corrispettivo: "...dovevo dare una risposta evasiva come «vengo pagato molto bene»".Altrettanto in linea con gli "ordini di scuderia", quindi, tutti o quasi gli odierni imputati, dopo alcune esitazioni e tergiversazioni, hanno dichiarato di essere «collaboratori autonomi presso la Chiesa di Scientology». Risposta, quest'ultima che dice molto più di quanto non si possa immaginare perché rivela, insieme alle esitazioni (delle quali, purtroppo, non sempre i verbali possono fornire prova adeguata) quell'atteggiamento di guardingo timore verso tutto e tutti per «paura di essere scoperti». Non va dimenticato del resto, a tale proposito, che i primi problemi giudiziari dell'associazione (allora Dianetica) in Italia, furono appunto determinati dalle cause di lavoro che alcuni ex collaboratori promossero segnalando situazioni di sfruttamento e di violazione della normativa sulle contribuzioni. E che tali condotte illegittime fossero vere sono gli stessi documenti sequestrati a Roma nel 1981 presso l'associazione a dimostrarlo. (cfr. vol. 20). Dal tono generale di tutti questi atti dovrebbe essere ormai chiaro che si tratta di rapporti e "schede personali" diretti alla informazione delle sedi principali americane (non a caso questi documenti erano scritti in inglese). Pertanto essi contengono spesso anche illustrazioni generali sul sistema giudiziario italiano. In questo caso, appunto, dopo aver spiegato l'esistenza di tre gradi di giudizio si aggiunge: "Così tutte le cause sono trattate in tre diverse sedi. sull'argomento al Ministero delle Finanze a Roma.Difficilmente i significati di queste affermazioni potrebbero essere più chiari. Vi si ha infatti conferma di quanto appena detto a proposito della reale posizione lavorativa di coloro che collaborano con l'associazione ma, soprattutto, si ha una volta di più la prova evidente del timore di essere scoperti, che venga portata alla luce la reale natura delle attività dell'associazione. E questa paura, come visto, abbraccia più profili. A cominciare da quello finanziario e valutario là dove si pone in luce il grado di cognizioni acquisite dalla G.d.F. sino a giungere alla individuazione delle "persone che contano" come quelle che, appunto, firmano gli assegni al responsabile europeo dell'organizzazione che fa poi da tramite, per il flusso di denaro, con l'America. Sfortunatamente, la notevole pausa istruttoria subita da queste indagini, rende oggi queste notizie poco attuali per quel che riguarda l'identità dei soggetti importanti visto che, ovviamente, medio tempore, essi sono stati cambiati. Tuttavia, il senso delle parole appena riportate è estremamente rilevante per la sua sostanza. Vi si legge infatti anche della grande preoccupazione che vengano letti i "folders" perché così gli inquirenti «avrebbero avuto un quadro completo». Circostanza, questa, tanto attuale che è testimoniata, nel presente procedimento, dai molteplici tentativi fatti per riottenere i "folders" sequestrati. Si vedano in proposito le centinaia di istanze fatte pervenire a questo Ufficio (cfr. volumi 149 e segg.) che, ancora una volta, confermano sotto più profili ciò che si sta teorizzando. Se, infatti, è del tutto comprensibile che l'intestatario del "folder" non desideri che altri ne apprendano il contenuto (spesso intimo, scabroso e compromettente), quello che ha colpito in tale fenomeno è stata la strumentalizzazione concertata fattane dall'associazione. Fattosi in tal modo forza e scudo di una massa imponente di "ignari", speculando sul "significato religioso" dei folder e delle confessioni ivi contenute, sapientemente "organizzato" grazie ai potenti mezzi dell'associazione, come testimoniano le istanze in ciclostile, (tutte uguali sebbene pervenute da ogni parte d'Italia), è stato messo in moto un vero e proprio esercito di istanti. E non si ha ragione di dubitare del fatto che una gran parte di tali istanti fosse in buona fede perché certamente non era stato loro spiegato che il vero timore che i folders venissero letti era ben altro e, cioè, che si scoprisse, una volta per tutte che l'associazione, a mo' di Giano bifronte, usi operare contemporaneamente su due piani diversi e con diversi parametri. (Una prova ulteriore di questa capacità di mobilitare le persone attraverso una semplice illustrazione "di parte" degli eventi, si trova, plasticamente, nella deposizione di SE. A., pronta a partire per l'America senza chiedere molte spiegazioni; solo perché questo le era stato detto di fare cfr. vol. 36). Per ritornare dunque al tema del presente capitolo, occorre fare la seguente addizione sommando tra loro da un lato tutto quanto detto nei capitoli precedenti circa il "modus operandi" dell'organizzazione (grazie al quale l'adepto non fa altro che eseguire gli ordini senza obiettare alcunché); e, dall'altro, le osservazioni a proposito del clima di reciproco sospetto esistente nell'associazione (di talché chiunque può fare rapporto contro l'altro sospettato di stare "uscendo dalle linee"). Si ottiene, in tal modo, come risultato oltremodo naturale che ciascuno operi nell'associazione con la carica attribuitagli senza verificare come e perché gli sia stata data ovvero gli sia stata tolta quindi, brillantemente conseguito l'ulteriore risultato esterno di un'estrema confusione, imprecisione ed improbabilità (a proposito di competenze, cariche, soggetti preposti). In tale contesto anche i migliori intenti di ricostruzione sistematica (svolti ad esempio dagli organi di p.g. nel presente procedimento) vengono frustrati per mancanza di riscontri obiettivi. Scientology, infatti, da questo punto di vista è un po' come la nota "catena di S.Antonio", nella quale ciascun "anello", al massimo, conosce solo il proprio antecedente o il suo successore. E ciò è perché così deve essere. Si ricordino infatti tutte quelle testimonianze che riferiscono di avere invano cercato di approfondire e conoscere strutture e/o dirigenza di Scientology e si sono sentite guardare in modo sospettoso o tacciare di essere una "spia" (v. GI., BA., MI. ecc.) ovvero, essendo stati addetti a qualche settore particolare, sono stati vincolati al segreto anche rispetto ai propri capi diretti (es. DE. o MA.). Nelle retrovie però esiste certamente una logica pensante che coordina tutto ciò specie quando la carica ricevuta è particolarmente importante. Non si spiegherebbero altrimenti i precisi appunti su un blocchetto rinvenuto presso lo studio Le. (all. 1 cart. 59): "a) in caso di incriminazione di qualche responsabile dell'org è automatico un avvicendamento dei ruoli con dimissioni della persona incriminata.Ed un'indiretta conferma di ciò si ha nel rinvenimento, sempre tra la documentazione in questione, di alcuni fogli intestati della "Chiesa di Scientology d'Italia" totalmente in bianco ma con in calce la firma di Luigi SCUDELLARI, suo presidente. Non è troppo azzardato ipotizzare che tali fogli, in caso di incriminazione dello SCUDELLARI, sarebbero dovuti servire per immediate dimissioni. Del resto ciò è appunto avvenuto subito per SEGALLA all'indomani della perquisizione dei Pretori nel 1981 e deve essere molto verosimilmente avvenuto per il DAMIANI e tutti gli altri imputati del presente procedimento se è vero che le varie istanze di dissequestro successive sono state sottoscritte, quanto prima, da nuovi presidenti e/o rappresentanti legali che appunto [erano] andati a presiedere le sedi successivamente aperte. A tale proposito conforta anche il fatto che la circostanza sia stata confermata dal FLYNN là dove sottolinea che le lettere di dimissioni vengono trattenute presso un apposito ufficio di modo che «... se qualcuno uscisse dalle linee, se qualcuno dice no, che farà in questo modo, licenziano quella persona, usano legalmente la lettera di dimissioni e lo sostituiscono con qualcuno che fa quello che vogliono». Il punto è che, come bene esemplifica il teste FLYNN .(cfr. vol. 120), nell'organizzazione di Scientology vi sono tre livelli: "...uno è il c.d "cittadino tedesco della 2° guerra mondiale", ... il pubblico che ha votato per Hitler e sapeva poco su tutto ma ha dato denaro al partito nazista ed ha votato per lui, e lo stesso succede con il settore pubblico della Scientologia. L'uomo della strada, del pubblico, dà loro denaro ed è d'accordo con le loro politiche, è facilmente ingannabile, crede a tutto quello che gli viene detto e questo è tutto. persone che, di solito, arrivano in alto e, quando raggiungono il vertice, cominciano a capire cosa sia realmente la Scientologia: questo è estremamente importante, a quel punto sono così avvolti dal potere della Scientologia, da esserne intrappolati"A giudizio di questo G. I. questo tipo di esemplificazione rispecchia completamente la realtà che questa istruttoria ha portato alla luce. L'unico punto, da riconoscere con rammarico, è che, nella individuazione dei responsabili ci si sia, quantomeno per ora, dovuti fermare al "secondo livello" del quale, peraltro, come si è in parte già accennato e si vedrà meglio più avanti, gli odierni imputati sono la precisa espressione. Nel capitolo 9, come visto, si è sviluppata qualche considerazione a proposito della estrema similarità di situazioni riscontrabili tra l'associazione di Scientology ed un'associazione segreta. Il concetto ritorna ora in maniera così prepotente da consentite l'uso di affermazioni fatte dalla Commissione Ministeriale di Indagine per la Loggia P2 che risultano totalmente aderenti al caso in esame. Si afferma infatti che «... l'organizzazione (P2 n.d.r.) si basa sulla concentrazione dei poteri in un vertice autoinvestitosi, sulla saldezza del vincolo associativo» e che tale vincolo non solo non viene meno «... per la mancata conoscenza da parte di alcuni dei consociati - ed anzi dei più - della reale consistenza del gruppo nonché dei nomi (almeno della gran parte) degli altri consociati», ma anzi, permane anche quando v sia da parte di consociati addirittura ignoranza degli stessi obiettivi perseguiti in concreto «... utilizzando i rotismi dell'organizzazione non controllati in alcuna sede collegiale». A tale proposito avendo presente tutto quanto detto sulla mancanza di chiarezza delle strutture dell'associazione in esame e, quindi, sulla sua naturale tendenza alla segretezza, si rammenti ancora che la legge 25.1.82 n.17 di attuazione all'art. 18 Cost. non era stata promulgata quando, tuttavia, un illustre costituzionalista (MORTATI) affermava: «I limiti che l'art. 18 cpv. Cost. pone al diritto di associazione non attengono ai fini... ma riguardano invece il modo di esercizio dell'attività associativa... la segretezza ha una sua ragion d'essere nei regimi di compressione dei diritti umani, ma quando questi ottengono pieno riconoscimento e tutela, non appare più tollerabile e fa presumere un fine illecito o, comunque, denuncia il difetto negli associati di quel senso di responsabilità che deve contrassegnare l'azione del cittadino di uno stato popolare.» Sia consentito soggiungere semplicemente che non poteva esservi commento più calzante e qualificato all'azione dell'associazione e, soprattutto, degli imputati in esame. Una mancanza di trasparenza nelle strutture, infatti, non ha altra ragione d'essere che quella di conseguire la più completa incontrollabilità e, quindi, l'occultamento di condotte lesive di principi etici, diritti fondamentali e norme giuridiche nonché dell'identità dei loro autori. Una ulteriore conferma indiretta del fenomeno di "polverizzazione del potere" del quale si è appena trattato si rinviene proprio nella parole di quegli imputati come i quali, nel relativo "candore" che caratterizza il loro "2° livello di conoscenza". Di fronte alle numerose affermazioni di testi e parti lese secondo le quali all'interno dell'associazione di Scientology non si capiva mai chi comandasse ed a chi ci si potesse rivolgere per rappresentare eventuali doglianze non vi è, dunque, un riscontro più obiettivo ed inconfutabile di queste parole degli imputati stessi. Ma c'è un altro esempio, in proposito, che vale la pena di rammentare. Nel maggio 1987 sono pervenute all'ufficio di questo G.I. oltre 500 istanze di rilascio del mod. 101 in vista della dichiarazione dei redditi (cfr. vol. 147 e 148). Al di là delle ragioni di merito che inducevano a rigettare quella singolare istanza, e che sono state appunto illustrate nelle relative ordinanze, è un fatto che anche questo fenomeno fornisce ulteriori argomenti alla tesi che qui si va sviluppando secondo la quale è tanto vero che l'associazione di Scientology vive di "immagine" che, quando si tratta di rendere conto delle sue azioni, si dissolve come una bolla di sapone. Va preliminarmente sottolineato che tutte le istanze in questione erano state scritte, com'è intuibile dal loro contenuto "in serie" (esattamente come per le centinaia di lettere di protesta o quelle di dissequestro dei "folders"), su precisi "ordini di scuderia". Esse rispecchiano infatti lo "stile colpevolizzante" ed il taglio prospettico (riportato da numerosi testi - v. retro cap. 8 par. 8) nel quale è stato voluto fosse interpretata la chiusura delle sedi disposte dall'A.G. e cioè senza porre minimamente in dubbio che quell'iniziativa giudiziaria potesse avere una qualche base di fondatezza. Pertanto, quando si è trattato di richiedere all'associazione il rilascio del Modello 101 per la rituale dichiarazione dei redditi, nessun adepto è stato colto dal sospetto che il destinatario di quell'istanza avrebbe dovuto essere, esclusivamente, l'associazione stessa presso la quale essi avevano collaborato (o lo stavano facendo ancora). L'angolatura nella quale era ormai stata loro rappresentata l'azione giudiziaria era quella secondo la quale responsabile di tutto era solo l'A.G. ed appunto a quest'ultima si sono rivolti. E così quell'associazione potente della quale con orgoglio parlano numerosi testi («... ella continua a ripeterci che ogni iniziativa giudiziaria intrapresa nei loro confronti è destinata al fallimento» - BE. N. - «... egli si è detto convinto che si tratti di una bolla di sapone che presto si sgonfierà» - PA. - « ... i capi hanno assicurato che presto riapriranno perché questi attacchi ci sono stati anche nel passato ma sono sempre finiti nel nulla perché loro hanno i miliardi» -- FR.) al momento di rendere ragione delle sue responsabilità si disintegra e si "nasconde" dietro i suoi stessi adepti i quali stati tanto bene "indottrinati" da non accorgersi di questa abile manovra elusiva. È evidente, infatti, che l'unico soggetto che avrebbe dovuto render conto delle dichiarazioni dei redditi dei suoi adepti era appunto l'associazione alla quale, sola, essi avrebbero dovuto rivolgersi. Un'associazione diversa (o, per lo meno, coerente con i principi che teorizza), di fronte alla impossibilità di soddisfare la richiesta, per mancanza della documentazione sequestrata, avrebbe dovuto a sua volta, in persona del suo rappresentante legale rivolgere all'A.G. una richiesta di restituzione della documentazione necessaria ben precisata. Ma l'associazione non ha fatto nulla di tutto ciò. Anzi, giocando sull'equivoco e facendo leva sul senso di vittimismo colpevolista precedentemente inculcato, così come già di fronte ai creditori (v. retro cap. 6 par. 6) si è limitata a "rimbalzare" a terzi responsabilità che erano solo sue facendo peraltro credere che ciò fosse giusto perché a sua volta vittima di un atto illecito. Senza entrare minimamente nel merito della giustezza dell'iniziativa giudiziaria intrapresa e, quindi della chiusura delle sedi, è un fatto che, anche ammesso che effettivamente quella chiusura fosse stata un sopruso, nessuna ragione logica o giuridica avrebbe legittimato il "depistaggio" attuato dall'associazione a proposito delle sue precise responsabilità in tema di dichiarazione dei redditi dei suoi adepti. Invero, tutto ciò è terribilmente significativo della abilità dell'associazione in esame di speculare sul gioco delle apparenze e delle realtà del quale si è già detto. In pratica, a ben riflettere, questo episodio della assurda richiesta dei modelli 101 da parte di centinaia di adepti a... questa A.G. è la prova tangibile di tutto quanto fin qui detto a proposito delle tecniche operative dell'associazione specie per quanto riguarda i sottoelencati punti 3) e 4): 1) capacità di "indottrinamento capillare"; 2) elaborazione di uno spirito vittimistico come di chi ingiustamente viene perseguitato ora da psichiatri, ora da magistrati; 3) capacità di mobilitazione di intere masse per eseguire ordini senza che alcuno venga colto dal dubbio sulla giustezza di tale comando; 4) raggiungimento, in tal modo, dell'obiettivo di eludere ogni forma di responsabilizzazione dell'associazione stessa che, così, si disintegra "polverizzandosi", appunto, in centinaia di adepti che, solo essi, si espongono in prima persona nella richiesta di cose insensate sul piano logico e giuridico. La potente organizzazione che si propone come un colosso agli occhi dei suoi adepti, al momento di proteggerli, rappresentarli o rappresentare le loro giuste istanze, scompare nascondendosi dietro tanti singoli che, quindi, al momento di eventuali contestazioni si dichiarano indifesi. Ciò è esattamente quello che è accaduto anche agli imputati della presente istruttoria. Ma questa realtà non conduce e non può condurre né su un piano logico né su un piano giuridico ad una esclusione delle responsabilità di chi, avendo assunto cariche sociali rappresentative, si veda ora chiamato a rispondere anche solo a titolo di concorso morale per i fatti delittuosi commessi nell'ambito dell'associazione. Si spera infatti di raggiungere l'impunità con una defatigante logica delegante che asseconda un sistema nel quale è ontologicamente prevista la segmentazione minuta delle condotte. In tal modo, una volta che queste vengano qualificate delittuose, scatta il meccanismo di autodifesa del singolo teso a sottolineare l'apporto "marginale" dato. Non è tuttavia per fare della retorica se si pone l'accento sull'ovvia circostanza che anche un'immensa distesa di sabbia come il deserto, capace di travolgere e soffocare, è pur sempre data da singoli, minuscoli ed apparentemente indifesi granellini di sabbia. La logica difensiva corrente nel presente procedimento da parte degli imputati è quella di evidenziare tale loro dimensione di "granellino di sabbia" ma anch'essa non è altro che l'ennesima dimostrazione di abitudine a giocare sulla suggestione e sulle prospettive. Di qui la necessità ed opportunità, grazie ai presenti atti istruttori, di ristabilire le giuste prospettive e dimensioni e porre l'accento sul contributo causale di... ciascun granellino a formare un'immensa distesa di sabbia la quale ultima, (non va dimenticato) è in grado di assumere una potenzialità offensiva non altrimenti conseguibile dal singolo; la qualcosa dimostra, una volta di più, l'estrema rilevanza dell'apporto di ognuno. È ben noto all'ufficio il tipo di argomento ricorrente usato dagli imputati secondo cui essi in qualità di presidenti e/o vice presidenti non avevano come compito istituzionale quello di sovraintendere alla promanazione delle direttive di Hubbard ed al controllo sulla loro osservanza in quanto tale compito, stando alle loro parole, sarebbe stato demandato ad altri uffici. È, tuttavia, evidente che si tratta di una tecnica logorante esattamente analoga a quella già riscontrata in danno di più testi o parti lese tutte le volte che hanno cercato un interlocutore responsabile. Si è già accennato del resto come sia stata riscontrata molta confusione anche tra gli stessi imputati a proposito dei contenuti da dare a ciascuna carica e così per alcuni (es. PA.) è vero che il presidente e/o il vice presidente hanno anche il compito di controllare l'attuazione delle direttive... mentre per altri ciò non è affatto. E così taluno ha cercato di riferire ogni responsabilità contenutistica al c.d. C.O. (Commanding Officer) altri invece al c.d. Comunicatore di Ron (L.R.H. Com) ma è un fatto che tutti questi "palleggiamenti'" di responsabilità altro non fanno che confermare il convincimento che tanto apparente disordine e scoordinamento sia stato predisposto al palese scopo di scoraggiare qualsiasi investigazione tesa ad identificare un responsabile. Ed allora se questo è lo spirito elusivo della struttura- associativa non è ammissibile che esso consegua anche il risultato di una impunità penale. In buona sintesi non si vede, in tale condotta, nulla di diverso da ciò che fanno comuni truffatori i quali pongono in essere "società fantasma" al palese scopo di lucrare la maggior quantità di beni possibile e poi scomparire. Ed a tal fine, gli ideatori di queste società individuano delle "teste di legn" da esporre maggiormente per le esigenze minime quali la sottoscrizione di contratti o una rappresentanza formale, mutandole peraltro in continuazione per aumentare il grado di impermeabilità ai controlli. A meno che tali persone siano individuate tra i soggetti palesemente incapaci sì da realizzare, nei loro confronti, una vera e propria circonvenzione, è un fatto che a tali persone, se normalmente capaci, non possono che essere chiamate a rispondere di quanto commesso in concorso con gli ideatori più astuti. Semmai, il loro diverso contributo causale potrà essere oggetto di valutazioni differenziate in sede di quantificazione della pena ma non sarà certo sufficiente ad escluderne del tutto la responsabilità penale. E l'eventuale rilevanza di un errore sul fatto attiene ad altri profili sui quali ci si soffermerà più avanti. Ad ogni modo nel caso di specie nessun imputato ha invocato o indicato uno stato di incapacità tale da potere, a sua volta, essere ritenuto vittima di una circonvenzione da parte di terzi non meglio identificati. Fermo restando ciò che si potrà dire caso per caso, è un fatto che gli odierni imputati, nella loro veste di presidenti e/o vice presidenti, ben conoscevano il tipo di attività che quotidianamente si svolgeva e si doveva svolgere all'interno dell'associazione ed è lecito ritenere che, ove non ne fossero stati adeguatamente a conoscenza, avrebbero avuto, in nome della loro qualifica, il preciso potere/dovere di verificare l'operato altrui a nulla valendo, come detto, il rinvio teorico e del tutto opinabile ad altri uffici e responsabili mai meglio identificati. Se, infatti, l'associazione ha prima ritenuto opportuno, per i suoi scopi opportunistici (sottoscrizione di contratti di locazione, di forniture di servizi, intestazione di conti correnti bancari, sottoscrizione di assegni ecc.) proporsi all'esterno solo attraverso un soggetto ( il presidente o i l suo vice) che, in tali occorrenze, assume una rilevanza legale di rappresentanza e responsabilizzazione anche penale (come vuole infatti anche la normativa tributaria); e se dunque, in tal modo, si è escluso invece qualsiasi rilievo esterno e legalmente significativo alle molteplici suddivisioni interne, non si vede poi, in nome di quale principio (quando ciò comporti l'assunzione di responsabilità per alcune condotte verificatesi all'interno dell'associazione stessa) negare rilevanza, svuotandola improvvisamente di contenuti, all'unica carica certa prima fornita all'esterno e riproporre invece, in alternativa, come significativi e determinanti, una serie di uffici nei quali l'associazione è stata ripartita secondo una pianificazione di rilevanza solo interna. Sembra, in altre parole, di assistere ad una specie di gioco di prestigio in cui di volta in volta si fa apparire e scomparire ciò che più giova allo scopo. E questo gioco è tanto più subdolo se si rammenta ciò che è stato già fatto osservare in tema di "chiarezza" delle strutture interne. A prescindere infatti da ciò che affermano gli imputati e poiché, a differenza dell'"etica scientologa", non è possibile pretendere da parte loro alcun obbligo di "delazione", è un fatto che, anche a voler indagare e seguire le "indicazioni di massima" fornite dagli imputati a loro discolpa (ed a responsabilizzazione di altri uffici) si finirebbe per ritrovarsi in un dedalo senza fine visto che, come già sottolineato, è tecnica ricorrente conferire le cariche a "voce" ed analogamente revocarle senza che dunque resti traccia documentale di una alternanza, anche piuttosto ricorrente, di soggetti nei vari ruoli. A ciò va aggiunto un altro aspetto molto importante dell'operatività associativa e cioè il fatto che, fisiologicamente, qualunque persona entri in contatto con l'associazione e ne segua corsi o sedute di vario genere, deve, a tal fine, passare attraverso una serie notevole di uffici diversi. In genere egli prende i primi contatti con il settore addetto alla c.d. "disseminazione", viene sottoposto a dei tests a cura di alcune persone che però sono quasi sempre diverse da quelle che, poi, valutano il test. In base alla c.d. "stima tecnica" che- ne deriva il soggetto viene invitato e convinto a frequentare un corso piuttosto che un altro, una seduta piuttosto che un'altra. Tale opera di convincimento viene, a sua volta, condotta da persona diversa da quella che ha fatto la "stima" (sulla quale ultima, peraltro, si basa quest'opera di convincimento per quella che ormai si può tranquillamente definire "vendita"). Una volta, dunque, che la vendita è conclusa, il materiale esborso del denaro e la sottoscrizione di tutta la documentazione del caso vengono curati da un soggetto ed un ufficio ancora diversi. Come pure differente sarà il soggetto presso il quale verrà seguito il corso o la seduta di auditing. A tale ultimo proposito poi non è infrequente che anche una volta iniziato l'"auditing", l'"auditor", strada facendo, cambi, ovvero cambi il C.S. (Supervisore del Caso). E se, durante il percorso si creano situazioni particolari, non è escluso l'intervento di un "ufficiale di etica" ovvero di un "comunicatore di Ron". In questa miriade di soggetti ed uffici diversi è altamente improbabile che, alla fine, lo stesso interessato sia in grado di riferire con esattezza l'identità di tutte le persone che hanno trattato il suo caso (o, se si preferisce, per rammentare il gergo scientologico, hanno "maneggiato il suo ciclo"). La conclusione è tanto logica ed evidente che se si eccepiscono pochissimi casi, quasi nessuna delle parti lese del presente procedimento ha saputo essere esaustiva sul punto. Né, come si può ben immaginare, il compito dell'inquirente può, in tale contesto, rivelarsi più efficace visto il sistema istituzionalizzato di non registrare documentalmente l'identità dei soggetti avvicendatisi nelle diverse e numerose cariche associative. Con questo non è che si voglia ripiegare, ad hoc, in mancanza di meglio, in una sorta di responsabilità oggettiva dei pochi soggetti dei quali siano chiare le cariche associative e l'epoca della loro durata com'è il caso dei presidenti e dei vice presidenti. La ragione della loro corresponsabilità poggia infatti su precise disposizioni normative in tema di concorso di persone nel reato, tanto più quando esso sia posto in essere nell'ambito di una struttura associativa quale quella contestata (sub capo 42). Come già rilevato in più occasioni dalla giurisprudenza [...] [...] Passando infatti a tradurre questo tipo di considerazioni generali nel concreto del presente procedimento va detto che non sfugge certamente che la totalità delle persone qui imputate per il fatto di aver ricoperto la carica di presidente e/o vicepresidente hanno eccepito che di fatto tale carica era, dal loro punto di vista, formale, nel senso cioè che non implicava alcun potere specifico di direzione o vigilanza e che anzi si risolveva solo nell'assunzione di oneri. Di fronte a questa "giustificazione", tuttavia, non si può che eccepire la sua più totale irrilevanza sul piano giuridico. La volontaria cecità supina con la quale essi hanno ricoperto ruoli di rappresentanza e di responsabilità che comportava appunto la sottoscrizione di assegni o di contratti anche onerosi rappresenta infatti un modo del tutto soggettivo di interpretare il loro ruolo sociale. Indubbiamente esso rispecchia tutto lo stile ormai accertato dell'associazione stessa di voler... far diventare vero ciò che è vero per essa (parafrasando cioè la definizione di "verità" fornita da Hubbard). Ma è un fatto che questi sofismi o, per meglio dire, queste "esercitazioni logico-suggestive" se possono avere un loro spazio all'interno di una palestra filosofica, nessun peso sostanziale riescono ad esercitare una volta che li si invochi come esimente di rilevanza giuridica. Alcuni degli odierni imputati hanno svolto o svolgono attualmente attività commerciali o comunque tali che non è pensabile venga da loro ignorato il significato di determinati atti o cariche sociali. È un dato accertato che nessuno degli imputati risulta avere disponibilità economiche di rilievo, ivi compresi coloro che sono stati presidenti e/o vicepresidenti; ciò malgrado molti fra loro non hanno avuto esitazioni a sottoscrivere contratti che li impegnavano per decine di milioni se non di più. Si può certamente intuire che, nel far ciò, essi hanno capitalizzato al massimo la loro fiducia verso l'associazione (intesa naturalmente nel senso più impersonale possibile visto che nessuno ha saputo indicarne un capo superiore più rappresentativo degli altri) ma è certo che si è trattato di una loro scelta del tutto libera e personale, di "rischiare", che nulla toglie però al fatto che oggi essi possano ugualmente e legittimamente essere chiamati a rispondere di quanto posto in essere, (ovvero omesso) nell'espletamento di una carica di notevole responsabilità. Ed anche le eventuali assicurazioni loro date, da soggetti peraltro mai meglio specificati, in ordine al fatto che l'assunzione della carica di presidente e/o vice presidente sarebbe stata una "pura formalità" non solo sono totalmente prive di valore ai fini per i quali ora esse vengono addotte ma rappresentano anche una ulteriore prova di quanto detto in precedenza a proposito di questa abile struttura associativa tanto apparentemente forte quando occorre "galvanizzare" surrettiziamente i propri adepti (perché ciò serve ai suoi scopi) e tanto inconsistente ed evanescente quando si tratta di fornire obiettivo riscontro alle promesse di protezione e di potenza prima fatte balenare. L'unica risposta, ancora una volta, attraverso i suoi stessi adepti-imputati è di confusione ed evasività. Una reiterazione di quel perverso gioco di "palleggiamento di responsabilità" che non fa che avvalorare una volta di più sia la fondatezza delle accuse mosse da parti lese e testimoni sia il convincimento formatosi per molte altre ragioni già illustrate secondo cui è appunto l'associazione di Scientology il "cancro" del sistema, il terreno fertile sul quale grazie ad una fisiologica mancanza di chiarezza, si agevola la "coltivazione" di condotte di varia natura tra le quali, appunto, quelle poi oggetto di incriminazione penale. Se pertanto è nelle facoltà difensive degli imputati giustificare la propria condotta con le spiegazioni che essi ritengono più opportune (per sé o, ancora una volta, per gli interessi dell'associazione) è altrettanto indiscutibile facoltà dell'organo inquirente annettere a tali giustificazioni l'attendibilità che esse hanno obiettivamente e non (come invece si vorrebbe) soggettivamente. È dunque del tutto vano, da parte degli imputati, affermare che la loro carica di presidente e/o di vicepresidente non implicasse alcun potere effettivo di direzione o controllo delle attività associative. Né può rappresentare adeguato sostegno logico il fatto che, in concreto, essi non abbiano appunto esercitato tali attività. Tutto questo fa parte di una serie di scelte di opportunità basate su valutazioni interne all'associazione e, come tali, irrilevanti e non opponibili all'esterno. Un simile modo di ragionare, infatti, rientra in quella logica delegante e deresponsabilizzante che, come visto, permea di sé ogni atto dell'associazione, dallo stesso Hubbard in poi. E ciò è tanto vero che, come si vedrà, è stato riscontrato persino nelle posizioni processuali più indiscutibili di coloro che sono stati, per così dire, colti in... flagranza in quanto specificamente indicati dalle loro vittime sia nell'identità che nelle condotte. Anch'essi non hanno esitato infatti (malgrado l'evidenza) a rinviare ad ... altri uffici la responsabilità del loro operato i quali ultimi, a loro volta, hanno chiamato in causa terzi uffici ancora. Si cita a puro titolo esemplificativo il caso di NO., uno degli imputati più compromessi per la chiarezza di argomenti probatori a suo carico. Ebbene, questi non ha esitato a sostenere la tesi che quanto da lui fatto o detto o promesso non è riconducibile a sua responsabilità bensì a quella del "tecnico" RI. del quale egli (naturalmente) non poteva che fidarsi. Inutile dire che, a sua volta, il RI. ha rimbalzato le responsabilità al Supervisore del Caso (non meglio individuato) e non si dubita che quand'anche esso fosse stato indicato con nome e cognome avrebbe anch'egli, a sua volta, trovato il modo di "rimbalzare" l'accusa ad un altro ufficio. Sarebbe stato interessante ed utile seguire questa specie di "Catena di S. Antonio" (appunto come detto prima) se avesse, prima o poi, condotto all'"erede di Hubbard" o, in altri termini, alla mente o al ristretto gruppo di menti pensanti che rappresentano la c.d. "élite"'. Purtroppo, come si è ben compreso, fa parte dei sistemi operativi dell'associazione creare ad un certo punto una "interruzione di conoscenza" in modo da autotutelarsi al massimo contro il rischio dei c.d. "Squirrels", persone cioè, come ARMSTRONG, VOSPER o altri, le quali una volta allontanatesi dall'associazione (o che abbiano, per causa sua, avuto problemi) possano rivelare tutte le strutture interne dell'associazione e permetterne la "decapitazione". Il sistema di autotutela, espressamente previsto contro tale ipotesi, determina invece una sorta di circolo vizioso nel quale, per quanto si vogliano seguire i vari palleggiamenti di responsabilità, si resta sempre allo stesso livello di conoscenza che, come teorizza giustamente il teste FLYNN, è solo « il 2°». Ma sotto tale profilo è quantomeno indubbio che gli odierni imputati vi rientrino. Per quanto li si voglia infatti considerare "teste di legno" è un fatto che nell'associazione non viene conferito un potere di intestazione di conti correnti bancari di notevole portata ovvero un potere di firma su assegni se non si tratta di persone in linea con l'ortodossia del sistema. Tale considerazione non può non essere particolarmente valida per sedi come quella di Milano, ad esempio, presso la quale, come si vedrà meglio più avanti, è stato commesso il maggior numero di reati ed anche i più gravi. Questo fatto non solo non è casuale per tale sede ma va a ridondare anche a carico della persona che ne è, sia pure formalmente (come si sostiene) posta a capo. Più di un imputato ha sostenuto che, nelle ipotesi oggetto di incriminazione, che in esse non si era verificata nessuna violazione delle policies di Hubbard le quali, anzi, erano state applicate correttamente e l'eventuale insoddisfazione della parte lesa sarebbe stata da riferire solo a quest'ultima. A prescindere da altre considerazioni cui tale affermazione darebbe luogo, è un fatto che essa conferma la giustezza dell'impostazione accusatoria secondo la quale i reati enucleati sono espressione di una condotta assolutamente abituale all'interno dell'associazione. Il fatto dunque che presso una sede piuttosto che un'altra sia stato accertato un maggior numero di reati non è, ripetesi, casuale ma, anzi, espressione della particolare virulenza che presso quella sede aveva assunto l'attività associativa "base" . Era, in altre parole, presso la stessa data applicazione più che mai letterale agli incentivi dello stesso Hubbard circa la "linea dura" da tenersi per raggiungere gli scopi della maggior produzione (come ampiamente evidenziato nel capitolo 5 par. 2). A tal fine il responsabile della sede non poteva, a sua volta, che essere persona assolutamente fondata ed in linea con la politica della sede. Ed infatti gli stessi imputati (quelli cioè che qui interessano per essere stati presidenti o vicepresidenti) hanno tutti in qualche modo ammesso che il conferimento di tale carica (quasi sempre "piovuta dal cielo") voleva rappresentare una sorta di riconoscimento di stima ed apprezzamento per l'attaccamento mostrato ed il buon lavoro svolto fino a quel momento per l'associazione. Si tratta infatti sempre di persone che hanno operato per lungo tempo al suo interno spesso in più settori e che quindi conoscono meglio di altri tutte le tecniche che vi vengono attuate. Il fatto che poi in concreto, come essi vogliono sostenere, non abbiano curato il modo in cui venivano attuate le direttive di Hubbard consentendo, implicitamente, in tal modo che un'esasperata applicazione di quelle tecniche abituali portasse alla commissione di reati, se vero, è comunque frutto di una loro scelta che non li esime da una responsabilità per condotta, quantomeno omissiva, risultata concausa nella verificazione del c.d. reato fine. Ed a maggior conforto giurisprudenziale di queste argomentazioni si rammenti anche quanto affermato in proposito da alcuni giudici di merito [...] [...] A tale riguardo, un peso rilevante è svolto anche dal richiamo al materiale istruttorio acquisito e fin qui illustrato: esaminato nella sua globalità esso dà significativo contributo ad illuminare nella loro giusta valenza dati e circostanze che, se considerati da soli, possono apparire scarsamente significativi, mentre, se valutati congiuntamente e se rapportati alla logica interna dell'associazione, sono suscettibili di acquistare un preciso rilievo probatorio. Ci si intende riferire, tra l'altro, ad un aspetto non marginale illustrato in particolare nel Capitolo 9 concernente la c.d. forza intimidatrice dell'associazione. Quella capacità cioè di tutto l'apparato associativo di incutere timore sulla base dell'opinione diffusa della sua forza e della sua abitudine a farne uso. E ciò si può affermare anche in termini non necessariamente delittuosi. Basti ad esempio pensare alle immagini di potenza che traspaiono dalle parole dei testi prima citati a proposito dei loro convincimenti circa la capacità "vincente" dell'associazione contro qualsiasi aggressione. È indiscutibile, infatti, che, ricalcando un detto corrente "l'unione fa la forza" il punto è che questo modo di dire anche a fini di buon augurio si carica di contenuti negativi ed oscuri presagi quando si esprime all'interno di una associazione posta in essere anche per commettere delitti. Non a caso la forza di intimidazione è uno degli elementi strutturali di altra e ben precisa ipotesi criminosa (416 bis C.P.) qui non configurabile per diversità di dolo specifico; ma è comunque un fatto che questa similitudine non fa certo onore né all'associazione a delinquere in esame, né ancor meno, all'associazione di Scientology al cui interno si colloca la societas scelerum in esame. E, si badi bene, il generico atteggiamento di intimidazione del gruppo che, al contempo, si prefigge la commissione di una serie di altri reati non si identifica affatto con l'impiego potenziale o reale della forza di identificazione del vincolo associativo. Si può infatti teorizzare l'esistenza di due tipi di forza intimidatrice. L'una svolta nei confronti della vittima del reato fine per indurla a subire la condotta che caratterizza il reato stesso. L'altra invece, quella più generica, che qui interessa che è, in un certo senso, preliminare e più ampia e si configura come la forza (potenziale o reale) del gruppo di intimidire non solo le vittime ma anche terzi che potrebbero diventare testimoni a carico al punto da indurli ad una sorta di omertà. Questo strumento di pressione psicologica, che appunto con tali caratteristiche qualifica la metodologia mafiosa rispetto al vincolo organizzativo comune, è indiscutibilmente proprio anche delle metodiche abitualmente riscontrate all'interno dell'associazione di Scientology e, conseguentemente, della societas scelerum da essa contenuta. Non solo è sufficiente richiamare a tale proposito quanto detto nei capitoli precedenti, ma si possono tenere in giusta considerazione, a questo punto, anche affermazioni di parti lese (MO., BO., CE., BA., MI., GU. ed altri) a proposito di questa tecnica ricorrente di agire sempre in più persone (minimo due), darsi di frequente il cambio, non lasciare mai sola la vittima, non darle il tempo di respirare, farle percepire, la forza, la potenza, l'onnipresenza del gruppo e tutto ciò anche attraverso il riferimento apparentemente casuale o generico di mali di varia natura accaduti a chi abbia osato contrastare l'associazione. I dettagliatissimi capi di imputazione e le numerose testimonianze già in parte menzionate, sono talmente ricchi di episodi del genere che sarebbe a questo punto ripetitivo il volerli riportare. Ciò che invece qui preme puntualizzare con riferimento ad un argomento difensivo già profilatosi in alcune istanze concernenti la libertà personale è che la forza intimidatrice della quale trattasi costituisce un elemento strutturale ed un connotato specifico del sodalizio stesso nel suo complesso per il perseguimento dei suoi fini, non già, necessariamente, un profilo di condotta di ciascuno dei suoi singoli associati. Appare dunque suggestivo (e non si vede come potrebbe non esserlo vista la sua indiretta provenienza da Scientology) il riferimento all'aspetto assolutamente mite ed inoffensivo di gran parte degli imputati. Sul punto si potrebbero spendere fiumi di parole ma forse non del tutto pertinenti alla presente sede o di stretta competenza giurisdizionale. Si potrebbe ad esempio far notare che non sfugge l'estrema similarità di posizioni "umane" tra gli odierni imputati e le parti lese. Non a caso dalle stesse parole degli imputati spesso traspare un "vissuto" assolutamente identico a quello delle loro vittime in cui cioè l'incontro con Scientology coincide con la perdita di un genitore o un grave momenti di crisi esistenziale o professionale. Non pochi di essi hanno ammesso di aver "risolto i loro problemi" grazie alle tecniche di Scientology. Ma il punto è che questi ed altri simili rilievi sono più significativi su un piano psicologico o sociologico che processuale. La linea di demarcazione giuridicamente rilevante, infatti, è rappresentata dal fatto che, comunque, a torto o a ragione, gli odierni imputati non adducono alcun danno da parte dell'associazione, non risultano affetti da alcuna infermità o deficienza psichica ed anzi manifestano dei convincimenti tanto radicati da impedire qualsiasi tentativo di dimostrazione contraria (peraltro abbastanza problematica potendo apparire non solo vessatoria e provocatoria ma di difficile riscontro oggettivo per le ragioni già espresse in precedenza circa la inesistenza di strumenti scientifici ed oggettivi atti a dimostrare se un certo stato di "felicità" asserita sia o meno rispondente al vero). Ma tutto ciò attiene esclusivamente alla condizione soggettiva degli imputati e rileva in questa sede solo per quel che si vedrà tra breve, la sussistenza o meno dell'elemento psichico. Al di fuori di ciò ogni altra dissertazione sarebbe arbitraria. Il semplice cenno che vi si è tuttavia fatto è servito solo a dimostrare che non esiste alcun intento, nel dissertare sulla forza di intimidazione, di prospettare gli odierni imputati come un esercito di "mostri" dalle fattezze "lombrosiane". È peraltro ben noto, per essere stato anche riferito da più testi (es. per tutti VA. cfr. vol. 36) come sia preciso obiettivo dell'associazione di Scientology "educare" i suoi adepti a forme di comportamento apparentemente ineccepibili caratterizzate cioè da buone maniere, fin troppo cortesi e sorridenti, toni di voce sempre misurati, calma olimpica di fronte a qualsiasi situazione. Si è già notato come, purtroppo, sia dalle intercettazioni che dalla parole di numerosi testi, sia stato accertato come questo insegnamento non sia propriamente seguito alla lettera da tutti ed in qualsiasi occasione. È un fatto tuttavia che, a parte qualche modestissima "sbavatura", tutti gli imputati del presente procedimento, anche quelli detenuti, hanno brillato per buone forme e compostezza sì da sembrare quasi impensabile la riferibilità a loro di condotte anche violente come estorsioni. Ma, come dicevasi, questo è un argomento suggestivo ed inconsistente. La tesi del Lombroso è infatti superata da tempo come pure, da molto, l'esperienza giudiziaria, grazie al fiorire della c.d. "criminalità dal colletto bianco", ha abituato ad un certo tipo di imputati ben vestiti con buone maniere che, anzi, proprio di tali apparenze si sono avvolsi nella commissione di gravi reati. Quando perciò si parla di forza intimidatrice della associazione della quale fanno parte gli odierni imputati ci si vuole segnatamente riferire proprio ad un certo tipo di pressione psicologica che può anche diventare, in certi casi, sottile violenza della quale nei capitoli precedenti sono stati addotti ampi, esempi al di fuori delle ipotesi criminose stesse, a conferma del fatto che si tratta di un "modus operandi" abituale (di Scientology e dell'associazione criminosa) del quale ciascun associato a sua volta si fa forza. Ed è altresì interessante, a riguardo richiamare un posto in luce dalla giurisprudenza. Il rilievo, sebbene fatto con riferimento alla sussistenza della fattispecie delittuosa di cui all'art. 416 bis C.P., è tuttavia estremamente calzante nel caso di specie per il noto principio che "ubi maius ibi minus". Non è, in altri termini, essenziale da parte del singolo compartecipe il ricorso specifico all'intimidazione o all'assoggettamento della parte lesa o di un terzo (perché si abbia la condotta tipica del reato associativo). «In altre parole non è necessario, ai fini della consumazione del delitto associativo in esame, che i suddetti strumenti siano effettivamente ed in concreto utilizzati dai singoli associati, purché costoro siano, in forza del vincolo affettivo che li lega al consorzio criminoso, nelle condizioni e nella consapevolezza di poter disporre di tali strumenti che costituiscono appunto l'apparato strutturale della loro organizzazione.» (così Trib. Roma sez. VII 8 febbraio 1985 in Cass. pen. Mass. ann. 1985 p. 1715). In relazione, quindi a ciascun associato, la verifica della consapevole appartenenza al gruppo così strutturato ed operante e la condivisione del programma associativo viene ad identificarsi con la prova dell'accettazione di tale logica di intimidazione che è propria del gruppo stesso. Da questo punto di vista, peraltro, gli odierni imputati non lasciano spazio a dubbi di sorta visto il livello di fanatismo espresso nell'affermare il loro convincimento nelle idee e nei programmi dell'associazione di Scientology. E come dovrebbe ormai essere chiaro la prospettiva accusatoria propone l'associazione di Scientology come la matrice culturale, ideologica ed anche materiale delle condotte criminose contestate nello specifico sia della sussistenza di un più ristretto fenomeno di "societas scelerum" al suo interno che delle strutture, delle forme e di tutte le modalità di essere dell'associazione si avvale per nascere esistere e prosperare.
[...] Invero il taglio accusatorio molto ridotto espresso dal Pubblico Ministero è, semmai, l'ennesima dimostrazione di quanto siano infondate le accuse mosse da più parti secondo le quali il presente procedimento rappresenta un attentato alla libertà di manifestazione del pensiero. Un simile modo "riduttivo" di incriminare le condotte che promanano da Scientology è (sia pure in parte) anche conferma di un punto di vista già espresso dal G.l. di Roma (anche se con altre conclusioni) secondo cui non si vede perché nell'odierno sistema sociale vi possa essere spazio per astrologi, cartomanti e maghi non per i cultori del pensiero di Hubbard. Peraltro, come accennato in premessa, c'è da dire come numerosi profili di grave perplessità cui danno luogo alcuni principi teorizzati da Hubbard siano di competenza di ben altra autorità statale che non quella giudiziaria. Il fatto dunque che, malgrado le apparenze (e le innegabili esigenze di giustizia sostanziale) la mira accusatoria sia stata tenuta per così dire "bassa" non è certo cosa della quale dolersi. Non lo possono gli imputati odierni (non avrebbe infatti senso invocare per... giustizia distributiva analoga incriminazione di tutti gli altri adepti di Scientology) e ancor meno ciò sarebbe lecito da parte della collettività la quale se ha ragione di temere il fenomeno di Scientology deve anche comprendere che la tutela va invocata nelle sedi competenti. Dovrebbe poi essere ormai chiarissimo che il presente procedimento ha inteso porre in evidenza e valutare la necessità di una giusta sanzione non certo per le idee di Hubbard bensì per alcune loro applicazioni pratiche; è dunque solo con riferimento a queste ultime che si è in parte finito per prendere in esame anche le sue teorie. Ciò, comunque è stato fatto nel pieno rispetto del principio di stretta legalità di cui all'art. 1 C.P. enucleando, cioè, solo quelle condotte che riproducano tutti gli elementi della fattispecie criminosa contestata. Indubbiamente l'istruttoria ha posto in evidenza una grande molteplicità di condotte assolutamente analoghe a quelle descritte nei capi di imputazione. Ma il punto è, infatti, che esse erano solo "analoghe" ma non identiche. Di volta in volta mancava in esse qualche elemento essenziale per poterle ricondurre alla astratta e tipica previsione normativa. Di qui l'impressione molto forte fornita da questo procedimento di aver lasciato impuniti una notevole quantità di fatti che avrebbero meritato censura. Come si diceva in premessa, tuttavia, non si deve mai incorrere nel rischio di sovrapporre la censura penale a quella morale. Effettivamente molte delle condotte riferite dalle centinaia di testi escussi destano un palese senso di indignazione. Esso tuttavia non deve fuorviare nella scelta del taglio accusatorio, che ha ben evidenziato l'esistenza di una associazione a delinquere facente capo ad un ristretto numero di persone operanti in Scientology, utilizzanti i suoi stessi mezzi e che ne rappresenta, per così dire, una specie di prodotto... più deforme degli altri. In un'indagine nella quale il nocciolo del discorso riconduce sotto ogni profilo alla psiche (le attività in sé di Scientology, le condizioni delle parti lese, le condotte contestate e, persino, il tipo di violenza rilevato) non può non assumere un grande rilievo anche l'analisi dell'elemento psicologico degli imputati. E ciò non solo per l'intuibile ragione che esso rappresenta un elemento essenziale per l'esistenza dei reati contestati, ma anche perché esso ha delle connotazioni particolari che non si possono non far rilevare. Argomento difensivo estremo è quello secondo cui, dunque, in ogni caso, ogni condotta posta in essere dagli imputati sarebbe stata del tutto sfornita di una volontà lesiva anzi, al contrario, essa sarebbe stata animata da intenti esattamente opposti, quelli cioè di fare del bene e di aiutare il prossimo. A dire il vero simili attestazioni cozzano rumorosamente contro una realtà processuale fatta anche di intercettazioni telefoniche nella quale non pochi imputati sono stati "ripresi" nell'atto di esprimere tali concetti che non hanno nulla a che vedere con intenti sui quali quindi sia consentito dubitare alquanto. Pur ritenendo infatti che gli odierni imputati appartengano solo al "2° livello" ed abbiano cioè un grado di conoscenza del "tutto" piuttosto limitato non si dubita affatto che vivendo all'interno dell'associazione abbiano avuto anche la possibilità di "respirare" un certo tipo di comportamenti sì da fare in modo di "allinearsi istintivamente alla corrente" per il solo ed umanissimo scopo di star meglio. E ciò in un sistema colpevolizzante come quello esaminato è quanto mai comprensibile. Non è escluso quindi che si sia verificata anche in essi una sorta di "dicotomia psicologica" che per un verso li abbia indotti a continuare ad affermare di agire solo per il bene del prossimo (sanando in tal modo eventuali sensi di colpa verso la propria coscienza) e, per altro verso, li abbia portati ad agire, schizofrenicamente, in direzione totalmente opposta seguendo cioè la corrente direttiva comportamentale, effettiva, dell'associazione (sanando, così, i sensi di colpa che invece gli sarebbero potuti derivare da quest'ultima). Il risultato finale è però che, concretamente, essi hanno agito per il proprio tornaconto e non certo quello del prossimo verso il quale hanno diretto le proprie azioni. E quando si parla di tornaconto non ci si riferisce solo all'aspetto economico che, nonostante tutte le "nobili" attestazioni di indifferenza risulta invece più concretamente importante di quanto siano disposti ad ammettere. Ci si riporti alla mente, a tale proposito, solo il fatto che i "venditori" prendevano delle percentuali sui clienti fatti e che vi sono documenti o affermazioni testimoniali dove si profilano incentivi economici a chi aumenti la produttività come, ad esempio, tutti gli attestati esposti alle pareti delle sedi ovvero le dichiarazioni di elogio della BA. a PA. rinvenute tra la documentazione sequestrata alla prima o, ancora, le conversazioni telefoniche già citate (retro cap. 7) ove si evidenzia l'interessamento per i "cicli" conclusi presso altre sedi sui quali ciascuno prende una minima percentuale di interesse ovvero, infine, quelle noiose e lunghe conversazioni nelle quali si dibatte su ruoli, cariche e promozioni con lo stesso malumore riscontrabile in qualsiasi posto di lavoro ove si esprime invidia verso il collega o malcontento per la decisione del capo. Tutto ciò dunque per sottolineare sia pure sommariamente come un comportamento oggettivamente ortodosso non poteva che essere la migliore delle scelte per ognuno al fine di derivare dal sistema i maggiori benefici sia in termini economici che di carriera o, perché no? di ascesa nel "bridge". Non sono poche le telefonate o i documenti dai quali si desume la preoccupazione per il fatto di non essere ancora stato inviato ad un certo corso o ad una certa seduta sebbene sia passato del tempo dal momento della richiesta. È da ricordare, infatti, che i c.d. staff potevano ricevere gratuitamente i servizi dell'associazione ma in genere venivano retrocessi nell'ordine di godimento rispetto a quelli che i servizi li avessero pagati - si rammenti, a titolo esemplificativo, cosa riferiscono in proposito RO. crf. vol. 36 o MI. cfr. vol. 35. Rivalutando dunque alla luce di quanto accertato attraverso intercettazioni, documenti o testimonianze, sia lecito dubitare fortemente non solo della credibilità ma anche della validità esimente delle attestazioni di buona fede profuse dalla gran parte degli imputati. Tutto ciò ovviamente sarà oggetto di rivalutazione caso per caso ma, volendo affrontare il discorso ora in termini generali, va detto che, pur ipotizzandola e comprendendola sotto un punto di vista umano, la teoria della "dicotomia psicologica" prima fatta non solo non è valida per tutti i casi ma, ove lo fosse, non avrebbe alcuna rilevanza giuridica attenendo esclusivamente alla sfera più interiore del soggetto. Il discorso sull'elemento psichico del reato va infatti sviluppato in termini... oggettivi come appunto si vuole per comune dottrina e giurisprudenza, desumendolo, perciò, dalla condotta stessa. In altre parole, com'è noto, non è sufficiente di fronte al cadavere fumante affermare di "non aver inteso uccidere", occorre che tale assenza di dolo risulti uniformemente da tutte le circostanze della condotta e dell'evento. E sia concesso a questo punto un esempio estremamente modesto per la sua banalità ma forse più significativo di quanto si possa immaginare: il caso cioè di una persona che sviluppi, per ragioni che qui non è il caso di esaminare, il convincimento che l'ipoclorito di sodio (comunemente detto varechina) da egli assunto una volta occasionalmente, gli abbia fatto tanto bene da indurlo a cercare di convincere chiunque incontri ad assumere, a sua volta, una certa quantità di quella sostanza. La cosa potrebbe rimanere nei termini della più assoluta originalità se il soggetto si limitasse a delle normali forme di illustrazione magnificatoria dei poteri benefici non meglio identificati del prodotto in questione e certamente non meriterebbe censura alcuna, tantomeno quella penale. Il discorso però si farebbe diverso se la persona de quo traducesse questa sua opera pubblicitaria nei comportamenti di insistente pressione osservati fin qui, giungendo quindi al punto non solo di farsi dare dei corrispettivi onerosi in cambio del prodotto, di far leva particolare sugli stati di debolezza dei soggetti incontrati ed arrivare a tali forme di insistenza nel propinamento del prodotto da farlo trangugiare a tutti i costi anche con metodi drastici (come potrebbe essere il tappare naso al destinatario del benefico prodotto pur di farglielo ingurgitare e continuando a ripetere d'agire... per il suo bene). L'esempio un po' ridicolo e paradossale non si discosta di molto dalla problematica in esame. Così come qualunque persona di buon senso troverebbe inammissibile una simile condotta per la palese inidoneità del prodotto magnificato, analogamente dicasi per i fatti di cui alle odierne imputazioni nelle quali non solo il buon senso e la logica, ma anche collegi peritati hanno sottolineato la inadeguatezza e la aspecificità di una serie di pratiche poste in essere o per meglio dire imposte, vuoi con tecniche truffaldine vuoi di abile violenza psicologica, vuoi di prevaricazione di altrui incapacità, con modalità di pressione, intenti di arricchimento e promesse di successo che non trovavano fondamento se non nel fanatismo del soggetto attivo, da un lato, e nello stato di bisogno del soggetto passivo, dall'altro. E così come sarebbe estremamente difficile credere alla buona fede del soggetto nel caso dell'esempio, è altrettanto problematico ammettere quella degli odierni imputati. Nella migliore delle ipotesi, infatti essa si basa su un inammissibile fanatismo ideologico che non ha comunque rilevanza esimente. Circa l'assenza di obiettiva verosimiglianza alle molteplici menzogne, storie di copertura ed invenzioni varie fatte da Hubbard, si è già ampiamente dissertato. Ma anche a voler credere che esse non siano state portate a conoscenza degli odierni imputati anzi, siano state, com'è verosimile, occultate, ci sarebbe da ritenere la sussistenza del caso previsto dall'art. 48 C.P. se non fosse che sono gli stessi imputati a negarlo, nel modo più assoluto. Di fronte alle ampie contestazioni ed alle motivazioni stesse vuoi del provvedimento restrittivo che delle singole contestazioni fatte nel corso degli interrogatori, è stata sempre respinta a priori la discutibilità delle parole di Hubbard, delle sue tecniche e dei comportamenti da loro posti in essere sull'assunto, tutto da dimostrare, della loro perfezione. Come detto, il discorso sulla validità delle teorie e dei c.d. procedimenti elaborati da Hubbard non viene fatto in generale perché non è competenza di questo G.I. e vertendosi su un terreno di convincimenti ideologici, di psicologia, di suggestione e di essenza stessa della vita e dei suoi valori, non esiste forse nessun parametro assoluto per opporsi all'affermazione di alcuni di avere, grazie alle teorie di Hubbard, trovato la "felicità". Ma siccome l'accertamento della idoneità e specificità di certe metodiche attiene, nella specie, ai fatti di cui alle imputazioni e, quindi, a posizioni ben precise di soggetti che versavano in condizione di inferiorità o deficienza psichica, di fragilità emotiva (sì da essere più agevolmente raggirati o forzati nella volontà) ben si può con riferimento ad essi esprimere un giudizio di valutazione della bontà delle pratiche teorizzate o poste in essere dagli imputati. La qualcosa, con il conforto di valutazioni di tecnici (specie per quanto attiene alle modalità di recupero dei tossicodipendenti) consente di concludere per la inadeguatezza ed aspecificità di strumenti operativi magnificati ed imposti sull'assunto della loro perfezione. Assunto che, come dicevasi, nonostante le risultanze istruttorie li smentiscano, essi continuano a professare con una pervicacia degna di miglior causa giungendo a delle forme di contorsionismo logico tali da sostenere che, in buona sintesi, gli esempi di palese insuccesso delle loro tecniche verificati nei casi di cui sono state vittima le odierne parti lese sono in realtà da riferire alle parti lese stesse, colpevoli, a loro dire, di non aver dato seguito puntuale alle loro istruzioni derogando o interrompendo arbitrariamente le pratiche scientologhe. Si potrebbe obiettare che, al di là di ogni altra considerazione, ciò, è tanto poco vero che anche la CA., una delle vittime più gravemente colpita sotto ogni profilo dalla "praticoneria" del fanatismo scientologo, fornisce la prova di come non serva credere "fino all'ultimo" alle promesse di successo. Ella infatti riferisce come anche dopo la chiusura della sede di Pordenone e dopo aver collezionato una serie infinita di delusioni vuoi materiali che psicologiche, offrì un'ulteriore prova di appello all'associazione recandosi a Milano ove incontrò altri rappresentanti che nuovamente le garantirono, grazie alle loro "procedure", definitiva risoluzione dei suoi problemi. Il tutto si risolse in un'ennesima perdita di tempo e di denaro con l'unico effetto positivo di esasperare a tal punto la donna da indurla a rivolgersi all'A.G.. Sembra dunque che quest'ulteriore argomento (anch'esso alquanto suggestivo) secondo cui le parti lese sarebbero, esse sole, responsabili del mancato raggiungimento dei risultati benefici promessi per aver interrotto o seguito male le "terapie", serva solo a confermare una volta di più la strisciante logica colpevolizzante e deresponsabilizzante che anima l'azione di tutta l'associazione di Scientology e, quindi, degli odierni imputati. A prescindere dal fatto che essi respingono l'addebito sub 43) di aver cioè svolto attività terapeutica, è certo che l'ultimo argomento difensivo illustrato non è molto diverso da quello che potrebbe addurre un medico imputato di aver causato delle infezioni gravi al paziente al quale egli invece riferisca ogni colpa per essersi strappato le bende o non aver seguito comunque la terapia impartitagli. In effetti il discorso, messo in questi termini, potrebbe avere una attendibilità in termini di interruzione del nesso causale se non fosse che, per un verso, come detto, sono gli stessi imputati a negare il carattere di terapia alle loro pratiche (la qualcosa, coerentemente, deve escludere anche la assimilabilità dei casi) e che, comunque, il caso del medico si poggia su un presupposto ben diverso secondo cui la terapia teorica del medico o la sua prescrizione hanno una validità ed un'efficacia scientifica comunemente riconosciute che certamente non possono attribuirsi, analogamente, alle pratiche taumaturgiche di Scientology o, per lo meno quelle concretamente teorizzate e praticate dagli odierni imputati. Ancora una volta, infatti non "basta la parola" a dare corpo ad un contenuto che non c'è. Essi si ostinano a ribadire la indubbia qualità e validità scientifica delle idee e delle procedure teorizzate da Hubbard e da loro poste in essere e citano ad esempio il loro stesso caso e quello di centinaia o migliaia di adepti disposti a sostenerlo. Ma si ha ragione di ritenere che quanto ampiamente detto a proposito di certi effetti di imbonimento collettivo caratterizzanti le pratiche dell'associazione di Scientology autorizzino quantomeno il dubbio sulla genuinità di determinate manifestazioni di massa. Ad ogni buon conto non risulta che la scientificità di un sistema si possa teorizzare in questo solo modo. Si pensi ad esempio, allora, a tutte le numerose testimonianze ed attestati di successo che vengono spesso espressi per questo o quel mago ovvero determinati farmaci contro il cancro venduti solo in certe zone (es. nello Stato del Vaticano). Anche per queste persone o questi prodotti si sprecano le attestazioni di successo ed è auspicabile che abbiano un fondamento di verità (se questo può significare che hanno veramente fatto bene a qualcuno) tale solo fatto però, anche se vero, non è, come noto, sufficiente a conferire un "imprimatur" di scientificità assoluta né all'operato dei maghi né ai farmaci in questione. Analogamente dicasi per le "procedure" dianetiche. L'equazione espressa dagli imputati secondo la quale il fatto che esse abbiano avuto "successo" con loro e con altri casi di loro conoscenza dimostra che sono dotate di una efficacia assoluta è quantomeno generalizzante e, come tale, privo di alcuna attendibilità scientifica e, naturalmente, giuridica. Né è a dire che gli imputati abbiano basato i loro convincimenti asseritamente in buona fede sul fatto di aver assistito nella loro esperienza solo a conclamati "successi" delle tecniche di Hubbard da loro teorizzate e praticate. Se infatti anche la presente istruttoria ha, tuttavia, consentito di appurare un numero di "insoddisfatti" decisamente superiore anche a quello delle parti lese, non si vede come tale realtà di "insuccessi" potesse sfuggire anche agli imputati che operavamo quotidianamente e con una assiduità considerevole presso le varie sedi dell'associazione. E ciò è tanto vero che sono rinvenibili rapporti di etica a carico dell'operatore che ha trattato il caso o i casi di insuccesso. Di fronte a tale situazione, i casi sono due: o gli odierni imputati pur vedendo tale realtà hanno ritenuto di ignorarla per le ragioni più varie che qui non interessano ovvero, pur constatandola, ne hanno dato comunque l'interpretazione "voluta" all'interno dell'associazione secondo la quale, cioè, quei casi non erano da imputare alla inefficienza delle tecniche ma a tutt'altre ragioni che comunque non inficiavano la "perfezione" della tecnologia. Sia in un caso che nell'altro si tratterebbe di atteggiamenti psicologici irrilevanti dal punto di vista giuridico e certamente non idonei ad escludere la sussistenza della coscienza e volontà delle condotte e degli eventi prodotti. Nella prima ipotesi, infatti, il soggetto difficilmente potrebbe invocare la buona fede sulla base di una perfezione di tecniche e di suoi successi assoluti che egli stesso invece ha potuto verificare non rispondere al vero. Nella seconda ipotesi, di sicuro ricorrente anche nel caso di alcuni imputati odierni, si assiste ad una sorta di "cecità" indotta dallo stesso soggetto, una specie di "actio libera in causa" alla quale certamente non può riconoscersi alcuna efficacia scriminante. E del resto come già si è avuto modo di accennare sul punto a proposito della similitudine di condizione soggettiva tra parti lese ed imputati, resta il fatto che questa sorta di soggezione nella quale si sostanzia la "cecità" della quale si è detto non è stata oggetto di doglianza da parte dell'imputato di modo che sarebbe stato estremamente difficile, d'ufficio, cercare di convincerlo del contrario tantomeno a mezzo di una perizia psichiatrica che, al massimo, avrebbe potuto accertare situazioni di labilità psichica o di immaturità che difficilmente sarebbero state accettate e riconosciute dall'interessato e che, comunque, su un piano di responsabilità penale, non sarebbero certo servite neppure a ritenere la seminfermità mentale. Il vero è, infatti, che questa situazione di cieco fanatismo nella quale versa la gran parte degli odierni imputati è appunto una sorta di " actio libera in causa" di ordine psicologico che non solo non giova ai fini dell'esclusione del dolo ma dovrebbe, semmai, essere causa di un giudizio aggravato soprattutto per la carica di pericolosità sociale che vi si annida; alla stessa stregua del soggetto che viva costantemente sotto l'effetto di allucinogeni, assunti volontariamente, ed abbia quindi in continuazione una visione distorta della realtà al punto da divenire pericoloso. Tutti gli imputati, infatti, totalmente imbevuti delle teorie dianetiche, muovono dall'assunto, ampiamente illustrato, secondo cui la tecnologia insegnata da Hubbard è talmente valida e perfetta da garantire risultati certi in termini di risoluzione di qualsiasi problema esistenziale, vuoi di ordine psicologico che di ordine materiale. Tale convincimento è per loro un vero e proprio "abitus mentale" che non ammette repliche né critiche. L'unica critica che essi sono disposti a recepire è, semmai, una errata applicazione delle teorie loro insegnate. Gli eventuali insuccessi dunque sarebbero da riferire, caso mai, a questi errori operativi ma non alla tecnica in sé che, ripetesi, è da ritenersi indiscutibilmente valida. Invero un simile atteggiamento ha solo un modo per essere definito, e cioè fanatismo. In una società libera che si rispetti vi è ed, anzi, vi deve essere spazio per le idee ed i convincimenti più bizzarri purché essi, nella loro forma di estrinsecazione, non finiscano per interferire con le idee e le libertà altrui al punto da prevaricarle. Ciò non è ammissibile su un piano sostanziale e non trova riconoscimento neppure su un piano giuridico. Sebbene sia chiaro il convincimento cui può condurre la presente istruttoria in ordine alla bontà delle tecniche e delle idee di Hubbard, è un fatto che non sono queste ad essere poste in discussione e ciò che di critico è stato fin qui riportato è servito solo a sottolineare la strumentalizzazione opportunistica cui conduce l'applicazione indiscriminata ed esasperata di tali idee e metodiche con danno di terzi. Se infatti le teorie di Hubbard fossero semplicemente diffuse con modalità tali da non sconfinare facilmente nell'illecito e con una dialettica tale da consentire in pari misura l'adesione o la dissociazione, non si sarebbe reso necessario alcun intervento giudiziario o repressivo di altra natura. Il problema è invece che il taglio prospettico con cui vengono vissute l'adesione al pensiero Hubbardiano e la sua diffusione sono tali da incorrere anche nella censura di ordine penale indipendentemente da qualsiasi attestazione di buona fede che non vale dunque ad escludere il dolo. Ai fini della sussistenza di tale elemento psicologico, infatti, sono necessari e sufficienti la cosciente rappresentazione del fatto e la violazione di questo e dell'evento. L'ampia illustrazione fin qui fatta delle tecniche operative dell'associazione, assolutamente identiche e ripetitive sia in Italia che all'estero in quanto tendenziale supina adesione alle molteplici direttive di Hubbard, non dovrebbe lasciare dubbi di sorta sul fatto che gli odierni imputati, specie quelli che sono chiamati a rispondere a titolo di concorso morale, fossero perfettamente a conoscenza delle suddette tecniche attuate quotidianamente da tutti gli altri operatori dell'associazione della quale essi erano presidenti. Il fatto stesso poi che la gran parte degli imputati abbia addotto che la condotta contestagli in concreto non integrasse affatto alcuna violazione penale ma fosse stata una puntuale esecuzione delle direttive di Hubbard, è un ulteriore riscontro del concetto che si va sviluppando secondo cui le condotte che il presente procedimento ha finora qualificato come criminose altro non fossero che una espressione più marcata di comportamenti assolutamente abituali all'interno dell'associazione. E così come i loro autori materiali respingono l'addebito penale in nome della giustezza delle teorie da loro applicate, analogamente fanno coloro che istituzionalmente erano preposti all'attuazione ed all'osservanza delle direttive stesse. Né è adire che, in un simile contesto sia ipotizzabile o invocabile da parte loro un errore sul fatto, scusabile, perché dovrebbe essere ormai chiaro che essi avevano e potevano avere tutti gli elementi di valutazione necessari allo scopo sì da poter, quantomeno in termini di dolo eventuale, prevedere l'evento dannoso o pericoloso. La scusante di cui all'art. 47 C.P., infatti, sussiste nella misura in cui risulti che l'agente si sia rappresentato inesattamente la realtà del fatto costituente reato, ovvero abbia ignorato note caratteristiche dello stesso così che ne rimanga viziato il processo formativo della volontà. L'errore, in altre parole deve cadere su un estremo materiale del reato e sostanziarsi in una difettosa percezione dello stesso. In tal modo l'aspetto volitivo viene in qualche modo inficiato da quello intellettivo ed il soggetto si determina ed agisce sul presupposto di una situazione non corrispondente a quella effettiva. Non sembra però che questo sia la situazione degli odierni imputati. E che tutto il lungo discorso fatto circa la irrilevanza sostanziale e giuridica dei convincimenti ideologici (leggi fanatismo) degli imputati ai fini della permanenza del dolo non siano punti di vista solo di questo G.I. piace rammentare che anche la S.C. (Sez. I, 15.3.74 in Giur. It. 1976, pt. II, p. 513 ss. ) ha affermato che una finalità in sé lecita non esclude il dolo se perseguita attraverso strumenti illeciti e ancora (sez. I, 20.12.74, ric. Orlandini) afferma: "estranei al dolo richiesto per la sussistenza del reato in argomento - art. 415 C.P. - sono i moventi e le cause che inducono l'agente a compiere gli atti previsti dalla norma che possono indifferentemente essere commessi dal soggetto in esecuzione di un impegno assunto anche dietro compenso, ovvero, per l'impulso di un convincimento politico, morale e sociale, ovvero a seguito di persuasione o incitamenti ricevuti a per qualsiasi ragione".E, infine, da ultimo (Cass. sez. I, 28.6.84, ric. Bartoloni): "la circostanza attenuante comune dei motivi politici e sociali non è applicabile qualora l'azione criminosa sia diretta a sovvertire l'ordinamento dello Stato con l'uso sistematico della violenza o della lotta armata. Ciò in quanto per l'applicazione della circostanza, non basta la convinzione personale dell'agente di perseguire fini moralmente e socialmente apprezzabili ma è necessario che questi fini trovino obiettivamente corrispondenza nei valori riconosciuti come preminenti dalla coscienza della collettività". |
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