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Il Volto Nudo del Messia - Capitolo 19: Traversata Atlantica

© 1988 Di Russell Miller

© Traduzione in italiano a cura di Simonetta Po, 2001

 
 

L'analisi delle informazioni in nostro possesso sulle attività oltreoceano della Chiesa di Scientology rivela unicamente che L. Ron Hubbard, suo fondatore, è un milionario eccentrico espulso da diversi paesi a causa di attività e comportamento bizzarri. È proprietario di diverse navi la cui presenza in porti di varie parti del mondo ha sollevato domande... da parte di altri governi che richiedevano informazioni sulla missione delle imbarcazioni e del loro equipaggio. Le risposte date indicano che ne sappiamo molto poco...

segnalazione da parte della sede centrale della CIA, Langley, Virginia, 16 ottobre 1975

(Il racconto di Scientology degli anni 1970-73)

Hubbard non si unì all'esodo dei suoi seguaci imbarcati sul traghetto Tangeri-Lisbona; si fece invece portare all'aeroporto da dove, quello stesso pomeriggio, era in partenza un volo diretto per la capitale portoghese. Il personale della Sea Org lo stava attendendo all'arrivo e lo accompagnò in fretta verso un'auto in attesa, destinazione Hotel Sheraton. Il Commodoro, in preda all'inquietudine, rimase nella sua suite per diverse ore, mentre i suoi avvocati di Parigi, Lisbona e New York valutavano il rischio d'estradizione e la richiesta di presentarsi per rispondere alle accuse di truffa mossegli in Francia. In situazioni simili avrebbe evitato queste spiacevoli scocciature legali prendendo il largo sulla sua ammiraglia, ma l'Apollo era stata tirata in secco e non poteva fornirgli alcun rifugio.

In hotel assieme a Hubbard c'erano anche Ken Urquhart, Jim Dincalci e Paul Preston, ex "Berretto Verde" da poco designato a guardia del corpo del Commodoro. Urquhart ha raccontato che Hubbard era «abbastanza rilassato» e li aveva istruiti sulla necessità di mantenere «spazi sicuri» [1]. Dincalci non si è detto d'accordo: «Era molto nervoso e aveva paura. Era davvero a pezzi. Dopo due o tre ore ricevette una telefonata dal Capitano di Porto. Quando riattaccò disse "è una faccenda dannatamente seria. Devo andarmene di qui, e subito".» [2]

Urquhart venne mandato a prenotare il primo volo in partenza per gli Stati Uniti e a procurarsi un po' di contanti. Erano d'accordo che Preston avrebbe viaggiato con Hubbard, mentre Dincalci li avrebbe "seguiti nell'ombra" in modo da poter informare immediatamente la nave se qualcosa fosse andato storto. Il fedele Urquhart tornò con tre biglietti Lisbona-Chicago su un volo in partenza il mattino seguente. Anche se le prenotazioni erano state fatte fino a Chicago il volo faceva scalo a New York, dove suggerì ai tre di scendere nel caso all'aeroporto O'Hare fosse stato predisposto un "comitato di benvenuto". Era anche riuscito a riempire di contanti una ventiquattrore - escudo, marchi, franchi, sterline, dollari e dirham marocchini, per un totale di circa 100.000 dollari; disse a Ron che era il meglio che fosse riuscito a fare.

Il volo partì il mattino seguente, in leggero ritardo. Dincalci era seduto a qualche fila di distanza da Hubbard e Preston. Giunti all'aeroporto JFK di New York, Dincalci li seguì nella fila per i controlli di dogana, rimanendo senza fiato quando un funzionario chiese a Hubbard di aprire la valigetta. Dopo avervi guardato dentro, lo invitò a seguirlo in ufficio.

«Quando lo portarono via pensai "Oddio, è la fine, ora tutti sapranno che L. Ron Hubbard è di nuovo degli Stati Uniti"» ha raccontato Dincalci. «Uscì dopo circa un quarto d'ora, spiritato. Aveva dovuto fornire un sacco di spiegazioni sulla provenienza di quel denaro. Montammo in taxi e gli chiesi "dove andiamo?". Mi rispose "non riesco a pensare". Era letteralmente sotto shock. Arrivati a Manhattan indicò un hotel, era un Howard Johnson's o qualcosa del genere, e disse "fermiamoci lì".»

I tre si registrarono con nomi falsi: Hubbard era Lawrence Harris, Preston era Don Shannon e Dincalci era Frank Morris. Dincalci scese a comprare qualcosa da mangiare nella rosticceria di fronte all'albergo. Tornato in camera, chiese al Commodoro se doveva tornare sulla nave, ma Hubbard sembrava non capire la domanda. Il giorno successivo lo mandò a comprare dei vestiti per tutti, e a cercare un posto in cui andare a vivere; non si parlò più di far tornare Dincalci sulla nave.

Nel giro di breve tempo Jim riuscì a trovare un appartamento a Queens; era una sistemazione adeguata, un palazzo di quindici piani chiamato "The Executive" con piscina privata riscaldata. Si trovava in una borghese zona residenziale vicino a Forest Hills e alla metropolitana. Nelle prime settimane Hubbard non fece altro che guardare tutto il giorno la TV, saltando da un canale all'altro assorbito da tutto, dalle soap opera ai programmi di musica rock.

L'America in cui Hubbard era tornato dopo quasi un decennio d'assenza era cambiata moltissimo, in particolare se guardata attraverso lo schermo televisivo. Era un paese ossessionato dalle continue rivelazioni sullo scandalo Watergate, tormentata da una guerra incomprensibilmente persa in Vietnam e afflitta dalle crisi, non ultima la crisi di fiducia. Il Commodoro e la Sea Org sapevano ben poco della crisi dei neri, della crisi urbana, della crisi della droga, energetica o di qualsiasi altro degli eventi portati alla coscienza americana da nomi di località come Kent State, Attica e Chappaquiddick.

Mentre Preston restava nell'appartamento per prendersi cura di Hubbard, Dincalci si recava ogni giorno alle Nazioni Unite per condurre ricerche sulle leggi internazionali relative all'estradizione. Qualche giorno prima del Natale 1972 tornò all'appartamento annunciando a Ron di stare tranquillo; aveva stabilito oltre ogni ragionevole dubbio che gli Stati Uniti non concedevano l'estradizione per i cittadini americani. Hubbard iniziò a fare progetti di viaggio, voleva far visita all'org di Los Angeles. Pensava addirittura di organizzare una festa, ma dopo un paio di giorni il Guardian's Office della California gli mandò a dire che non era ancora al sicuro, di restare nell'ombra. Fu un Natale senza gioia.

Il Guardian's Office curava le comunicazioni con il Commodoro, e vigevano norme di sicurezza molto rigide per evitare che i suoi spostamenti fossero resi noti. Preston ritirava e inviava la corrispondenza a giorni alterni da un ufficio postale del New Jersey. Le comunicazioni erano tutte in codice, e non veniva inoltrata corrispondenza privata di alcun tipo. Anche le telefonate erano in codice: si utilizzavano i numeri delle pagine dell'American Heritage Dictionary - 345/16 significava la sedicesima parola partendo dall'alto della pagina 345. Preston chiamava da un telefono a gettoni molto distante dall'appartamento, si metteva in contatto con il Guardian's Office di Los Angeles e sciorinava i suoi numeri. Registrava le comunicazioni in entrata con un piccolo apparecchio e una volta tornato all'appartamento trascriveva e decodificava il messaggio.

Quando Preston e Dincalci dovevano muoversi per New York o nelle zone limitrofe, prima si spingevano molto lontano per assicurarsi di non essere seguiti, saltando spesso da un treno all'altro in direzioni opposte. Quando viaggiavano in metropolitana sceglievano una fermata a caso, tenevano aperte le porte nell'attimo di chiusura e sgusciavano fuori all'ultimo momento.

Nell'appartamento si istituì una particolare routine. Dincalci si svegliava di buon'ora ed usciva a fare la spesa e a comprare i tascabili che il Commodoro leggeva voracemente. «Imparai presto quali erano le sue letture preferite» ha raccontato. «Era tutta roba di sangue e fughe rocambolesche. Li sceglievo dalla copertina - più erano violente e piccanti e più gli piacevano.» Hubbard si svegliava verso le dieci o le undici e accendeva immediatamente la TV, che rimaneva accesa per tutto il giorno anche se leggeva o scriveva.

Dincalci sbrigava le commissioni esterne del Commodoro, mentre Preston stava in casa a preparare colazione e pranzo. Alla sera cucinava Dincalci. I primi due mesi mangiarono solamente bastoncini di pesce, pollo impanato, bistecche o hamburgers fino a quando, stanco della dieta, Hubbard suggerì di provare altre ricette.

Dopo cena Hubbard beveva un sorso di brandy e a volte rimaneva a parlare fino a notte fonda. «Saltava da un argomento all'altro» ha raccontato Dincalci. «Un momento raccontava di come un angelo gli avesse affidato questo settore dell'universo di cui doveva prendersi cura, il momento dopo parlava della macchina fotografica che dovevo comprargli il giorno seguente. Lo osservavo mentre parlava: a volte rivoltava gli occhi per un paio di minuti, e sembrava andato. Una delle cose che lo turbavano era non essere riuscito a recuperare il denaro accumulato nelle vite precedenti. Nel sedicesimo secolo ne aveva nascosta una certa quantità dentro una statua equestre in Italia. Era stato uno scrittore, e aveva scritto Il Principe. «Quel dannato figlio di puttana di Macchiavelli me l'ha rubato», disse. Parlava molto della sua infanzia e di tutti i cavalli che aveva montato quando era piccolo, di come avesse imparato a cavalcare prima ancora di imparare a camminare. Avevo l'impressione che non avesse avuto un'infanzia felice. Parlava dei genitori con molta amarezza. Ripeté moltissime volte di essersi laureato alla George Washington University. «Dicono che non è vero» era solito lamentarsi, «ma è la verità». Diceva di essere stato direttore del giornale universitario per quattro anni, e che l'avrebbe dimostrato.

«Raccontò che durante il bombardamento di Pearl Harbor si trovava su una qualche isola del Pacifico, responsabile di grado più alto perché tutti gli ufficiali erano stati uccisi. Controllava tutto il traffico dell'isola, poi una volta che si trovava all'aeroporto una bomba gli era esplosa vicino ed era stato rimandato a casa, primo ferito americano della Seconda Guerra Mondiale. Diceva di avere un tumore adiposo sulla testa, un linfoma, e che dentro c'erano frammenti di sharpnel. Una volta gli facemmo fare i raggi X, la pellicola venne ingrandita cinquanta volte per riuscire a trovare i frammenti, ma non ve n'era traccia.

«Una volta tornato in patria, ferito, nonostante le sue condizioni la prima moglie non era mai andato a trovarlo. Di lei non aveva nulla di buono da raccontare. La seconda moglie, che diceva di non aver veramente sposato, era una spia mandata dai nazisti per controllarlo durante la guerra.

«Quasi tutte le sere gli facevo un massaggio prima di dormire, e diceva sempre che lo faceva sentire meglio. Dentro di me non ho mai dubitato delle cose che mi raccontava, salvo una volta che mi parlò di esperienze fuori dal corpo, e mi disse com'era bello stare seduto su una nuvola. Io correvo di continuo come un pazzo su e giù per New York, sbrigavo le sue commissioni e pensai che se era davvero in grado di fare quelle cose, perché dovevo sempre occuparmene io? Perché non poteva uscire dal corpo e occuparsene di persona?»

A febbraio Hubbard iniziò a farsi molto nervoso sulla sicurezza del condominio in cui vivevano, e disse di cercare qualcosa «di profilo più basso». Dincalci trovò un grande appartamento nella zona più fatiscente di Queens - un anonimo edificio di due piani su Codwise Place, di proprietà di una famiglia cubana che viveva al primo piano. Dincalci pagò in contanti tre mesi anticipati, dicendo che il fratello e lo zio si sarebbero trasferiti immediatamente.

Il declino di Ron

Poco dopo il trasloco Hubbard decise di uscire per una passeggiata. Dincalci temeva che i preparativi che il Commodoro stava facendo per passare inosservato avrebbero sicuramente sortito l'effetto contrario. «I capelli gli erano cresciuti molto, gli arrivavano alle spalle ed erano davvero trasandati. Insisteva nel voler indossare il suo grande cappello con la tesa alzata che lo faceva somigliare al pagliaccio Bozo. Se fosse entrato in una org conciato così lo avrebbero cacciato fuori.» Dopo aver goduto per tre mesi del riscaldamento centrale, Hubbard uscì all'aperto in una gelida giornata di febbraio. Prese immediatamente un colpo di freddo, gli venne un ascesso in bocca e fu seguito in strada da un corteo di ragazzini. Non uscì più da solo.

Il dente dolorante sembrò scatenare ulteriori lamentele, e Dincalci ebbe enormi difficoltà nell'accudire l'anziano paziente irritabile e intrattabile, che all'inizio non voleva consultare né medico né dentista. Quando alla fine Hubbard perse uno dei suoi denti guasti, Dincalci iniziò a tritare diligentemente tutto il cibo a lui destinato. Hubbard infine accettò di vedere un chiropratico. Ogni volta che si recavano al Greenwech Village dove c'era l'ambulatorio Hubbard indossava una parrucca per non farsi riconoscere, e in un'occasione Dincalci e Preston portarono l'imparruccato Commodoro al ristorante cinese per gustare il suo piatto preferito, foo yong all'uovo. Fu la loro unica uscita sociale.

Su indicazioni di un allergologo Hubbard iniziò un ciclo regolare di iniezioni, praticategli da Dincalci, che sembrarono giovargli. Con il migliorare del suo stato di salute cominciò ad interessarsi di più alle faccende della Chiesa di Scientology, scrivendo addirittura bollettini con un po' del suo antico entusiasmo. «Scriveva a mano a velocità tremenda» ha raccontato Dincalci. «Era come una scrittura automatica, se ti intendi un po' di occulto. Aveva questo sguardo vuoto, come se fosse totalmente andato, gli occhi si rivoltavano all'indietro e gli angoli della bocca si piegavano all'ingiù e iniziava a scrivere freneticamente. Non ho mai visto nessuno scrivere così velocemente.»

All'età di sessantadue anni Hubbard stava anche iniziando a ponderare la sua collocazione tra i posteri. La Chiesa di Scientology aveva afferrato al volo la possibilità offerta dal Freedom of Information Act recentemente introdotto, ed aveva scoperto che gli archivi delle agenzie governative contenevano una sconcertante quantità di materiale su Scientology e il suo fondatore, e gran parte di esso era veramente poco lusinghiero. Hubbard, che non si era mai fatto troppo impressionare dalle convenzioni o dal rigido rispetto della legge, concepì un piano semplice, ma incredibilmente audace, per migliorare la propria immagine e quella della sua chiesa a beneficio delle generazioni future di scientologisti. Decise che non si doveva far altro che infiltrare le agenzie interessate e rubare la documentazione rilevante, che sarebbe poi stata distrutta oppure ripulita da ogni informazione potenzialmente dannosa. Per chi aveva fondato sia una chiesa che una flotta privata si trattava di un progetto perfettamente realizzabile. All'operazione venne dato il nome in codice di Snow White [Biancaneve] - definizione che nelle comunicazioni tra il Guardian's Office di Los Angeles e il nascondiglio del Commodoro a Queens avrebbe assunto enorme importanza nei mesi successivi.

Nel settembre del 1973 il Guardian's Office informò Hubbard che la minaccia d'estradizione era molto diminuita: poteva tornare sulla nave e, casualmente, anche dalla moglie e dai figli. Il giorno successivo si imbarcò assieme a Paul Preston su un Boeing 747 per Lisbona, mentre Dincalci si trattenne a New York per imballare gli effetti personali e chiudere l'appartamento di Codwise Place.

A bordo dell'Apollo nessuno sapeva dove fosse finito Hubbard nei dieci mesi precedenti, e nemmeno che stava per tornare, ma il suo arrivo come prevedibile portò grande gioia. «Non l'avevo mai visto tanto in forma come quando tornò sull'Apollo» ha raccontato Hana Eltringham. «Era brillante, vivace, molto allegro. Era dimagrito e riusciva a stento a trattenere la gioia di essere tornato.» [3]

Se ci fu emozione nel ricongiungersi con moglie e figli, non la diede a vedere. Hubbard riunì invece tutto l'equipaggio e spiegò di essere stato lontano per visitare le org degli Stati Uniti, raccontò che in alcune di esse non era nemmeno stato riconosciuto, scatenando le risate dei presenti. Preston, seduto in fondo alla sala, sapeva che si trattava di una bugia ma naturalmente rimase zitto: una volta era passato con Hubbard davanti all'org di New York, ma l'unico commento del Commodoro era stato che pensava avesse bisogno di un'insegna più grande.

Durante l'assenza di Hubbard il suo alloggio a bordo era stato ampliato e migliorato, e la stanza delle ricerche interamente rivestita di piombo per isolarla dal rumore dello scafo. Una squadra di lavoro aveva strisciato per tre mesi nei condotti d'areazione, raschiandoli con degli spazzolini da denti per togliere la polvere che gli provocava la nota allergia. Nelle settimane precedenti la nave era stata ripulita da cima a fondo, ed ogni ponte aveva dovuto superare la prova del "guanto bianco". Se una sporgenza o superficie piatta lasciava macchie sulle dita di un guanto bianco di cotone l'intera area veniva pulita di nuovo.

Il Commodoro ordinò ben presto la partenza, e quando l'Apollo si staccò dal molo furono in molti ad esultare, dopo aver trascorso quasi un anno nel porto di Lisbona. Prima puntarono a nord lungo la costa atlantica della penisola iberica, facendo scalo per qualche giorno nelle città storiche di Oporto e Coruña, poi tornarono verso sud a Setubal e Cadice. All'inizio di dicembre tornarono a Tenerife, nelle Isole Canarie, che erastato uno scalo regolare prima della lunga sosta per riparazioni, a Lisbona.

Poiché Hubbard desiderava passare qualche tempo a terra per fare fotografie vennero scaricate le auto e le moto. Aveva a disposizione una grande station wagon Ford, una Pontiac Bonneville gialla decappottabile del 1962 e una Land Rover, ma più di tutto amava scorrazzare in sella ad una mostruosa Harley Davidson su cui indubbiamente faceva un figurone.

Un pomeriggio, mentre serpeggiava sui tornanti delle montagne vulcaniche di Tenerife, Hubbard scivolò sulla ghiaia e perse il controllo; rovinò a terra fracassando diverse macchine fotografiche che portava al collo. Seppur sofferente riuscì a rimontare in sella e guidare fino al porto. Una volta arrivato lasciò cadere la moto sulla banchina e barcollò su per la passerella dell'Apollo, con i calzoni strappati e le macchine fotografiche fracassate ancora attorno al collo. Jim Dincalci, di nuovo a bordo in qualità di ufficiale medico, venne immediatamente convocato. Resosi conto di non poter curare fratture o possibili lesioni interne, suggerì di accompagnare il Commodoro all'ospedale per un controllo. Hubbard rifiutò risolutamente, ma accettò a malincuore di farsi vedere dal medico locale. Il dottore gli prescrisse degli antidolorifici da prendere due alla volta, come da istruzioni.

Partito il medico, Dincalci, ancora convinto che un thetan operante non avesse bisogno di cose così terrene come gli antidolorifici, diede al Commodoro un bicchiere d'acqua e una sola pastiglia. «Perché una sola?» scattò Hubbard, gli occhi fiammeggianti di rabbia. Dincalci gliene porse una seconda, ma Hubbard ebbe uno scatto d'ira. Balzò dalla poltrona e iniziò ad andare su e giù per la stanza come una furia, urlando offese inintelleggibili contro i pazzi che aveva intorno, a cui non importava nulla del fatto che stava morendo. Si volse improvvisamente verso Dincalci: «sei tu» gli tuonò, «sei tu che stai cercando di uccidermi.»

Quell'accusa così ingiusta lasciò Dincalci senza parole. «Provavo vero affetto per lui, lo consideravo come un padre. Era come se mio padre mi stesse dicendo che stavo cercando di ucciderlo. No, era peggio. Lui era l'uomo che stava cercando di salvare l'universo, e mi stava dicendo che cercavo di ucciderlo. Ne fui annientato. Pensai di aver perso tutto; in quel momento la stima per me stesso scomparve del tutto.»

Dincalci si trovò presto a raschiare vernice nelle sentine e il difficile compito di prendersi cura del Commodoro passò alla sudafricana Kima Douglas, un'artista straordinariamente attraente che aveva lavorato per due anni come infermiera nella sala travaglio dell'ospedale britannico di Bulawayo. «Credo che avesse diverse costole rotte e un braccio fratturato» ha ricordato. «Di sicuro aveva lividi enormi ovunque. Gli fasciammo il braccio e il busto, ma non riusciva a sdraiarsi e doveva dormire seduto. Per lui dev'essere stato terribile. Strillava, urlava, gridava. Era assolutamente impossibile, furono sei settimane di puro inferno. Stare con lui era tremendamente difficile - un vecchio via di testa, collerico, ammalato, estremamente antagonista contro chiunque e qualsiasi cosa. La moglie piangeva spesso, e lui le urlava con quanto fiato aveva in gola "fuori di qui!". Non andava mai bene niente. Con il braccio buono scaraventava il cibo contro il muro. C'era spesso roba spiaccicata sulle pareti. Quando le cose si mettevano davvero male gli cucinavo uova strapazzate all'inglese molto salate e pepate, pane tostato e imburrato, e glielo portavo su. Una volta l'ho addirittura imboccato.

«Rifiutava nel modo più assoluto di vedere un altro medico. Diceva che erano tutti pazzi e che l'avrebbero solo fatto peggiorare. La verità è che aveva il terrore dai medici, e questo è il motivo per cui noi tutti dovevamo sopportare quell'inferno.» [4]

Kima Douglas non riusciva a non pensare al cambiamento che Ron aveva avuto nei mesi trascorsi da quando si era imbarcata. «Pensavo che L. Ron Hubbard possedesse doti paranormali, che fosse in grado di guardarmi e vedere ogni piccola cosa cattiva che avevo fatto nella vita. Ero ancora alla ricerca di qualcosa, anche se non sapevo cosa, e l'idea che qualcuno fosse in grado di guardarmi dentro la mente mi terrorizzava ed eccitava allo stesso tempo. Ero stata indottrinata su tutte le cose che riusciva a fare. Circolavano storie eccezionali, tipo che se in Nevada stava per scoppiare una bomba atomica lui l'avrebbe fermata col potere della mente. All'epoca tutti parlavano della guerra atomica, e io credevo sinceramente che lui fosse venuto per salvare il pianeta. Quando salii a bordo la prima volta lo vidi dalla passerella: era davanti al suo ufficio, indossava un'uniforme bianca e il cappello da Commodoro, e vicino a lui c'erano due messaggere. Ci presentarono, mi strinse la mano e fu molto affascinante. Sembrava un uomo felice, gioviale, di successo. Pensai di essere arrivata dove volevo stare.»

Kima faceva visita al suo irascibile paziente a giorni alterni, ma il peso delle cure quotidiane gravava tutto sulle messaggere. «Prima dell'incidente in moto era un uomo molto cordiale, affabile» ha raccontato Jill Goodman [diventata messaggera all'età di tredici anni]. «Dopo diventò un vero strazio. Era come avere intorno un nonno collerico e malato. Non sapevi mai cosa aspettarti.» [5]

«Non si alzò dalla sua poltrona di velluto rosso per tre mesi» ha raccontato Doreen Smith. «Faceva dei pisolini di circa 45 minuti poi rimaneva sveglio per ore, urlando e sbraitando. Stare con lui era impossibile. Nessuna di noi riusciva a dormire. Io ero la migliore per sistemargli il cuscino, un'altra per lo sgabello, un'altra ancora per l'imbottitura, così ogni volta che si svegliava dovevamo essere a sua disposizione, circondarlo di premure mentre lui urlava che eravamo tutte delle "stupide fottute teste di cazzo"... aveva completamente perso il controllo e anche le più forti di noi a volte scoppiavano in lacrime. Per noi la poltrona rossa divenne il simbolo del peggio a cui un essere umano può giungere - avremmo voluto farla a pezzettini e scaraventarla in mare.» [6]

Mentre Hubbard friggeva nella sua poltrona di velluto rosso, continuando ad attribuire motivazioni sinistre a qualsiasi contrattempo o immaginaria mancanza, emise un editto che avrebbe introdotto una ulteriore caratteristica orwelliana alla vita a bordo dell'Apollo. Convinto che i suoi ordini non fossero eseguiti con sufficiente diligenza, stabilì una nuova unità disciplinare denominata Rehabilitation Project Force. Chiunque fosse stato scoperto ad avere una "CI" (una "contro-intenzione" ai suoi ordini o desideri) doveva essere assegnato al RPF, così come tutti i sobillatori e i recidivi. «Quando ne venni a conoscenza rimasi scioccata» ha raccontato Hana Eltringham. «Per me era come istituire tra noi una colonia penale.»

Poiché per essere assegnati al RPF era sufficiente cadere in disgrazia con il Commodoro, il numero di persone sul programma crebbe rapidamente. Gli internati del RPF dovevano indossare una tuta nera, erano tenuti divisi dal resto dell'equipaggio e dormivano in una stiva non ventilata, su materassi lerci già destinati ad essere gettati via prima che il Commodoro decidesse che andavano bene per la nuova unità. Erano concesse sette ore di sonno, ma non era permesso avere tempo libero e la disciplina era molto rigida. Le pause per i pasti erano brevissime, e gli internati del RPF potevano mangiare solo gli avanzi.

«In quel periodo le cose precipitarono davvero» ha raccontato Gerry Armstrong, che all'epoca era il Capitano di Porto della nave. «Diventò ancor più paranoico e belligerante. Era convinto che a bordo ci fosse gente malvagia, con intenzioni malvagie nascoste, e voleva che fossero tutte assegnate al RPF. Il RPF veniva usato come incredibile minaccia quotidiana contro tutti. Se sentiva odore di cucina provenire dagli sfiatatoi, chiunque fosse incaricato della loro manutenzione veniva assegnato al RPF. Se il cuoco bruciava il suo cibo - RPF. Se una messaggera si lamentava di qualcuno - RPF.

«Il suo comportamento divenne ancora più strano dopo l'incidente in moto. Le sue urla si sentivano da ogni angolo della nave, gridava, tuonava e delirava ogni giorno di più. Diceva continuamente che i cuochi cercavano di avvelenarlo, ed iniziò a sentire odori dappertutto. I suoi vestiti dovevano essere risciacquati tredici volte, usando tredici secchi diversi di acqua pulita per eliminare completamente l'odore del detersivo.

«All'epoca nessuno avrebbe osato pensare che il re era nudo. Controllava i nostri pensieri al punto che non potevi prendere in considerazione l'idea di andartene senza pensare che in te c'era qualcosa di sbagliato.» [7]

(Il racconto di Scientology degli anni 1974-75)

Nel marzo del 1974, all'epoca del suo sessantatreesimo compleanno e con grande sollievo dell'intero equipaggio, il Commodoro si era più o meno ripreso e la nave riprese il suo vagabondaggio senza meta, questa volta su una rotta triangolare tra il Portogallo, Madera e le Canarie. Ma nell'ordine gerarchico di bordo era avvenuto un sottile cambiamento: dopo il Commodoro e sua moglie, ora le persone più potenti della nave erano le ragazzine in hot pans e top attillato - nuova uniforme della fedele squadra di messaggere del Commodoro.

Nel periodo in cui Hubbard soffriva in modo così rumoroso le messaggere avevano iniziato a svolgere numerosi piccoli incarichi extra. Gli lavavano e pettinavano i capelli, lo aiutavano a vestirsi e spogliarsi, gli massaggiavano la schiena, miscelavano la sua speciale bevanda vitaminica serale e spalmavano sui suoi vecchi lineamenti la crema che erroneamente credeva lo avrebbe fatto sembrare più giovane. Una volta guarito, le messaggere continuarono a svolgere questi compiti, gareggiando tra loro per trovare nuovi modi per compiacerlo.

Il rituale delle abluzioni messo a punto dalle ragazzine diede avvio allo stile di vita sempre più barocco di Hubbard. «All'inizio rimasi sorpresa da tutte le cose che dovevamo fare» ha raccontato Tanya Burden, salita a bordo a Madera in qualità di messaggera tirocinante, all'età di quattordici anni. «Ma poi pensai che quest'uomo studiava da cinquant'anni per aiutare il mondo, aveva fatto così tanto per l'umanità, perché non avrebbe dovuto fare qualcosa per se stesso?

«Quando si svegliava urlava "Messaggera!", e due di noi si precipitavano nella sua stanza. Di solito lo trovavamo sdraiato sul letto, in mutande e canottiera, con un braccio steso in attesa che lo tirassimo su in posizione seduta. Mentre una di noi gli copriva le spalle con la vestaglia, l'altra gli porgeva una sigaretta, una Kool senza filtro, gliel'accendeva e stava pronta con il posacenere. Io correvo in bagno per assicurarmi che spazzolino da denti, pennello da barba e rasoio fossero disposti in bell'ordine, poi gli preparavo il bagno e controllavo shampoo, salvietta e temperatura dell'acqua.

«Quando entrava in bagno gli preparavamo i vestiti, mettevamo il borotalco nei calzini e nelle scarpe e tenevamo tutto pronto per vestirlo. Doveva essere tutto perfetto, perché se non lo era ci avrebbe sgridate e non volevamo turbarlo. Usciva dalla stanza da bagno in mutande. Due di noi gli tenevano i pantaloni in modo che potesse infilarli. Non voleva che le gambe dei pantaloni toccassero il pavimento, guai se succedeva. Poi glieli tiravamo su e gli allacciavamo la cintura. Ma si alzava da solo la cerniera. Gli infilavamo la camicia, l'abbottonavamo, gli mettevamo le Kool nel taschino, gli annodavamo al collo il foulard e lo pettinavamo. Per tutto il tempo restava fermo a guardarci indaffarate intorno a lui. Poi le seguivamo sul ponte portando tutto quello di cui poteva aver bisogno - soprabito, cappello, binocolo, posacenere, sigarette, qualsiasi cosa gli sarebbe potuta servire. Pensavamo che servirlo fosse un onore e un privilegio.» [8]

Le messaggere avevano tutte l'aspetto di cheerleaders - biondine dai denti bianchi e labbra rosse, piccoli seni sfacciati che premevano contro il top attillato, vita nuda, hot pants aderenti, lunghe gambe abbronzate, calzini e sandali senza tacco. Si erano disegnate da sole l'uniforme, con l'approvazione del Commodoro, e quell'abbigliamento metteva in risalto al massimo la loro bellezza di adolescenti, dando modo di ostentarla e di avvantaggiarsene.

Mentre i maschi a bordo facevano a gara per conquistarne le grazie, Hubbard non mostrò mai interesse sessuale per loro. «Con me non ci ha mai provato» ha raccontato Tanya, «e per quanto ne so non l'ha mai fatto con nessun'altra. Non dormiva con Mary Sue, pensavamo che forse era impotente. Credo che per lui fosse eccitante semplicemente averci attorno.»

«Una volta gli chiesi perché scegliesse ragazzine come messaggere» ha raccontato Doreen Smith. «Rispose che era un'idea che aveva preso dalla Germania nazista. Mi disse che Hitler era un pazzo, ma che a modo suo era anche un genio, e la Gioventù Nazista era una delle più belle idee che avesse avuto. I giovani erano come fogli bianchi su cui potevi scrivere ciò che volevi, e sarebbe stata la tua scrittura. Ecco qual era la sua idea, prendere dei giovani e modellarli in piccoli Hubbard. Disse che preferiva le ragazze perché le donne erano più leali degli uomini.»

Quanto più le messaggere facevano per lui, tanto più il Commodoro le considerava le sole persone di cui potersi fidare. La sera, mentre lo spogliavano e portavano a termine l'elaborato rito della preparazione al letto, gli piaceva parlare, confidarsi, raccontare le sue avventure. Le ragazze si sedevano a terra a capo del letto e ascoltavano per ore le sue storie, a occhi sbarrati. Lo status speciale di cui godevano però non aiutò molto il loro carattere. «Diventammo piccole servette velenose» ha ammesso Jill Goodman. «Eravamo potenti e intoccabili.» Era del tutto normale che una messaggera quattordicenne corresse da un executive anziano e gli urlasse «tu fottuto bastardo, andrai diretto sul RPF. Ti insegnerà a fotterti.» Rispondere per le rime era impensabile: sarebbe equivalso a rispondere per le rime ad Hubbard in persona.

«Tra le messaggere si diffuse una sorta di "sindrome del Signore delle Mosche"» ha raccontato Rebecca Goldstein, reclutata in Scientology dal fratello Amos Jessup. «Erano talmente ubriache del loro potere da diventare estremamente cattive, vendicative e disoneste. Erano un piccolo gruppo molto esclusivo e pericoloso.»

Nel maggio del 1974 Hubbard fece una cosa molto curiosa che forse indicava come stesse perdendo la capacità di distinguere, anche nella sua stessa mente, tra realtà e fantasia: si rivolse alla Marina degli Stati Uniti per avere le medaglie di guerra con cui aveva sempre sostenuto di essere stato decorato, ma che sapeva di non essersi mai guadagnato.

Il 28 maggio l'Ufficio Collegamento della Nave di New York scrisse una lettera al Ministero della Marina allegando l'autorizzazione di Hubbard a farsi consegnare le medaglie, e chiedendo che fossero inviate il prima possibile. La lettera forniva alcuni dati utili su Mr. Hubbard, citando da una delle sue fantasiose biografie "ufficiali": «Ha prestato servizio nel Sud Pacifico e nel 1942 è stato sostituito da quindici ufficiali di rango e rimandato in patria per prendere parte alla battaglia del 1942 contro sommergibili tedeschi, in qualità di Ufficiale Comandante di Corvetta in servizio nel Nord Atlantico. Nel 1943 è stato promosso a Commodoro di una flotta di corvette e nel 1944 ha lavorato per le forze anfibie.» Seguiva un elenco di diciassette medaglie, tra cui il Purple Heart [concessa ai feriti in battaglia] e la Navy Commandation Medal, molte di esse con stelle di bronzo al valore.

Il Ministero della Marina rispose il 18 giugno, allegando le quattro medaglie concesse di routine all'ex Sottotenente Lafayette R. Hubbard, Riserva della Marina degli Stati Uniti, e facendo presente che «Dagli archivi di questo Ente non risulta che Mr. Hubbard abbia i titoli per altremedaglie o riconoscimenti citati nella Vostra richiesta.» [9]

Il Commodoro non ebbe evidentemente difficoltà ad eludere questo piccolo problema: mise prontamente in circolazione una fotografia a colori 20 x 25 di ventuno medaglie e riconoscimenti vari che diceva di essersi conquistato in guerra. Spiegò all'equipaggio che ne mancavano alcune. In realtà gliene erano state riconosciute ventotto, ma le rimanenti dovevano restare un segreto perché il comando navale era imbarazzato dal fatto che avesse affondato un paio di sottomarini «proprio nel cortile di casa».

In estate il Commodoro spostò l'attenzione dalla propria immagine a quella della sua nave. Si innamorò dell'idea di migliorare le pubbliche relazioni dell'Apollo organizzando concerti e balletti gratuiti per i residenti delle città in cui facevano scalo regolare. Dopo le innumerevoli ore che aveva trascorso rinchiuso nell'appartamento di Queens incollato alla TV, si considerava un esperto di musica pop e di danza moderna, e pensava di aver fatto importanti "scoperte" sulla natura della musica rock e sul bisogno di ritmo forte e pulsante. Parlava spesso delle sue teorie ad uno sconcertato Jim Dincalci. Sulla nave era riuscito a mettere in pratica le sue idee con il complesso di bordo, gli "Apollo Stars", una band composta di volontari che il Commodoro aveva scelto tra l'equipaggio tenendo audizioni con tutta la sicurezza e l'aplomb di chi aveva trascorso una vita intera nel mondo dello spettacolo.

Ken Urquhart, che a bordo era probabilmente chi ne sapeva più di tutti in fatto di musica, rifiutò di farsi coinvolgere. «Il mio compositore preferito era Mozart, non quel loro rumore orribile e assordante. Si esercitavano sul ponte quasi ogni pomeriggio suonando le composizioni di Hubbard con un ritmo molto primitivo e animale. Non osavo nemmeno andargli vicino.» Mike Golstein, che all'università aveva suonato la batteria in un complesso semi-professionista, si offrì volontario pur di uscire dal RPF. «LRH aveva detto che chi era sul RPF e veniva accettato nel complesso o nel gruppo di danza sarebbe stato tirato fuori subito. Mi offrii volontario perché pensavo che qualsiasi cosa sarebbe stata meglio che correre tutto il giorno con una tuta nera addosso. Mi sbagliavo. La band era terribile, orripilante; è stata la cosa più imbarazzante che abbia fatto in vita mia.»

Hubbard pensò di far suonare gli Apollo Stars sul ponte di poppa ogni volta che la nave entrava in un porto: in ogni scalo sarebbero state prese le prenotazioni per gli spettacoli di musica e danza del weekend. Poiché intendeva apparire personalmente, si fece cucire una nuova uniforme di taglio decisamente teatrale. Aveva un kepì azzurro polvere con un generoso pennacchio dorato e un soprabito in tinta bordato di seta rossa. Come ha detto Urquhart, era «davvero particolare».

Quentin Hubbard, all'epoca ventenne, iniziò a fare le prove con il corpo di ballo e si divertì al punto da commettere l'errore di dire al padre che gli sarebbe piaciuto fare il ballerino. «No, non lo farai» rispose Hubbard, «per te ho progetti diversi.» Non se ne parlò più, e a Quentin fu vietato di partecipare alle prove. Poco tempo dopo, mentre la nave era a Funchal, Madera, fece un fiacco tentativo di suicidio.

«Scese a terra e scomparve» ha raccontato la sua amica Doreen Smith, «e mentre tutti erano fuori a cercarlo lui tornò a bordo. Andai a trovarlo nella sua cabina per assicurarmi che fosse tutto a posto, e lo trovai disteso sul letto. Mi sorrise e gli chiesi "Ciao, come va?" - "Non troppo bene, ho lo stomaco davvero sottosopra" mi rispose. Poi disse "Doreen, ho fatto una cosa orribile. Ho preso un intero flacone di pillole." - "Merda" gli risposi, "alzati da letto e non addormentarti." Iniziai a farlo camminare su e giù per la cabina e gli dissi "sai vero che dovrò dirlo a tuo padre?" Lui annuì e rispose "lo so. Lui saprà che cosa fare".»

Doreen corse nella cabina del Commodoro e gli disse «Quentin ha preso delle pillole.» Non se lo fece ripetere due volte. Ordinò a Doreen di andare in cambusa e portargli della mostarda, che mescolò ad una bevanda che fece bere a Quentin in una sola boccata. Il ragazzo vomitò più volte, poi venne portato in infermeria. Il Commodoro ordinò che, non appena Quentin si fosse ripreso a sufficienza per lasciare l'infermeria, sarebbe stato assegnato al RPF. Mary Sue, di cui si conosceva il forte senso di protezione verso i figli contro gli eccessi del regime di bordo, non poté far nulla. Era la responsabile del benessere a bordo - infatti era riuscita a strappare al Commodoro una speciale dispensa per permettere alle coppie sposate del RPF di trascorrere la notte insieme una volta la settimana, ma sapeva che il marito era furioso con Quentin e che non c'era nulla che potesse fare.

Quando Quentin arrivò sul RPF, Rebecca Goldstein era tra gli internati. «Per lui era davvero dura» ha raccontato. «Era molto delicato e raffinato, per nulla presuntuoso, molto diverso dal padre. Era praticamente privo di peli, sia in viso che sul corpo, e non si riusciva a capire se avesse già iniziato a radersi. Giravano voci che in precedenza avesse già tentato il suicidio. Temeva il padre, era completamente schiacciato da lui.»

I prodi tentativi degli Apollo Stars e dei loro colleghi del corpo di ballo di conquistare cuore e mente di spagnoli e portoghesi non ebbero molto successo, e il clima politico di sicuro non li aiutò. All'inizio di quell'anno il Portogallo aveva visto il colpo di stato, e l'inquietudine generata dagli eventi aveva reso diffidenti i portoghesi verso navi straniere e misteriose che facevano scalo nei loro porti senza una ragione apparente. L'Apollo era anche riuscita a turbare gli spagnoli tentando di entrare per sbaglio nell'importante base navale di El Firol.

Il vero problema della nave, però, era che la sua "shore story" stava diventando sempre meno credibile. Si raccontava ancora alle autorità portuali spagnole e portoghesi che l'Apollo era di proprietà di una famosa agenzia di consulenza manageriale, ma quanto si trovavano davanti era una nave fatiscente e arrugginita, spesso addobbata di bucato cencioso, il cui equipaggio era composto da giovani con uniformi disassortite e a brandelli. Non deve stupire che le sue attività destassero sospetti, e che prendessero piede voci secondo cui in realtà la nave era alle dipendenze della CIA. Quando Jim Dincalci, che era stato destinato a terra per dirigere un ufficio a Funchal, Madera, ne venne a conoscenza, si allarmò.

«Sembrava che a Madera tutti pensassero che la nave non era ciò che diceva di essere, e quasi tutti sembravano pensare che fosse una nave spia della CIA. Sull'isola avevo stretto amicizie, ed avevo contatti con la locale cellula comunista. Si diceva che quando la nave si fosse ripresentata a Madera i comunisti se ne sarebbero impossessati. Inviai dei telex a LRH per metterlo in guardia su quanto stava avvenendo, consigliandogli di non tornare fino a quando le cose non si fossero calmate. E rimasi scioccato quando invece vidi l'Apollo entrare in porto.»

La nave arrivò a Funchal il 7 ottobre e ormeggiò al solito posto. Vennero inviati a terra degli emissari per pubblicizzare un "concerto rock" che gli Apollo Stars avrebbero tenuto nel fine settimana. Nel tardo pomeriggio di mercoledì 9 ottobre, mentre Mary Sue ed altri membri dell'equipaggio si trovavano a terra, una piccola folla di giovanotti iniziò a radunarsi sul molo con fare minaccioso, gesticolando in direzione della nave. Chi era rimasto a bordo capì immediatamente che non si trattava di una visita socievole. Ben presto la folla, che si andava ingrossando, iniziò a scandire «C-I-A-, C-I-A-, C-I-A».

Gli scientologisti, allineati lungo i parapetti della nave, cercarono di scandire «CIA» di rimando, ma non servì ad allentare la tensione. Poi la prima pietra colpì lo scafo della Apollo, seguita da una bottiglia lanciata sul ponte di prua. Con l'aumentare della rabbia iniziarono a piovere altre pietre e altre bottiglie. L'equipaggio andò a cercare riparo, iniziando intanto a raccogliere le pietre dal ponte e rilanciarle contro la folla. In pochi minuti la battaglia si fece serrata.

Hubbard, che osservava la scena dalla plancia, prese un altoparlante ed iniziò a tuonare in direzione della folla: «Comunisti! Comunisti!» Poi cominciò a scattare fotografie della sassaiola, e i flash della macchina fecero aumentare la tensione. Diversi membri dell'equipaggio furono colpiti dalle pietre: Kima Douglas fu centrata da un grosso sasso e riportò la frattura della mascella. Sul molo un uomo si sbottonò i pantaloni mostrando il pene, e venne colpito con precisione da una pietra scagliata dalla nave.

A bordo intanto, tra pietre, bastoni e bottiglie che volavano in ogni direzione, la confusione era totale. In seguito alcuni membri dell'equipaggio dissero che il Commodoro si era mantenuto assolutamente calmo per tutto il tempo, mentre altri raccontarono che sembrava terrorizzato. Comunque sia, nessuno prese il comando della situazione, e tutti continuarono ad urlare ordini. Da una parte della nave si cercava di mettere insieme una squadra per respingere l'attacco, dall'altra si stavano tirando fuori gli idranti.

I sobillatori persero definitivamente le staffe quando gli idranti vennero puntati contro di loro. Sul molo c'erano diverse motociclette di proprietà dell'equipaggio, e due auto della nave - una Mini e una Fiat. Tutte le moto vennero scaraventate in mare, poi entrambe le auto furono spinte oltre il bordo del molo: colpirono l'acqua con un grosso tonfo e scomparvero velocemente sul fondo. Altri manifestanti slegarono le gomene d'ormeggio e l'Apollo si staccò lentamente dalla banchina.

A questo punto, seppure in ritardo, arrivarono le autorità. Miliziani armati salirono a bordo per dare protezione mentre un pilota aiutò ad ancorare la nave a distanza di sicurezza, ed una lancia andò a prelevare gli scientologisti rimasti a terra, tra cui Mary Sue. La polizia chiese ad Hubbard il rullino delle foto scattate durante la rivolta e il Commodoro, molto compiaciuto, consegnò diligentemente due rullini non impressionati presi dalle macchine che non aveva usato. Quando si finì di ripulire i ponti da calcinacci e vetri rotti era ormai notte.

Poiché sembrava oltremodo evidente che gli abitanti di Madera non erano interessati al concerto degli Apollo Stars, il giorno seguente la nave prese il largo, informando le autorità portuali di Funchal che si stava dirigendo verso le isole di Capo Verde, 1.500 miglia a sud. Appena fuori vista, però, cambiò decisamente rotta puntando ad ovest. Sempre più eccitato l'equipaggio iniziò a speculare sul fatto che il Commodoro avesse deciso di far rotta verso gli Stati Uniti.

Durante i sei giorni successivi, caratterizzati da un tempo splendido, l'Apollo navigò verso occidente su un oceano piatto come l'olio, seguita dai giochi dei delfini e delle balene. Il 16 ottobre fece uno scalo di rifornimento a St. George, sulla punta più settentrionale di Bermuda, e Hubbard annunciò all'equipaggio che il prossimo porto sarebbe stato Charleston, Carolina del Sud. La notizia fu accolta con grande gioia: molti a bordo erano cittadini americani, e mancavano da casa da diversi anni.

Otto miglia al largo di Charleston un messaggio radio in codice del Guardian's Office informò il Commodoro che ad attenderli sul molo avrebbero trovato l'FBI. L'istinto spingeva Hubbard a terra, dove avrebbe affrontato la situazione con la solita faccia tosta, ma l'idea spaventava molto Mary Sue. Riuscì a convincere il marito che, se l'avesse fatto, sarebbe stato immediatamente arrestato. Ne seguì una lite furibonda. «Li sentimmo urlare per almeno due ore» ha raccontato Hana Eltringham, «Mary Sue era risoluta, non voleva sbarcare. Disse che l'avrebbero accusato di dieci, quindici reati e sarebbe stata la fine, e lei non lo voleva.»

Una volta tanto Mary Sue riuscì a spuntarla. Hubbard riunì i suoi assistenti sul ponte di passeggiata e li informò che c'era stato un cambiamento di piano. Avrebbe inviato un messaggio radio a Charleston dicendo che si stavano dirigendo ad Halifax, Nova Scotia, per prendere alcuni pezzi di ricambio, mentre invece avrebbero puntato a sud, in direzione opposta, verso i Caraibi.

Due giorni dopo l'Apollo attraccò a Freeport, nelle Bahamas, mentre gli agenti del FBI attendevano pazientemente ad Halifax. Non ci volle molto per scoprire l'accaduto, e nei dodici mesi successivi la nave venne ostinatamente seguita nel suo vagabondaggio da un'isola all'altra. Non deve stupire che a Washington nessuno riuscisse a scoprire che cosa Hubbard avesse in mente: L. Ron Hubbard per primo non lo sapeva.

Sembrava che il Commodoro si stesse semplicemente godendo una pausa nei Caraibi mentre decideva la mossa successiva. Si fece cucire una serie di uniformi tropicali in seta bianca, e anche le messaggere furono rivestite di bianche uniformi attillate e occhiali da sole a specchio - innovazione suggerita dal Commodoro che diede loro un aspetto adeguatamente sinistro. In quasi tutti gli scali gli Apollo Stars si spingevano a terra per suonare davanti ad un pubblico annoiato che non aveva nulla di meglio da fare che sedere al sole per un concerto gratuito, chiedendosi da dove fossero usciti quei musicisti. Il Commodoro riprese a dedicarsi alla fotografia, e cercò di ingraziarsi i politici locali offrendosi di ritrarli. Fotografò il Primo Ministro e i membri dell'opposizione di Curaçao, e trascorse qualche tempo in un convento per fotografare le suore. Molto contento dei risultati ottenuti inviò al convento un ingrandimento incorniciato e un assegno di 1.000 dollari per ringraziarle della collaborazione.

Poteva sicuramente permetterselo, come Kima Douglas sapeva meglio di ogni altro. «Mentre eravamo alle Bahamas uscì un articolo secondo cui la Svizzera stava per cambiare le sue leggi fiscali, e la cosa avrebbe influito sul denaro che avevamo in quel paese. Il vecchio andò su tutte le furie. Lo sentii sbraitare, così corsi su per vedere che cosa stesse accadendo. Camminava su e giù per l'ufficio urlando con quanto fiato aveva in gola "Hai idea di che cosa stanno facendo? È tutto andato. Andato! Andato! Siamo rovinati".» Quando si fu un po' calmato Kima gli suggerì che forse era possibile trasferire il denaro altrove. Tre ore dopo era su un aereo per Zurigo assieme ad altri due scientologisti, con istruzioni che Hubbard aveva scritto di suo pungo per autorizzare il trasferimento di tutti i suoi beni su una banca del Liechtenstein.

All'arrivo i tre vennero accompagnati nel caveau della banca. Kima Douglas, che pensava di non potersi ormai stupire più di nulla in Scientology, davanti a tutto quel denaro rimase senza parole. «Tutti noi sgranammo gli occhi. C'era una montagna di soldi. Una pila di circa un metro e venti per uno di dollari, marchi e franchi svizzeri in banconote di grosso taglio. Non riuscivo a rendermi conto del loro valore reale, ma di sicuro era più di quanto noi tre saremmo riusciti a trasportare.»

I tre impiegarono due settimane per organizzare il trasferimento del contante in una banca del Liechtenstein, e dovettero annotare i numeri di serie della prima e ultima banconota di ogni mazzetta. Quando la missione fece ritorno alle Bahamas, Kima dovette descrivere al Commodoro l'esatta dimensione dei diversi blocchi di banconote. «Era molto compiaciuto, pensava di aver gabbato gli svizzeri.»

L'atteggiamento di Hubbard, come solito, restava imprevedibile e molto soggetto alle sue note fobie. Scoprì che la sfortunata Hana Eltringham possedeva un olfatto particolarmente acuto, e la ingaggiò come "annusatrice" per scovare la fonte degli odori che lo tormentavano. «Ogni volta che si lamentava di cattivi odori» ha raccontato, «una messaggera veniva a chiamarmi nel mio ufficio e dovevo correre nel suo alloggio, mettermi carponi e annusare in giro nel tentativo di scoprire da dove provenisse l'odore. Magari lo scoprivo in un angolo, e allora toglievamo il rivestimento della parete e spesso trovavo della muffa.»

Era interesse di ogni membro dell'equipaggio fare di tutto per tenere tranquillo il Commodoro, ma più di ogni altro era interesse di Kathy Cariotaki, a capo della "unità domestica" della nave, posizione che, data la vicinanza al Commodoro, quasi garantiva l'assegnazione permanente al RPF. Ma Kathy si era guadagnata molte lodi per come era riuscita ad ottenere qualche giustificazione del governo greco dopo la debacle di Corfù, e nella gestione della "unità domestica" imparò come usare le sue innate doti diplomatiche.

«Se mentre mangiava iniziava a dire che il cibo aveva sapori strani, dovevi essere pronta a "maneggiarlo". Se un piatto non gli piaceva cominciava subito a sbraitare e urlare che cercavamo di affamarlo, e a quel punto eravamo tutti sotto tiro. Così cominciai a tenere sempre pronte due pietanze di riserva, in modo che se qualcosa andava storto gliele mettevamo subito davanti.

«Mary Sue era ossessionata dalla dieta, e provava di continuo questo o quel regime alimentare. Un giorno mandò un ordine giù nelle cucine dicendo che quella sera voleva mangiare secondo la sua ultima dieta. Quando veniva servita la cena stavo sempre in ascolto per vedere che fosse tutto a posto, ma quella sera sembrava tutto tranquillo così tornai in ufficio. Poi arrivò una messaggera dicendomi che il Commodoro mi voleva vedere nel salone del Ponte A. Quando arrivai stava sbraitando con quanto fiato aveva in gola. Non riuscii a capire che cosa stesse dicendo fino a quando non si decise ad abbassare un po' i decibel: stava urlando che i cuochi affamavano Mary Sue. Le aveva dovuto dare la sua cena, e la vidi che mangiava come se non lo facesse da giorni. Mi lanciò un'occhiata che diceva "guai a te se apri bocca".

«Il loro rapporto era molto strano. Feci in modo che festeggiassero il loro anniversario di matrimonio e organizzai una cena speciale a lume di candela, assicurandomi che lui avesse un regalo per lei, e viceversa. Mary Sue era legatissima ai figli, ma lui no - a malapena li vedeva. Diana si era sposata e mangiava con il marito, mentre i ragazzi più piccoli mangiavano con il resto dell'equipaggio. Diedi avvio ai pranzi domenicali con tutta la famiglia riunita, e coglievo ogni occasione per farli stare assieme in occasione di compleanni e anniversari, perché altrimenti si sarebbero visti davvero di rado.» [10]

Quando il Commodoro si recava a terra per le sue spedizioni fotografiche Kathy Cariotaki gli faceva da autista, e controllava sempre l'itinerario il giorno prima. A Kingston, Giamaica, Hubbard decise che voleva fare qualche foto nei bassifondi. Su sua insistenza Kathy aveva noleggiato una vecchia Pontiac decappottabile rosso brillante, che inevitabilmente attrasse attenzione, in generale apertamente ostile. Hubbard sembrava inconsapevole dell'atmosfera pesante, e continuava a scattare mentre un gruppo di ragazzi neri li schernivano e ridicolizzavano chiamandoli «bianchicci». Ad un certo punto un ragazzo in bicicletta si accodò all'automobile facendo un gran verso; Hubbard si girò urlando così forte che il ragazzo cadde. Kathy pensò che Hubbard non si fosse reso conto del pericolo, ma di ritorno sulla nave bussò alla porta di Mary Sue e le disse «indovina un po', tesoro. Questo pomeriggio ho quasi provocato una rivolta.»

A St. Vincent, nella primavera del 1975, la nave ricevette una visita a sorpresa da Bremerton, Washington - il padre del Commodoro. Harry Ross Hubbard aveva ottantotto anni ed era un vecchietto fragile ma determinato a fare pace con il suo unico figlio. L'anziano gentiluomo arrivò sul molo a bordo di un taxi, e il Commodoro scese ad incontrarlo - era la prima volta che qualcuno lo vedeva lasciare la nave per accogliere un visitatore.

All'equipaggio era stato ordinato di nascondere alla vista del padre del Commodoro ogni traccia di Scientology, ma lui era troppo vecchio e confuso per preoccuparsi di cose del genere. Rimase a parlare con il figlio per ore, visitando amabilmente la nave senza mostrare curiosità sui suoi scopi. Si accontentò di una buona scorta di birra e di un paio di battute di pesca. Tornato a Bremerton disse alla cognata Marnie di aver fatto un «viaggio meraviglioso». [11] Morì qualche mese più tardi.

L'Apollo non dovette restare a lungo nei Caraibi prima che nei vari porti dove faceva scalo iniziassero a circolare i sospetti. Incrociava tra le Bahamas e le Indie Orientali, spingendosi fino alle Isole Sottovento e Sopravvento e alle Antille Olandesi per poi tornare al punto di partenza, e le voci di attività illecite o clandestine la seguivano con altrettanta tenacia dei gabbiani. A Trinidad un settimanale locale speculò che la nave avesse collegamenti con la CIA, suggerendo che l'equipaggio fosse in qualche modo collegato all'orrendo delitto di Sharon Tate a Los Angeles. Come scrisse seccamente l'ambasciata americana in un cablo a Washington, «A Trinidad il controverso yacht Apollo sembra aver esaurito le manifestazioni di benvenuto.» [12]

Gli scientologisti a bordo pensavano ovviamente che si trattasse di un complotto. Il Capitano Bill Robertson spiegò che il Segretario di Stato Henry Kissinger, che era uno degli «SMERSH più importanti», aveva fatto molte pressioni e minacciato di tagliare gli aiuti finanziari alle isole che avessero accolto la Apollo [13]. I seguaci di Hubbard la considerarono una spiegazione assolutamente sensata.

A bordo si tenevano ancora corsi per gli scientologisti di livello più alto e, nel giugno del 1975, tra i nuovi studenti arrivò Pam Kemp, amica di Hubbard dai tempi di Saint Hill. Rimase scioccata nel vedere quanto fosse invecchiato. «Vidi salire a bordo questa figura con in testa un grande cappello e sulle spalle un soprabito in stile marina bordato di rosso, e pensai se non mi sbaglio, quello è LRH, anche se camminava molto lentamente e sembrava davvero vecchio. Gli andai incontro dicendo "Ciao Ron". Mi guardò come se non mi conoscesse. Pensai che forse era diventato un po' sordo, così mi avvicinai e gli dissi "Ciao Ron, come stai?". Non mi riconobbe, non sapeva chi ero. Pensai che era strano. In seguito scoprii che forse non mi aveva vista bene perché aveva problemi di vista, ma non avrebbe mai accettato di mettersi gli occhiali.» [14]

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Poco tempo dopo, mentre la nave era nel porto di Curaçao, Hubbard ebbe un piccolo colpo apoplettico. Fu portato di fretta all'ospedale locale e tenuto per due giorni in terapia intensiva, per poi essere trasferito in una stanza privata dove rimase per tre settimane, con le messaggere di guardia alla sua porta ventiquattr'ore al giorno.

«Per farlo restare in ospedale dovevamo portargli il cibo dalla nave» ha raccontato Kima Douglas. «Non avrebbe mai toccato quanto gli davano in clinica, così portavamo avanti e indietro i pasti in contenitori caldi o freddi, dieci miglia ogni viaggio.» Quando si fu ripreso a sufficienza per lasciare l'ospedale, si trasferì per la convalescenza in un bungalow del Curaçao Hilton Hotel.

Da lì inviò Mark Schecter, uno dei suoi assistenti, in missione segreta negli Stati Uniti. Schecter portava con sé una valigia piena di soldi. Gli ordini erano di consegnarli ad un altro scientologista, Frankie Freedman, che aveva trovato un motel in affitto a Daytona Beach, Florida.

Sebbene solo pochissimi ne fossero al corrente, i giorni in mare della Sea Org erano finiti.

 

Note:

1. Intervista a Urquhart.

2. Intervista a Dincalci.

3. Intervista a Hana Eltringham.

4. Intervista a Kima Douglas, Oakland, CA, settembre 1986.

5. Intervista a Jill Goodman, New York, marzo 1986.

6. Intervista a Doreen Gillham.

7. Intervista a Gerald Armstrong, Boston, febbraio 1986.

8. Intervista a Tanya Burden, Boston, febbraio 1986.

9. Archivi della Marina su L. R. Hubbard.

10. Intervista a Kathy Cariotaki, San Diego, luglio 1986.

11. Intervista alla Sig.ra Roberts.

12. Los Angeles Times, 29 agosto 1978.

13. Trascrizione di un Debrief del Capitano Bill Robertson, maggio 1982.

14. Intervista a Pam Kemp.

 
 
 
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