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Messia o pazzo? - Capitolo 1/7: Paura negli occhi del Maestro

Di Bent Corydon e Ron Hubbard, Jr. (alias Ronald DeWolf)
© 1987 Lyle Stuart Inc. Secaucus, New Jersey, ISBN 0-8184-0444-2

© Traduzione in italiano a cura di Simonetta Po, 2003-2004

 
Una delle massime che in una forma o nell'altra Hubbard citava spesso, e secondo cui viveva, è: "La conoscenza è potere". Egli tuttavia vedeva in questa massima qualcosa di diverso dal sentire comune.

Raccogliere informazioni su gruppi e singoli era una delle sue più ferventi passioni. Lavorava incessantemente per scoprire i segreti sia dei suoi seguaci che dei suoi nemici. Su di essi compilava dossier molto dettagliati, una delle tecniche chiave per conservare il potere.

Per raccogliere informazioni di intelligence di prima mano non solo utilizzava la teoria appresa durante i corsi di spionaggio frequentati in Marina all'inizio della Seconda Guerra mondiale, ma metteva in pratica molto di quanto scritto dai maestri dello spionaggio nazista. Sviluppò anche altre tecniche creative. Tutto questo costituiva ciò che egli chiamò "intel tech", parte integrante dei suoi sforzi costanti per acquisire e mantenere il potere.

Un esempio di questa tech. Nel 1967 scrisse:

Quando ti allontani da una posizione di potere, salda subito tutti i conti che hai in sospeso, dà pieni poteri a tutti i tuoi amici e allontanatene con le tasche piene di artiglieria, con ricatti potenziali contro qualunque antico rivale [enfasi aggiunta], con fondi illimitati nel tuo conto privato e con gli indirizzi di assassini esperti, poi vai a vivere in Bulgravia e offri bustarelle alla polizia.
Se da una parte LRH negava a tutti il diritto di tenersi qualsiasi segreto, chiunque scoprisse troppo sul vero L. Ron Hubbard aveva già un piede nella fossa.

Ron Jr.:

Gli affari di mio padre erano affari suoi. Pochissime persone riuscirono a cogliere qualche indizio sulla sua mente a compartimenti stagni, a prova di suono, rivestita di acciaio.

A volte sembrava presentarsi una minaccia a questo stato di cose. Qualcuno iniziava a indagare. Qualcuno sembrava riuscire a penetrare il suo castello di segretezza. In quelle occasioni papà si metteva in piena allerta, mobilitando tutte le sue risorse per assicurarsi di preservare lo status quo...

Nel corso degli anni Hubbard organizzò e mobilitò un suo personale ed efficiente servizio segreto. Era la sua risposta alle indagini intraprese da vari enti: La American Medical Association negli anni '50, la Food and Drug Administration e il governo australiano negli anni '60, il governo britannico a partire dal 1967, l'Interpol e i governi francese e statunitense negli anni '70 (oltre ai diversi governi del Mediterraneo e del Nordafrica).

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Nel 1971 i francesi avevano iniziato un'azione legale per truffa e violazioni doganali contro Hubbard e la sua organizzazione parigina. Uno dei suoi agenti lo informò del rischio reale di essere estradato in Francia. Nel dicembre del 1972 Hubbard lasciò il Nordafrica, diretto a New York. Lo accompagnavano una guardia del corpo e un "ufficiale medico". Oltre ai problemi legali, Hubbard aveva infatti anche problemi di salute.

I tre andarono a vivere in un appartamento di Queens, un sobborgo di New York. Ogni volta che doveva uscire Hubbard indossava una parrucca. In quel periodo concepì il progetto di recupero delle informazioni confidenziali in possesso del governo americano. Voleva disperatamente sapere che cosa il governo conservasse su di lui e su Scientology nei suoi archivi.

Il progetto fu battezzato "Operazione Biancaneve" (cioè impossessarsi degli archivi confidenziali del governo contenenti rapporti "falsi" su di lui e Scientology, oltre che informazioni relative a chi pensava essere suo nemico).

Hubbard diceva che i problemi di Scientology scaturivano da bugie diffuse alle agenzie di tutto il mondo dalla World Federation of Mental Health. Il reparto di intelligence della chiesa di Hubbard aveva identificato la WFMH come nemico numero uno di Scientology sul pianeta.

Questa operazione (si veda il Capitolo 13) era destinata ad avere effetti profondi sia sulla vita di Hubbard che su quella della sua famiglia, e su tutto il movimento di Scientology.

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La salute di Hubbard intanto era leggermente migliorata grazie ai consigli nutrizionali di Adelle Davis e ad altri espedienti di sua invenzione, e dopo aver trascorso quasi un anno nella Grande Mela tornò a bordo dell'Apollo. Le preoccupazioni per l'estradizione si erano sopite e desiderava ardentemente sentire di nuovo il profumo dell'oceano, il caldo sole tropicale e le brezze balsamiche delle Canarie.

Tornato nell'arcipelago spagnolo all'inizio del 1974, Hubbard si trovò a dover affrontare l'impennata del prezzo del petrolio; anche il costo delle operazioni dell'Apollo erano salite vertiginosamente. Decise perciò di bilanciare le spese extra aprendo la nave ai ricchi scientologist di tutto il mondo che, una volta a bordo, avrebbero ricevuto auditing a tariffe molto maggiori di quelle applicate a terra.

L'offerta attrasse diverse persone, tra cui alcuni dei "gestori di franchise" di maggior successo [1].

All'epoca ero uno di quei gestori e gli eventi che seguirono, sebbene siano stati solo un piccolo dramma se paragonati alle battaglie segrete che Hubbard conduceva contro i governi che considerava ostili, illustrano quanto anche le più piccole potenziali minacce al suo castello di segretezza gli causassero preoccupazione.

Per Hubbard il "Programma Franchise" e i loro relativi gestori rappresentavano un'importante fonte di reddito, oltre che un flusso costante di nuovi convertiti. Questi gestori non erano però immersi nell'ambiente rigidamente ristretto e strutturato della Sea Org, avevano contatti regolari con il pubblico e per lui rappresentavano anche una fonte di irritazione.

Alla nascita di Scientology Hubbard aveva iniziato a concedere diritti di franchise sulla sua impresa. Diverse persone furono autorizzate ad aprire uffici di rappresentanza della Chiesa di Scientology contro il pagamento del 10% del reddito prodotto. In cambio di questa "decima" il gestore godeva di una certa indipendenza finanziaria ed era libero dall'interferenza dalle pesanti azioni disciplinari della chiesa. Le franchise di Scientology erano una sorta di McDonald's no-profit religiosi; gestori e relativi staff erano in grado di perseguire i propri ideali riuscendo anche a raggiungere standard di vita accettabili, in contrapposizione alle condizioni di abbietta povertà e schiavitù della maggioranza dei membri della Sea Org. Questo sistema era iniziato ai tempi in cui Hubbard non disponeva ancora di tutto il suo potere economico.

Il "Programma Franchise" aveva dato grandi risultati poiché convogliava in Scientology oltre il 90% dei nuovi convertiti (o "clienti", come Hubbard a volte li definiva). Le franchise portavano dentro "carne cruda" (neofiti) gestendo corsi di base e auditing di livello inferiore. I nuovi arrivati venivano poi inviati alle organizzazioni ufficiali di Scientology dove avrebbero usufruito dei servizi superiori, molto più costosi.

Le franchise vendevano anche i libri del fondatore. Prima dell'avvento di Scientology Hubbard aveva scritto diversi romanzi e racconti di fantascienza e avventura, e numerosi articoli per giornali e riviste. Dopo il grande successo del suo primo libro sulla mente, Dianetics: the Modern Science of Mental Health del 1950, Hubbard aveva scritto oltre 20 libri su Dianetics e Scientology. Per stamparli e distribuirli aveva fondato la sua casa editrice personale ed esortava costantemente tutti gli scientologist a venderli, venderli, venderli. Chiese e franchise erano costrette ad utilizzare molto personale e grossi budget pubblicitari per raggiungere lo scopo. Tutte le org e le franchise avevano l'ordine di mantenere grandi stock di ogni suo titolo.


Avevo 28 anni quando, nel 1970, io e mia moglie Mary rilevammo la franchise a Riverside, in California. Nel giro di quattro anni la portammo al boom. Ero entrato in Scientology nel 1961 e in diverse occasioni avevo mancato Ron per un soffio; così, dopo aver letto la pubblicità che ci invitava sull'Apollo, decisi che era finalmente giunto il momento di incontrare personalmente il Vecchio.

L'Apollo aveva lasciato l'Inghilterra nel 1967 e da allora la sua posizione era stata mantenuta segreta; partii quindi per il mio pellegrinaggio senza sapere di preciso dove fossi diretto. Mi fornirono il nominativo di un agente che avrei dovuto incontrare a New York, il quale mi avrebbe messo su un altro aereo.

L'agente di New York mi disse che la mia destinazione successiva sarebbe stata Lisbona, dove un altro rappresentante della chiesa sarebbe venuto a prendermi. Anche quell'appuntamento filò liscio e, dopo un breve tragitto in auto per le strade della capitale portoghese, fui condotto in un appartamento dove venni accolto dalla moglie del mio contatto. Impiegai diversi minuti per rendermi conto che nel locale c'erano tre telex in funzione. «Queste macchine ricevono e inviano messaggi da e per la nave» mi spiegò la donna. «Questo appartamento e queste macchine devono essere tenute assolutamente segrete».

Feci la doccia, mangiai gamberi in salsa agrodolce e proseguii il mio viaggio; presi poi un aereo per Madrid e un altro per Tenerife, una delle isole Canarie al largo delle coste africane. Giunto sul posto saltai dentro un taxi e dissi «Apollo por favor». Il viso del tassista si illuminò e, dopo 20 minuti (alle 3 del mattino), venni scaricato sul versante opposto dell'isola.

La nave brulicava di attività. Sul ponte la cantante israeliana Tsura stava provando con un complesso. La sua voce roca e la canzone in lingua straniera erano affascinanti. Le acque del porto davano un'acustica perfetta. Dopo un controllo di routine per le malattie contagiose venni autorizzato all'imbarco.

Sull'Apollo le cabine erano merce rara. Solo gli ufficiali di rango superiore, e ora i visitatori paganti, potevano disporre di cabine che però dovevano dividere con altri. Io avrei dormito con un ufficiale. «Grandi notizie!» esclamò un giovane steward che si era presentato come "l'ospite". «Ad un ufficiale, che tra l'altro dice di conoscerti... Barry Watson, si è casualmente liberata la cuccetta superiore perché il suo compagno è stato mandato in missione. Dice che puoi usarla tu. Ti piacerà da morire, quella cabina è davvero lussuosa!».

La cabina risultò essere un vano minuscolo con due cuccette, ma devo ammettere che aveva una porta magnificamente laccata. Attraversai lo stretto passaggio, strizzai il mio bagaglio sotto la cuccetta inferiore e bevvi un sorso d'acqua dal sapore orribile dal rubinetto che sporgeva sul minuscolo lavandino. «Forse quel lavandino ha usi diversi?» mi chiesi dopo aver cercato invano quelle comodità che negli Stati Uniti si danno per scontate. Mi arrampicai sulla strettissima cuccetta superiore attento a non sbattere la testa. Il sonno non tardò molto ad arrivare, persi quasi i sensi. Era stato un viaggio molto lungo e faticoso.

Il giorno seguente l'ufficiale delle pubbliche relazioni - una ragazza di una ventina d'anni molto carina e senza uniforme - mi consegnò le istruzioni standard. Mi invitò a sedermi sul ponte passeggiata mentre gli stridii dei gabbiani in lotta per il cibo si mescolavano alla brezza profumata, i suoni della gente al lavoro con la vista del laborioso porto di Tenerife.

La ragazza mi spiegò: «Quando scendi dalla nave non devi mai dire la parola "Scientology". Se qualcuno te lo chiede devi dire di essere un dirigente che è venuto qui per frequentare un corso su come gestire e migliorare i tuoi affari. Come informazione generale, fosse mai che qualcuno te lo chiede, l'Apollo batte bandiera panamense ed è di proprietà della Operation Transport Corporation. La Operation Transport Corporation dà consulenza a grandi aziende in tutto il mondo via telex e corrispondenza, e a volte organizza a bordo della nave corsi di formazione per i loro dirigenti. Questa è la nostra shore story.

«Il Consolato britannico si è dato molto da fare per diffondere, ovunque andiamo, terribili bugie sul nostro conto. Ad esempio a Corfù, in Grecia, hanno raccontato che avevamo avvelenato i pozzi. Quindi è importante che si abbia una storia accettabile su chi siamo e su cosa stiamo facendo...»

Mentre continuava il suo discorso preconfezionato la mia attenzione venne attirata da un uomo dal torso a botte e dai capelli rossi; indossava un completo di foggia tropicale fresco di bucato. Era sbucato sul ponte e stava cordialmente conversando con un'adolescente. Quando li guardai, entrambi sorrisero dicendomi «Salve!».

«È la prima volta che incontri Ron?» mi chiese l'addetta alle PR.

«Sì» risposi. «Gli sono arrivato vicino un paio di volte ma l'ho sempre mancato. Qualche volta ho incontrato Mary Sue, e a Saint Hill ho fatto un corso con i ragazzi più grandi, Quentin e Diane».

«Ron è davvero imponente, vero?» disse. «Ha una presenza tremenda. Vorrei molto poter essere sempre così in tempo presente come è lui. Lui è veramente lì, vero?»

Ron aveva sicuramente superato il mio personale test di presenza. Davvero molto impressionante! «Ehi! Pensa a che cosa potrò raccontare al mio gruppo quando tornerò a casa!» esclamai entusiasta.

Le ore dedicate al corso erano abbastanza elastiche ed avevo un sacco di tempo libero per esplorare l'isola e godermi lunghe chiacchierate con J.C. Hughes, un altro gestore di franchise e amico. Un giorno, mentre ero sul ponte di poppa e stavo conversando con J.C., Hubbard e il suo entourage di messaggere si avvicinarono inserendosi nella conversazione. «Sto diventando matto per fare tenere a quel batterista il ritmo che voglio io» disse Ron, riferendosi al complesso degli "Apollo All Stars". Hubbard stava per iniziare una session di registrazione giù in città che sarebbe durata tutta la notte.

Mentre lui e J.C. scherzavano scambiandosi aneddoti notai che Ron teneva il braccio destro dentro l'impermeabile, fasciato e legato al collo. La manica pendeva vuota. Ma, a parte questo, ciò che vidi e sentii si armonizzava con l'immagine che mi ero fatto del mio eroe. Naturalmente fu uno dei momenti più importanti della mia vita e lo vissi con un gusto enorme.

In seguito mi spiegarono che Ron era caduto dalla moto a forte velocità e si era rotto il braccio. Non esistevano motivi per non crederci, anche se mi sentivo a disagio al pensiero che Hubbard potesse essere vulnerabile al punto da avere un incidente. Nella mia mente quel tipo di cose succedeva solamente ad esseri di molto inferiori.

Nei giorni a seguire fui occupato con il mio corso e lo vidi di nuovo soltanto un paio di giorni prima di tornare in America. Prima di cena avevo visto che la Ford Cortina a noleggio di Hubbard stava venendo meticolosamente preparata sulla banchina. Decisi di rinunciare al pasto nella speranza di poter vedere per l'ultima volta il Fondatore. Mi piazzai in una parte del ponte dove sarebbe dovuto obbligatoriamente passare.

Quando Hubbard, solo, scese le scale sul ponte eravamo soltanto io e uno degli aiutanti di Mary Sue. Ron passò davanti all'aiutante che gli augurò «Buona serata, signore». Lui annuì senza dire una parola e continuò a camminare verso di me. Evitò studiatamente di guardarmi e avvertii nettamente una certa tensione. Mentre si avvicinava mi avventurai in un «Buona serata, signore». Pensavo di poterlo dire con una certa sicurezza, visto che all'altro tizio era andata bene. Hubbard non rispose ma mi fissò per un breve istante: negli occhi aveva un inequivocabile misto di paura e antagonismo. Poi allungò il passo e se la svignò letteralmente.

Rimasi sbalordito e quella notte faticai a prendere sonno. Continuavo a chiedermi «Che cosa voleva dire quello sguardo nei suoi occhi? Come è possibile che abbia paura di me

Il giorno successivo venni sottoposto ad un lungo interrogatorio all'E-Meter: «Quali erano le tue intenzioni quando sei venuto a bordo? Che cosa pensi di L. Ron Hubbard? Perché hai fatto delle fotografie? Hai intenzioni malvagie nei confronti di L. Ron Hubbard? Di Mary Sue Hubbard? Di qualche scientologist in buone condizioni? Fai parte dell'FBI? Della CIA? Del KGB?» e molte altre domande di questo tenore.

Mi scortarono quindi ad un altro colloquio con una guardia di sicurezza che prese la mia macchina fotografica e rimosse il rullino. Mi disse che mi avrebbe reso apparecchio (meno il rullino) e passaporto appena prima di lasciare la nave per tornare negli States.

Solamente quattro anni più tardi vidi una nota autografa di Hubbard, con la sua inconfondibile firma, che diceva:

Rif: Bent Corydon: controllate accuratamente questo tizio. Sono stato informato che si tratta di un giornalista.

La data dell'appunto corrispondeva alla mia visita sull'Apollo.

Da adolescente avevo lavorato per un settimanale di Auckland, Nuova Zelanda, per 18 mesi; il mio articolo più importante raccontava la storia di un maiale fuggito che aveva seminato il panico in un negozio di frutta e verdura. Adesso avevo 32 anni. Evidentemente Hubbard era stato informato sul mio passato dalla sezione di intelligence del suo "Guardian Office".

Non raccontai a nessuno di quel mio ultimo incontro con Hubbard, salvo che a mia moglie e al mio auditor. Ma mi aveva lasciato una profonda impressione e la stessa domanda ossessionante e irrisolta: Che cosa significava quello sguardo negli occhi di Ron?

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La risposta a quella domanda arrivò molti anni dopo. In quel momento non osavo nemmeno prendere in considerazione l'idea che forse Hubbard aveva qualcosa da nascondere.

In volo verso la California continuavo a chiedermi: «Perché penso di essere stato scrutato al microscopio? Perché questo presentimento di pericolo? La sensazione che d'ora in poi qualcuno ficcherà il naso nella mia vita?». Cercavo con tutte le forze di scacciare questi pensieri e di prendere sonno. Non riuscendo a dormire cercai di leggere. Ma sensazioni e pensieri continuavano a tornarmi alla mente.

Pochi mesi dopo essere tornato negli Stati Uniti ci fu il "concerto rock" e l'Apollo attraversò l'Atlantico.


Note:

1. All'epoca si parlava ancora di "franchise di Scientology" e non di "Missioni di Scientology". Nome e statuti vennero cambiati a seguito dei crescenti problemi fiscali dell'impresa di Hubbard [Martini].

 
 
 
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